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Agnello con carciofi

Ingredienti

600 g circa di carne d’agnello (tagliato a pezzettoni) 7 carciofi spinosi

2 spicchi d’aglio prezzemolo fresco olio extravergine d’oliva sale.

Procedimento

In un tegame capiente, fate scaldare qualche cucchiaiata di olio extravergine d’oliva e soffrig-gete l’aglio a fuoco vivo. Dopo averlo fatto imbiondire eliminatelo e aggiunsoffrig-gete i pezzettoni di agnello. Salate e rigirate il tutto, in modo che la carne si colori un po’. Proseguite la cottura a fuoco basso e il coperchio. Nel frattempo che la carne cuoce, pulite i carciofi, eliminando le foglie più dure e le punte, e tagliate ogni testa a fette grosse. Aggiungeteli alla carne, insieme a poco prezzemolo fresco tritato e ad altro sale qb, quando questa sarà già a buon punto con la cottura (vedrete la carne cominciare a distaccarsi dall’osso), e cioè dopo almeno 25

minuti. Proseguite con la cottura per altri 15/20 minuti, finché anche i carciofi saranno cotti.

Costo € 4,50 a porzione

Significati simbolici del carciofo

Cynara, la ninfa trasformata in carciofo.

Nella mitologia si narra della bellissima ninfa Cynara, chiamata così a causa dei suoi capelli color cenere aveva gli occhi verdi e viola, era alta e snella: una bellezza mozzafiato, ma orgo-gliosa e volubile! Zeus se ne innamorò perdutamente, non corrisposto; stufo e sconsolato, in un momento d’ira, trasformò Cynara in un carciofo verde e spinoso come il carattere dell’a-mata. Va però detto che al pungente ortaggio resta il colore verde e violetto dei suoi occhi, il cuore (il suo interno) tenero, come sa esserlo quello di fanciulla, e una provocante tentazione di metterlo in padella. Il legame con la mitologia non è casuale, perché la pianta è originaria del bacino del Mediterraneo orientale, comprese le isole Egee, Cipro, l’Africa settentrionale e l’Etiopia dove tuttora si trovano varie qualità di carciofi cresciuti spontaneamente.

Il carciofo, insieme al cardo, hanno in araldica la simbologia della speranza.

Il carciofo nella letteratura Ode al carciofo

Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero, ispida edificò una piccola cupola,

si mantenne all’asciutto sotto le sue squame, vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono, divennero viticci,

infiorescenze commoventi rizomi;

sotterranea dormì la carota dai baffi rossi, la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino, la verza si mise a provar gonne,

l’origano a profumare il mondo,

e il dolce carciofo lì nell’orto vestito da guerriero, brunito come bomba a mano,

orgoglioso, e un bel giorno, a ranghi serrati,

in grandi canestri di vimini,

marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:

la milizia.

Nei filari mai fu così marziale come al mercato,

gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi, file compatte,

voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade, ma allora arriva Maria col suo paniere,

sceglie un carciofo, non lo teme, lo esamina,

l’osserva contro luce come se fosse un uovo, lo compra,

lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe, con un cavolo e una bottiglia di aceto finché, entrando in cucina,

lo tuffa nella pentola.

Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo, poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta del suo cuore verde.

Pablo Neruda

Cavolo vecchio di Rosolini

a cura della sezione provinciale LILT di Ragusa La città di Rosolini si trova tra le province di Ragusa e Siracusa, ai piedi dei monti Iblei e a pochi chilometri dalla Val di Noto. Nata con i Bizantini e conquistata dagli Arabi, Rosolini è ricca di storia e di cultura non-ché un importante centro economico, da sempre vo-cato all’agricoltura e alla coltivazione di mandorli, ulivi, frumento o fave. Fino alla fine degli anni ’60, ogni famiglia aveva un cavallo o un mulo e possedeva una salina, ovvero una concimaia scavata nel terreno dove era accumulato il letame proveniente dalla pulizia delle stalle. Proprio ai bor-di della salina, era coltivato il cavolo vecchio bor-di Rosolini. Dalla

foglia poliennale (fino a 6/7 anni), il cavolo era trapiantato tra luglio e agosto e iniziava a produrre i primi sfalci a partire dagli inizi di ottobre fino alla fine di marzo. I semi erano riprodotti in famiglia e le piantine servivano esclusivamente per l’autoconsumo. Su ogni tavola della zona Iblea – e in particolare a Modica – non poteva mai mancare. Oggi le piante di cavolo vecchio sono ancora coltivate negli orti famigliari insieme ad altre essenze oppure si trovano ai bordi degli orti per sfruttare le caratteristiche poliennali di questo cavolo.

Ricette

Ingredienti Per la pasta

250 gr di farina di grano duro di Sicilia (varietà Russello) 1 misurino di acqua

un pizzico di sale Condimento

un mazzetto di cime di cavolo vecchio (presidio slow Food di Rosolini) 1 piccolo spicchio d’aglio

1 decina di pomodorini Pachino (facoltativi) olio e sale

formaggio Ragusano grattugiano (facoltativo).

Procedimento

Bollire in abbondante acqua le cime di cavolo fino a quando non risultano tenere. Poi con una schiumaiola toglierle d’acqua e trasferirle in una padella per lasciare raffreddare. Tenere in pentola l’acqua di cottura. Nel frattempo impastare la farina con l’acqua e il sale dando alla pasta una consistenza abbastanza dura e lasciare riposare. Quando il cavolo in padella si sarà raffreddato tagliuzzarlo (foglie e gambo) in pezzetti da circa un cm, aggiungere olio d’oliva, l’aglio tritato, il sale e (se si sceglie di metterli) i pomodori sbucciati e tagliati a pez-zettini. Fare insaporire in padella rigirando spesso e aggiungendo acqua se è necessario.

Nel frattempo portare a bollore l’acqua di cottura del cavolo, aggiungere il sale e la pasta sgranocchiata con le mani formando piccoli gnocchi sformi (Pastratedda). Cuocere per 15

minuti e appena cotti trasferirli, con una schiumaiola, nella padella insieme al condimento, mescolare per bene fino a quando la pastratedda non si sia abbastanza amalgamata con tutti gli altri ingredienti. Servire caldo e, se di gradimento, si può aggiungere a questo piatto del Ragusano grattugiato.

Cipolla

a cura della sezione provinciale LILT di Reggio Emilia La scelta di questo ortaggio è legata alla memoria affettiva dell’estate. La cipolla matura ogni 2 anni ed è originaria dell’Asia. Si raccoglie in giugno riempiendo l’aria delle sue esalazioni forti e aci-de. E un vegetale povero, molto diffuso e molto consumato sia come contorno che come in-grediente dei “temibili” e temuti soffritti. Secondo credenze popolari, è dotata di virtù magiche. Le proprietà curative della cipolla appartengono alla medicina tradizionale: mangiarle con sale e pepe a colazione aiuterebbe a proteggersi da raffred-dori, bere l’infuso preparato con cipolle crude è conside-rato un rimedio purificante, cotte sotto cenere e mangiate con

miele e zucchero è un rimedio per la tosse. Contiene zuccheri, grassi,

proteine, sali minerali, zolfo, vitamine, alcune sostanze antibatteriche e una sostanza oleosa, responsabile della lacrimazione quando la si taglia.

La cipolla ha anche proprietà dermatologiche, se strofinata sulla pelle, combatte le irritazioni e i bruciori provocati dalle punture di vespa.

In passato era anche uno strumento di pratiche divinatorie. Le ragazze indecise fra vari pre-tendenti incidevano l’iniziale del nome di ogni spasimante sulle cipolle, poi le mettevano su un asse e aspettavano. La prima a germogliare indicava l’uomo da scegliere.

In Grecia era consacrata alla dea Latona, madre di Apollo e di Artemide, che l’aveva adottata perché soltanto una cipolla era sta in grado di stimolarle l’appetito quando era rimasta incinta.

Secondo altre tradizioni, se chi è ammalato sogna di farne una scorpacciata è da conside-rarsi un auspicio di guarigione. Si narra che molto molto tempo fa, in un posto senza nome una cipolla stesse piangendo tutte le sue lacrime perché era sola, grassa, coperta da strati e strati di abiti. Era tenuta a distanza da tutti perché cresceva sotto terra. Chiunque la avvicina-va era contagiato dal suo pianto sino a quando i lamenti arriavvicina-varono al cielo e gli dei dettero vita a un suo simile, dal fusto lungo e affusolato, bianchissimo. Da allora porro e cipolla sono inseparabili compagni per tanti piatti e, spesso, si sostituiscono con piacere l’uno con l’altra.

Anche Isabel Allende nel suo celeberrimo Afrodita, scrive che “la cipolla è fondamentale in ogni tipo di cucina, dalla più erotica, alla più casta…”. Nel Giardino profumato (XVI sec), Nafzawi dà per certo che il membro di Abou el Heilouckh rimase eretto per trenta giorni con-secutivi perché mangiò cipolle.

Ricette