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Agricoltura biologica e cambiamenti climatic

Nel documento Bioreport 2017-2018 (pagine 135-138)

I dati ufficiali non distinguono tra diversi metodi o orien- tamenti produttivi, pertanto non sono disponibili cifre ufficiali che esprimano il contributo dell’agricoltura bio- logica alle emissioni nazionali o comunitarie. Molti studi hanno invece proposto un confronto tra le emissioni as-

sociate a questi due diversi metodi produttivi.

In particolare, gli studi sul tema si possono dividere in due macro-categorie a seconda dei loro obiettivi: quel- li che confrontano le performance ambientali (o solo emissive) di specifici prodotti (o filiere) e quelli che ana- lizzano il contributo dell’agricoltura biologica alla lotta al riscaldamento globale. Nei paragrafi successivi ven- gono esposti alcuni principali risultati di questi due filoni di ricerca.

I confronti delle emissioni dell’agricoltura biologica e convenzionale nella letteratura - Molti studi sono stati condotti per confrontare le emissioni di singoli prodotti ottenuti con metodi biologici o convenzionali, utilizzando un approccio che si basa sull’analisi del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Assessment, LCA). L’LCA contabiliz- za le emissioni ascrivibili a un prodotto con un approccio c.d. “dalla culla” (ovvero dalle emissioni imputabili alla produzione degli input) “alla tomba” (consumo e smal- timento/riciclaggio dei rifiuti). Le emissioni totali sono poi contabilizzate calcolando degli indicatori di intensità di emissione che definiscono la c.d. impronta carbonica (IC) del prodotto e possono essere rapportati a diverse unità funzionali; i più comuni sono la superficie agricola

(es. Kg di CO2 per ha) e la quantità di prodotto finale (es.

Kg di CO2 per litro di latte).

L’ampia produzione scientifica sul tema del confronto tra emissioni di biologico e convenzionale, ha permes- so l’implementazione di meta-analisi basate su questi risultati primari, che hanno lo scopo di confrontare si- stematicamente le performance ambientali dei due si- stemi [1], [8]. Tuomisto et al. [1], ad esempio, ampliano il campo di analisi dello studio di Mondelaers et al. [8], includendo altri impatti ambientali e studi realizzati al di fuori dell’UE, per avere una più ampia copertura di dati. I risultati delle due analisi sono in gran parte co- erenti. Per le emissioni di gas serra, la mediana delle differenze tra biologico e convenzionale è zero, ovvero ci sono tipologie di prodotto per cui il biologico risulta avere emissioni maggiori (latte, cereali e carne suina) ed altre per cui sono minori (olive, carni bovine e alcu- Tab. 2 - Fonti emissive ascrivibili al settore agricoltura

e relativi gas serra

% fonte sul totale emissioni agricole

Fonte emissiva Mondo UE Italia

Fermentazione enterica 32-40 42 46

Suoli agricoli 27 37 30

Gestione deiezioni animali 7-8 15,00 17,00

Altre fonti, tra cui 17-23 6 7,00

Risaie 11 6,00

Bruciatura residui

colturali e uso urea 6-12 1

ne colture) del convenzionale1.

Pur non offrendo risultati generalizzabili, perché basati su singoli prodotti, le analisi LCA possono fornire inte- ressanti spunti di riflessione circa la metrica più adatta per misurare la sostenibilità delle produzioni in relazio- ne agli aspetti relativi alle emissioni di gas serra. La metrica più usata, soprattutto per gli indicatori di IC riportati sulle confezioni dei prodotti è il quantitativo di emissioni di gas serra per kilogrammo di prodotto [1],[9], [10]. Con questo approccio, solitamente, l’agricoltura convenzionale ha performance migliori di quella biologi- ca per la sua maggiore produttività [11], [12], nonostante l’agricoltura biologica abbia spesso emissioni minori per ettaro [1], [10], [13], [14]. Tuttavia, secondo alcuni studi, i differenziali di produttività tra biologico e convenzionale andrebbero valutati nel lungo periodo: quando infatti si considerano gli stessi quantitativi di fertilizzanti applica- ti in entrambi i sistemi e intere rotazioni colturali, questi differenziali sono molto minori [15].

La questione della metrica utilizzata è evidentemente molto importante, perché essa rischia di penalizzare sistematicamente uno dei due sistemi. In un recente studio, Ponsioen e van der Werf [16] concludono che la migliore unità funzionale per calcolare l’impatto ambien- tale dei prodotti agroalimentari sia il loro valore econo- mico, perché altre unità funzionali sono meno in grado di comprendere il valore multifunzionale dell’agricoltura e, soprattutto nel confronto tra biologico e convenzionale, il valore economico può fornire maggiori informazioni. Attualmente, la validità stessa dell’approccio LCA per questo tipo di analisi viene messa in discussione. Meier et al. [9], ad esempio, sottolineano che le differenze tra le emissioni dei due sistemi agricoli non sarebbero pie- namente catturate da studi LCA che spesso si basano su dataset e modelli di simulazione del ciclo dell’azoto più adatti a sistemi convenzionali che biologici.

Il contributo dell’agricoltura biologica alla lotta al ri- scaldamento globale - La seconda categoria di studi descrive invece il potenziale contributo dell’agricoltura biologica alla lotta al riscaldamento globale, valutando se e quanto le pratiche cui si associa una riduzione del- le emissioni di gas serra siano compatibili coi principi dell’agricoltura biologica (cfr. tra gli altri: [10], [18], [19], [20], [21]2.

Per quanto riguarda le emissioni da fermentazioni en- teriche dei ruminanti, fra le tecniche per la mitigazione vi sono: il cambiamento della composizione delle razio- ni, l’aumento della longevità o della produttività degli animali, la riduzione del numero di capi [18]. General- mente il tipo di razione fornita agli animali ha elevati impatti sulle emissioni e, in particolare, aumentare la quota dei concentrati sui foraggi, le diminuisce. Tutta- via la prospettiva di aumentare la quota di concentrati nel biologico non appare plausibile per diversi ordini di motivi: è contro lo spirito del biologico e in alcuni casi non è permesso dalle regolamentazioni dei disciplinari di produzione; può avere impatti avversi sulla longevità e il benessere degli animali; i prodotti ottenuti sono di qualità inferiore rispetto a una dieta basata su foraggi (in particolare si riscontrano meno proprietà nutrizionali e maggiori tracce di cadmio [22]).

Un’altra tecnica utilizzata è ridurre le emissioni per Kg di prodotto, aumentando i periodi di lattazione e la lon- gevità degli animali. Infatti, più a lungo un capo sta nel- la mandria, minori sono le emissioni ad esso associate nel computo finale per l’azienda agricola. Anche adot- tare razze a duplice attitudine, per produrre sia carne che latte, riduce le relative emissioni dei capi che ven- gono suddivise, nel calcolo, tra i diversi prodotti [18]. Sia l’aumento della longevità che l’uso di razze a duplice attitudine sono particolarmente adatte all’agricoltura biologica, solitamente più estensiva e con una maggiore

1 In particolare il latte biologico è risultato generalmente più emissivo per la sua minore produttività, mentre le emissioni della carne di maiale

biologica sono più elevate a causa delle emissioni collegate all’uso di lettiere. La produzione di carni bovine biologiche è risultata meno emissiva per le minori emissioni associate agli input industriali [17].

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attenzione al benessere animale.

L’altro aspetto delle emissioni del bestiame è legato alla gestione delle deiezioni. In generale, all’allevamento biologico si possono associare minori emissioni poiché sono meno frequenti i sistemi che permettono un ele- vato accumulo di deiezioni in forma liquida - caratteri- stici dei sistemi più intensivi - cui si associano maggiori emissioni. Il compostaggio permette di ridurre le emis-

sioni di N2O, ma d’altra parte può aumentare le emissio-

ni di ammoniaca (che è un acidificante e non un gas ser- ra), con conseguente aumento delle emissioni indirette

di N2O [23]. Tuttavia, valutando l’intero ciclo di vita, dalla

produzione all’uso del compostaggio, le emissioni totali sembrerebbero diminuire.

Va sottolineato comunque che questi dati sono il frutto di pochi studi e che sarebbero quindi necessari maggiori approfondimenti in materia [10].

Una misura di mitigazione valutata positivamente da più studi è il recupero di biogas dalle deiezioni animali, prodotto anche su piccola scala (tra gli altri: [10]; [24]). In questo caso particolare attenzione va dedicata alla possibilità di riutilizzare il digestato come fertilizzante, pratica che, non sempre, può essere accettata dalle re-

golamentazioni3.

Per quanto attiene alle emissioni di N2O derivanti dalle

fertilizzazioni, è stato dimostrato che c'è una relazione

(non lineare) tra gli input di azoto e le emissioni di N2O

[25]. L’agricoltura biologica ha pertanto un potenziale di mitigazione elevato per quanto riguarda questo tipo di emissioni, per il minore apporto di azoto ai suoli, dovuto alle più moderate fertilizzazioni [18]. Tuttavia, grazie alle continue e crescenti ottimizzazioni nei sistemi conven- zionali, questo divario si riduce considerevolmente. Oltre alle quantità, vanno anche considerate le tipolo- gie di fertilizzanti utilizzati. Secondo alcuni studi infatti, i fertilizzanti organici hanno un’intensità di emissione maggiore di quelli chimici [26]. Anche in questo caso, analisi recenti suggeriscono che le emissioni dei ferti-

lizzanti organici andrebbero valutate attraverso un ap- proccio più ampio che consideri l’intero ciclo di vita, del- la produzione fino allo smaltimento, per permettere un reale confronto con i fertilizzanti chimici [10], [18].

Le emissioni di CO2 da fonti energetiche riguardano con-

sumi per irrigazione, macchinari e riscaldamento del- le serre. Mentre quest’ultimo uso è limitato per alcuni standard di produzione biologica, per quanto riguarda le altre emissioni non ci sono differenze strutturali tra con- venzionale e biologico; in alcuni studi, infatti, la quanti- tà di combustibili fossili utilizzati è risultata essere in- dipendente del sistema agricolo [27]. Pertanto, la loro eventuale riduzione, per entrambi i sistemi di coltivazio- ne, è legata al tipo di coltura (ad esempio alla necessità di fare più o meno trattamenti per la protezione delle piante) e si potrebbe ottenere attraverso miglioramenti dell’efficienza energetica, il ricorso a pratiche di bassa lavorazione e all’uso di energia da fonti rinnovabili, se consente un risparmio in termini di emissioni.

Un aspetto positivo legato alla mitigazione delle emis- sioni energetiche è dato dal fatto che le produzioni biolo- giche, non utilizzando i fertilizzanti chimici, annullano le emissioni “a monte” connesse alla loro produzione, che derivano da processi industriali ad alto input energetico. Un contributo molto rilevante alla mitigazione delle emissioni viene infine dal sequestro di C organico nei suoli che è un’importante strategia non solo di mitiga- zione, ma anche di adattamento ai cambiamenti climati- ci, soprattutto nei paesi mediterranei [28]. L’agricoltura biologica, secondo molti studi, aumenterebbe conside- revolmente lo stock di C nei suoli, rispetto alla conven- zionale [21], [29]. Ad esempio, secondo risultati speri- mentali, nei suoli gestiti con applicazione di fertilizzanti organici si riscontra un contenuto di C organico fino al 15% più elevato rispetto ai suoli in cui venivano usati sia fertilizzanti chimici che organici [30]. Interessanti sono in tal senso anche i risultati di alcune meta-analisi dei contenuti e dei titoli di C nel suolo che hanno rivelato

3 A tal proposito è stato anche finanziato un progetto comunitario per sviluppare delle linee guida sul modo migliore di produrre biogas nelle

aziende agricole biologiche e il dibattito è ancora aperto. (cfr.: https://ec.europa.eu/energy/intelligent/projects/en/projects/sustaingas, consultato il 21.12.2017).

come questi siano significativamente maggiori nei terre- ni coltivati con metodi biologici [20]. Aguilera et al. [28], ad esempio, valutando i contenuti di C organico nei suo- li attraverso una meta-analisi su 174 dati da 79 lavori diversi, trovano che l’aggiunta di input organici ai suoli, combinata con tecniche di bassa lavorazione, abbia il

maggiore potenziale di aumento di C4. Tuttavia, in alcuni

casi (ad esempio [20]), si tratta di risultati preliminari che necessitano di ulteriori approfondimenti.

Tutti gli aspetti finora esposti riguardano la mitigazio- ne c.d. dal lato dell’offerta, ovvero dal lato delle pro- duzioni agricole. Gli studi sul tema sono oggi concordi nel concludere che, per raggiungere significativi obiet- tivi di riduzione globale, occorra attuare azioni non solo dal lato dell’offerta, ma anche dal lato della domanda, promuovendo cambiamenti delle diete in tal senso [24], [31], [32]. Diverse ricerche hanno analizzato l’impatto ambientale degli stili alimentari sulle emissioni di gas serra dei sistemi agricoli. I principali interventi sugge- riti vanno nella direzione della riduzione del consumo di carne [32], o dell’aumento del consumo di carne suina e pollame, cui sono associate minori emissioni rispetto alla carne bovina [33], o del consumo di alcuni alimenti biologici rispetto ai convenzionali [34].

Nel documento Bioreport 2017-2018 (pagine 135-138)