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Le fattorie biosociali in Lombardia

Nel documento Bioreport 2017-2018 (pagine 162-166)

Merita un accenno un fenomeno che sta interessando in modo anche significativo il territorio lombardo negli anni più recenti, vale a dire quello dell’agricoltura socia- le (AS) e delle fattorie biosociali. Secondo quanto indica-

to da AIAB Lombardia5, sono due i fattori principali che

hanno spinto verso questa direzione: la crisi economica e finanziaria e il conseguente ristagno del welfare-state e la crisi dell’agricoltura industriale, che ha alimenta- to il bisogno crescente di un modello di impresa agri- cola diversificata e multifunzionale. L’obiettivo dell’AS è quello di privilegiare principalmente processi tipici della agricoltura biologica con l’intento di organizzare percor- si terapeutici e inclusivi di inserimento lavorativo e so- prattutto sociale per le fasce svantaggiate della popola- zione. L’azienda agricola diviene, in questo senso, luogo di rilancio per lo sviluppo delle comunità, di diffusione Tab. 5 – Indicatori di prodotto e di risultato - annualità 2016

Indicatori / azione Impegnato Realizzato Utilizzazione % Pianificato al 2023

O1 - Spesa pubblica totale (euro) 11.541.320 2.290.112 30,40 38.000.000

O4 - N. di az.agricole/beneficiari che hanno

fruito di un sostegno (11.1) - 281

O5 - Superficie totale (ha) (11.1) - 1.113 82,40 1.350

O5 - Superficie totale (ha) (11.2) - 3.507 40,50 8.650

Fonte: Regione Lombardia, 2016.

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ripercussioni anche in termini di percorsi di filiera. Le aziende biosociali rilevate sono costituite principal- mente in forma di cooperativa (85%) e si concentrano nella provincia del bergamasco, seguita da quelle di Como e Milano. La commercializzazione dei prodotti

segue modelli di filiera corta, anche con uno spicca- to lavoro di rete tra le aziende. Le 28 realtà agricole collaborano soprattutto con gruppi di acquisto solidale (GAS) o si rivolgono a spacci aziendali, mercatini e fiere cittadine.

Bibliografia

1. Pieri R., Pretolani R. (a cura di) (2016), Il sistema agroalimentare della Lombardia – Rapporto 2016, Franco Angeli Milano. 2. Pieri R., Pretolani R. (a cura di) (2015), Il sistema agroalimentare della Lombardia – Rapporto 2015, Franco Angeli Milano. 3. Giuca S., Vaccaro A., Ricciardi G., Sturla A., (2017). Distretti biologici e sviluppo locale. PSR 2014-2020 Il contributo

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5. Banterle A., Carraresi L., Cavaliere A. (2009), Le filiere biologiche in Lombardia, Franco Angeli.

6. Pieri R., Pretolani R. (a cura di) (2017), Il sistema agroalimentare della Lombardia – Rapporto 2017, Franco Angeli, Milano. 7. Frisoi F. (2013), BioAgricoltura Sociale: le Aziende Agricole Biologiche e Sociali e i loro prodotti, Progetto realizzato nell’ambito

del PSR 2007-2013 Misura 133 – Anno 2012-2013, AIAB.

8. AIAB Lombardia (2010), Un mercato per i prodotti bio-sociali”. Progetto realizzato nell’ambito del PSR 2007-2013 Misura 133, AIAB.

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15. La Soia Danubiana

Introduzione

La soia è uno dei simboli dell’industrializzazione dell’a- gricoltura mondiale e della globalizzazione del sistema alimentare, le cui conseguenze, non solo ambientali, ma anche culturali, sociali ed economiche sono ormai conclamate e divenute comprensibile cagione delle critiche al sistema. Come per molti settori, anche in agricoltura la globalizzazione ha portato alla deloca- lizzazione della produzione verso paesi dal minor co- sto della manodopera e dalla legislazione ambientale, sanitaria e relativa alla sicurezza dei lavoratori meno stringente o meno controllata. Tale processo ha com- portato la diminuzione del costo di molti prodotti ma anche una serie di conseguenze negative: la defore- stazione di vaste aree a favore dell’utilizzo agricolo, l’utilizzo non controllato di fertilizzanti, erbicidi ed an- tiparassitari di sintesi, l’uso di varietà geneticamente modificate, la distruzione delle comunità locali e l’ac- caparramento delle terre più fertili da parte di chi ha a disposizione i capitali per lavorarle.

Questo processo ha interessato principalmente il mer- cato delle “soft commodity”, cioè di quelle materie pri- me agricole che vengono prodotte in grandi quantità tramite un sistema altamente standardizzato e mecca- nizzato e che sono destinate a intensi scambi commer- ciali internazionali, come il riso, il frumento, il mais, il colza e, appunto, la soia. La soia immessa nel merca- to viene principalmente prodotta da USA, Argentina e Brasile; la grande maggioranza di essa è geneticamen- te modificata e sovente viene coltivata in terreni defore- stati di recente e convertiti all’agricoltura.

I paesi europei sono deficitari in termini di proteine ve- getali e, di conseguenza, l’importazione di semi oleo- proteaginosi, come la soia, è strettamente necessaria per garantire la sopravvivenza del settore zootecnico del vecchio continente così come attualmente impostato.

Ripercorrendone brevemente la storia, si ricorda che la soia è originaria dell’Asia, dove sembra sia coltivata da oltre 3.000 anni, e che in Europa la sua prima appari- zione è relativamente recente. Nel 1873, anno dell’Ex- po di Vienna, nei padiglioni di Cina e Giappone fecero la loro apparizione 20 varietà di soia. Tale coltura at- trasse l’attenzione di Friedrich Haberlandt, professore all’Università di Vienna e primo coltivatore di soia eu- ropeo che, negli anni successivi, si dedicò alla valuta- zione delle varietà di soia più adatte alle diverse aree del Regno Austro-Ungarico e, nella monografia in cui raccolse le proprie esperienze, profeticamente riportò, nel 1878, “In futuro la coltivazione della soia assumerà maggiore importanza, beneficiando così la popolazio- ne, direttamente perché ne migliorerà l’alimentazione e, indirettamente, come coltura per l’alimentazione zo- otecnica”.

Tra i 129 siti di prova di coltivazione che vennero alle- stiti dal 1875 al 1878 dalla Serbia all’Olanda, 5 riguar- darono l'Italia: Merano, San Michele all’Adige, Trieste, Gorizia e Gradisca d’Isonzo. Poi la Storia ebbe altre pri- orità e la soia riapparve in Europa e in Italia un secolo dopo, riscuotendo particolare interesse tra gli agricol- tori di Veneto e Friuli-Venezia Giulia grazie sia agli aiuti comunitari (terminati con il trattato di Blair House), sia al fatto che le condizioni edafiche e climatiche erano particolarmente adatte a tale coltura, soprattutto con le varietà allora disponibili, provenienti da Canada e Stati Uniti.

L’Italia è oggi il principale produttore di soia dell’UE: nel 2017 la superficie coltivata si attesta sui 350.000 ettari, per una produzione totale di circa 1.170.000 tonnellate e una resa media decisamente competitiva, superiore anche a quella degli Stati americani a maggior vocazio- ne. Tali cifre emergono dai dati dell’associazione Donau Soja che elabora le statistiche nazionali (ISTAT per l’Ita- lia) con i dati che pervengono dalle aziende sementiere

e dai collettori della granella.

Nonostante una crescita costante negli ultimi anni, l’at- tuale produzione di soia in Italia, ma anche in Europa, è tuttavia ancora poca cosa rispetto al grande boom del- la fine degli anni ’80, quando la coltura copriva circa 450.000 ettari (tra primo e secondo raccolto). L’attuale produzione della leguminosa è in grado di soddisfare solamente un quinto della richiesta interna, mentre la rimanente parte viene importata da Stati Uniti, Argen- tina e Brasile.

Nel documento Bioreport 2017-2018 (pagine 162-166)