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P RIMA DI A UGUSTO

2. AGRIPPA: PROVA GENERALE?

Nel 12 a.C., tornando dalla campagna in Pannonia, Agrippa si fermò nei suoi possedimenti in Campania, incapace di rientrare a Roma a causa delle sue precarie condizioni di salute. Era probabilmente il mese di marzo. La notizia della malattia del genero e amico colse all’improvviso Augusto che, malgrado la sua rapida partenza, non riuscì a vederlo ancora in vita.459

L’imperatore decise che i funerali si tenessero a Roma e accompagnò la salma fino in città. Cassio Dione, unica fonte a riportare informazioni abbastanza dettagliate sulle esequie di Agrippa e sempre molto attento alle definizioni giuridiche, non fa alcuna menzione di un funus publicum o di un decreto del Senato al riguardo. Fu lo stesso Augusto a organizzare le esequie e a disporre il loro svolgimento: la salma fu condotta nel Foro e lì esposta. L’imperatore pronunciò l’elogio funebre dai Rostra, dopo aver nascosto alla vista con un velo il corpo di Agrippa, come gli imponeva il ruolo di pontefice massimo che da poco aveva assunto.460 Della laudatio ci è pervenuto solo un frammento grazie a un papiro pubblicato per la prima volta nel 1970.461 Agrippa era quello che si poteva definire un homo novus ed è probabile che nessun riferimento fosse fatto ai suoi antenati nel discorso di Augusto. Di sicuro sappiamo che vi erano elencati i poteri istituzionali che egli aveva rivestito come collega dell’imperatore: la tribunicia potestas gli era stata conferita con decreto del Senato nel 18 a.C. per ben cinque anni ed era stata rinnovata l’anno precedente alla morte per altrettanti.462 Accanto a essa Augusto ricordò l’imperium proconsulare maius, che consentiva al genero di avere, nelle province a lui assegnate, un potere superiore a quello di qualsiasi altro magistrato. Nel frammento successivo, pubblicato più tardi nel 1983, e perfettamente combaciante con il precedente, si faceva invece riferimento a un altro aspetto del potere di Agrippa.

459 Cass. Dio 54, 28, 2-3. R

ODDAZ 1984, p. 485 colloca la morte tra il 19 e il 24 marzo, quando a Roma si celebravano le Quinquatrus.

460

Cass. Dio 54, 28, 3. Analogamente l’anno successivo Augusto si impedì la vista del corpo della sorella Ottavia (Cass. Dio 54, 35, 5) e nel 23 d.C. Tiberio interpose un velo tra sé e il cadavere del figlio Druso (Sen., Cons. ad Marciam 15, 3) in quanto al pontefice massimo non era permesso avere alcun contatto visivo con i morti (Serv., ad Aen. 6, 176): SCHEID 1981, p. 135.

461 Per la bibliografia relativa all’edizione del 1970 e a quella successiva del 1983, si rimanda a

FRASCHETTI 2005, p. 255, n. 12. Per un commento e una sintesi sull’argomento: FRASCHETTI 1990, pp. 87-98; FRASCHETTI 2005, pp. 254-262.

462

Augusto si rivolgeva al genero con queste parole: «Ma tu, elevato al sommo fastigio e dal nostro zelo e dalle tue peculiari virtù per il consenso di tutti gli uomini…».463 Intervenivano qui motivazioni ben diverse da quelle istituzionali a giustificare il ruolo politico di Agrippa: non un decreto del Senato a sancire la sua posizione, ma lo zelo di Augusto e le virtù peculiari del defunto, quelle stesse che sono ricordate anche da Cassio Dione nel tracciare un quadro finale della sua figura.464 Compare anche una formulazione che trova un parallelo nelle Res Gestae: il consensus universorum - il consenso di tutti gli uomini - sul quale lo stesso princeps dichiarava di aver fondato il suo potere eccezionale dopo le guerre civili.465 Come ha sottolineato Fraschetti, queste espressioni ci riportano «a quegli aspetti ‘oscuri’ - in quanto non precisamente definibili in puri termini istituzionali - dello stesso principato augusteo».466

L’elogio fu pronunciato dai Rostra: la secca definizione di Cassio Dione non permette di affermare con sicurezza se si trattasse dei Rostra vetera o di quelli davanti al tempio del divo Giulio.467 Si può solo ipotizzare che fossero questi ultimi quelli occupati da Augusto in occasione dei funerali di Agrippa, per il ruolo che andarono assumendo come luogo destinato alle orazioni funebri indirizzate ai membri della famiglia del principe.468 Fu così l’anno successivo, alla morte di Ottavia, sorella di Augusto: l’imperatore tenne la sua laudatio dalla tribuna del tempio del divo Giulio, mentre Druso (Maggiore), che non aveva con lei alcun rapporto di parentela fece l’elogio dai Rostra vetera.469 Più tardi, nel 14 d.C., durante i funerali di Augusto, Druso (Minore) pronunciò la laudatio dai Rostra vetera e Tiberio, in quanto figlio adottivo e successore dell’imperatore, ne fece l’elogio funebre dai Rostra aedis divi Iulii.470

463 «[…] ¢ll¦ sÝ e„j ple‹ston / Ûyouj kaˆ ¹metšrai [s]poudÁi kaˆ ¢re/ta‹j „d…aj {„d…aij} ka[q']

ÐmofrosÚnhn sum/ p£ntwn ¢nqrèpwn dia{i}r£menoj». La traduzione è in FRASCHETTI 1990, p. 91.

464

Cass. Dio 54, 29, 1-3.

465 RGDA 34, 1 con il commento di F

RASCHETTI 2005, pp. 260-261.

466 F

RASCHETTI 1990, p. 92.

467 Cass. Dio 54, 28, 3: «kaˆ ™n tÍ ¢gor´ prošqhke, tÒn te lÒgon tÕn ™p' aÙtoà ei\pe». 468 C

OARELLI 1985, pp. 320-322; FRASCHETTI 2005, pp. 61-76. L’identificazione dei Rostra aedis divi

Iulii è ancora oggetto di discussione: secondo una proposta Torelli, ripresa e precisata da Coarelli,

dovrebbe trattarsi di una tribuna antistante il tempio (TORELLI 1982, pp. 97-98; COARELLI 1985, pp. 311- 320), mentre Fraschetti, seguendo la teoria tradizionale, preferisce riconoscervi il podio stesso del santuario (FRASCHETTI 2005, pp. 60-65).

469 Cass. Dio 54, 35, 4-5. 470

«ToàtÒ te oân oÛtwj œdrase, kaˆ t¾n ™kfor¦n aÙtoà ™n tù trÒpw/ ™n ú kaˆ

aÙtÕj met¦ taàta ™xhnšcqh ™poi»sato, kaˆ aÙtÕn kaˆ ™n tù ˜autoà mnhme…w/

œqaye, ka…toi ‡dion ™n tù 'Are…w/ ped…w/ labÒnta».471

Augusto, artefice della laudatio, fu anche l’organizzatore del seguito dei funerali, ossia di quella pompa che doveva condurre il defunto Agrippa al luogo di sepoltura. Lo fece, dice Cassio Dione, nello stesso modo in cui probabilmente già nel 12 a.C. aveva previsto che si svolgessero i suoi funerali. Dobbiamo dedurne che il corpo fu portato in processione nel Campo Marzio, dove era stata evidentemente preparata la pira funebre per la cremazione. Fu quindi sepolto nel Mausoleo, che alcuni anni prima aveva accolto le spoglie di Marcello, nipote dell’imperatore.472 Questa fu probabilmente una decisione presa nel frangente dei funerali: Agrippa si era infatti preparato da tempo una tomba in campo Martio, come non manca di precisare la nostra fonte, tomba che rimase inutilizzata.

Alle esequie seguirono quei ludi funebri, offerti dall’imperatore in onore del defunto, che misero in luce la profonda frattura esistente tra il positivo sentimento popolare nei confronti di Agrippa e quello avverso della nobilitas.473 Secondo lo storico di età severiana, Augusto fu costretto a imporre la presenza collettiva ai riti tradizionali, mettendo così in risalto l’atteggiamento di fronda dei prîtoi che si rifiutarono di prendervi parte.

Fraschetti ritiene certo che l’imperatore avesse messo in atto la procedura del lutto pubblico per i funerali del genero.474 È evidente il tentativo di aggregare tutto il corpo civico nel rendere gli onori dovuti a colui che da sempre, pur restando nell’ombra, aveva appoggiato l’operato imperiale e aveva anteposto ai suoi interessi quelli dello Stato. In questo senso vanno intese le affermazioni di Cassio Dione sulla disgrazia che aveva colpito non solo la casa regnante, ma tutto il popolo romano; il coinvolgimento della popolazione urbana, al di là di ogni divisione di classe sociale, nei riti funebri per l’amico e collega; la volontà imperiale di fare dei funerali del genero quasi una prova generale del cerimoniale che lo stesso imperatore aveva probabilmente già previsto per i propri.

471

Cass. Dio 54, 28, 5: «(Augusto) dunque fece queste cose così, e organizzò la processione funebre di Agrippa nello stesso modo in cui fu organizzato il suo trasporto funebre e inoltre lo seppellì nella sua tomba, sebbene lui ne avesse presa una per sé in Campo Marzio».

472

La sepoltura di Agrippa nel Mausoleo è ricordata anche da un passo della Consolatio ad Liviam, 67- 68, per il quale si veda FRASCHETTI 1996, pp. 193-194.

473 Cass. Dio 54, 29, 6. Sull’immagine popolare di Agrippa e il diverso atteggiamento di plebe e nobilitas

in occasione dei suoi funerali: RODDAZ 1980; RODDAZ 1984, pp. 486-488.

474

Il carattere eminentemente politico di questo programma, indirizzato al superamento delle divisioni presenti nel corpo civico e al tempo stesso inteso a presentare una città ormai pacificata dopo la fine delle guerre civili, non è sfuggito allo studioso. La manovra tuttavia non riuscì perfettamente nel suo intento, come dimostra l’accenno di Cassio Dione all’opposizione degli esponenti degli strati alti della società. E allora, nel riferimento al consensus universorum, che avrebbe portato Agrippa al più alto fastigio, si potrebbe addirittura leggere una tirata polemica nei confronti di quella nobilitas, che evidentemente si dissociava dal giudizio popolare sulla figura di Agrippa.475

Se dall’analisi delle fonti letterarie non è possibile aggiungere altri elementi che contribuiscano alla ricostruzione di questo funus, molto interessante è invece quanto messo in luce da Fraschetti sulla rappresentazione post mortem di Agrippa.476 Questa si ricava da una convincente interpretazione di una discussa scena rappresentata su una facciata dell’altare del Belvedere: accanto alle scene raffiguranti la Vittoria alata che sorregge il clupeus virtutis conferito ad Augusto nel 27 a.C., la consegna delle statuette dei Lares da parte dello stesso imperatore e il prodigio della scrofa di Lavinio, si trova la rappresentazione dell’ascesa al cielo di un personaggio, non meglio identificato, su una quadriga di cavalli alati (Fig. 8). Nell’articolazione della scena, i due registri inferiore e superiore sono nettamente distinti dal carattere rispettivamente divino e umano dei loro occupanti: in alto a destra il Cielo, con il manto gonfiato dal vento, e a sinistra i cavalli del Sole. Al centro si intravede un’aquila. In basso a destra, l’ascesa alle dimore celesti avviene al cospetto di una donna, a cui si stringono due bambini: questa è raffigurata nell’atto di salutare l’uomo sulla quadriga. Il margine sinistro, alle spalle del personaggio principale, è occupato invece da un togato.

Vi si è riconosciuto un altare dei vicomagistri, depositari del culto dei Lares Augusti a partire dal 12 a.C., nel quadro della riorganizzazione dei quartieri disposta poi su larga scala dall’imperatore nel 7 a.C.477 La presenza nell’iscrizione sullo scudo del pontificato massimo e l’assenza invece del titolo pater patriae ha permesso di collocare la dedica dell’altare tra il 12 e il 2 a.C.478

Sulla base di queste conclusioni in relazione alla committenza del monumento e alla sua datazione e dopo aver mostrato l’incongruenza delle ipotesi che indicavano nell’uomo

475 R

ODDAZ 1980.

476 F

RASCHETTI 1980; FRASCHETTI 2005, pp. 262-275.

477 Sui Lares Augusti e la riorganizzazione augustea dello spatium urbis: F

RASCHETTI 2005, pp. 228-242.

478

sulla quadriga ora un personaggio del mito, come Enea o Romolo, ora invece Cesare o Augusto, Fraschetti ha proposto di riconoscervi Agrippa. La scena rappresenterebbe pertanto il genero dell’imperatore nell’atto di ascendere al cielo, salutato da Giulia con i figlioletti C. e L. Cesare. Se qualche difficoltà nell’accettare questa ipotesi è stata posta in considerazione del fatto che non si hanno notizie sulla presunta apoteosi di Agrippa, la replica che nel 12 a.C. ancora si era lontani dalle «manifestazioni rigorosamente formalizzate che avrebbero presieduto in seguito al culto dei sovrani» può essere accettata in quadro d’insieme coerente con la destinazione dell’altare, le cui immagini erano rivolte ai ceti subalterni che tanto avevano amato Agrippa da vivo.479

Non una consecratio ufficiale per Agrippa, di cui non abbiamo alcuna notizia nella fonti, ma semplicemente il suo accoglimento in cielo tra le anime di coloro che avevano acquisito meriti per le loro virtù e il loro operato in vita.480

L’iconografia scelta per la rappresentazione di Agrippa dopo la sua morte, portava con sé una buona dose di ambiguità, la stessa che è possibile leggere in uno dei prodigi che si erano verificati in concomitanza con la sua scomparsa. Cassio Dione ricorda gufi che volarono come impazziti in città; l’incendio di molti edifici, il principale dei quali fu significativamente la capanna di Romolo sul Palatino; un fulmine che colpì la casa dove alloggiavano i consoli durante le feriae Latinae sul monte Albano e infine la comparsa di una cometa che restò per molti giorni sopra la città, per poi dissolversi in fiaccole.481 Come spiega lo storico antico, la morte di Agrippa fu una sciagura che si abbatté non solo sulla famiglia di Augusto, ma su tutto il popolo romano, e in quanto tale manifestò la sua gravità con segni celesti prima e dopo l’evento.

Non è difficile leggere nell’incendio della casa Romuli un legame diretto con il lutto che aveva colpito l’imperatore, nuovo Romolo.482 La comparsa di una cometa d’altra parte nell’antichità da sempre era presagio di sventura: in un passato non troppo lontano cronologicamente, la stella aveva annunciato la congiura di Catilina; era apparsa poi in connessione con la guerra civile tra Cesare e Pompeo e ancora con quella tra i triumviri

479 F

RASCHETTI 2005, p. 275. Si tengano presenti le pertinenti osservazioni di LA ROCCA 1984, p. 97, n. 53, che sembra tuttavia accettare l’interpretazione di Fraschetti.

480

Così anche LA ROCCA 1984, pp. 97-98.

481 Cass. Dio 54, 29, 7-8. Sull’argomento F

RASCHETTI 2005, pp. 275-283.

482 Per la difficoltà di attribuire la notizia alla casa Romuli del Palatino piuttosto che a quella del

Campidoglio: COARELLI, in LTUR I, s.v. Casa Romuli (area Capitolina), p. 241; ibid., s.v. Casa Romuli

e i congiurati.483 In Oriente spesso essa era associata alla morte di un sovrano o alla successione al trono.484 Quando nel 44 a.C. durante i giochi in onore di Cesare comparve una stella sul cielo di Roma, alcuni sostennero che si trattava semplicemente di una cometa, altri che era la stella di Giulio Cesare.485 Come abbiamo visto, l’interpretazione imposta da Ottaviano, sull’onda dell’eccitazione popolare, cambiò notevolmente le cose: non più indizio di cattivo auspicio, ma promessa o conferma di immortalità.486

Che la cometa comparsa potesse trovare una simile accoglienza positiva nel 12 a.C. è dato dal fatto che sappiamo con certezza, trattandosi della cometa di Halley, che essa fu visibile solo dopo la morte di Agrippa e non prima.487 La possibilità allora che nei denarii di Lentulo Marziale, in cui compare Augusto nell’atto di porre sulla testa di un personaggio una stella, possa essere rappresentato Agrippa è da considerare accettabile (Fig. 9).488 Tuttavia bisogna ricordare che la presenza della stella, così come l’ascesa al cielo su carro, non significavano tout court la consecratio per chi la riceveva, se per consecratio si intende la procedura che, attraverso un senatoconsulto, decretava l’ingresso di un nuovo dio nel culto pubblico. Entrambe le rappresentazioni a quest’epoca più semplicemente indicavano un destino di immortalità tra le fortes animae che Manilio collocava nella via Lattea, subito sotto gli dei e i divi che occupavano un registro superiore.489 È qui che si trovava anche Agrippa, dopo Catone Uticense e accanto alla prole dei Giulii, in cui si devono riconoscere quei membri della domus Augusta che, pur non avendo ricevuto una consecratio ufficiale, si consideravano ascesi al cielo come eroi. Sopra di lui Augusto con Giove come compagno tra gli astri.490

Un accenno merita infine la questione relativa alla tomba di Agrippa: fu sepolto nel Mausoleo fatto costruire da Augusto per accogliere, insieme alle sue, anche le spoglie

483

WEINSTOCK 1971, pp. 371-372.

484 Un solo esempio di interpretazione positiva della comparsa della cometa è noto: quella che si levò in

cielo alla nascita di Mitridate e al momento della sua ascesa al trono. Weinstock ipotizza che questo sia l’esempio seguito da Ottaviano per la sua cometa: WEINSTOCK 1971, p. 371.

485 Cass. Dio 45, 7, 1. 486 WEINSTOCK 1971, pp. 370-384; FRASCHETTI 2005, pp. 275-277. 487 R EINHOLD 1965, p. 128, n. 23.

488 RIC I, n. 173, p. 77 (RIC I2, n. 415, p. 74); BMCEmp I, n. 124, p. 26. F

RASCHETTI 2005, pp. 277-281 con bibliografia precedente. Diversamente ZANKER 2008 (p. 68) vi riconosce la statua del divo Giulio.

489 Manil., Astron. I 803-804. Si segue qui l’interpretazione di F

RASCHETTI 2005, pp. 285-287. Per una datazione di Manilio in età augustea si veda FLORES 1982.

490 Manil., Astron. I 798-799. Sul processo di ‘eroizzazione’ di alcuni membri della famiglia imperiale in

dei membri della sua famiglia.491 Agrippa, pur non avendo legami di sangue con l’imperatore, ne aveva sposato la figlia Giulia e gli aveva regalato due eredi, entrando così di diritto a far parte della domus Augusta.492 La tumulazione nel sepolcro dinastico fu verosimilmente una risoluzione dell’ultima ora decisa da Augusto; Agrippa aveva infatti previsto per sé una diversa sepoltura in quello che era stato il luogo privilegiato dalla sua attività edilizia a Roma: il Campo Marzio.493

Abbiamo visto nei capitoli precedenti tutte le implicazioni di una tale decisione: quest’area esterna alla mura serviane, compresa tra queste e il Tevere, era da tempo utilizzata per le sepolture di uomini che si erano guadagnati l’onore di una tomba pubblica con il loro operato: ne erano un esempio Irzio e Pansa, i consoli morti nel 43 a.C. a Modena combattendo contro Antonio.494 Qui si trovavano anche le tombe di Silla e Cesare, probabilmente da cercare a nord-est dell’antico bacino della palus Caprae, poi occupato in parte dallo stagno e dalle terme di Agrippa.

La concessione di una tomba pubblica era sottoposta al decreto del Senato e in rapporto all’attribuzione di un funus publicum. Nessuna eccezione alla regola neppure per Silla, per il quale si scatenò un acceso dibattito in Senato, né per Cesare, le cui esequie pubbliche furono sancite ufficialmente nella seduta del 17 marzo del 44 a.C. Tuttavia in questi due casi possiamo già intuire un cambiamento nella procedura e un intervento sempre più deciso degli interessati nell’organizzazione dei funerali. Si è proposto che entrambi, l’ex dittatore e il dittatore perpetuo, avessero dato disposizioni scritte per le loro cerimonie funebri, alle quali era affidato il compito di fissare positivamente la loro immagine nella memoria collettiva.

Se per Silla è solo un’ipotesi, siamo sicuri che Cesare aveva preparato ben prima della propria morte una tomba nel Campo Marzio per la figlia Giulia. È difficile dire se questa fosse già stata costruita prima del 54 a.C., come potrebbero lasciare intuire le fonti che parlano, in coincidenza con i funerali, di un’azione popolare diretta alla sua sepoltura in campo,495 o se fosse stata eretta su decreto del Senato alla morte della giovane, secondo quanto invece potrebbe far supporre un’epigrafe in cui si è

491 Cass. Dio 54, 28, 5. Si vedano L

A ROCCA, in LTUR IV, s.v. Sepulcrum: Agrippa, pp. 273-274; HESBERG-PANCIERA 1994, pp. 95-98.

492

Per il matrimonio di Agrippa e Giulia in seguito alla morte di Marcello e il nuovo programma dinastico di Augusto: RODDAZ 1984, pp. 351-357.

493 Sull’attività edilizia di Agrippa nel campo Marzio: R

ODDAZ 1984, pp. 252-293; TORTORICI 1990.

494 Per le sepolture in Campo Marzio si veda il Cap. I. 7. 495

riconosciuto un frammento del suo elogio funebre.496 Di certo il monumento esisteva al momento dei funerali di Cesare.

La tomba di Agrippa, menzionata da Cassio Dione, fu evidentemente costruita prima del 12 a.C. e costituisce una testimonianza della possibilità, alla fine del I a.C., di innalzare un monumento funerario nel Campo Marzio senza decreto del Senato.

L’ipotesi che fosse stata edificata da Agrippa all’interno delle sue vaste proprietà in quest’area sembra da scartare, se la si può identificare, come sembra, con la struttura emersa nel 1887 tra corso Vittorio Emanuele e il cortile di Palazzo Sforza Cesarini, durante la costruzione di una fogna (Fig. 10).497 Quanto resta dell’edificio ricostruito da Lanciani come tre recinti con al centro un altare e variamente interpretato ora come ara Tarenti, ora come ustrinum di Adriano, è stato oggetto di un’analisi accurata che ha permesso di darne una nuova e interessante esegesi come cenotafio di Agrippa.498

I tre recinti, di cui sono state trovate ben cinque porte di accesso in asse l’una con l’altra, si addossavano perpendicolarmente a est a un muro in blocchi di peperino rivestiti in travertino bugnato. Questa parete correva parallela all’Euripo, a ovest di questo, e sembra costituire un prolungamento monumentale del muro in peperino rinvenuto a una distanza di circa sei metri dal canale, che doveva accompagnarlo per tutta la sua lunghezza.499 Dell’altare furono riportati alla luce solo due frammenti di un pulvino, databile entro la fine del I a.C., e tre scalini di grandi dimensioni su cui questo doveva poggiare. La somiglianza con i successivi ustrina degli Antonini rinvenuti a piazza Montecitorio è stata da subito notata e non poco ha influito sulla interpretazione