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IL CAMPUS E SQUILINUS E I «SEPOLCRI SINGOLARI» DI LANCIAN

Nel capitolo precedente, attraverso l’analisi della documentazione letteraria, ho cercato di mettere in evidenza lo stretto legame che intercorre tra i sepulcra publica, attestati a partire dall’età tardo-repubblicana e trasformati da Augusto in prerogativa esclusiva della famiglia imperiale, e le antiche sepolture in urbe. La tradizione su queste ultime, testimoniate nei primi anni di vita della Repubblica, conserva tracce di un loro originario rapporto con la regalità arcaica e la monarchia etrusca in particolare.

Ne deriva la necessità di mettere a confronto le notizie sui luoghi destinati ai sepulcra publica di età repubblicana con le fonti letterarie che parlano delle sepolture dei re etruschi di Roma.

A Roma, mentre le leggi delle XII Tavole escludevano i morti dal pomerio, un decreto dei pontefici vietava la costruzione di tombe su suolo pubblico. Cicerone ricorda che al momento della realizzazione dell’aedes Honoris fuori porta Collina, tutta l’area, occupata da un precedente sepolcreto, fu bonificata. La norma, sulla cui applicazione

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vigilavano i pontifices, stabiliva infatti che un terreno pubblico non potesse essere occupato «privata religione».230 Un’eccezione era costituita dai sepulcra publica, ai quali erano riservate due aree della città esterne alle mura serviane: il campus Esquilinus e il campus Martius.

La necropoli Esquilina, in uso fin dal IX secolo a.C., sorgeva subito fuori della porta omonima. La via Labicana la divideva in due zone destinate a sepolture pubbliche di carattere molto diverso: a sud della via si trovavano i puticoli, il cui ricordo è tramandato dalle fonti letterarie in relazione con il loro occultamento per la realizzazione dei grandi horti di Mecenate.231 Si trattava di sepolture povere, concesse a chi non poteva pagarsi una tomba e ai condannati a morte, di cui forse si è trovato traccia negli scavi di fine Ottocento: una struttura a pozzo rivestita da cilindri di terracotta sovrapposti, muniti di pedarole, e chiusa in alto da un coperchio circolare che presenta sulla faccia superiore un’iscrizione incisa, probabilmente funeraria, datata alla fine del IV a.C.232 A nord della via Labicana, tutt’attorno a un’area santuariale delimitata da cippi pertinenti alla giurisdizione di un pagus Montanus - ci troviamo infatti in un’area esterna alle mura urbane - si estendeva invece il campus Esquilinus, che Cicerone menziona come area destinata ad accogliere le tombe erette a spese pubbliche per personaggi che si erano distinti al servizio della res publica.233 Qui gli scavi condotti da Lanciani alla fine dell’Ottocento hanno messo in luce, accanto alle più comuni tombe a camera ipogee e alle deposizioni in sarcofagi, alcuni «sepolcri singolari»: edifici di pianta rettangolare, costruiti in blocchetti di peperino, isolati e collocati quasi per intero sopra terra. La particolarità di tali sepolture, rilevata dagli scavatori al momento della scoperta, risiedeva e risiede nelle loro piccole dimensioni (poco più di 3 x 5 m.), associate in due casi, la tomba di Fabio/Fannio e quella Arieti, a una decorazione pittorica di carattere eccezionale per qualità e temi rappresentati: scene di combattimento si alternano ad altre che richiamano alla mente la processione trionfale.

230 Cic., de leg. 2, 23, 58: «Sed <ut> in urbe sepeliri lex vetat, sic decretum a pontificum collegio non esse ius in loco publico fieri sepulchrum. Nostis extra portam Collinam aedem Honoris, aram in eo loco fuisse memoriae proditum est; ad eam cum lamina esset inventa et in ea scriptum lamina: «Honoris», ea causa fuit, <ut> aedis haec dedicare<tur>. Sed quom multa in eo loco sepulchra fuissent, exarata sunt; statuit enim collegium locum publicum non potuisse privata religione obligari».

231

Hor., Sat. 1, 8, 8-13.

232 Fonti e bibliografia in C

OARELLI, LTUR IV, s.v. Puticuli, pp. 173-174.

233 Per la posizione fuori porta Esquilina e a nord della via Labicana, si vedano Suet., Claud. 25; Tac., Ann. 2, 32, 3; Strab. 5, 3, 9. La destinazione come area di sepolture pubbliche si ricava da Cic., Phil. 9,

La due sepolture occupavano una posizione centrale all’interno della necropoli, in un punto di massima visibilità, fuori porta Esquilina e in prossimità delle mura serviane: fu chiaro da subito che si trattava di sepolcri individuali, destinati ad accogliere le spoglie di individui eccezionali che in vita si erano misurati con eventi bellici dai quali avevano ottenuto la gloria del trionfo, insomma dei trionfatori (Fig. 6).

Nel caso della tomba di Fabio/Fannio, le scene dipinte si sviluppano su quattro registri sovrapposti e probabilmente erano collocate sulla parete interna del monumento funerario (Fig. 7).234 I nomi dipinti accanto alle due figure che dominano il campo centrale nel secondo e nel terzo registro, permettono di identificare i protagonisti di questa storia per immagini, Q. Fabio e M. Fannio. L’interpretazione proposta da Coarelli riconosce nel primo il console Q. Fabio Rulliano, che rivestì la più alta magistratura romana per ben cinque volte tra il 322 e il 295 a.C.235 Saremmo pertanto in presenza di una rappresentazione storica pertinente alle guerre sannitiche: l’attribuzione di una decorazione militare, forse l’hasta pura come suggerisce La Rocca, a M. Fannio da parte di Q. Fabio Rulliano.236 Questa ipotesi trova i suoi punti di forza nella posizione preminente del personaggio vestito con la toga exigua, identificato dalla didascalia come Q. Fabio, e nella tradizione che attribuiva a un esponente della stessa gens, Fabio Pittore, gli affreschi del tempio di Salus, dedicato da Q. Giunio Bubulco nel 304-303 a.C., dopo la vittoria sui Sanniti. La tomba, datata nella prima metà del III a.C., potrebbe appartenere quindi al console e trionfatore Q. Fabio Rulliano.237

Non meno interessante l’altro sepolcro, la tomba chiamata Arieti dal suo scopritore, per il quale, secondo una recente interpretazione della Talamo, saremmo in grado di ricostruire la posizione dei frammenti di affresco conservatisi e di quelli documentati da acquerelli realizzati al momento della scoperta, sia all’interno che all’esterno della struttura.238 Le scene di combattimento con guerrieri a piedi e verosimilmente a cavallo - le zampe di un equino si intravedono sul margine sinistro di una delle due scene di

234 Così C

OARELLI 1973, p. 200; LA ROCCA 1984A, p. 32. Contraria a questa ipotesi Talamo che, riprendendo quanto dichiarato dai primi resoconti di scavo, sostiene l’appartenenza di questi affreschi alla parete esterna della tomba: TALAMO 2008, p. 67. La difficoltà di interpretazione degli scarni frustoli che costituiscono i resoconti di scavo è ben evidenziata in LA ROCCA 1984A, pp. 31-33.

235

L’ipotesi che possa trattarsi del figlio, Q. Fabius Gurges, viene presa in considerazione dallo studioso per essere subito scartata a causa della sua fine poco gloriosa: COARELLI 1973, p. 208;COARELLI 1995A, p. 385.

236

Sulla base di questa interpretazione, secondo La Rocca il proprietario della tomba non sarebbe Q. Fabio, bensì M. Fannio: LA ROCCA 1984A, pp. 48-52. Contra COARELLI 1990, pp. 171-177.

237 C

OARELLI 1973; COARELLI 1976; COARELLI 1990, pp. 171-177; COARELLI 1995A, p. 385.

238 T

ALAMO 2008, pp. 67-70, con bibliografia precedente. Ma si vedano le ipotesi proposte da LA ROCCA 1984A, p. 49, n. 88.

battaglia che occupavano una delle pareti esterne del monumento - si alternano alla rappresentazione di una processione trionfale, con littori e una quadriga di cavalli, purtroppo andata perduta e nota solo attraverso un acquerello dell’Ottocento (Figg. 8-9). Il tema permette anche in questo caso di riconoscere in questa tomba il sepolcro di un trionfatore, per il quale sono stati proposti i nomi di M. Aquilio, che trionfò su Aristonico nel 126 a.C.,239 e quello di L. Emilio Papo, che nel 225 a.C. sconfisse i Galli a Talamone.240

Lasciando da parte la possibilità di identificare il proprietario della sepoltura, messa recentemente in dubbio da La Rocca,241 la tomba sembra comunque datarsi nell’ambito cronologico del II a.C. sulla base di una decorazione in avorio, forse terminale del bracciolo di un seggio, rinvenuta al suo interno, in cui si può riconoscere una produzione alessandrina (Fig. 10).242

I due monumenti funerari, insieme agli altri con le stesse caratteristiche strutturali scavati nell’area, si distinguono dalle coeve tombe gentilizie come quella degli Scipioni per le loro piccole dimensioni, che ne fanno una sepoltura individuale sul modello degli heroa. Congiurano verso un tale riconoscimento la loro collocazione all’interno del campus Esquilinus, area in cui si disponevano i sepulcra publica in età tardo- repubblicana, come dimostrano l’esempio di decreto senatorio per conferire una tomba pubblica a Servio Sulpicio Rufo riportato nella IX Filippica e le pitture trionfali sulle loro pareti. Queste ultime ci consentono di riconoscerne i proprietari in trionfatori, cioè in quella categoria di personaggi le cui spoglie mortali non erano considerate contaminanti per la città e pertanto potevano addirittura essere ospitate al suo interno. I dati archeologici derivanti da tali sepolcri non permettono di risalire per tale uso all’interno del campus Esquilinus oltre la fine del IV a.C. Quale può essere allora l’elemento di collegamento con la monarchia etrusca? Qui, subito fuori dalla porta Esquilina, Dionigi di Alicarnasso colloca il lucus Libitinae, santuario della divinità arcaica che presiedeva alla morte, il cui tempio era attribuito a Servio Tullio.243 Il santuario funzionava come archivio dei decessi avvenuti in città da epoca piuttosto

239 C OARELLI 1976A. 240 MORENO 2003. 241 L A ROCCA 1990, p. 357. 242 T ALAMO 2008, p. 70, fig. 13.

243 Dion. Hal., Ant. Rom. 4, 15, 5. C

HAMPEAUX 1982, pp. 467-468; TORELLI 1984, pp. 131-132; COARELLI 1988, pp. 283-284; FREYBURGER 1995.

antica - il re aveva stabilito che una moneta vi fosse versata in occasione di ogni morte - ed era collegato con quello di Iuno Lucina, divinità preposta alle nascite.244

Il tempio della dea, il cui nome secondo alcuni studi potrebbe essere di origine etrusca,245 festeggiava il suo dies natalis il 19 agosto, in coincidenza con i Vinalia Rustica, giorno segnato nel calendario come feriae Iovi.246 Diversamente da quanto accade in Grecia, nel mondo romano arcaico infatti il vino non è una prerogativa di Dioniso, bensì di Giove e la sua connessione con il potere regale è ben documentata. Il mito di Mesenzio, che funziona come aition dei Vinalia Priora del 23 aprile, permette di fare un passo ulteriore in questo senso, riconoscendo nella monarchia etrusca il contesto di riferimento per tale legame tra vino e sovranità.247 Da più parti si è ormai stabilito che la figura del tiranno di Cerveteri, cacciato dalla sua città e alleatosi con i Rutuli contro Latini e Troiani, è calcata su quella di Tarquinio il Superbo.248 La tradizione mitistorica racconta che Mesenzio chiese, prima ai Rutuli, poi ai Latini, di consegnargli tutte le libagioni di vino nuovo, destinate agli dei e in particolare a Iuppiter.249 Questa empia richiesta lo portò alla morte: la sua colpa, secondo quanto spiegato da Catone in un passo delle Origines riportato da Macrobio, sarebbe stata quella di aver chiesto per sé un onore, quello delle primizie, che era riservato agli dei.250 Da qui la decisione dei Latini di dedicare tutte le libagioni di vino nuovo a Giove e la funzione del racconto come mito di fondazione dei Vinalia Priora. Quello tuttavia che mi interessa sottolineare in questo contesto è la trasparente identificazione del tiranno (etrusco) con la divinità, che si ritrova anche in un’altra cerimonia strettamente legata alla monarchia etrusca: il trionfo. Anche nel caso di Mesenzio saremmo in presenza di un mito di intronizzazione, pertinente alla dinastia etrusca di Roma, rifunzionalizzato in senso negativo agli inizi della Repubblica.251 Ci troveremmo pertanto, ancora una volta, nello stesso ambito culturale e cronologico indicato dalle fonti per l’introduzione del culto di Libitina, di cui sarebbe stato artefice Servio Tullio. L’attendibilità di questa

244 La notizia, riportata da Dionigi, è espressamente attribuita a Calpurnio Pisone e pertanto può essere

datata al II a.C. L’uso era attestato ancora in età imperiale: Suet., Nero 39, 1.

245 Una sintesi in F

REYBURGER 1995, pp. 215-216. Contra SCHEID 2004, pp. 13-14.

246

Fest. 322 L: «Rustica vinalia appellantur mense Augusto XIIII Kal. Sept. Iovis dies festus, quia Latini

bellum gerentes adversus Mezentium, omnis vini libationem ei deo dedicaverunt. Eodem autem die Veneri templa sunt consacrata, alterum ad Circum Maximum, alterum in luco Libitinensi, quia in eius deae tutela sunt horti». DEGRASSI 1963, pp. 497-498; DONATI –STEFANETTI 2006, pp. 104-105.

247

Si veda per tutta la questione COARELLI 1995B, pp. 196-204.

248 C

OARELLI 1995B, pp. 199-200, con bibliografia precedente.

249 Ovid., Fast. 4, 877-900; Dion. Hal., Ant. Rom. 1, 65, 1; Plin., N.H. 14, 88; Plut., q. Rom. 45. 250 Macrob., Sat. 3, 5, 9-11.

251

tradizione, che risale almeno al II a.C., può difficilmente essere messa in dubbio in considerazione delle scoperte di S. Omobono e degli studi che hanno permesso di identificare i due templi arcaici con quelli di Fortuna e Mater Matuta, attribuiti allo stesso Servio e collegati con la cerimonia del trionfo.252 La coincidenza del dies natalis del tempio di Libitina con i Vinalia Rustica risulta particolarmente significativa alla luce di quanto si è appena detto.

Torniamo adesso a Libitina. Di recente Scheid ha messo in discussione l’esistenza stessa di una divinità con questo nome a Roma. Secondo lo studioso il nome Libitina non apparterrebbe a una dea arcaica, ma sarebbe un semplice toponimo legato a un quartiere di Roma nei pressi della necropoli Esquilina: qui si sarebbero raccolte tutte le attività legate alle pompe funebri e pertanto il luogo avrebbe a sua volta dato il nome alle forniture funerarie e alla divinità che aveva il suo tempio in loco, Venere. Questa analisi critica delle fonti letterarie, e dell’antiquaria in particolare, si scontra con un nucleo solido di dati che vengono tanto dalla tradizione scritta, quanto dalla documentazione archeologica che ci permette di portare l’indagine ben oltre la città di Roma.

Di questa divinità arcaica ben poco sappiamo dalle fonti; tuttavia alcuni elementi permettono di ricostruirne la personalità cultuale: la dea infatti fu associata a Venere al momento dell’introduzione del culto a Roma con la costruzione del tempio di Venus Obsequens in circo, dedicato da Q. Fabio Massimo Gurgite il 19 agosto del 295 a.C., in corrispondenza quindi con il dies natalis di Libitina.253

La sua appartenenza alla sfera di Afrodite è altrimenti confermata dalle fonti letterarie, che parlano di una Venus chiamata a Roma Libitina.254 Anche il carattere funerario della divinità è fuori discussione: la tradizione è concorde al riguardo e gli autori greci collegano la dea romana con l’Afrodite Epitymbia di Delfi o con la Melaina di Corinto.255 Coarelli non esclude che essa debba essere identificata o collegata in qualche modo alla Fortuna Mala dell’Esquilino ricordata da Cicerone e da Plinio: ne

252 C

HAMPEAUX 1982, pp. 249-268; COARELLI 1988, pp. 205-437.

253 Le fonti sono raccolte in: D

EGRASSI 1963, pp. 497-498; DONATI –STEFANETTI 2006, pp. 104-105.

254 Dion. Hal., Ant. Rom. 4, 15, 5; Fest. 322 L. 255

risulterebbe ulteriormente confermata l’attribuzione a Servio Tullio dell’introduzione del culto, visto il rapporto tra il sovrano e la dea Fortuna.256

Culti femminili, riconducibili all’ambito di Hera e di Afrodite, collegati alla sfera funeraria e inseriti all’interno di necropoli, sono noti anche in altre zone d’Italia, come dimostrano il santuario del Fondo Patturelli a Capua e quello della Cannicella a Orvieto.257 Entrambi i casi sono particolarmente interessanti in rapporto al culto di Libitina a Roma ed è pertanto indispensabile soffermarsi sulla documentazione a essi relativa. Nell’area del Fondo Patturelli siamo in presenza di un santuario all’interno di una necropoli destinata ad accogliere tombe pubbliche, riservate a cittadini che si erano distinti per i loro meriti.258 Il carattere eccezionale di tali sepolture è indiziato dal rinvenimento in loco di stele con l’iscrizione iúvilas, le più antiche, in terracotta, datate agli ultimi decenni del V a.C.259 Il termine può essere ricondotto alla sfera giovia e funeraria al tempo stesso, dal momento che in due casi le stele trovate in situ erano connesse con sepolture. Le informazioni che si ricavano dalla loro lettura (predisposizione di banchetti, menzioni di varie gentes capuane, la presenza del meddix) sembrano indirizzare verso cerimonie di una certa rilevanza pubblica, tanto da richiedere l’intervento dei magistrati della città. Come già indicato, il ritrovamento di tali iscrizioni è avvenuto nel suburbio, nel contesto di necropoli arcaiche. Gli scavi condotti nell’area nella seconda metà dell’Ottocento portarono alla luce strutture, terrecotte architettoniche e statuette di kourotrophoi in terracotta e in tufo pertinenti a un santuario, databile, nelle sue fasi più antiche, tra la fine del VII e gli inizi del VI a.C., quindi ancora in epoca etrusca.260

La presenza tra i materiali più antichi, riconducibili alle prima fase di vita del santuario, di un’antefissa con potnia theron che afferra due oche per il collo e di un’altra con divinità femminile nuda e armata di arco a cavallo, sotto il quale è rappresentata un’oca, permettono di risalire a una dea con caratteri matronali e guerrieri al tempo stesso (Fig. 11). Secondo una recente ipotesi di Coarelli, dettata dal confronto con casi analoghi, testimoniati in Etruria a Pyrgi e a Roma nel Foro Boario, potrebbe trattarsi di una Uni-

256 Cic., de nat. deor. 3, 63; de leg. 2, 28 ; Plin., N.H. 2, 16. C

OARELLI 1995A, p. 384. Per il culto di Fortuna e Servio Tullio: CHAMPEAUX 1982, pp. 249-333; COARELLI 1988, pp. 301-328.

257

Santuari d’Etruria, pp. 116-126.

258 Si veda al riguardo l’ampia ricostruzione fornita da Coarelli sulla base dei pur scarsi dati di scavo e

delle fonti letterarie: COARELLI 1995A.

259 C

OARELLI 1995A, pp. 376-377.

260

Astarte, più tardi identificata con Fortuna e Venere.261 Un tempio di Fortuna è ricordato infatti da Livio alla fine del III a.C. secolo in corrispondenza delle mura della città, in rapporto con un’aedes Martis e dei sepulcra.262 La situazione corrisponde a quanto sappiamo del santuario del Fondo Patturelli.

Il quadro che ne risulta sembra perfettamente confrontabile con quello del campus Esquilinus a Roma: santuario arcaico dedicato a una divinità femminile inquadrabile nell’ambito di Afrodite, collegata a sepolture di carattere pubblico.

Ugualmente interessante il santuario della Cannicella di Orvieto, per quanto precedentemente detto sul rapporto tra il culto di Venere Libitina con i Vinalia.263

Nell’area del santuario, circondata su tutti i lati da tombe, oltre a una statuetta marmorea di età arcaica che raffigura una divinità dai caratteri androgini riconducibile al culto di Afrodite (la cosiddetta Venere della Cannicella), sono state messe in luce alcune vasche probabilmente connesse con l’attività che si svolgeva all’interno dell’area sacra.264 Si è proposto di riconoscervi degli apprestamenti per la vinificazione, sulla base del rapporto tra il culto di Venere e il vino, testimoniato dalle associazioni calendariali romane.265

Veniamo infine alla documentazione archeologica restituitaci dall’area immediatamente esterna alla porta Esquilina, dove concordemente viene collocato il lucus Libitinae.266 Da questa zona provengono alcuni cippi iscritti di età repubblicana con divieto di sepoltura nello spazio da essi delimitato.267 Uno di questi è certamente relativo a un santuario pertinente a un pagus Montanus, nel quale si può riconoscere forse il lucus Libitinae.268 Come abbiamo visto, il tempio veniva attribuito da una tradizione, della quale non c’è motivo di dubitare, a Servio Tullio. I dati archeologici sembrano confermare l’esistenza di un santuario arcaico in questa zona del Campo Esquilino: terrecotte architettoniche databili all’inizio del V a.C. sono venute alla luce presso S. Vito, nei paraggi della porta Esquilina. Da un’area poco più distante, compresa tra via Napoleone III e la chiesa di S. Antonio, viene invece una lastra del tipo Veio-Velletri, 261 C OARELLI 1995A, pp. 377-381. 262 Liv. 27, 11, 2; 27, 23, 2. C OARELLI 1995A, p. 378. 263

Sul santuario si vedano: Santuari d’Etruria, pp. 116-120; TORELLI 1986, pp. 183-184; Santuari e culto

nella necropoli della Cannicella.

264 I dati relativi alle strutture del santuario sono pubblicati in R

ONCALLI 1987 e commentati da COLONNA 1987.

265

TORELLI 1984, pp. 162-173; COARELLI 1995A, pp. 381-382.

266C

OARELLI 1995A, pp. 382-383; FREYBURGER 1995, pp. 219-222; SCHEID 2004, pp. 17-18.

267 CIL VI 31614; 31615; NSA 1943, pp. 26-28. Si vedano: C

OARELLI, in LTUR I, s.v. campus

Esquilinus, pp. 218-219; FREYBURGER 1995, pp. 219-220.

268

che cronologicamente si colloca in un periodo precedente, nel terzo quarto del VI secolo a.C. La lastra, riutilizzata all’interno di una sepoltura antica, è stata attribuita da Coarelli alla prima fase del tempio, che andrà cercato verosimilmente nei pressi di S. Vito.269 Se l’attribuzione è corretta, questi dati permetterebbero di confermare la tradizione relativa a una fondazione serviana.

Siamo pertanto in presenza di una necropoli arcaica, collegata a un santuario riconducibile agli anni della monarchia etrusca a Roma, una cui sezione viene riservata, in epoca medio e tardo-repubblicana, a sepolture di carattere pubblico.

7. I SEPULCRA PUBLICA DEL CAMPO MARZIO E LA TRADIZIONE SULLE SEPOLTURE DEI