L A DINASTIA GIULIO CLAUDIA E LA NASCITA DEL FUNUS IMPERATORUM
4. Il templum (novum) divi August
Per quanto concerne il tempio ufficiale del divo Augusto, iniziato da Tiberio su decreto del Senato e terminato da Caligola nel 37 d.C., non sembrano giustificati i dubbi sulla sua collocazione nell’area del Velabro.696 Il tempio è noto dagli atti dei fratres Arvales e da altre fonti epigrafiche e letterarie anche con il nome di templum novum. La sua posizione ci è data da un passo della vita di Caligola di Svetonio, in cui si dice che l’imperatore fece costruire un ponte al fine di collegare Palatino e Campidoglio, facendolo passare appunto super templum divi Augusti.697 Possiamo dedurne che Caligola utilizzò il tempio come sostegno per il suo ponte: in questo caso l’affermazione di Svetonio ci potrebbe fornire qualche elemento per stabilire la posizione e l’orientamento dell’edificio, che poteva essere sfruttato in tutta la sua lunghezza, se
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Plin., N.H. 12, 42, 94; CIL VI 4222. Così adesso anche COARELLI 2009, p. 84, che attribuisce al santuario il passo di Plinio relativo all’incendio che distrusse il templum divi Augusti et divae Augustae in
Palatio. Per quanto riguarda la menzione di riti degli Arvales in Palatio mi sembra necessario fare alcune
precisazioni. La Cecamore sostiene che, accanto alla menzione del Capitolium e del templum novum divi
Augusti, un’altra localizzazione è riportata con notevole frequenza negli atti degli Arvali in relazione a
sacrifici e rituali destinati a personaggi della famiglia imperiale: in Palatio, appunto (CECAMORE 2002, pp. 173-177). Questo permette alla studiosa di confermare l’esistenza di un solo tempio del divo Augusto, il templum novum, trasformato in Divorum in seguito all’associazione nel culto degli altri membri della famiglia giulio-claudia e collocato sul Palatino. Bisogna tuttavia ricordare che tale indicazione di luogo,
in Palatio, compare solo 2 volte, in occasione degli Augustalia del 39 d.C. (CFA 13 fgh, ll. 3-4) e dei
festeggiamenti del dies natalis di Augusto in un anno imprecisato tra 43 e 45 d.C. (sulla possibilità di identificare CFA 18 e 19: PANCIERA 1968, p. 325; SCHEID 1990, p. 422, n. 55; SCHEID 1998, pp. 47-48) contro i 25 riferimenti al templum novum (CFA 11; 12 c; 13 abcd; 16; 17; 20; 25 a; 26 a-lr; 27; 28 a-c; 28 d-e; 30; 33; 35; 40). Gli atti degli Arvales sono sempre molto precisi nel definire i luoghi: si tratta in questo caso di una circostanza eccezionale che sconsiglia l’identificazione del templum novum con l’indicazione in Palatio, invitandoci casomai a riflettere su quale luogo del Palatino fosse destinato ad accogliere tali riti per la dinastia regnante.
696 C
ECAMORE 2002, pp. 177-185.
697 Suet., Cal. 22. Cecamore sostiene la necessità di dare una nuova interpretazione al passo di Svetonio,
definito «unica reale testimonianza di una collocazione del tempio fra Palatino e Campidoglio, l’unico elemento che in contrasto con un nucleo omogeneo di fonti che indicherebbero l’esistenza di un unico tempio sul Palatino» (CECAMORE 2002, pp. 184-185). Questa affermazione è resa possibile ancora una volta dall’eliminazione preventiva di una parte della documentazione, in questo caso del frammento 18e della Forma Urbis, nel quale secondo la studiosa non sarebbe in alcun modo riconoscibile il tempio del divo Augusto a causa dello spiccato carattere commerciale dell’area destinata a ospitarlo, il
Graecostadium (CECAMORE 2002, pp. 179-181). Tali argomenti non sono sufficienti a escludere l’identificazione del tempio del Graecostadium con il templum novum divi Augusti: molti complessi commerciali ospitavano al loro interno aree sacre e templi: COARELLI 2002, p. 71; COARELLI 2009, p. 84. Non convince, inoltre, la prova definitiva addotta dalla studiosa: il tempio del divo Augusto si innalzava sul Palatino, mentre il Graecostadium si colloca nella Regio VIII. Abbiamo già visto come questa affermazione si fondi su una ingiustificata esclusione delle notizie sul sacrarium dalla discussione. Si vedano inoltre le giuste obiezioni mosse da Perrin riguardo alla nuova proposta di lettura del passo di Svetonio: PERRIN 2005, pp. 556-557.
disposto in senso est-ovest.698 Al santuario dell’imperatore divinizzato è stato riferito un frammento della Forma Urbis Romae in cui si può riconoscere una grande struttura templare all’interno di un’area, il cui nome è stato ricostruito in Graecostadium (Fig. 8).699 La posizione del Graecostadium alle spalle della Basilica Giulia conferma quanto ricavato dalla fonti letterarie sulla collocazione del tempio del divo Augusto: l’edificio ottastilo rappresentato all’interno dell’area non è altro che il templum novum divi Augusti (Fig. 9).700 Proprio questo dato ha permesso di riconoscere nell’aedes raffigurata sulla moneta di Antonino Pio il tempio del Velabro (Fig. 10).701 Tale attribuzione può essere confermata da un passo dell’Historia Augusta, in cui si ricorda un incendio che distrusse il Graecostadium intorno alla metà del II secolo d.C.: si spiegherebbe così la ragione del restauro di Antonino Pio.702 Un altro elemento deve inoltre essere notato: la moneta lascia intravedere all’interno del tempio due statue. Queste possono essere identificate con la statua del divo Augusto e quella della diva Augusta che, secondo quanto tramandatoci da Cassio Dione, fu collocata nel tempio da Claudio al momento della consecratio di Livia.703
Recenti indagini, promosse dalla Soprintendenza del Comune di Roma, hanno permesso di rilevare l’esistenza di un gigantesco basamento nella zona alle spalle della Basilica Giulia, in un’area compresa tra via della Consolazione a ovest, via del Foro Romano a nord e via dei Fornari a est (Fig. 11).704 Si tratta di un podio che raggiunge lo spessore complessivo di 11 m. e che sembra estendersi verso est.705 È difficile sottrarsi alla suggestiva ipotesi di riconoscervi il tempio del divo Augusto, che le fonti letterarie collocano proprio nella stessa area. Un podio di questo spessore, inoltre, fa pensare a un
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Così anche LUGLI 1941, p. 55. Contra CECAMORE 2002, p. 179, n. 127, che preferisce un orientamento a nord, pur non escludendo la possibilità che il tempio fosse rivolto a ovest.
699 Sul Graecostadium si veda C
OARELLI, in LTUR II, s.v. Graecostadium, p. 372, tav. 186. Per il frammento della Forma Urbis severiana si rimanda a: FUR 18e; RODRÍGUEZ ALMEIDA 1981, pp. 96-98, tav. 13.
700 Già Lugli identificava l’edificio sulla Forma Urbis con il templum novum: L
UGLI 1941, pp. 55-58.
701 Così anche T
ORELLI, in LTUR I, s.v. Augustus, divus, templum (novum); aedes, p. 146, che tuttavia sostiene: «ci sfuggono le ragioni di questo eventuale restauro antonino».
702 SHA, Ant. Pius 8, 2: «Opera eius (scil. Antonini Pii) haec exstant: Romae templum Hadriani honoris patris dicatum, Graecostadium post incendium restitutum, instauratum amphitheatrum, sepulcrum Hadriani, templum Agrippae, pons Sublicius»; cfr. SHA, Ant. Pius 9, 1. Si vedano LUGLI 1941, p. 55; COARELLI, in LTUR II, s.v. Graecostadium, p. 372.
703
Cass. Dio 60, 5, 2. Il passo di Cassio Dione non specifica di quale tempio si trattasse ed è quindi probabile che la notizia debba essere riferita al tempio ufficiale del divo Augusto e non al santuario privato. La moneta di Antonino Pio ci consente non solo di verificare l’esattezza della notizia fornitaci dalla nostra fonte, ma anche di attribuirla con certezza al tempio del Velabro.
704 Si vedano i primi risultati dei carotaggi fatti all’interno del cortile della caserma dei Vigili, che occupa
la zona suddetta, in AMMERMAN-FILIPPI 1998, pp. 272-276.
705 A
MMERMAN-FILIPPI 1998, pp. 273-274. I dati di scavo fanno propendere per una datazione genericamente imperiale.
edificio di grandi dimensioni: la moneta di Antonino Pio e il frammento di Forma Urbis mostrano che il tempio era ottastilo, almeno a partire dalla metà del II secolo d.C. Resta da chiarire in quale direzione si aprisse la facciata del templum divi Augusti. Se, come propone il Lugli, l’iscrizione che menziona il Graecostadium in FUR 18e andava nello stesso senso di quella della Basilica Giulia, la fronte del tempio doveva guardare a ovest, in direzione del vicus Iugarius.706 Una conferma sembra venire da una singolare categoria di documenti: le copie marmoree dei diplomata militaria. Le tavole in bronzo che costituivano gli originali furono affisse a partire dal 93 d.C. «in muro post templum divi Augusti ad Minervam», quindi in un muro collocato alle spalle del tempio nei pressi di un edificio identificato semplicemente come ad Minervam.707
La prima osservazione da fare è che probabilmente il muro a cui i diplomi fanno riferimento era il temenos del santuario: le sue dimensioni dovevano essere imponenti se fu in grado di accogliere i documenti di congedo dei soldati romani in un periodo compreso tra il 93 d.C. e il 298 d.C.708 La seconda riguarda la menzione di Minerva, che è al centro di un acceso dibattito e oggetto di diverse interpretazioni. Concorde è tuttavia il collegamento tra l’espressione dei diplomi e la notizia di un templum Castorum et Minervae, collocato dai Cataloghi Regionari nell’VIII Regio.709 La sinteticità di quest’ultima indicazione e l’organizzazione interna delle indicazioni fornite dai cataloghi permettono di ipotizzare una vicinanza topografica dei due edifici menzionati: l’area dovrebbe essere quella prossima al vicus Tuscus, ai piedi del Palatino, dove appunto sorgeva il tempio dei Castori.710 Questa collocazione per l’edificio designato come (templum?) Minervae ci consente di concludere a favore dell’orientamento a ovest del tempio del divo Augusto: solo così i diplomata si sarebbero trovati contemporaneamente post templum divi Augusti e ad Minervam.711 Nell’edificio così indicato dalle fonti si è riconosciuta di recente la biblioteca del tempio
706 L
UGLI 1941, p. 58.
707 Si vedano i riferimenti alla voce templum (divi) Augusti, n. 42. 708 CECAMORE 2002, p. 194; COARELLI 2009, pp. 84-85. 709 N ORDH 1949, p. 85 (Curiosum). 710 R ODRÍGUEZ ALMEIDA 1985-1986, pp. 111-113.
711 Vedremo in seguito come questa ricostruzione trovi un altro punto di forza nel percorso dei cortei
funebri imperiali. Poco convincente la ricostruzione di CECAMORE 2002 (pp. 181-183), che identifica il tempio del Graecostadium con il delubrum Minervae di Plinio (N.H. 7, 97), riferendo a questo le indicazioni dei Cataloghi Regionari: cfr. PALOMBI, in LTUR III, s.v. Minerva, delubrum, pp. 253-254. Secondo questa ipotesi l’edificio rappresentato nel frammento 18e della FUR è il tempio di Minerva, mentre quello del divo Augusto si troverebbe sulla sommità nord-occidentale del Palatino con la facciata rivolta in direzione del Campidoglio. Ci chiediamo pertanto come i diplomata militaria, che erano affissi
post templum divi Augusti, potessero al tempo stesso trovarsi ad Minervam: al di là della distanza
oggettiva tra i due edifici, che aumenta notevolmente rispetto all’ipotesi di Lugli, la loro collocazione alle spalle del tempio di Augusto impedisce di considerarli rivolti verso il tempio di Minerva.
del divo Augusto, che Tiberio fece costruire contemporaneamente al santuario e al cui interno collocò alcune importanti opere d’arte, tra cui l’Apollo Temenite e una tela di Nicia particolarmente cara al padre adottivo.712 Distrutta da un incendio in epoca flavia, la biblioteca fu ricostruita da Domiziano, che probabilmente la dedicò alla sua dea protettrice, Minerva.713 La denominazione sintetica Minerva tuttavia si può spiegare anche con la sua funzione, come sembra provare l’espressione poetica intra penetralia nostrae Pallados utilizzata da Marziale per indicarla.714 L’edificio, sulla base dei dati sopra esposti, è stato di recente identificato con il complesso di S. Maria Antiqua e della contigua aula domizianea posta all’inizio del vicus Tuscus, in cui andrebbero riconosciuti rispettivamente l’Athenaeum e la bibliotheca templi novi ricostruita da Domiziano dopo l’incendio dell’80 d.C.715