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L A DINASTIA GIULIO CLAUDIA E LA NASCITA DEL FUNUS IMPERATORUM

2. Il templum divi Claudii e l’apoteosi negata

«Fecit et nova opera templum Pacis foro proximum divique Claudi in Caelio monte coeptum quidam ab Agrippina, sed a Nerone prope funditus destructum».819 Tra i monumenti costruiti da Vespasiano negli anni del suo regno Svetonio ricorda, accanto al templum Pacis, il tempio del divo Claudio sul Celio. Veniamo a sapere che il santuario, la cui costruzione era stata intrapresa da Agrippina dopo il decreto di consecratio, fu più tardi distrutto da Nerone. Questa notizia ha da tempo trovato il conforto della documentazione archeologica, in seguito agli scavi incentrati nell’area anticamente occupata dal monumento, quella prospiciente ai SS. Giovanni e Paolo.820 Il tempio poggiava su un’imponente sostruzione rettangolare, costituita da muri di contenimento in parte ancora conservati (Fig. 13).

815

COARELLI 1984A;COARELLI 1987B;COARELLI 1988, pp. 433-436.

816

Sen., apocol. 13, 1. CELS SAINT-HILAIRE 1994, pp. 201-203.

817 Tac., Ann. 12, 69, 3. 818 Sen., apocol. 10-11. 819

Suet., Vesp. 9, 1.

820 Manca ancora a oggi un’edizione scientifica adeguata del monumento. Testo di riferimento

imprescindibile resta l’opera di Colini sul Celio, che raccoglie tutta la documentazione: COLINI 1944, pp. 137-162; PRANDI 1953, pp. 373-420. Si vedano adesso anche BUZZETTI, in LTUR I, s.v. Claudius, divus,

Dell’edificio templare, invece, non restano tracce. Conosciamo fortunatamente il suo aspetto da un frammento della Forma Urbis Severiana: un tempio di piccole dimensioni, prostilo esastilo con tre colonne sui lati (Fig. 14).821 I dati archeologici sembrano confermare che la costruzione del santuario iniziò subito dopo la morte di Claudio.822 L’artefice del progetto fu Agrippina, alla quale si devono gli splendidi funerali e la consecratio del marito. Il tempio fu in seguito demolito da Nerone, mentre il basamento entrò a far parte della domus Aurea, alla quale appartiene il grande ninfeo addossato al lato orientale della struttura, ancora visibile in via Claudia.823 Un’azione di questo tipo doveva comportare una serie di conseguenze sul piano religioso. Possiamo ipotizzare, sulla base del passo di Svetonio citato a introduzione, che il santuario non fosse ancora stato consecratus al momento della distruzione del tempio. Tuttavia è certo che il gesto di Nerone procedette di pari passo con l’abolizione del titolo di divus, che il suo predecessore aveva ricevuto in seguito alla divinizzazione decretata dal Senato.824 Titolo e tempio furono restituiti, per così dire, al legittimo proprietario da Vespasiano qualche tempo dopo la sua ascesa al soglio imperiale. Questa notizie hanno sollevato non pochi problemi, il principale dei quali è connesso proprio con la consecratio di Claudio, che l’Apocolocyntosis, in un mondo parallelo al reale, vuole negare.

Il fronte compatto della documentazione letteraria non permette incertezze: Tacito, Svetonio, Cassio Dione affermano che l’imperatore fu assunto tra gli dei.825 Coerentemente con il decreto del Senato, a partire dal 54 d.C., Claudio compare nelle iscrizioni come divus e a Roma Agrippina dà avvio alla costruzione del suo santuario, onore da mettere in relazione con la concessione ufficiale dell’apoteosi. Negli anni successivi i commentari dei fratres Arvales testimoniano la pratica di sacrificare al divo Claudio nel templum novum divi Augusti, a conferma che la costruzione del tempio dell’imperatore divinizzato si era interrotta e non era stata portata a termine.826 Tuttavia il fatto che l’antico collegio, riformato da Augusto, da lui strettamente connesso con il

821 FUR 5; R

ODRÍGUEZ ALMEIDA 1981, tav. 2.

822 Ne è prova il rivestimento in blocchi di travertino appena sbozzati della facciata dei due ambienti

individuati nel settore occidentale, entro il campanile (angolo sud-ovest) e nel convento dei SS. Giovanni e Paolo:COARELLI 2008, pp. 281-283.

823

PAVOLINI 1993, pp. 35-36.

824 Suet., Claud. 45: «funeratusque est sollemni principum pompa et in numerum deorum relatus, quem honorem a Nerone destitutum abolitumque recepit mox per Vespasianum».

825

Tac., Ann. 12, 69, 3; 13, 2, 3; Suet., Claud. 45; Nero 9; Cass. Dio 60, 35, 2.

826 CFA 26 a-lr, ll. 18-19 (3 gennaio 58 d.C); CFA 27, l. 5 (12 ottobre 58 d.C.); ibid., l. 45 (3 gennaio 59

d.C.); CFA 28 a-c, l. 28 (23 giugno 59 d.C.); ibid., l. 43 (12 ottobre 59 d.C.); CFA 30 I, cd, l. 25 (11 gennaio 66 d.C.); CFA 30 II, ll. 5-6 (66 d.C.); ibid., ll. 32-34 (12 ottobre 66 d.C.); ibid., ll. 39-40 (13 ottobre 66 d.C.); CFA 40 I, 1-7, ll. 14-15 (3 gennaio 69 d.C.).

culto imperiale e di conseguenza molto vicino alla domus Augusta, continuasse a offrire sacrifici a Claudio in quanto dio anche dopo la presunta sconsacrazione voluta da Nerone, lascia qualche dubbio sull’effettiva validità di questo atto. Resta da chiedersi come tale operazione fosse possibile e su quale autorità ricadesse la responsabilità. Non si può d’altronde dubitare dell’attendibilità di Svetonio quando afferma che fu Vespasiano a restituire onori divini e tempio a Claudio: la lex de imperio Vespasiani, collocabile nei mesi immediatamente successivi all’elezione di Vespasiano come imperatore, si riferisce ai precedenti di Augusto, Tiberio e Claudio, ma è al primo soltanto che attribuisce il titolo di divus. Si tratta di una lex regia, quindi di un documento ufficiale approvato dai comizi: in quanto tale, il fatto che Claudio vi appaia come Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico assume un significato rilevante.827 Del resto Nerone da subito diede segni di insofferenza nei confronti del nuovo divus, mettendo in ridicolo la sua apoteosi avvenuta a mezzo di un fungo, il cibo degli dei secondo un proverbio greco.828 È in questo stesso contesto, tra i vari provvedimenti volti a stravolgere regolamenti e decreti voluti dal suo predecessore, che Svetonio afferma che il giovane imperatore non si preoccupò neppure di proteggere il bustum del vecchio principe, se non con un muricciolo basso e di scarso spessore.829 Difficile vedervi la tomba di Claudio: le fonti non fanno nessun accenno al luogo di sepoltura dell’imperatore, ma ci sono poche possibilità che sia stato deposto in un luogo diverso dal Mausoleo.830 Nel bustum a cui si riferisce Svetonio si dovrà allora riconoscere il luogo della sua cremazione e, quindi, della consecratio.831 La mancata monumentalizzazione di quest’area da parte di Nerone non è che un altro indizio del suo rifiuto della divinizzazione di Claudio, rifiuto che trova la sua più esplicita affermazione nell’Apocolocyntosis.

827 L

UISI 1981, p. 178, n. 27 ritiene che non si sia trattato di una semplice sospensione del culto, come proposto da RUSSO 1961, pp. 12-13, n. 16. L’assenza del titolo divus riferito a Claudio nella lex de

imperio Vespasiani e la distruzione del tempio lo fanno propendere per una vera e propria sconsacrazione.

Sulla lex de imperio Vespasiani una sintesi recente in MANTOVANI 2009.

828 Suet., Nero 33, 1: «Parricida et caedes a Claudio exorsus est; cuius necis etsi non auctor, at conscius fuit, neque dissimulanter, ut qui boletos, in quo cibi genere venenum is acceperat, quasi deorum cibum posthac proverbio greco conlaudare sit solitus»; Cass. Dio 60, 35, 4: «kaˆ Ð Nšrwn de; oÙk ¢p£xion

mn»mhj œpoj katšlipe: toÝj g¦r mÚkhtaj qeîn brîma œlegen ei\nai, Óti kaˆ ™ke‹noj di¦ toà mÚkhtoj qeÕj ™gegÒnei».

829

Suet., Nero 33, 1: «denique bustum eius consaepiri nisi humili levique maceria neglexit».

830 H

ESBERG-PANCIERA 1994, pp. 77-79; MACCIOCCA, in LTUR III, s.v. Mausoleum Augusti: le sepolture, pp. 237-239. Diversamente ARCE 1988, pp. 74-75 ritiene che non sia possibile indicare con certezza il luogo di sepoltura di Claudio.

831

Veniamo infine al tempio ricostruito da Vespasiano. Abbiamo già detto che Nerone si limitò a distruggere l’edificio templare, ma lasciò intatta la grande sostruzione che servì da sostegno al ninfeo della domus Aurea. La paternità del progetto ricade pertanto su Agrippina, che ne iniziò la costruzione verosimilmente subito dopo la consecratio di Claudio. Esistevano allora a Roma tre edifici connessi con il culto dei divi: l’aedes divi Iulii, il sacrarium e il tempio del divo Augusto. Tutti e tre sorgevano in aree centrali della città: nel Foro il primo e gli altri due rispettivamente alle pendici nord-orientali del Palatino e nel Velabro. La loro posizione non era casuale: il tempio del divo Giulio era collocato sul luogo della cremazione del dittatore, mentre almeno per il sacrarium divi Augusti sappiamo che la sua ubicazione era legata alla casa in cui l’imperatore era nato. La collocazione decentrata rispetto al centro monumentale del tempio del divo Claudio richiede quindi una spiegazione. Come abbiamo già visto l’edificio sorgeva sul Celio ed era orientato a sud-ovest, in direzione del circo Massimo e dell’Aventino. Claudio, nel 49 d.C., aveva incluso per la prima volta il colle all’interno del pomerio, collocando, secondo una ipotesi, il punto di partenza della nuova numerazione dei cippi che lo delimitavano in prossimità dell’ara Maxima Herculis.832 Il legame della gens Claudia con questo arcaico santuario romano era antico: uno dei suoi più illustri esponenti, il censore Appio Claudio, nel 312 a.C. aveva reso pubblico il culto, che vi veniva praticato dalle famiglie dei Potitii e dei Pinarii.833 L’interesse particolare dei Claudii per questa divinità è del resto testimoniata dalla dedica contemporanea da parte del censore del tempio di Hercules Invictus nel vicino Foro Boario.834 Se in questa operazione, come nella successiva dedica dell’aedes Bellonae, si può leggere un’operazione politica, in un momento in cui iniziano a emergere a Roma forti pressioni sociali, non dobbiamo tuttavia dimenticare che il legame della gens Claudia con il culto di Ercole aveva radici profonde, che risalivano fino alla Sabina, terra di origine del capostipite della dinastia, Atta Clausus. Un antichissimo asse viario, la via Salaria, collegava questa regione interna, dove la pastorizia aveva la meglio sull’agricoltura, con Roma e il suo Foro Boario. Lì giungeva anche la via Campana, che metteva in comunicazione il mercato della città con le saline alla foce del Tevere, consentendo il rifornimento di sale, elemento fondamentale nell’antichità per la conservazione delle carni. Come è stato notato da tempo, fu alla convergenza delle due strade che sorse il santuario

832 C

OARELLI 1997, pp. 130-135. Per tutta la questione si rimanda al Cap. IV. 3. 2.

833 Liv. 9, 29, 9-10.P

ALMER 1965, pp. 292-324; TORELLI 2006, pp. 585-586.

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emporico dell’ara Maxima, dal quale appare chiaro il legame del culto di Ercole a Roma e in Sabina con il commercio del bestiame e del sale.835 L’orientamento del tempio potrebbe di conseguenza trovare una soddisfacente giustificazione nella volontà di istituire un contatto visivo con un’area legata tradizionalmente ai Claudii.

Il continuo richiamarsi dell’imperatore alle sue origini sabine aveva trovato espressione due anni prima dell’ampliamento del pomerio nella celebrazione dei ludi Saeculares, che furono fatti cadere in coincidenza con l’anniversario dell’arrivo della gens a Roma.836 A favorire nel 504 a.C. la venuta in città di questa importante famiglia sabina e di tutti i suoi clientes era stato il console Valerio Publicola, che aveva subito concesso notevoli privilegi a Atta Clausus: l’inclusione del suo nucleo gentilizio nel patriziato, il possesso di ampli praedia al confine nord-orientale del territorio romano (quello che poi sarà occupato dalla tribù Claudia), un luogo di sepoltura pubblico ai piedi del Campidoglio e un’area edificabile all’interno della città.837 Di quest’ultima purtroppo le fonti antiche non riferiscono l’ubicazione. Tuttavia una serie di indizi hanno condotto di recente a formulare un’ipotesi interessante per comprendere la posizione del tempio: l’esistenza sul Celio dell’antica domus dei Claudii.838

Nel 27 d.C. un terribile incendio devastò e distrusse gran parte del colle e delle abitazioni che vi si trovavano.839 Tiberio, con un atto di generosità definito inconsueto da Svetonio, indennizzò i proprietari che avevano perso la casa. Tra questi c’era probabilmente anche Claudio, se si può collegare a questa vicenda un passo in cui l’ab epistulis di Adriano menziona un decreto del Senato indirizzato a ricostruire a spese pubbliche la sua domus distrutta da un incendio.840 Tiberio, che nutriva scarsa stima per il nipote, annullò il provvedimento e promise di risarcirlo personalmente. La scelta del Celio come luogo per innalzare il templum divi Claudii risiederebbe pertanto nella presenza sul colle della casa di Claudio, in coincidenza forse con l’ubicazione nell’area

835 C

OARELLI 1988, pp. 107-113; COARELLI 1999A, pp. 27-32.

836 Plut., Publ. 21, 4-10. 837

Liv. 2, 16, 4-5; Dion. Hal., Ant. Rom. 5, 40; Suet., Tib. 1, 2.

838 C

OARELLI 1998, pp. 217-218.

839 Tac., Ann. 4, 64, 1: «Nondum ea clades exolverat, cum ignis violentia urbem ultra solitum adfecit, deusto montte Caelio; feralemque annum ferebant et omnibus adversis susceptum principi consilium absentiae, qui mos vulgo, fortuita ad culpam trahentes, ni Caesar obviam isset tribuendo pecunias ex modo detrimenti»; Suet., Tib. 48, 1: «Publice munificentia bis omnino exhibuit, proposito milies sestertium gratuitum in trienni tempus et rursus quibusdam dominis insularum, quae in monte Caelio deflagrarant, pretio restituto». PAVOLINI 1993, pp. 32-33 ritiene che all’origine della decisione di Agrippina di collocare sul Celio il tempio del marito divinizzato possa esserci stata la nuova disponibilità di spazio causata dall’incendio.

840 Suet., Claud. 6, 2: «Senatus quoque […] censuit et mox ut domus ei, quam incendio amiserat, publica impensa restitueretur, dicendaeque inter consulares sententiae ius esser. Quod decretum abolitum est, excusante Tiberio imbecillitatem eius ac damnum liberalitate sua resarturum pollicente».