• Non ci sono risultati.

SEPOLTURE PUBBLICHE O MONUMENTI COMMEMORATIVI? QUESTIONI DI METODO

Nel 1983 sul Bullettino Comunale della Soprintendenza Archeologica di Roma usciva un corposo articolo dal titolo «Monumenta et Arae Honoris Virtutisque Causa: Evidence of Memorials for Roman Civic Heroes».300 L’intento era quello di studiare

297

COARELLI, in LTUR IV, s.v. Sepulcrum, A. Hirtius, p. 290.

298 C

OARELLI 1997, pp. 539-559 con bibliografia precedente.

299 Coarelli suggerisce sulla base di Cic., ad Brut. 1, 15, 8 che all’oratore debba essere attribuita anche la

scelta del luogo: COARELLI 1997, n. 77, p. 558.

300

una classe di monumenti, spesso catalogati come tombe, cenotafi o ustrina, le cui somiglianze, a detta dell’autore B. Frischer, erano da sempre sfuggite allo sguardo degli archeologi. Il punto di partenza dell’indagine è costituito dall’esame del monumento di C. Calventius Quietus a Pompei e della tomba di C. Cartilius Poplicola a Ostia, da considerare entrambi «memorials»: non strutture funzionali a segnalare un luogo di sepoltura, bensì a mantenere viva la memoria di uomini che si erano guadagnati il consenso dei cittadini per le loro virtù civiche.301 L’attenzione si sposta poi a Roma, dove sarebbe stato dedicato il primo monumento commemorativo, quello di Valerio Publicola, seguito dalle analoghe costruzioni che dovevano conservare il ricordo di P. Postumio Tuberto e C. Fabrizio Luscino.302 Tali strutture in Grecia avevano la forma di un altare associato a una statua; a Roma, invece, erano costituite da un semplice altare e venivano individuate variamente come monumenta o arae. L’uso corrente di questi due termini con il significato di ‘tomba, sepolcro’ avrebbe prodotto una certa confusione tra monumenti commemorativi e tombe appunto, impedendo spesso il riconoscimento dei primi. Testimonianza archeologica dei memorials noti dalla letteratura antica, il sepolcro di C. Publicio Bibulo altro non sarebbe quindi che un monumento ad altare senza alcuna reale connessione con la sepoltura del personaggio nominato sull’iscrizione.

All’origine della pratica di dedicare monumenti commemorativi a uomini che si erano distinti in vita sono indicati il sepulcrum Accae e il Niger Lapis.303 Nel primo caso l’impossibilità che si trattasse di una tomba viene fatta poggiare sulla sua definizione in alcune fonti antiche come luogo di culto e sul carattere mitico di Acca Larentia; nel secondo l’assenza di una sepoltura in corrispondenza dell’altare e della colonna associati in età repubblicana con la tomba di Romolo risulterebbe confortata dagli scavi. Seppure mai esplicitamente affermata, la conclusione che se ne ricava è che non esistevano sepolture pubbliche a Roma prima del I a.C., bensì memorials destinati a commemorare un determinato personaggio e la sua famiglia. Impossibile, infatti, secondo lo studioso che ci fossero eccezioni alla norma che vietava cremazione e sepoltura in città, poiché tale legislazione ricadeva all’interno del diritto pontificale.304

301 F RISCHER 1982-1983, pp. 52-56. 302 FRISCHER 1982-1983, pp. 56-61. 303 F RISCHER 1982-1983, pp. 61-63. 304 F

RISCHER 1982-1983, p. 58. Lo studioso sostiene sulla base di Plutarco (Publ. 23, 5-6; q. Rom. 79) che Publicola e i suoi discendenti rifiutarono l’onore di una tomba in urbe e si domanda: «Why did Publicola

Nella parte finale del lavoro, la funzione politica riconosciuta a questi monumenti commemorativi è chiamata in causa a spiegare la nascita delle grandi tombe gentilizie a Roma nel III e II secolo a.C.: queste non solo indicherebbero una rottura con l’uso arcaico che vietava il lusso funerario, ma sono interpretate come frutto della ricerca di un diverso tipo di consensus da parte della classe dirigente che si avvaleva in precedenza dei monumenti commemorativi.305 Nessuno dei grandi eroi di quest’epoca, dice Frischer, ricevette onori pubblici dopo la morte; una brillante carriera politica poteva anzi condurre alla rovina, come accadde a Scipione Africano. Così nel I a.C., quando il Senato decise di concedere degli onori a singoli individui, questi consistettero only in un funus publicum e in una sepoltura fuori dal pomerio nel Campo Marzio, come dimostrano i casi di Silla, Irzio e Pansa.

Il monumento di C. Publicio Bibulo sarebbe quindi l’ultimo esempio prima dell’età augustea di monumenti commemorativi honoris virtutisque causa: costruito per il tribuno della plebe del 209 ricordato da Livio (27, 20, 11), sarebbe stato restaurato alla metà del I a.C.306

Le tensioni e l’acceso scontro politico della tarda Repubblica avrebbero reso impossibile l’erezione di memorials a Roma. Paradigmatico il caso della colonna e dell’altare eretti sul luogo in cui il corpo di Cesare fu cremato, nel Foro: eredi dei monumenti dedicati a Larentia, Romolo e Publicola, Rome’s parentes, furono ben presto distrutti da quella stessa nobiltà che non era più disposta ad accettare il perpetuarsi di una tale pratica onoraria.307 L’avversione dell’aristocrazia nei confronti dei monumenta virtutis causa trova conferma, secondo Frischer, nelle vicende che seguirono la battaglia di Modena del 43 a.C. Cicerone in Senato chiese l’erezione di un monumentum pubblico per i caduti, ma secondo Cassio Dione essi ricevettero solo un funus publicum.308 Ne conclude che, come dimostrato tra gli altri dai casi di Valerio Publicola e Cesare, «sepultura usually meant cremation, not burial».309

Un ultimo accenno meritano, vista la loro attinenza con il tema qui trattato, alcune considerazioni sulla diffusione di monumenti e altari commemorativi in età imperiale. È ritenuto tale infatti lo mnemeion di C. e L. Cesare. Lo storico e senatore Cassio Dione contrary to religious law. It is unlikely that exceptions could be made through legislation, since the matter was pontifical».

305 F RISCHER 1982-1983, pp. 65-67. 306 FRISCHER 1982-1983, pp. 67-68. 307 F RISCHER 1982-1983, pp. 68-69.

308 Cic., Phil. 14, 33-34; 38; Cass. Dio 46, 38, 1-2. Su questa affermazione si veda quanto detto nei

paragrafi precedenti sul rapporto tra funera publica e sepoltura su suolo pubblico.

309

che lo ricorda come luogo della sepoltura temporanea di Giulia Domna, prima del trasferimento del corpo nel sepolcro degli Antonini, viene dichiarato una fonte inattendibile. Il ritrovamento di iscrizioni di dedica ai nipoti di Augusto sul lato sud- orientale della porticus della basilica Aemilia, fa ipotizzare allo studioso che qui si trovasse lo mnemeion, interpretato quindi come un monumento commemorativo in pieno Foro.310

L’esemplare più significativo di questa tipologia di strutture a carattere onorario viene riconosciuto nella Colonna Traiana, che avrebbe ospitato l’urna con le ceneri di Traiano, primo esempio di una sepoltura all’interno del pomerio, spiegata dall’autore come riscoperta dell’uso greco degli heroa. Nella stessa linea si iscriverebbero i complessi monumentali costituiti dagli ustrina con le vicine colonne di Antonino Pio e Marco Aurelio nel Campo Marzio: secondo l’autore rappresenterebbero una «huge versions of the kind of altar-column ensembles dedicated to the parens patriae […]. The common designation of them as ustrinae is misleading».311

L’interesse di questo studio per il tema trattato nel presente capitolo è evidente, tanto più che alcuni articoli recenti sul monumento di Bibulo, sui sepulcra publica e sul pomerio si basano, senza discuterle, sulle conclusioni a cui lo studioso è giunto.312 La molteplicità degli argomenti esposti non consente un’analisi puntuale di tutte le argomentazioni prodotte da Frischer a sostegno della sua ipotesi perché non sempre sono direttamente attinenti alla ricerca qui proposta. Tuttavia il notevole spazio dato nel testo ai presunti memorials di Roma e l’articolazione stessa del lavoro, permettono di fare alcune considerazioni anche di carattere metodologico, in relazione alla lettura delle fonti antiche.

Una delle prime riflessioni di Frischer è di ordine terminologico: i monumenti commemorativi sono identificati nelle iscrizioni e nelle documenti letterari ora come arae, ora come monumenta. Dal momento che le tombe romane spesso rivestono una identica funzione commemorativa, entrambi i termini sono stati utilizzati in antico come sinonimi di sepulcrum. Questa sarebbe una delle ragioni principali che avrebbe impedito agli archeologi di riconoscere i monumenti commemorativi, confusi spesso con tombe, cenotafi, ustrina. Giustamente precisa infatti Frischer «although all tombs 310 F RISCHER 1982-1983, pp. 71-73. 311 F RISCHER 1982-1983, p. 73. 312

may be called monumenta or arae, not everything termed a monumentum or ara is necessarily a tomb».313 Al contrario, sostiene lo studioso, i termini sÁma, sepulcrum, tumulus sono applicabili a una reale sepoltura.

Vediamo allora di precisare i realia a cui alcune di tali parole fanno riferimento e di chiarire alcuni elementi che potrebbero generare confusione. Secondo Frischer l’uso di ara a indicare un monumento commemorativo è legato alle connotazioni funerarie del termine stesso. Servio infatti ricorda che, mentre gli altaria sono destinati agli dei celesti, le arae sono utilizzate nel culto dei morti e delle divinità infere, carattere funerario che sarebbe ribadito dall’uso di costruire le pire in forma di ara, da cui «aramque sepulchri pyram dicit».314 All’origine dei monumenti commemorativi in forma di altare ci sarebbero pertanto i monumenti funerari ad ara; di uno di questi si avrebbe testimonianza in un passo del de legibus di Cicerone, già citato in relazione alla costruzione dell’aedes Honoris fuori porta Collina: «Sed <ut> in urbe sepeliri lex vetat, sic decretum a pontificum collegio non esse ius in loco publico fieri sepulchrum. Nostis extra portam Collinam aedem Honoris, aram in eo loco fuisse memoriae proditum est; ad eam cum lamina esset inventa et in ea scriptum lamina: «Honoris», ea causa fuit, <ut> aedis haec dedicare<tur>. Sed quom multa in eo loco sepulchra fuissent, exarata sunt; statuit enim collegium locum publicum non potuisse privata religione obligari».315 La collocazione dell’altare all’interno di una necropoli e la presenza su di esso dell’iscrizione menzionata da Cicerone, ne farebbero un altare funerario molto antico, modello delle arae honoris virtutisque causa.

Una prima considerazione va fatta sull’uso esclusivo del termine ara inteso come altare per il culto dei morti: lo stesso Servio (ad Aen. 2, 515) dice infatti «superorum et arae sunt et altaria, inferorum tantum arae» e ricorda a proposito di Virgilio, che spesso il poeta confonde i due termini, ara e altare.316 D’altra parte, tornando a Cicerone, se è certo che la lamina su cui era inciso «Honoris» era pertinente all’altare nelle cui vicinanze era stata trovata o semplicemente si riferiva a esso, mi sembra assolutamente improbabile che un altare funerario potesse essere dedicato all’Honor. Ancora meno plausibile ritengo l’ipotesi, presente nel testo solo in forma allusiva tra parentesi, che

313

FRISCHER 1982-1983, p. 56.

314 Serv., ad Aen. 6, 177. Cfr. Serv., ad Aen. 2, 515; 3, 305. Per l’interpretazioneF

RISCHER 1982-1983, p. 57.

315 Cic., de leg. 2, 23, 58. 316

Cicerone e la sua fonte possano aver frainteso riconoscendo nel termine un nome proprio di divinità, piuttosto che un riferimento a un monumento funerario honoris causa.317 Pur senza addentrarmi in questioni archeologiche, credo infine che sia necessario sottolineare che l’utilizzo degli studi di Colonna sulla quasi totale assenza di documentazione di contesti funerari di VI-V secolo a.C. a giustificazione della mancanza di testimonianze di monumenti funerari ad ara prima della fine del II a.C., sia rischioso, in quanto nel migliore dei casi poggia su un argomento e silentio.318 Tali studi hanno, infatti, chiaramente dimostrato che la rarità di apprestamenti sepolcrali sicuramente databili al VI e al V secolo non è dovuta al loro mancato ritrovamento o alla loro distruzione, ma alla difficoltà di riconoscerle a causa della scarsità, se non assenza, di corredo funerario che ne permetta una datazione.319

Il successivo riferimento di Frischer al monumento per i caduti nella battaglia di Modena, definito da Cicerone ara Virtutis, non mi sembra che cambi in alcun modo i termini della questione. Appare chiaro il carattere di monumento funerario della struttura (e non semplicemente onorario come sostenuto da Frischer) che, accogliendo i corpi degli uomini che avevano sacrificato la loro vita combattendo contro il nemico pubblico M. Antonio, per questo stesso motivo è destinato nelle parole dell’oratore a raggiungere ad memoriam aeternitatis lo statuto simbolico di altare della Virtù.320

Per quanto riguarda l’applicazione a contesti diversi del termine latino monumentum, è sufficiente qui ricordare la sua derivazione dal verbo monere, ‘ammonire’, ma anche ‘far ricordare’. Sono monumenta i documenti scritti, così come edifici di varia natura, anche quelli funerari, incaricati di tramandare alle generazioni future il ricordo di chi li ha costruiti.321 Un’interpretazione corretta, lungi da generalizzazioni di ogni tipo, richiede pertanto un’analisi del contesto letterario in cui la parola è utilizzata.

317 F

RISCHER 1982-1983, p. 57.

318

Per una sintesi sui monumenti funerari ad ara e una loro datazione: HESBERG 1994, pp. 197-209.

319 C

OLONNA 1977.

320 Cic., Phil. 14, 13, 34: «Atque utinam his omnibus abstergere fletum sententiis nostris consultisque possemus, vel aliqua talis iis adhiberi publice oratio, qua deponerent maerorem atque luctum gauderentque potius, cum multa et varia impenderent hominibus genera mortis, id genus quod esset pulcherrimum suis obtigisse eosque nec inhumatos esse nec desertos, […] nec dispersis bustis humili

sepultura crematos, sed contectos publicis operibus atque muneribus eaque exstructione quae sit ad memoriam aeternitatis ara Virtutis»; Cass. Dio 46, 38, 2: «to‹j te sunagwnisamšnoij sf…si kaˆ

teleut»sasi taf» te dhmos…a». FRISCHER 1982-1983, p. 69, seguito da RICCI 2006, p. 66. Per l’innovazione insita nella proposta di Cicerone e per una lettura storica dell’episodio: SORDI 1990.

321

La stessa cosa si può dire per il greco sÁma, il cui spettro semantico è altrettanto ampio.322 D’altra parte, come di recente ha ribadito Ricci in un accurato studio sui cenotafi, la parola tumulus è applicabile non solo alle tombe, ma anche a monumenti commemorativi o a ‘cenotafi di memoria’.323

Diverso il caso del termine sepulcrum, che fa sicuramente riferimento al luogo in cui il corpo, o una parte di esso, è sepolto: la tomba, in quanto locus religiosus e inamovibile.324

Laddove tuttavia sussistano dubbi sul significato e la reale valenza di questi termini, lo sguardo deve essere rivolto al testo nel suo complesso. Passiamo quindi ad analizzare le fonti che parlano della tomba di Publicola, in cui Frischer riconosce il primo monumento commemorativo di Roma. Tale ipotesi si fonda su due passi di Plutarco, rispettivamente della Vita di Publicola e delle Questioni Romane, in cui si riscontrerebbe il rifiuto da parte della gens Valeria di una sepoltura all’interno della città.325 Frischer purtroppo presenta solo una traduzione in inglese di Plutarco (Publ. 23, 5-6), che come vedremo risulta fuorviante: «™t£fh ™t£fh ™t£fh ™t£fh dšdšdšdš, kaˆ toàto tîn politîn kaˆ toàto tîn politîn kaˆ toàto tîn politîn kaˆ toàto tîn politîn yhfisamšnwn,

yhfisamšnwn, yhfisamšnwn,

yhfisamšnwn, ™ntÒj ¥steoj par¦ t¾n kaloumšnhn OÙel…an, éste kaˆ gšnei ™ntÒj ¥steoj par¦ t¾n kaloumšnhn OÙel…an, éste kaˆ gšnei ™ntÒj ¥steoj par¦ t¾n kaloumšnhn OÙel…an, éste kaˆ gšnei ™ntÒj ¥steoj par¦ t¾n kaloumšnhn OÙel…an, éste kaˆ gšnei pantˆ tÁj tafÁj mete‹nai

pantˆ tÁj tafÁj mete‹nai pantˆ tÁj tafÁj mete‹nai

pantˆ tÁj tafÁj mete‹nai. nàn denàn denàn de;nàn de;;; q£ptetai me q£ptetai me q£ptetai me q£ptetai me;;;;n oÙdeˆj tîn ¢pÕ gšnoujn oÙdeˆj tîn ¢pÕ gšnoujn oÙdeˆj tîn ¢pÕ gšnoujn oÙdeˆj tîn ¢pÕ gšnouj, kom…santej de; tÕn nekrÕn ™ke‹ katat…qentai, kaˆ d´d£ tij ¹mmšnhn labën Óson Øp»negken, ei\t' ¢naire‹tai, marturÒmenoj œrgw/ tÕ ™xe‹nai, fe…desqai de; tÁj timÁj, kaˆ tÕn nekrÕn oÛtwj ¢pokom…zousin».326 Vi si ricorda che, oltre alla concessione di una cerimonia funebre a pubbliche spese, un altro onore fu decretato dal popolo a Publicola: la sepoltura all’interno della città, nei pressi della Velia.

È opportuno riportare di seguito la traduzione usata da Frischer: «By vote of the people, he was also given land for burial within the city, near the Velia, and all his family were to have the right of burial there, too. However, no one from the family is buried there;

322 TLG VIII, s.v. sÁma, col. 174-176. 323 R

ICCI 2006, pp. 33-34; 39-40. Il tumulus di Druso a Magonza è definito da Svetonio honorarius: Suet.,

Claud. 1, 3. Riguardo alla complicata questione sul luogo di sepoltura di Druso Maggiore si rimanda a

quanto detto più avanti nel capitolo relativo al suo funerale (Cap. II. 3).

324

Dig. 11, 7, 42. Si vedano tuttavia anche in questo caso le precisazioni di RICCI 2006, pp. 33-34.

325 Plut., Publ. 23, 5-6; q. Rom. 79.

326 Plut., Publ. 23, 5-6: «Sempre per voto dei cittadini, Publicola fu sepolto all’interno della città, presso

la cosiddetta Velia, e tutta la sua discendenza ha il diritto a questa sepoltura. Al giorno d’oggi però nessuno della famiglia vi viene più seppellito: la salma viene solo portata là e messa per terra, poi un uomo prende una torcia accesa, la pone sotto la bara e la ritrae subito, per testimoniare con questo atto che il morto avrebbe diritto all’onore di questa ma vi rinuncia. Dopo di che il cadavere viene trasportato altrove» (trad. G. Faranda Villa, ed. BUR 2000). Cfr. Plut., q. Rom. 79.

but when someone dies, his body is carried to that spot and set down. Someone takes a burning torch and holds it beneath the bier for a moment, and then takes it away, showing by this that the deceased has the right of burial there, but forgoes the honor. After this, the body is taken away».327 Il testo in inglese offre una interpretazione di quello in greco molto distante dalla traduzione letterale. Vediamo le linee che qui interessano: «(Publicola) fu sepolto, anche questo avendolo stabilito per decreto i cittadini, dentro la città presso la cosiddetta Velia, in modo che spetta di diritto alla sua famiglia questa sepoltura. Adesso tuttavia nessuno dei suoi discendenti vi viene sepolto […]». Non mi sembra che si possa dubitare della traduzione di ™t£fh come “fu sepolto”. Dionigi di Alicarnasso, infatti, precisa che «kaˆ cwr…on œnqa ™kaÚqh kaˆ

™t£fh [….] ™n tÍ pÒlei sÚnegguj tÁj ¢gor©j ¢pšdeixen ØpÕ OÙel…aj».328

Publicola, come abbiamo già detto, fu cremato e sepolto sulla Velia.

A conferma definitiva può essere chiamato il passo di Cicerone in cui si ricordano le eccezioni alla norma che vietava le sepolture in urbe. Attico, come abbiamo già visto, parla di uomini «qui post XII in urbe sepulti sunt»: Publicola, Tuberto e Fabrizio Luscino sono gli esempi citati da Cicerone. Tali eccezioni, impossibili secondo Frischer, sono testimoniate proprio dall’oratore nel de legibus: difficile mettere in dubbio la validità di questa fonte - che peraltro non viene presa in considerazione riguardo all’esistenza di sepolture in urbe virtutis causa - e il significato del verbo sepelire qui utilizzato.329

Ne possiamo concludere che Cicerone, Dionigi e Plutarco parlano di una tomba e non di un monumento commemorativo. Buona parte della costruzione messa in piedi da Frischer per quanto riguarda i memorials di Roma, ne viene inficiata. Del resto anche le considerazioni sui modelli di ispirazione di tali monumenti commemorativi procedevano a dir poco su un terreno scivoloso. Di Acca Larentia e della sua connessione con il mondo funerario in quanto mater Larum, abbiamo già detto altrove: ingenua l’osservazione che in quanto figura mitica non poteva avere una tomba reale e fuori luogo la definizione del sepulcrum Accae come «commemorative altar».330 Per

327

FRISCHER 1982-1983, p. 58. La traduzione del testo di Plutarco usata è quella della Loeb, che tuttavia lo studioso - come dichiara a n. 38 - ha provveduto ad adattare.

328 Dion. Hal., Ant. Rom. 5, 48, 3: «[…] e (il Senato) assegnò (a Publicola) un luogo in città vicino al Foro

ai piedi della Velia, dove fu cremato e sepolto». Sul carattere di bustum di questa sepoltura: Serv., ad

Aen. 11, 201; Fest. 29 L.

329 La precedente menzione del divieto di seppellire o cremare all’interno della città (Cic., de leg. 2, 23,

58: «in urbe ne sepelito neve urito»), mi permette di escludere che in questo caso sepelire voglia indicare la cremazione.

330

quanto riguarda invece il Niger Lapis, negli stessi anni in cui usciva il lavoro di Frischer, vi si riconosceva il Volcanal del Foro, luogo destinato alla morte di Romolo e non alla sua tomba, che quindi inutilmente sarà cercata sotto il pavimento in marmo nero.331

Quanto detto nel paragrafo precedente mi esenta dal parlare nuovamente del sepolcro di Bibulo, di cui si è stabilito il carattere di sepulcrum publicum; sulla Colonna Traiana e gli ustrina degli Antonini tornerò in seguito.

In sintesi la tradizione letteraria sulle sepolture in città e i funera publica è coerente e non sussistono validi motivi per metterla in dubbio: Valerio Publicola, Postumio