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Gli acta degli Arvali, il templum novum e l’aedes Divorum

L A DINASTIA GIULIO CLAUDIA E LA NASCITA DEL FUNUS IMPERATORUM

5. Gli acta degli Arvali, il templum novum e l’aedes Divorum

Veniamo adesso all’esame degli atti degli Arvales.716 Fino a ora abbiamo fatto solo brevi accenni a questi documenti, benché forniscano una serie di dati molto interessanti. Nei commentari, infatti, troviamo la menzione di due edifici legati al culto degli imperatori divinizzati: il templum novum divi Augusti e una non meglio identificata

712 Suet., Tib. 74; Plin., N.H. 35, 40, 131. Al suo interno, come ricorda Plinio, si trovava anche la

colossale statua bronzea dell’Apollo Tuscanico: Plin., N.H. 34, 18, 43.

713 Suet., Dom. 20: «Liberalia studia imperii initio neglexit, quamquam bibliothecas incendio absumptas impensissime reparare curasset»; Mart. 4, 53, 1-2: «Hunc, quem saepe vides intra penetralia nostrae Pallados et templi limina, Cosme, novi»; Mart. 12, 2, 7-8: «(liber) […] / iure tuo veneranda novi pete limina templi / reddita Pierio sunt ubi tecta choro». Secondo Torelli tale denominazione deve essere

attribuita alla presenza di una statua di Minerva, che lo stesso Domiziano avrebbe collocato nella biblioteca del templum novum al posto di quella di Apollo postavi da Tiberio: TORELLI, in LTUR I, s.v.

Bibliotheca templi divi Augusti, p. 197. 714 R

ODRÍGUEZ ALMEIDA 1985-1986.

715 In un studio sulle domus imperatoriae sul Palatino, Royo aveva proposto di identificare la biblioteca di

cui parlano le fonti letterarie in relazione con il tempio del divo Augusto con quella del palazzo imperiale e la collocava in corrispondenza dell’edificio scavato sotto S. Maria Antiqua: ROYO 1999, pp. 358-360. L’argomento è stato ripreso di recente da Coarelli, secondo il quale l’intervento di ricostruzione voluto da Domiziano comportò l’avvicinamento della biblioteca del tempio al palazzo imperiale. Sulla base dei dati archeologici e delle indicazioni fornite dalle fonti letterarie lo studioso conclude a favore di una identificazione dell’edificio con l’aula domizianea che si apre sul vicus Tuscus: COARELLI 2009, pp. 84- 85.

716 Si tratta di un corpus di atti epigrafici incisi di anno in anno dal collegio su grandi lastre di marmo, a

partire da una data ignota, che andrà tuttavia messa in relazione con la ‘riforma’ del culto promossa da Augusto e dai suoi collaboratori. Disponiamo di circa 250 iscrizioni, molte delle quali conservate in modo frammentario, per un periodo compreso tra il 21 a.C. e il 304 d.C. Questi documenti hanno permesso di conoscere in maniera approfondita l’attività degli Arvali a partire dai primi anni dell’impero. Per uno studio complessivo e accurato sull’argomento si rimanda agli scritti di Scheid, che nell’arco di venti anni ha studiato il collegio, i meccanismi di reclutamento al suo interno, le sue attività, il ruolo giocato nel culto pubblico, ricostruendo così la vita di uno dei più antichi sacerdozi di Roma sulla base di un’attenta rilettura sia delle fonti letterarie che degli atti epigrafici: SCHEID 1975; SCHEID 1990; SCHEID 1990A; SCHEID 1998.

aedes Divorum in Palatio.717 Bisogna prima di tutto fare una distinzione cronologica tra le due serie di dati: il templum novum fa la sua apparizione sugli atti redatti dal collegio degli Arvali nel 37 d.C., quando sembra essere oggetto di un decreto.718 Durante gli anni di regno della dinastia giulio-claudia, dai resoconti degli Arvales risulta che il tempio del divo Augusto fu palcoscenico di tutta una serie di cerimonie legate al culto imperiale, compresa la nuncupatio votorum.719 Non si hanno, invece, più menzioni del templum novum dopo il 69 d.C. Il fatto è da mettere in relazione con l’ascesa al soglio imperiale di Vespasiano, che determinò una rottura con la dinastia giulio-claudia. Tutti i successori di Augusto, infatti, cercarono di legittimare il loro potere richiamando ed esaltando la loro discendenza dal primo imperatore divinizzato: in questo senso devono essere interpretati anche i sacrifici al templum novum.720 Per i Flavi, tuttavia, questa operazione non aveva più alcun interesse: essi non potevano appellarsi a nessun legame familiare con Augusto. Per questo motivo, probabilmente, dagli atti degli Arvales scompaiono i sacrifici al santuario del Velabro immediatamente dopo l’ascesa al trono di Vespasiano nel 69 d.C.721 D’altra parte, come abbiamo visto, il tempio continuò a vivere anche sotto la dinastia flavia e fu probabilmente ricostruito da Domiziano insieme alla vicina biblioteca, distrutta da un incendio.

Per quanto riguarda l’aedes Divorum, i commentari degli Arvales la collocano in Palatio, e la ricordano per le cerimonie che vi si svolsero nel 145 d.C., nel 157 e nel 218 d.C.722 In tutti e tre gli anni l’imperatore rivestiva la carica di magister del collegio e, in quanto tale, era tenuto a celebrare il banchetto del secondo giorno del sacrum per la dea Dia nella sua abitazione.723 L’unico altro esempio che gli atti del collegio ci hanno

717

Cecamore sostiene che il tempio del divo Augusto sul Palatino si sarebbe trasformato in Divorum, accogliendo i membri divinizzati della famiglia giulio-claudia a partire da Livia: CECAMORE 2002, pp. 173-185.

718 Si veda CFA 11, l. 14. 719

Per le cerimonie del culto imperiale, che si aggiunsero ai riti officiati dal collegio sacerdotale in seguito all’intervento riformatore di Augusto, si rimanda all’ampia trattazione in SCHEID 1990A, pp. 384- 439.

720 I sacrifici davanti al santuario dinastico sottolineavano i legami dei nuovi imperatori con il fondatore

del principato: veniva così legittimata la loro posizione e definito il loro status in quanto discendenti di un

divus, destinati a seguire la stessa sorte. Si ricordi l’ironia di Vespasiano, che in punto di morte esclamò:

«Vae […] puto deus fio» (Suet., Vesp. 23).

721 Per la politica adottata dai Flavi e la sostituzione del nomen Flavium a quello Iulium anche sul piano

topografico, si veda TORELLI 1987, pp. 562-581.

722 CFA 78, ll. 24-25; 81, col. II, ll. 4-5; 100 a-b, l. 6.

723 Il sacrum deae Diae in età imperiale occupava tre giorni e prevedeva riti che si svolgevano sia nel

bosco sacro sulla via Campana, sia dentro Roma, nell’abitazione del magister di quell’anno: PALADINO 1988, pp. 85-191; SCHEID 1990A, pp. 441-675.

tramandato di una tale circostanza appartiene al 38 d.C., durante il regno di Caligola.724 In questo caso sull’epigrafe è precisato che il banchetto con il sacrificio ebbe luogo «in domo sua quae fuit Ti. Caesaris avi», vale a dire nella domus Tiberiana sul Palatino. Questo permette di ipotizzare che anche nel 145, nel 157 e nel 218 l’area interessata fosse quella del palazzo imperiale e che qui debba essere collocata la aedes Divorum di cui si parla nei commentari degli Arvales. Escluso che possa trattarsi del tempio del divo Augusto al Velabro, risulta comunque molto difficile farsi un’idea di un tale edificio cultuale sulla base dei soli commentari epigrafici.725 Tuttavia gli elementi del rituale studiati dallo Scheid permettono almeno di formulare qualche ipotesi.726 Gli atti del 38 d.C. ricordano che gli Arvales utilizzarono per il sacrificio un’ara sub diu, vale a dire a cielo aperto.727 Ora, in una occasione analoga, il 17 maggio del 155 d.C., i membri del collegio si riunirono «in hortis Umbri Primi» per dare inizio alla festa in onore di dea Dia.728 Questo lascia intendere che almeno una parte della cerimonia, quella che prevedeva un sacrificio su di un altare, si svolgeva in un’area aperta, un peristilio o un viridarium, secondo un’ipotesi di Scheid. Possiamo pensare, quindi, che anche nel 145 e nel 218, quando il sacrificio si svolse nel palazzo imperiale, si fosse utilizzata a questo scopo un’area cultuale dalle caratteristiche simili a quelle messe in evidenza da Scheid in relazione ai sacrifici che avvenivano nella domus del magister. In questo caso specifico si può pensare all’esistenza di una struttura dedicata al culto

724 CFA 12 c, ll. 38-44. 725

Lugli e Torelli ritenevano che i termini aedes Caesarum e aedes Divorum individuassero un unico edificio di culto, da identificare con il sacrario palatino di Augusto. La loro dimostrazione si fondava sulla ipotetica trasformazione del sacrarium in tempio del culto pubblico sotto Claudio, che avrebbe affiancato al culto del divo Augusto quello di Livia. Da questo momento in poi si sarebbero aggiunti tutti i divi della famiglia giulio-claudia, rendendo possibile una ridenominazione del tempio in aedes Caesarum o

Divorum (LUGLI 1941, pp. 29-58; TORELLI 1982, pp. 63-88). Abbiamo già visto i punti deboli di questa ipotesi, su cui è inutile soffermarci di nuovo. In LTUR I, s.v. Augustus, divus, sacrarium; aedes -

Augustus, divus, templum (novum); aedes, pp. 143-146, Torelli attribuisce dubitativamente la notizia di

un aedes Caesarum al tempio del Velabro, mentre quella dell’aedes Divorum al sacrario palatino. In molti, invece, pensano che entrambe le notizie debbano essere riferite al templum novum (CASTAGNOLI 1979, pp. 332-347; HÄNLEIN-SCHÄFER 1985; FISHWICK 1992, pp. 232-255; CECAMORE 2002, pp. 159- 211). La questione è complicata: a mio avviso deve essere esclusa tanto l’identificazione dell’aedes

Caesarum con il templum novum, quanto quella dell’aedes Divorum con il sacrario palatino. È probabile

invece che l’aedes Caesarum di Svetonio debba essere identificata con l’aedes Divorum, che gli atti precisano essere collocata in Palatio: si veda a questo proposito KRAUSE 2002, pp. 83-97; KRAUSE 2004, pp. 48-49.

726

SCHEID 1990A, pp. 506-509.

727 S

CHEID 1990A, p. 507; CFA 12 c, ll. 38-44.

728 CFA 80, ll. 24-27: «in hortis Vmbr[i] Primi fratres Arvales prae[textati sacrificium deae Diae] / advenientes t[u]re vino f[e]cerunt, ibique di[scumbentes toralibus segmen-]/tati cum publicis ad aram [r]ettulerunt [...]» (17 maggio 155 d. C.).

privato all’interno del palazzo stesso o nei pressi di questo, che assunse a partire da un certo momento il nome di aedes Divorum.729

Queste osservazioni ben si accordano con il recente riconoscimento da parte di C. Krause di una vasta area cultuale di forma trapezoidale, costruita sopra le vestigia delle case di Augusto e Livia sul Palatino (Fig. 12).730 La creazione di quest’area, che comportò la completa obliterazione delle due abitazioni, viene datata da Krause intorno alla metà del I d.C., in relazione all’incendio che distrusse la casa di Caligola sul Palatino dopo la sua morte, o più probabilmente, negli anni immediatamente successivi a quello meglio noto del 64 d.C., momento in cui si colloca anche la seconda fase edilizia della domus Tiberiana. Al centro di questo vasto spazio viene ipotizzata la presenza di una aedes, di cui purtroppo non restano tracce se si escludono due muri assiali, forse prolungamento di quelli della cella. Ben visibili sono invece tre grandi pilastri disposti in asse e simmetria con l’area, destinati con ogni probabilità ad accogliere le statue dei divi della famiglia imperiale.731 I dati archeologici e topografici unitamente a quelli tratti dalle fonti letterarie e epigrafiche, che attestano l’esistenza di un luogo di culto degli imperatori divinizzati della dinastia giulio-claudia sul Palatino nei pressi del palazzo imperiale, sembrano confermare la proposta di Krause di riconoscere in questa struttura, le cui forme richiamano i templi dei divi, l’aedes Caesarum o Divorum.732 La notizia di Svetonio, secondo la quale l’edificio nel 68 d.C. fu colpito da un fulmine che distrusse alcune statue e tolse lo scettro dalle mani di quella di Augusto, costituisce un solido terminus ante quem per la sua costruzione, coerente con i dati archeologici relativi all’area cultuale individuata da Krause.733 Questo santuario in nessun modo può essere identificato con il templum novum divi

729

Potrebbe trattarsi dell’aedes Caesarum menzionato da Svetonio (Galba 1). Si può pensare che l’edificio in questione avesse in seguito ricevuto tale nome da Domiziano, venendo così a costituire un parallelo del Divorum nel Campo Marzio.

730 K

RAUSE 2002, pp. 94-97; KRAUSE 2004, pp. 48-49.

731

KRAUSE 2002, pp. 96-97; KRAUSE 2004, p. 48, fig. 68. Coarelli ritiene possibile la provenienza dal santuario di una colossale testa di Vespasiano appartenente alla Collezione Farnese: COARELLI 2009, p. 93, n. 298 a p. 97.

732 Così anche P

ERRIN 2005, p. 557, n. 17. Di recente Coarelli ha portato un nuovo elemento a favore di questa identificazione, proposta dalla scrivente sulla base della documentazione letteraria e da Krause per via archeologica: nell’area sottostante il peristilio della domus Liviae, durante gli scavi del 1869, fu rinvenuta una fistula con l’iscrizione Caesarum (CIL XV 7265) preceduta da una parte rovinata e illeggibile, che forse è da mettere in relazione con l’aedes Caesarum: COARELLI 2009, pp. 92-93.

733

Augusti, dal momento che quest’ultimo continua a essere conosciuto con tale nome nelle fonti numismatiche ancora alla metà del II secolo d.C.734

Dai dati elencati mi sembra di poter concludere che esistevano due templi del divo Augusto a Roma: quello del culto pubblico e il sacrarium per il culto privato.

Il santuario ufficiale sorgeva nella valle del Velabro e a questo si possono attribuire tutte le notizie letterarie prive di un’indicazione topografica precisa.735 Il tempio del culto privato, invece, era stato fatto costruire da Livia sul Palatino, in corrispondenza del sito della casa natale di Ottaviano.

Infine, vi era un terzo luogo di culto nei pressi del palazzo imperiale, la cui esistenza testimoniata dalle fonti letterarie già per il 68 d.C. con il nome di aedes Caesarum736 e in quelle epigrafiche a partire dalla metà del II d.C. come aedes Divorum,737 forse in seguito a un intervento di Domiziano, ha trovato una recente conferma negli scavi di Krause nell’area delle case di Augusto e Livia.738

3. TIBERIO

1. I funerali di Germanico, Druso Minore e Livia: nuove disposizioni in materia di