• Non ci sono risultati.

2.1 La ‘costruzione’ dello spazio pubblico

2.1.2 I temi dello spazio pubblico

Le tensioni emerse nella definizione e nell’analisi dello spazio pubblico si manifestano nel tentativo di stabilirne le caratteristiche fisiche e sociali, i valori e il ruolo che questo riveste. Stephen Carr definisce lo spazio pubblico come “il palco

in cui il dramma della vita collettiva si dispiega”, dove gli elementi fisici della città

consentono e flussi e riflussi degli scambi tra gli individui (1992). Nella letteratura non è insolito che vi siano narrazioni o analisi dello spazio urbano che mettano in relazione il concetto di cittadinanza con il peculiare mix sociale che può crearsi negli spazi pubblici, considerato come precondizione per la formazione civica della comunità (Mazzette, 2013). L’ampia riflessione sullo spazio pubblico, di cui in questa ricerca si riportano alcuni tra i principali filoni di pensiero, non si esaurisce nella ricerca di un confine più o meno netto tra la dimensione pubblica e quella privata. Piuttosto sembra che questa discussione, problematizzata in funzione di un good or ideal public space suggerisca la necessità di formulare un modello concettuale che identifichi la condizione di pubblico nelle sue dimensioni inter-correlate, tra cui non solo la proprietà, quanto anche la gestione, gli usi e i gradi di fruizione (Németh & Schmidt, 2011).

Un equivoco ricorrente nell’analisi dello spazio urbano è quello di considerare lo spazio pubblico un contenitore vuoto, di sottrazione rispetto agli spazi della vita domestica o del lavoro, invece ben definiti e articolati nella mappa degli usi urbani (Sanli, 2016). Come si poteva intuire nel precedente paragrafo, individuare gli elementi dello spazio pubblico, per quanto possibile, diventa utile se finalizzato alla comprensione delle possibili combinazioni che lo caratterizzano e che consentono l’interazione tra soggetti e oggetti. Inoltre, è necessario tenere

Fig. 12 · Paris Street, Rainy Day, Gustave Caillebotte,1877. Art Institute

presente le forze a cui lo spazio e gli individui risultano vulnerabili e che hanno il potere di manipolare e veicolare la percezione dello spazio, i ricordi collettivi dei cittadini e gli stili di vita connessi al suo utilizzo (Ibid.). Alla luce di queste considerazioni, ogni tentativo strutturato di concettualizzare le dinamiche socio-spaziali è pertanto passibile di ulteriori interpretazioni che ne colgano gli aspetti soggettivi e sensibili strettamente contestuali, legati al variare del tempo e all’evolversi del dibattito e della cultura urbana, delle tecnologie, degli stili di vita. Quello che invece rimane pressoché invariato nel corso dell’ultimo secolo— quantomeno in termini di principio e nelle modalità di produzione e riproduzione dello spazio—sono i temi legati alla sua principale dimensione pubblica, anche in contrapposizione a quella privata. In particolare alcune delimitazioni di campo appaiono strumentali per delineare gli attori e gli elementi tangibili dello spazio, partendo dai quali sarà possibile avviare una riflessione circa l’impatto, diretto o indiretto, che tali forze o oggetti esercitano sulle modalità in cui lo spazio è vissuto. È a partire dalla natura pubblica dello spazio che se ne individuano i temi fondanti, i quali possono essere ricondotti alle relazioni economiche e sociali che ne caratterizzano l’uso, individuale e sociale, la proprietà, la gestione, ma anche la prossimità e il grado di accessibilità e visibilità. Come vedremo, questo si rifletterà sia sul piano dell’attuazione di politiche urbane mirate al miglioramento della qualità della vita, sia in riferimento alla qualità delle differenti configurazioni spaziali imposte dal progetto.

In particolare sul piano della dicotomia pubblico/privato e contrariamente all’opinione di Jane Jacobs (1961) non è possibile definire una demarcazione precisa tra l’uno e l’altro nella realtà del quotidiano, possiamo invece concordare sul fatto che esistano gradi di permeabilità (Madanipour, 2003) in luogo delle molteplici e complesse combinazioni tra oggetti e soggetti nello spazio, per cui non possono essere definite azioni che siano esclusivamente pubbliche o esclusivamente private (Mitchell, 2003). Volendo monitorare le nostre attività

quotidiane, ci accorgeremmo che queste sono definite da una successione di spostamenti da spazi pubblici a privati, dallo spazio intimo della casa, a quello interpersonale della scuola o del posto di lavoro, a quello talvolta impersonale dello spazio urbano. Il modo in cui questi luoghi e spazi della nostra vita vengono intesi in termini di equilibrio pubblico-privato condiziona anche il modo in cui vengono vissuti e le convenzioni socio-comportamentali legati al loro utilizzo. Questa divisione si delinea più nettamente nella definizione di cosa sia pubblico

e cosa sia privato, in luogo dell’accesso da uno spazio all’altro: questo passaggio meno fluido si manifesta nell’ampio corollario di simboli e codici che identificano l’uno o l’altro spazio. Come evidenziato da Madanipour, per le stesse ragioni, questo è il luogo della permeabilità tra le due dimensioni, dove al limite con la sfera privata, si trova il luogo dello scambio e della vita sociale, sostenendo che maggiore è il grado di ambiguità e di efficacia nella comunicazione tra le due parti, maggiore sarà il grado di civiltà di un luogo (2003).

Insieme, il pubblico e il privato concorrono alla creazione di quello che potrebbe essere chiamato, nelle parole di Richard Sennet, l’universo delle relazioni sociali (1974). Habermas in The Structural Transformation of the Public Sphere considerava la sfera pubblica come uno spazio astratto tra la società e lo stato, un corpus di soggetti privati che si riuniscono per discutere temi di pubblico interesse o di interesse comune (Op. cit., 1962 in Mazzette, 2013). Sebbene questa posizione venga collocata dalla critica in una prospettiva borghese liberale, esclusiva di altre forme di pubblico non ufficiali o interstiziali, sulla base di questo principio si è comunque affermata una concezione di “normativa ideale” entro cui collocale gli attori, pubblici e privati, che agiscono sullo spazio (cfr. Fraser, 1990). Tali interventi di carattere gestionale e amministrativo agiscono imponendo limitazioni nell’uso dello spazio urbano nel tentativo di reprimere, se non quando sopprimere, abitudini e comportamenti che potrebbero minare l’ideale di ordine e controllo imposto dalle stesse normative, escludendo talune categorie sociali non conformi alle norme che regolano la fruizione dello spazio (Mitchell, 2003; Nemeth, 2011).

In tal senso ci si riferisce al tema del governo come quel corpus normativo attraverso il quale lo spazio viene controllato e manutenuto e in maniera ancor più specifica, si intendono le indicazioni rispetto ad usi, utenti e abitudini consentite—o considerate accettabili—in un dato luogo (Nèmeth & Schmidt, 2011). Gli attriti tra le esigenze economiche e amministrative del governo pubblico da un lato e le forme di territorializzazione della comunità residenti dall’altro, non sembrano essersi completamente risolte nelle forme di Partenariato Pubblico Privati (PPP) quanto forse nel sempre più diffuso concetto di bene comune (i cd. commons). Quest’ultimo si colloca come categoria alternativa di gestione, affiancata a quella strettamente pubblica o privata—only private/only public

actions—rappresentando “delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio

Fig. 13 · Un uomo viene arrestato per aver creato un serio disturbo alla

fermata del bus nella skid row tra la Settima strada e Spring Streets, Los Angeles. Immagine di Suzanne Stein, 2016.

dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona e delle quali deve essere garantita la fruizione collettiva18”. Un’ulteriore posizione è costituita

inoltre dai POPS, Privately Owned Public Spaces, ovvero spazi di proprietà e manutenzione privata di cui viene garantito l’uso pubblico in cambio di superfici bonus o deroghe19. I POPS sono il risultato della regolamentazione urbanistica

della città di New York e sono volte a garantire che in aree particolarmente dense della città possano essere garantiti spazi pubblici di varia natura e dimensione, che si configurano per la comunità alla stregua di un qualunque altro servizio urbano. Le forme di ibridazione tra pubblico e privato sono molteplici, consentendo che a fronte di una proprietà pubblica dello spazio, vi si possa esercitare una gestione privata in termini di concessione, di utilizzo o manutenzione, se non quando di vera e propria trasformazione, mentre altre prevedono che una proprietà privata possa essere di pubblica accessibilità. In tal senso, è necessario comprendere in che modo l’attore privato agisce e partecipa alla gestione e al governo del territorio, chiarendo quando questo può essere individuato negli individui privati che formano la collettività del pubblico, o nei soggetti che nello spazio urbano intendono trovare un qualche profitto di natura economica. Questa chiarificazione non è tanto utile a fornire un quadro normativo delle forme di negoziazione del privato con il pubblico, quanto per avere contezza di quali limitazioni questa presenza possa imporre all’accessibilità collettiva degli spazi della città, anche e soprattutto in termini di democrazia urbana.

Nella riflessione di Németh e Schmidt (2011) rispetto alla gestione privata dello spazio pubblico vengono individuati sinteticamente i principali tre aspetti da considerare in questa relazione:

• le regole di accesso disposte dal privato in carico della gestione dello spazio non sempre coincidono con l’interesse pubblico o della collettività, limitando talvolta anche la libertà di parola e di protesta;

• gli spazi privati possono fungere da dispositivo di marketing attraverso

18. Il testo è tratto dalla definizione di bene comune data in luogo del Disegno di legge delega per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici, redatta dalla Commissione Rodotà.

19. Per ulteriori informazioni sui POPS il New York City Planning Department mette a disposizione il portale online consultabile al link: https://www1.nyc.gov/site/planning/plans/pops/pops.page

il posizionamento di pubblicità e marchi, quanto anche la restrizione di accesso a una data area, facendo ricorso a una sorta di “pulizia” dei soggetti indesiderati piuttosto che preoccuparsi della qualità del progetto o del mix sociale;

• la sicurezza, considerata come la libertà dal crimine contro la persona, è un tema particolarmente sentito dall’11 settembre 2001 e non è raro che venga usato come pretesto per giustificare quanto ai punti precedenti, osservando come a fronte di un considerevole e diffuso aumento di misure securitarie sullo spazio pubblico, queste abbiano di fatto aumentato la percezione di insicurezza degli utenti.

Se da un lato alcuni strumenti di governo della città pongono le basi per una cooperazione tra il pubblico e il privato attraverso un’integrazione sinergica di professionalità e competenze (Mariano, 2012) allo stesso tempo non è chiaro come ci si debba confrontare con il diritto di proprietà privata, che consente ai titolari dello spazio di poter escludere, ancora una volta, intere categorie sociali considerate sgradevoli o problematiche in termini di immagine o ordine, dagli indigenti ai senzatetto, fino in alcuni casi, ai bambini e agli adolescenti (Mitchell, 2003). Queste formule lasciano intendere che la presenza del privato venga così ampiamente consentita perché lo stato possa essere parzialmente esonerato dal governo della città, aprendo però a forme di policy non sempre democratiche. Non sorprende quindi che vi siano interessanti analisi della letteratura (cfr. Cassegard, 2014) che indagano la dimensione pubblica dello spazio urbano nelle forme e nei gradi di contestazione e aggregazione, in risposta alla codificazione di norme e regole comportamentali di questa natura.

La dimensione esclusiva ed esclusionaria del diritto di proprietà si scontra inevitabilmente con il diritto inalienabile di abitare la città (Mitchell, 2003). Come ampiamente affrontato da Don Mitchell nel testo The Right to the City, Social

Justice and the Fight for Public Space (2003), questo atteggiamento si manifesta in

maniera specifica nell’interesse di proteggere una proprietà attraverso un sistema di norme e regole mirate a mantenere un certo tipo di ordine, non ad evitare più genericamente il ‘disordine’, e si traduce in un atteggiamento repressivo o oppressivo che talvolta non manca di essere operato grazie all’aiuto dello Stato. Un’ulteriore questione sollevata dall’autore è quella relativa all’uso pretestuoso

delle politiche mirate alla qualità della vita atte a legittimare tali ordinanze repressive. Per spiegare questo meccanismo Mitchell fa ancora una volta ricorso all’interpretazione paradossale alla teoria della finestra rotta20: se la presenza di

una finestra rotta è effettivamente la causa del perpetrarsi di un atteggiamento vandalico, eliminarla dovrebbe limitare tali abitudini pericolose e illegali. Secondo questo principio, migliorare l’estetica di un quartiere degradato passa da un processo di trasformazione urbana, sia fisica che sociale, mirata all’eliminazione— se non quando al rastrellamento21—di tutti gli elementi di disturbo considerati alla stregua della finestra rotta (Mitchell, 2003). Lo spazio pubblico sottoposto a queste relazioni di potere non è solo vulnerabile quanto anche adattabile a queste complesse e dinamiche condizioni e in tal senso va analizzato anche il ruolo del progetto urbano, che talvolta si configura come strumento attuativo di politiche esclusionarie o più in generale di prescrizioni concettuali o ideologiche riferite alla città. La specializzazione degli spazi di produzione ad opera dei processi di industrializzazione e dell’evoluzione tecnologica delle comunicazioni e dei trasporti ha, una prima fase, fortemente cambiato anche lo spazio urbano, la cui perdita di scala umana (Jacobs, 1961; Gehl, 1971, 2011, 2013) ha minato soprattutto gli spazi della coesione sociale, anche ad opera della più recente despazializzazione delle attività della vita quotidiana (Madanipour, 2003).

I temi della città contemporanea ci spingono però a riflettere anche su altre questioni, di dimensione urbana differente, talvolta anche puntuale, ma sempre legate all’uso del progetto come strumento di manipolazione o comunque nei suoi potenziali effetti negativi per la vita sociale. Questo si traduce non solo sul piano della privatizzazione o dei fenomeni di mercificazione dello spazio, e quindi ai fenomeni connessi alla gentrificazione, quanto anche in epoca di deindustrializzazione, sul ruolo del progetto di spazio pubblico nei processi di rigenerazione urbana. La qualità progettuale dello spazio urbano è un tema di grande complessità che abbraccia questioni legate all’esecuzione, alla

20. La teoria della finestra rotta è stata postulata nel 1982 da James Q. Wilson e George L. Kelling per descrivere il fenomeno criminologico del disordine urbano, del vandalismo e dei comportamenti anti-sociali. A partire da un primo esperimento condotto già nel 1969 dal professore Philip Zimbardo, presso l’Università di Stanford, che dimostra come a prescindere dal contesto sociale di riferimento, una condizione di partenza di degrado anche minimo, diventa “virale” innescando una reazione a catena di incuria e atti vandalici.

21. Si vedano in tal proposito gli episodi di sfollamento dei senzatetto ad opera di Rudolph Giuliani nella città di New York

Fig. 14 · Stato di incuria del piccolo parco urbano alla tomba ellenistica,

Reggio calabria, 2018.

manutenzione e alla programmazione dello spazio pubblico, e che a vario titolo incidono sulla sua accessibilità e percezione (Carmona, 2010). Il tema dell’accessibilità viene affrontato ampiamente dalla letteratura, sia nella sua accessione fisica che sociale, ma è in particolare nella sovrapposizione delle due che la ricerca vorrà soffermarsi, associando alla dimensione dell’accessibilità quella dell’intersoggettività e dell’uso dello spazio intese come qualità complessiva delle possibili attività e delle opportunità di interazione e incontro che lo spazio facilita (Németh, Schmidt, 2011).

In tal senso l’aspetto della programmazione dello spazio pubblico, anche in termini progettuali oltre che culturali, assume un valore fondamentale nell’attribuzione di significato a un luogo che per definizione dovrebbe assolvere al ruolo di catalizzatore della attività sociali urbane. Questa condizione dipende in maniera molto specifica, come verrà approfondito in seguito, dalla tipologia di spazio e dalla qualità degli elementi che lo configurano, e dalla percezione di quel luogo in funzione proprio delle possibili combinazioni tra usi e utenti (Ibid.). Gli usi, le funzioni, le attività, o più in generale quel corollario di opportunità che lo spazio pubblico offre coprono un range di possibilità che varia dall’esercizio della democrazia alle attività ricreazionali passive (cf. Marcuse). Lo spazio pubblico ideale dovrebbe sostenere la coesione, intesa come senso di fiducia, cultura e

ricchezza economica e sociale che caratterizzano una comunità (Venturini et al.,

2016), e incoraggiare l’interazione, possedere cioè certe caratteristiche astratte di varietà, flessibilità, permeabilità o autenticità, consentendo anche una certa varietà di usi imprevisti, immediati, non pianificati (Németh, Schmidt, 2011).

La dimensione pubblica dello spazio urbano, da sola, non è quindi una condizione sufficiente a garantire la definizione di spazio pubblico (Mariano, 2012) così come un singolo spazio pubblico, da solo, non può rispondere alla varietà di usi, requisiti e valori di cui viene investito dalle diverse posizioni della letteratura. L’esperienza dello spazio, nei complessi e non sempre codificati aspetti della vita sociale (Lefebvre, 1974) è in grado di produrre e conferire sempre nuovi e mutevoli significati ai luoghi della città, ponendo una grande sfida allo urban

design (Madanipour, 2003) non solo per le sue implicazioni progettuali quanto

ancora per quelle normative e amministrative. La città non è soltanto oggetto di percezione e godimento, ma il prodotto della trasformazione di innumerevoli operatori che ne mutano la struttura, i dettagli, ne controllano la crescita e la forma,

in un susseguirsi continuo di fasi (Lynch, 1964). In questo senso lo urban design, come processo e progetto insieme, è da considerarsi un’attività integrata, di scala infrastrutturale, che per questo supera la sfera fisica, facendosi contaminare da quella etica nella ricerca di precisi valori, come la democrazia urbana e la giustizia sociale. Decifrare queste dinamiche significa in altre parole considerare lo spazio pubblico non più come un oggetto statico ma come un progetto in movimento, come qualcosa che una volta realizzato viene continuamente trasformato dai suoi utenti, modificato da tutto ciò che accade all’interno e all’esterno (Latour et al. 2008). La configurazione fisica dello spazio funge da soluzione di continuità tra le scelte amministrative e gestionali delle politiche urbane e il modo in cui le comunità le percepiranno (Lefebvre, 1974) e il progetto di spazio pubblico può essere considerato come il collante delle dinamiche socio-spaziali, da un lato fornendone gli elementi tangibili, dall’altro contribuendo a stabilire le più o meno tacite regole comportamentali ammesse per utilizzarli (Gehl, 2013). Alla luce di quanto detto, il progetto di spazio pubblico assume in questo senso una connotazione strategica ancora più ampia, che investe tutte le dimensioni dello spazio urbano, da quelle fisiche—la piazza, il parco, il marciapiede, la strada, lo slargo, il vuoto nell’edificato—a quelle sociali legate alla vita quotidiana, a quelle percettive legate ai codici e ai simbolismi culturali propri di ogni comunità. La dimensione progettuale appare essere quella a cui prestare maggiore attenzione, proprio per la sua capacità di limitare, negare o al contrario agevolare o consentire molteplici attività legate alla vita pubblica, dalla socializzazione all’acquisto di beni e all’erogazione di servizi, dalla mobilità alle attività legate al tempo libero e allo sport.