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2.2 Declino e rinascita dello spazio pubblico

2.2.2 La rinascita del concetto

Dalla crisi del modello di città industriale nel XX secolo emergono nuove espressioni della cultura urbana che richiedono una radicale trasformazione dello spazio e della vita sociale (Scott, 2008). Le sempre crescenti pressioni ambientali e socio-economiche28 sollecitate da più parti, tra gli studiosi e le politiche nazionali e internazionali, portano a un generale ripensamento della città, del suo funzionamento fin troppo dispendioso in termini di risorse ambientali ed economiche, ma anche in merito alle forme di discontinuità urbana. In questo senso lo spazio pubblico assume un ruolo di prim’ordine come dispositivo in grado di riconnettere, riempire, risignificare i luoghi, restituire prossimità e accessibilità a un sistema urbano che appariva “uno scheletro formale svuotato di contenuti”29 (Scott, 2008). Nel ripercorrere la rinascita del concetto è anche bene

sottolineare come in alcuni contesti il dibattito sullo spazio pubblico non abbia mai subito un’effettiva battuta d’arresto, quanto invece sia stato al centro di un aperto scontro tra diverse scuole di pensiero rispetto alla trasformazione della città. Non sorprende quindi che in epoca contemporanea, il rinnovato interesse per la qualità dell’abitare in ambiente costruito attinga, in maniera più o meno consapevole, dalle animate riflessioni avviate da Jane Jacobs, William Whyte, Kevin Lynch e Jan Gehl.

Seppur con tempi e a velocità differenti, tra le principali ragioni della riscoperta del dibattito sullo spazio pubblico degli ultimi vent’anni, un rinnovato coinvolgimento degli investitori privati nelle questioni urbane in Nordamerica, mentre in Europa questi interessi vengono promossi dai governi locali (Cremaschi, 2008). Gli effetti del primo caso sono stati affrontati nel paragrafo precedente, laddove si sia discusso degli effetti socio-spaziali dell’economia liberale sulla città. Nel secondo caso invece assistiamo ad esiti differenti, a seconda dei contesti urbani, delle capacità amministrative e delle opportunità di rinnovamento e sperimentazione.

Sul finire degli anni ‘60 i costruttori e gli investitori privati della città di New

28. Si veda in questo senso il Rapporto sui Limiti dello Sviluppo del 1972

29. Traduzione personale del testo originale: “City remains something of a formal skeleton devoid of substantive content” Op. cit. 2008

York erano autorizzati a realizzare edifici più alti a patto che il piano terra fosse interessato da un progetto di spazio pubblico, un accorgimento che non era supportato da indicazioni dimensionali o qualitative (Gehl, 2013). È anche sulla base di questi presupposti che si colloca e viene motivato il già menzionato lavoro di William Whyte, collega e mentore di Jane Jacobs. Sebbene ne Whyte ne Jacobs abbiano formazione urbanistica, la rinnovata attenzione al tema apre la discussione a tutti gli attori coinvolti nella produzione di spazio pubblico, con precise le ricadute progettuali e normative contenute nell’Open Space Zoning

Code dalla City Planning Commission di New York nel maggio 1975. Negli stessi

anni in Europa l’architetto Jan Gehl e la moglie Ingrid, psicologa, sono i primi in Danimarca a concentrare il loro studio sulle abitudini urbane in relazione alle condizioni di vivibilità dell’ambiente costruito, rendendo necessaria la formulazione di nuovi e opportuni strumenti di analisi della vita pubblica (Gehl, 2013). Il lavoro di ricerca inizia in Italia, dove la coppia analizza le principali piazze in termini di funzionamento generale e di dettaglio, annotando la posizione delle persone nello spazio—sedute o in piedi, da sole o in gruppo—in funzione dell’orario del giorno, del clima, della stagione, delle attività circostanti, della tipologia di arredo urbano. Gli studi vengono poi applicati ad altri contesti urbani nei quali rintracciare la stretta connessione tra progetto e uso (Gehl, 2013) andando a strutturare un modus operandi tanto preciso quanto flessibile. La risonanza dei Public Space – Public Life Studies è tale da interessare l’accademia nordeuropea, che già si era dimostrata aperta al dibattito sullo spazio pubblico. In epoca contemporanea questi approcci tendono progressivamente a contaminarsi a vicenda, producendo un unico filone di pensiero che integra gli aspetti teorici e analitici e quelli operativi e amministrativi, sia sul piano del progetto che della governance, abbracciando le numerose indicazioni giuridiche e programmatiche fornite in particolare dall’Unione Europea e dalle Nazioni Unite.

La Conferenza di Alborg+10 del 2004 conferma la visione di futuro per le comunità “che prevede città ospitali, prospere, creative e sostenibili, in grado di offrire una buona qualità della vita di tutti i cittadini, consentendo loro di partecipare a tutti gli aspetti della vita urbana” ricalcando i principi dei precedenti summit di Rio del 1992 e la carta di Aalborg del 1994. La seconda carta urbana europea, come manifesto per una nuova urbanità, esprime le proprie preoccupazioni circa l’espansione tentacolare – e insostenibile – dell’ambiente urbano, da contrastare, unitamente alla settorializzazione degli spazi, perseguendo un’idea di città densa e Fig. 20 · “Baseball in DeSoto Park” - complesso abitativo di Pruitt-Igoe, St. Louis, Stati Uniti. Immagine di Michael Allen, fonte: Flickr.

compatta “permettendo di rendere lo spazio urbano più facile, più accessibile, più vivo per tutti gli abitanti, indipendentemente dalle loro condizioni sociali, dallo loro età o dalle condizioni di salute”. La carta ribadisce d’altra parte l’obiettivo di puntare a una visione condivisa di città solidale, come “spazio di qualità di vita per tutti”, luogo di vita e di lavoro, multigenerazionale, multiculturale, multireligioso, dialogante. Il ruolo strategico del progetto di spazio pubblico viene inoltre riconosciuto univocamente dalle Nazioni Unite e incluso tra gli indicatori dell’undicesimo Obiettivo di Sviluppo Sostenibile – Città e Comunità Sostenibili per la sua capacità di “sostenere l’inclusione sociale, l’identità civica e la qualità della vita della città” (UN-Habitat, Agenda for Sustainable Development, Goal 11.7 Public Space).

Le discipline architettoniche e urbanistiche sono state fortemente impegnate nella pianificazione, nello sviluppo e nella critica degli strumenti e del progetto, in una rinnovata visione di città. La scala di quartiere, anche laddove questa si contragga o si espanda in termini di estensione territoriale, è quella in cui i diversi gruppi sociali, etnici e culturali trovano la loro collocazione politica, economica ed estetica (Madanipour, 2001; 2003). In questa dimensione urbana gli abitanti esprimono le loro identità e differenze, svolgono le attività della vita quotidiana muovendosi all’interno di un reticolo spaziale che si articola in funzione del grado di permeabilità tra la dimensione pubblica e quella privata (Madanipour, 2003). In questo senso e per ragioni socio-spaziali, la scala di quartiere risulta essere la più idonea ad essere oggetto di analisi, ipotesi e sperimentazioni progettuali. L’approccio modernista alla creazione di nuovi modelli di insediamento e le pretese sociali di cui questi interventi erano più o meno esplicitamente portatori (Madanipour, 2003) viene progressivamente soppiantato da nuove forme di processo e di progetto, nella consapevolezza che la configurazione urbana svolga un ruolo fondamentale nel corretto svolgimento delle attività urbane, della vita sociale e della qualità della vita (Gehl, 1971; 2010; 2011; 2013; Lerner, 2009; Sevtsuk, 2012). In tal senso, la demolizione del complesso di Pruitt Igoe nel 1972 segna un importante passaggio di questa inversione di tendenza, in cui ci si arrende all’idea che l’architettura possa costituire univoca risposta alle esigenze sociali e urbane, ma soprattutto abbandonando la presunzione razionalista del

tutto o niente e ammettendo i limiti del ruolo del progetto se non nel dialogo

con le altre forme e discipline, da cui altrettanto dipende la qualità dell’ambiente urbano (Sevtsuk, 2012).