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Alcune definizioni: mente-corpo e animo-anima

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 46-50)

Facoltà della mente e metodo di conoscenza

1. Alcune definizioni: mente-corpo e animo-anima

Per Vico, l'uomo è composto di mente e corpo e sia l'una che l'altro concorrono a sviluppare le diverse facoltà umane. Abbiamo già visto come Vico non possa accettare la teoria cartesiana che mette al centro la sola mente e che, a partire da questa, giustifica il corpo. L'uomo è composto da mente e corpo ed entrambi, necessariamente, sono agenti che contribuiscono a sviluppare la sua conoscenza. Gli uomini non sono però solo res cogitans e res extensa, ma sono costituiti anche di un animo e di un'anima. Questi ultimi due non sono propriamente qualcosa a sé stante, ma sono legati rispettivamente alla mente e al corpo. In generale queste quattro parti caratterizzano la natura umana e perciò incidono, nel bene o nel male, sulla sua conoscenza. Prima di analizzare le facoltà conoscitive umane è opportuno definire meglio questi termini. Prima di tutto, è necessario cominciare dalla definizione di mente così come è data da Vico nel De Antiquissima:

In latino mens equivale a quel che è per noi il “pensiero”, e sempre i latini dicevano che la mens agli uomini fosse “data”, “introdotta”, “immessa”. È evidente allora che chi formulò queste espressioni fosse convinto che le idee fossero state create ed eccitate da Dio negli animi umani. Appare quindi naturale che i latini parlassero di animi mens e che riferissero a Dio un assoluto diritto ed arbitrio sui moti dell'animo. Allo stesso modo che la libido, ossia la facoltà di desiderare, sit

suus cuique Deus1.

Per quello che abbiamo visto fino ad ora, qui vengono ripresi molti temi già trattati precedentemente. Quando si parla di mens ci riferiamo al pensiero, il quale è una capacità che l'uomo ha ottenuto grazie a Dio. Inoltre Dio non solo ha donato il pensiero agli uomini, ma egli è anche colui che “eccita” i pensieri umani, cioè che li determina dando un primo impulso alla mens. Questo non vuol dire che è Dio a pensare nell'uomo.

1 De Antiquissima, p. 106. In questo capitolo del Liber Metaphysicus Vico instaura una polemica con Malebranche, che secondo lui è responsabile di aver dichiarato che Dio pensa nell'uomo. Riguardo ciò si veda A. Stile, Anatomia dell'anima: tra Malebranche e Vico, in Vico tra l'Italia e la Francia, op. cit., pp. 263-86.

Vico non vuole assolutamente sostenere questo perché per lui il rapporto Dio-uomo è si un rapporto di subordinazione del secondo rispetto al primo, ma ciò non vuol dire che l'uomo non possa pensare senza Dio. Si può dire piuttosto che la presenza divina si ritrova in ogni cosa esistente. Perciò «truovo esser falso che io penso e che in me pensa Dio; e così intendo in ogni forma particolare esser l'impronto di Dio»2. Dicendo che Dio “eccita” la mente dell'uomo, Vico non fa altro che affermare nuovamente l'azione del conato sull'uomo. Viene qui espresso il medesimo concetto, anche se usando termini diversi, che viene poi ripreso nella Scienza Nuova attraverso la metafora del fulmine. Dio è una specie di imprinting e la mente riesce a riconoscere ovunque la sua presenza nelle cose.

Al corpo, a differenza della mens, non viene dedicato, nel De Antiquissima, un capitolo o paragrafo precisi. Esso viene quasi sempre nominato in contrapposizione alla mente, è il suo opposto. Solo all'inizio del De Uno si ha una trattazione più precisa del corpo. Solo la mente, abbiamo visto prima, può conoscere Dio in quanto è immortale, indivisibile e infinita. Al contrario di questa «il corpo e le cose che al corpo pertengono, come i sensi, che sono cose finite, dividono l'uomo da ogni altro uomo, e perciò circa le cose sensibili, tanti sono gli uomini, quante le opinioni»3. Nel pensare il corpo bisogna quindi sempre aver presente che si ha a che fare con qualcosa che può facilmente portare all'errore, o meglio a diversità di opinioni. Questo, agendo in tal modo, contribuisce solo ad allontanare l'uomo da Dio. «Dunque l'idea dell'ordine eterno; dessa non è immagine corporea perché il corpo ch'è cosa che sfugge e non dura, ed è sfuggevole per essere corpo, non può produrre cosa eterna e superiore al corpo. Il corpo finito, e le cose finite tengono gli uomini appartati e disgiunti»4.

Veniamo ora all'animo e all'anima. Come detto, questi due principi hanno a che fare con la mente e con il corpo, cioè sono legati ad essi. Vico ne dà una definizione molto simile nel De Antiquissima e nelle due ultime edizioni della Scienza Nuova:

Dovetter, ancora con giusto senso, sentir che l'animo 'l veicolo sia del senso, perché restò a' latini la propietà dell'espressione «animo sentimus». E, con giusto senso

2 Risposta I, p. 329. 3 OG, p. 40.

4 Ibidem. Riporto anche la nota di Cristofolini, il quale esprime la necessità di cambiare la traduzione nel modo seguente a causa di un quod in più che presenta l'edizione di Sarchi, da lui usata, ma che invece non è presente nell'edizione di Nicolini. Per cui la traduzione viene rielaborata in questo modo: «l'idea dell'ordine eterno, essa non è immagine corporea, perché il corpo è cosa fuggevole e, proprio perché è cosa fuggevole, non può dar vita a niente di extracorporeo ed esterno».

altresì, fecero l'animo maschio, femmina l'anima, perché l'animo operi nell'anima (che è l'«igneus vigor» che dice Virgilio); talché l'animo debba avere il suo subbietto nei nervi e nella sostanza nervea, e l'anima nelle vene e nel sangue: e così i veicoli sieno, dell'animo, l'etere e, dell'anima, l'aere, con quella proporzione con la quale gli spiriti animali son mobilissimi, alquanto tardi i vitali5.

Quindi l'animo, che ha la sua sede nel cervello e nei nervi, ha a che fare con la mente ed è per questo che veniva anche definito mens animi. L'anima invece ha la sua sede nel sangue. Essendo poi quest'ultima un principio corporeo, essa appartiene indistintamente a tutte le creature viventi. L'anima viene definita come uno spirito animale che è sì più veloce e più operoso, in quanto il sangue è sempre in movimento nel corpo, ma che allo stesso tempo è passivo poiché è legato al corpo. L'animo invece è uno spirito vitale che appartiene agli uomini. È più inerte rispetto all'anima, ma, allo stesso tempo, quest'ultima è subordinata al primo, poiché il sangue riceve il proprio moto dai nervi. L'animo è «un principio interno di movimento, […] che è in grado di muoversi spontaneamente»6. Si può dire che l'animo è una specie di principio divino. Infatti, come Dio è sempre in azione, così l'animo opera sempre nell'uomo. Alla luce di questa forte connessione tra Dio e anima si può e si deve parlare di animus immortalis e non di immortalità dell'anima. «L'universo vive perché Dio esiste; se l'universo perisse, Dio esisterà ancora. Il corpo sente perché l'animo vive, anche se il corpo muore, l'animo è tuttavia immortale»7.

Inoltre solo «i moti dell'animo sono liberi e dipendono dal nostro arbitrio, quando invece il moto dell'anima non può essere generato che dalla macchina del corpo, che è corruttibile. E giacché l'animo si muove liberamente, aspira all'infinito e quindi all'immortalità»8. La questione del libero arbitrio è per l'uomo fondamentale, perché quest'ultimo è ciò che lo differenzia dai bruti e che fa sì che il suo animo immortale lo porti ad aspirare all'infinito.

Il libero arbitrio, però, non dipende dall'animo, direi piuttosto il contrario. Vico dice chiaramente che i moti dell'animo dipendono da quello. Per cui la possibilità di scegliere può essere identificata con la mente, nella misura in cui questa, come dice Vico, è pensiero. Infatti l'animo ha a che fare con la mente, ma non sono la stessa cosa.

5 SN44, § 696. Questa suddivisione, ammette lo stesso Vico, è di derivazione epicurea e lucreziana. Sul tema si veda il saggio di P. Girard, La tradizione epicurea e lucreziana nella filosofia di Giambattista Vico, in «Quaderni materialisti», 5, 2006, pp. 161-182.

6 De Antiquissima, p. 101. 7 Orazioni, I, p. 81. 8 De Antiquissima, p. 99.

Essi sono collegati in quanto la mente è collocata nell'animo, il quale è collocato negli affetti.

In quanto l'animo ha sede negli affetti, si danno anche dei turbamenti dell'animo, cioè le passioni. Questi appetiti sono due: quello concupiscibile e quello irascibile, che sono veicolati rispettivamente dal sangue e dal fegato. Poiché la mente è collegata all'animo subisce anche l'azione che gli affetti esercitano su quest'ultimo. Quindi, da un lato essa è superiore, dall'altro lato dipende «dall'animo perché il pensiero cambia a seconda del diverso stato d'animo: tanto che rispetto agli stessi oggetti ciascuno pensa in modo diverso»9.

Nella seconda Orazione Inaugurale del 1700, il cui tema è quello della stoltezza e di come essa tra tutti i nemici dell'uomo sia quella più dannosa10, Vico, attraverso la metafora dei due cavalli che trainano l'anima, dà una bella descrizione di come le passioni agiscano nell'uomo. Qui, è bene anticipare subito, Vico non distingue preliminarmente tra anima e animo, ma parla solo dell'animo e di come questo subisca l'azione delle passioni. Nonostante questa piccola differenza rispetto alle successive esplicazioni il passo è comunque valido per comprendere come i due appetiti, concupiscibile e irascibile, eccitino gli uomini:

In quella parte dell'anima [animi] che è priva di ragione vi sono […] , per così dire, due cavalli appaiati, l'uno irascibile e l'altro concupiscibile, il primo maschio e il secondo femmina, il primo smanioso, coraggioso, indocile, e il secondo debole, fiacco, pigro; dal primo l'anima [animus] nostra è portata alle imprese ardue ed eroiche, dal secondo invece a quelle facili e piacevoli. […] E infatti, appena la perversa cupidigia di qualche bene apparente è penetrata nell'anima dello stolto, allora ne sorge l'amore, fonte ed origine di tutti gli squilibri; se il bene è estremamente lontano, ne nasce il desiderio; se può essere raggiunto, la speranza ne viene alimentata; se è in suo possesso, ne sorge la gioia; se è considerato così alto che soltanto uno può eccellervi, ne nasce la gelosia e la rivalità; se un altro ne ha in abbondanza e noi ne soffriamo la mancanza, ne scaturisce l'invidia. […] Guidano l'esercito la cupidigia e il timore, il nerbo dell'esercito è costituito dalla sfrenatezza, il dolore è fra le truppe ausiliarie. Assalito da questi nemici, l'anima

[animus] dello stolto desidera, teme, gioisce e si addolora; ma poiché non conosce

la sapienza, che è l'arte della vita, i suoi desideri sono incostanti, inutili i timori, malvagie le gioie della sua mente e soltanto i timori sono perenni11.

9 Ivi, p. 105.

10 Il titolo ufficiale di questa Orazione è questo: «Nessuno è nemico più pericoloso e più avverso al suo nemico di quanto lo è lo stolto a se stesso».

11 Orazioni, II, pp. 107-109. In questo caso mi sembra fuorviante la traduzione di G. G. Visconti, il quale traduce qui animus con il femminile “anima” invece che con il maschile “animo”. Tra l'altro nella prima Orazione lo stesso termine è tradotto dallo stesso curatore con “animo”. Mi pare quindi non molto azzeccata la scelta del traduttore, in particolar modo alla luce della distinzione tra i due termini che Vico attua lungo tutta la sua produzione filosofica.

Ira e concupiscenza sono le due passioni principali da cui si sviluppano tutte le altre. Qui si ha però una trattazione più approfondita. L'ira genera le imprese eroiche in quanto da essa si generano quelle passioni che portano a questo tipo di azioni. La concupiscenza, invece, ha a che fare con quelle passioni che generano piacere e per questo è maggiormente deprecabile rispetto alla prima. Da essa nascono amore e desiderio, i quali sono due forti fonti di squilibrio umano poiché a essi sono collegati la gioia, quando il desiderio è raggiunto, l'invidia, quando qualcuno ha qualcosa che noi desideriamo, e la gelosia o rivalità, quando l'oggetto del desiderio è troppo alto e può spettare solo a una persona.

In generale, l'anima governata dalle passioni è un'anima che non può conoscere la sapienza perché è distratta da piaceri più materiali e immediati. Le passioni sono chiaramente un grosso ostacolo alla conoscenza umana ed è per questo che «per riflettere sulla verità con maggiore sicurezza direi quasi che occorra liberarsi dalle passioni più che dai pregiudizi; di questi, infatti, non puoi mai liberarti se permane la passione. Invece, spenta la passione, si solleva dalle cose la maschera che avevamo loro imposto e così le cose stesse ci si mostrano per quello che sono»12. Ci può essere conoscenza solo se vengono arginate le azioni che derivano dalle passioni, in modo da purificare l'animo e renderlo partecipe di una conoscenza che aspira a raggiungere e a fare la verità con la maggior sicurezza possibile. Infatti, se si considera la sua stretta connessione con la mente, come «Dio è il creatore della natura; l'animo, mi sia consentito dirlo, è il creatore delle arti»13.

Adesso, dopo aver visto le definizioni e il rapporto che intercorre tra mente-corpo e animo-anima, possiamo vedere attraverso quali facoltà venga esercitata la conoscenza umana e come le sue possibilità possano essere sviluppate nel modo migliore così da raggiungere la verità.

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 46-50)