• Non ci sono risultati.

L'immaginazione di una mente immersa nella corporeità

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 93-106)

La mente dinamica della Scienza Nuova

2. L'immaginazione di una mente immersa nella corporeità

Ernesto Grassi ha scritto che «l'essenza della Scienza Nuova consta nell'abrogazione del concetto tradizionale di filosofia, concepita come deduzione a priori da principi primi “oggettivati”»31. In effetti, si è già visto di come qui si debba parlare di un uomo che fa tutto senza intelligenza, senza raziocinio. Ecco perché qui non si tratta propriamente di sapienza in generale, ma di sapienza poetica. La sapienza, dice Vico citando Platone, è ciò che perfeziona l'uomo. È la facoltà che comanda tutte le discipline, da cui si apprendono tutte le scienze e arti che compongono l'umanità. La sapienza in generale è ciò che fa compiere all'uomo la strada della mente e dell'animo, cioè dell'intelletto e della volontà. «Adunque la vera sapienza deve la cognizione delle divine cose insegnare per condurre a sommo bene le cose umane»32, perché le verità più profonde sono quelle che riguardano Dio, mentre le cose migliori sono quelle che hanno come fine il bene di tutto il genere umano. Invece, la sapienza poetica è quella dei primi uomini e «cominciò dalla musa la qual è […] diffinita “scienza del bene e del male”, la qual poi fu detta “divinazione"»33. Questo sapere non contempla il vero Dio, ma considera la divinità secondo l'attributo della sua provvidenza e fu esercitata dai poeti teologi. È a partire da questi primi sapienti che si passa poi ai sapienti delle cose naturali e infine a quelli delle cose divine ed eterne rivelate da Dio.

Si intuisce già, ed è importante capirlo, che questo sapere è essenzialmente dinamico,

30 «Per il resto la riattivazione delle facoltà conoscitive umane non può che essere affidata alla lentissima riattivazione della “mente” che, in effetti, per quello stesso carattere del suo essere “indiffinita” che la rende capace di una altissima plasticità, risulta anche idonea ad essere “contratta” fino ad una condizione di totale latenza, di pura potenza di una forma assopita, seminalmente in attesa di una causa efficiente (il tuono, il fulmine) che la faccia trasalire così facendola riaffiorare e ri-svilupparsi, ritrovando in se stessa il “principio” salvifico del timore (che sappiamo essere pudore-timore) verso la divinità» (E. Nuzzo, La “mente contratta”. Tra corpi smisurati e facoltà dell'indefinito, in Il corpo e le sue facoltà. G. B. Vico, a cura di G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, M. Sanna e A. Scognamiglio, in «Laboratorio dell'ISPF» (www.ispf.cnr.it/ispf-lab), I, 2005, ISSN 1824-9817, pp. 106-119, p. 116). 31 E. Grassi, La facoltà ingegnosa e il problema dell'inconscio. Ripensamento e attualità in Vico, in A.

Battistini (a cura di), Vico oggi, Armando, Roma 1979, pp. 121-144, p. 128. 32 SN44, §364.

nel senso che Vico mostra il suo sviluppo in parallelo a quello umano. D'altra parte è evidente che con il mutare della mente, con il suo evolversi, cambia anche il tipo di sapere ad essa corrispondente. È stato più volte notato come quella di Vico sia una

revocatio mentis a sensu. Si può dire in generale che ciò che questa «forma di sapere

eminentemente creativa produce […] è la forma dell'umano nella costituzione ontologica che esso attualmente possiede»34.

Però, quello che interessa qui, non è tanto mostrare il percorso completo che la mente compie fino al suo stato puro, visto che lo stesso filosofo non tratta nella Scienza Nuova, se non per brevi accenni, dell'età della ragione “tutta spiegata”. Ciò che è importante analizzare è come la mente, in collaborazione e sotto la soggezione del corpo e dei sensi ad esso collegati, conosca quello che lo circonda. Per fare ciò bisogna esaminare ciò che caratterizza tali primi uomini.

È bene dire subito che le facoltà conoscitive umane, nella loro composizione e struttura, non cambiano da quelle del De Antiquissima. Lo stesso Vico, nel descrivere la situazione dei primi uomini parla spesso di “fanciulli del genere umano”, istituendo in tal modo un'analogia con le opere pedagogiche, e in special modo il De Ratione, in cui si tratta di educazione dei giovani. Bisogna perciò porre attenzione al diverso contesto a cui ci si riferisce. Mentre nel De Ratione si analizza quale sia il miglior metodo da impartire ai giovani, riferendosi sia ai maestri che agli studenti; adesso, nella Scienza

Nuova, non c'è più un rapporto tra docente e discente, ma si indaga la formazione del

genere umano, che si sviluppa da solo grazie alle sue capacità. I giganti tornano ad essere uomini solamente grazie a loro stessi:

Come gli autori del gener umano s'abbiano essi in un certo modo generato e produtto la propia lor forma umana per entrambe le di lei parti, cioè con le spaventose religioni e coi terribili imperi paterni; e con le sagre lavande essi edussero da' loro corpi giganteschi la forma delle nostre giuste corporature, e con la stessa disciplina iconomica eglino, da' loro animi bestiali, edussero la forma de' nostri animi umani35.

I giganti da soli portano fuori la loro forma umana facendo nuovamente propria la mente che era rimasta come coperta dal corpo.

Inoltre, ed è fondamentale, ciò che adesso viene modificato è il peso che le singole

34 V. Gessa Kurotschka, Il carattere “singolare” e “comune” della facoltà di immaginare: Giambattista Vico, in «PSICHE. Rivista di cultura psicoanalitica», XIII, 1, 2005, pp. 189-200, p. 193.

facoltà hanno nell'uomo. Se nell'opera metafisica il peso maggiore era dato alla parte intelligibile, ora c'è un forte squilibrio verso la parte sensibile dell'umano. È nella Fisica

poetica che Vico parla delle funzioni dell'uomo, che sono di due tipi: le prime esterne e

le seconde interne.

Alle funzioni esterne corrispondono i sensi corporei. In quanto i primi uomini non erano praticamente dotati di ragione, essi eccellevano nelle qualità sensibili. Solo con il tempo, cioè con l'avvento dell'età della riflessione, questi si affievolirono36.

Alle funzioni interne corrispondono tre parti del corpo: la testa, il petto e il cuore. A quest'ultimo corrispondono i consigli, cioè le facoltà del sentimento. Il petto, invece, è la sede di tutte le passioni, le quali sappiamo già essere divise in due principali. La prima è la parte concupiscibile, madre di tutte le passioni, che ha sede nel fegato. L'altra è la parte irascibile, che ha sede nello stomaco. Dalla testa, infine, derivano tutte le cognizioni della mente, la quale contiene la memoria, la fantasia e l'ingegno. Qui, però, queste tre operazioni della mente non hanno alcun ruolo razionale. Al contrario, esse, sono indissolubilmente legate al corpo. I primi uomini, in quanto fanciulli del genere umano, non possono esercitare l'arte del giudizio, la critica, ma sono quella dello scoprire, del ritrovare. Perciò le prime operazioni della mente sono conformi alla topica37.

Quindi, la mente, per accedere a una prima forma di sapere, attinge a queste sue facoltà corporee, componendole fra loro. Ma non è solo ciò che deriva dal corpo a creare

36 «Finalmente riducevano le funzioni esterne dell'animo ai cinque sensi del corpo, ma scorti, vividi e risentiti, siccome quelli ch'erano nulla o assai poco ragione e tutti robustissima fantasia. […] Nello che è da ammirare la provvidenza divina: ch'avendoci dato ella i sensi per la custodia de' nostri corpi – i quali i bruti hanno meravigliosamente più fini degli uomini – in tempo ch'erano gli uomini caduti in uno stato di bruti, da tal loro natura istessa avessero sensi scortissimi per conservarsi; i quali, venendo l'età della riflessione, con cui potessero consigliarsi per guardar i lor corpi, s'infievolirono» (Ivi, §§ 705-707).

37 «Riducevano tutte le funzioni interne dell'animo a tre parti del corpo: al capo, al petto, al cuore. E dal capo richiamavano tutte le cognizioni, che perciocch'erano tutte fantastiche, collocarono nel capo la memoria, la quale da' latini fu detta per “fantasia”. E a' tempi barbari ritornati fu detta “fantasia” per “ingegno”, e, 'n vece di dir “uomo d'ingegno”, dicevan “uomo fantastico” […]. Ma la fantasia altro non è che risalto di reminiscenze, e l'ingegno altro non è che lavoro d'intorno a cose che si ricordano. Ora, poiché la mente umana de' tempi che ragioniamo, non era assottigliata da verun'arte di scrivere, non spiritualezzata da alcuna pratica di conto e di ragione, non fatta astrattiva da tanti vocaboli astratti di quanti or abbondan le lingue, [...] ella esercitava tutta la sua forza in queste tre bellissime facultà, che le provengon dal corpo; e tutte e tre appartengon alla prima operazione della mente, la cui arte regolatrice è la topica, siccome l'arte regolatrice della seconda è la critica; e, come questa è arte di giudicare, così quella è arte di ritruovare […]. E, come naturalmente prima è 'l ritruovare, poi il giudicar delle cose, così conveniva alla fanciullezza del mondo di esercitarsi d'intorno alla prima operazion della mente umana, quando il mondo aveva di bisogno di tutti i ritruovati per le necessità ed utilità della vita, le quali tutte si erano provvedute innanzi di venir i filosofi» (Ivi, §699).

sapere. Alla sua formazione contribuiscono in maniera non meno importante anche ciò che deriva dal cuore e soprattutto dal petto. Le passioni, infatti, hanno un ruolo fondamentale nel far incamminare l'uomo sulla strada per la conoscenza.

Infatti, il primo impulso verso l'umanità è dato dalla paura del fulmine. Vico fa propria la famosa frase di Stazio: primos in orbe deos fecit timor. Con il primo fulmine nasce Giove, ma in realtà nella testa dei giganti è lo stesso Giove che fulmina ed atterra i giganti. È un passaggio immediato. Nella mente dei primi uomini il fulmine diventa subito, grazie all'azione dell'immaginazione, una divinità. Questa figura divina non ha però nella loro testa un aspetto umano, ma è lo stesso cielo da cui proviene il fulmine.

E perché in tal caso la natura della prima mente umana porta ch'ella attribuisca all'effetto la sua natura […], e la natura loro era, in tale stato, d'uomini tutte robuste forze di corpo, che, urlando, brontolando, spiegavano le loro violentissime passioni; si finsero il cielo esser un gran corpo animato, che per tale aspetto chiamarono Giove, il primo dio delle genti dette «maggiori»38.

Che l'uomo si finga Giove è dovuto alla natura della stessa mente umana. Infatti, gli uomini, ignoranti delle ragioni naturali che producono le cose e non potendole spiegare, danno ad esse la loro propria natura39. Questa, si badi bene, non è una caratteristica che riguarda i soli giganti, ma appartiene da sempre all'intero genere umano. Non a caso è proprio la degnità I a sostenere che l'uomo «per l'indiffinita natura della mente umana, ove questa si rovesci nell'ignoranza, egli fa sé regola dell'universo»40.

Ecco perché la paura e le passioni in generale hanno una così grande importanza per la conoscenza umana. È grazie a questa prima idea spaventosa che si mette in moto l'immaginazione. «Vera proprietà di natura umana è quella avvertita da Tacito, ove disse “mobiles ad superstitionem perculsae semel mentes”: ch'una volta che gli uomini sono sorpresi da una spaventosa superstione, a quella richiamano tutto ciò ch'essi immaginano, vedono e anche fanno»41. È perciò proprio dall'idea di una qualche divinità che «sì incominciarono a celebrare la naturale curiosità, ch'è figliuola dell'ignoranza e madre della scienza, la quale partorisce, nell'aprire che fa la mente dell'uomo, la

38 Ivi, § 377.

39 «Gli uomini ignoranti delle naturali cagioni che producon le cose, ove non le possono spiegare nemmeno per cose simili, essi dànno alle cose la loro propria natura, come il volgo per esemplo, dice la calamita esser innamorata del ferro» (Ivi, § 180).

40 Ivi, § 320. 41 Ivi, § 183.

maraviglia»42.

Vico, come si vede, nel mostrare il processo conoscitivo interno alla mente riprende la

Metafisica aristotelica. Infatti, come sostiene anche il filosofo greco, è l'ignoranza a

determinare la nascita della meraviglia. «La maraviglia è figliuola dell'ignoranza; e quanto l'effetto ammirato è più grande, tanto più a proporzione cresce la maraviglia»43. Questa, successivamente, si trasforma in curiosità e con il tempo in scienza. «La curiosità, proprietà connaturale dell'uomo, figliuola dell'ignoranza, che partorisce la scienza, all'aprire che fa della nostra mente la maraviglia, porta questo costume: ch'ove osserva straordinario effetto in natura, come cometa, parelio o stella di mezzodì, subito domanda che tal cosa voglia dire o significare»44.

Va tenuto presente che la scienza a cui giungono i primi uomini non è la scienza astratta dell'uomo moderno. Questi uomini primitivi, come già detto, sono quasi completamente privi di razionalità, il che favorisce l'immaginazione: «la fantasia tanto è più robusta quanto è più debole il raziocinio»45. Grazie a questa forte azione dell'immaginazione si può sostenere che il lavoro conoscitivo dell'uomo primitivo è una continua creazione di sapere, elaborato grazie a ciò che i sensi gli trasmettono. Inizia qui il lavoro poetico, cioè creativo, dei primi uomini, che dà un primo significato alle cose con cui interagisce.

Il più sublime lavoro della poesia è alle cose insensate dare senso e passione, è proprietà de' fanciulli di prender cose inanimate tra mani e, trastullandosi, favellarvi come se fussero, quelle, persone vive.

Questa Degnità filologico-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti46.

Come nella poesia si dà alle cose senso e passione, così i primi uomini furono poeti perché compiono le medesime azioni creando, dando cioè significato al mondo che si sono accorti di abitare.

Quindi i giganti dalla spaventosa idea di un dio scoprono il mondo attraverso al lavoro combinato dei sensi e dell'immaginazione, accedendo così a una prima forma di sapere. È da questa “sapienza poetica” che nasce la prima forma di metafisica, anch'essa

42 Ivi, § 377. 43 Ivi, § 184. 44 Ivi, § 189. 45 Ivi, § 185. 46 Ivi, §§ 186-187.

poetica, che Vico definisce “rozza”. Infatti

[…] la natura umana, in quanto ella è comune con le bestie, porta seco questa propietà: ch'i sensi sieno le sole vie ond'ella conosce le cose.

Adunque la sapienza poetica, che fu la prima sapienza della gentilità, dovette incominciar da una metafisica, non ragionata ed astratta qual è questa or degli addotrinati, me sentita ed immaginata quale dovette essere di tai primi uomini, siccome quelli ch'erano di niuno raziocinio e tutti robusti sensi e vigorosissime fantasie47.

In generale la natura umana conosce le cose attraverso i sensi. Ma, mentre la metafisica degli uomini dotati di razionalità rielabora i dati della percezione sensibile facendoli diventare astratti e senza più alcun rapporto con i sensi, i giganti, la cui mente è immersa nella corporeità, deriveranno principalmente dai sensi le prime forme di conoscenza, o meglio ancora, di coscienza umana. Quindi, la metafisica, che genera la sapienza poetica, è fortemente determinata dall'immaginazione e dalla sensazione e perciò legata all'ambito del corporeo. Ecco perché la sapienza poetica è creativa. E tale è appunto il senso dell'utilizzo del termine “poetica” da parte di Vico.

Il primo sapere umano si sviluppa attraverso un atto spontaneo di conoscenza. In particolare, tra tutti i sensi, uno sembra avere il predominio sugli altri: la vista. Attraverso la vista si instaura un rapporto quasi immediato con l'oggetto osservato. Questo non vuol dire che l'immagine venga compresa secondo la sua effettiva verità. L'oggetto della vista è infatti elaborato dall'immaginazione che gli dà un significato nuovo, fantastico e perciò opposto a quello che gli darebbe Dio.

In cotal guisa i primi uomini delle nazioni gentili, come fanciulli del nascente gener umano […], dalla lor idea criavan essi le cose, ma con infinita differenza però dal criare che fa Iddio: perrocché Iddio nel suo purissimo intendimento, conosce e, conoscendole, cria le cose; essi per la loro robusta ignoranza, il facevano in forza d'una corpolentissima fantasia, e, perch'era corpolentissima, il facevano con una maravigliosa sublimità, tal e tanta che perturbava all'eccesso essi medesimi che fingendo le si criavano, onde furon detti «poeti», che lo stesso in greco suona che «criatori»48.

In quanto dotati di una fantasia molto forte, questi primi uomini creavano le cose dalle loro idee. Lo scarto con la creazione divina è evidente, in quanto Dio, generando, crea e conosce nello stesso momento. Questi uomini sono sì poeti, nel senso greco del termine,

47 Ivi, §§ 374-375. 48 Ivi, §376.

creatori, ma rimangono in ogni caso profondamente ignoranti.

Riguardo alla fantasia si può citare una delle più celebri epistole di Vico, scritta nel 1726, l'anno successivo alla prima edizione della Scienza Nuova, a Gherardo degli Angioli49. Questa lettera risulta particolarmente interessante, perché Vico illustra le proprietà che caratterizzano il fare poetico in rapporto alla fantasia e alla verità. Lo stesso Vico nelle ultime righe distingue tre differenti proprietà poetiche.

1) La prima caratteristica è quella che indica la fantasia, l'immaginazione, come strumento privilegiato della poesia:

I. che cotal vostra fantasia vi porta ad entrare nelle cose stesse, che volete voi dire, ed in quella le vedete sì risentite, e vive, che non vi permettono di riflettervi; ma vi fan forza a sentirle, e sentirle con cotesto vostro senso di gioventù, la quale, come l'avverte Orazio nell'Arte, è di sua natura, sublime; di più con senso nulla infievolito dalle presenti filosofie, di nulla ammollito da' piaceri effemminati, e perciò senso robusto; e finalmente, per le ombre della vostra malinconia, come all'ombra gli oggetti sembrano maggiori del vero, con senso anche grande: il quale si dee per natura portar dietro l'espressione con grandezza, veemenza, sublimità50.

L'immaginazione, senza alcun tipo di aiuto da parte della riflessione, permette di sentire e vedere le cose come vive perché entra dentro l'oggetto stesso. È proprio grazie all'assenza di qualsiasi forma di razionalità che l'immagine poetica si forma, perché quest'ultima si sviluppa solamente con il possesso di un “senso robusto”. Infatti, come si sa, «il niuno o poco uso del raziocinio porta robustezza de' sensi; la robustezza de' sensi porta vivezza di fantasia; la vivida fantasia è l'ottima dipintrice delle immagini che imprimono gli oggetti ne' sensi»51. Perciò la poesia migliore è quella che «non sa spiegarsi, che per trasporti; fa sua regola il giudizio de' sensi; ed imita, e pigne al vivo le cose, i costumi, gli affetti, con un fortemente immaginargli, e quindi vivamente sentirli»52. È quindi quella in cui sentire e immaginare coincidono.

2) La seconda proprietà poetica riguarda i sentimenti, in quanto quelli dei poeti «sono sentimenti veri poetici; perché sono spiegati per sensi, non intesi per riflessione»53. Questo modo di spiegare le cose è proprio dell'ingegno, che attraverso l'inventio procede per somiglianza. Qui, però, la facoltà ingegnosa non è più quella del De Antiquissima

49 Epistole, pp. 121-126. Su questo tema cfr. M. Sanna, La “Fantasia, che è l'occhio dell'ingegno”, op. cit., pp. 42-44.

50 Epistole, p. 125. 51 SN25, §252. 52 Epistole, p. 122. 53 Ivi, p. 125.

che porta alla verità, ma è un'arte che, nella misura in cui è collegata all'immaginazione, si serve di approssimazioni e conduce a verosimiglianze.

A tal proposito si può citare un passo della Scienza Nuova del 1725, che, oltre a collegarsi a tale proprietà poetica, è una prefigurazione della prima degnità dell'ultima edizione del capolavoro vichiano del 1744:

Perché gli uomini ignoranti delle cose, ove non ne vogliono far idea, sono naturalmente portati a concepirle per simiglianza di cose conosciute. Ed ove non ne hanno essi copia, l'estimano dalla loro propria natura. E perché la natura a noi più conosciuta sono le nostre proprietà, quindi alle cose insensate e brutte danno moto, senso e ragione, che sono i lavori più luminosi della poesia. Ed ove queste proprietà loro non soccorrano, le concepiscono per sostanze intelligenti, che è la nostra propia sostanza umana, che è 'l sommo divino artifizio della poetica facoltà, col quale, a somiglianza di Dio, dalla nostra idea diamo l'essere alle cose che non lo hanno54.

Gli uomini conoscono per somiglianza nella migliore delle ipotesi. Dove non ci sono copie da associare a nuovi oggetti, gli uomini conoscono assegnando le stesse proprietà umane a ciò con cui hanno a che fare. È proprio tale modo di procedere che determina la poesia più sublime di tutte, la quale assegna un essere alle cose che non lo hanno.

In questo caso, nonostante si abbia a che fare con l'ingegno, lo iato tra la conoscenza

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 93-106)