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La nascita del diritto: mente e corpo tra ius prius e posterius

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 127-132)

Mente e corpo nella filosofia politica vichiana

1. La nascita del diritto: mente e corpo tra ius prius e posterius

Nel trasportare il rapporto tra mente e corpo al tema politico, e in questo caso a quello del diritto, come già detto, bisogna partire dallo stesso punto di partenza che sta alla base della teoria della conoscenza: quello di un uomo incapace di attività razionale, che agisce solo a partire da quegli impulsi primari dettati dal corpo. L'evoluzione del diritto è quindi paragonabile all'evoluzione dell'uomo nei suoi vari tempi e di riflesso allo sviluppo di ogni singolo uomo dall'infanzia all'età adulta. La vita del genere umano può essere, infatti, riassunta in tal modo: predominio del desiderio sfrenato nell'infanzia, preponderanza della fantasia nell'adolescenza, utilizzo della ragione nell'età adulta. La storia del diritto naturale nasce con le stesse modalità: compare come violento e, mano a mano che l'uomo sviluppa le sue capacità razionali, tale violenza diventa sempre più figurata fino a configurarsi come vera e propria legge, cioè la perfetta manifestazione della razionalità umana2.

Per iniziare è necessario analizzare come Vico consideri il diritto in generale. Egli ha una visione sostanzialmente ottimistica della formazione della società. Infatti, il diritto non nasce dall'utilità, ma dall'onestà. L'utilità è un principio corporeo e, in quanto tale, non è duraturo, ma è contingente e svanisce presto. L'onestà, in quanto è correlata

2 «Sott'altro riguardo dobbiamo volgerci ammirati all'ordine stabilito dalla divina provvidenza: i fanciulli ogni elezione determinano dagli appetiti, e quella vogliono violentemente conseguire; gli adolescenti hanno prepotente la fantasia; l'uomo giunto all'età virile con ragione più scevra delle passioni giudica le cose, ed a vecchiaia pervenuta vi adopera sodo e pacato consiglio. Ad un tale sviluppo corrisponde la vita del genere umano. Nei primi tempi, intaccato dal peccato originale, menando vita solitaria e sprovveduta, egli dovette abbandonarsi ad ogni eccesso di sfrenata libertà; poscia la fantasia e l'ingegno gli somministrarono i ritrovamenti che gli porsero le cose dell'uman vivere necessarie, utili e gioconde, e fu quello il tempo dei profeti […]. In appresso usando maggiormente la ragione, vennero gli uomini a coltivar la sapienza, e sorsero allora i filosofi, che insegnarono i doveri morali. Seguirono un ordine consimile gli sviluppi del gius naturale: al suo comparire egli ci appare come la consecrazione della legale intemperanza e della legale violenza; quindi lo vediamo rimanere involuto nelle favole che figuravano l'antica legale violenza; e finalmente, condotte le leggi alla lor perfezione, egli si manifesta con aperta ragione e generosa verità» ( OG, p. 338).

all'eterna verità, è un principio della mente e per questo è eterna. E «siccome il corpo non è la cagione, ma l'occasione per cui nella mente viene a promuoversi l'idea del vero, parimenti l'utilità corporale non è la cagione, ma bensì l'occasione che viene a eccitare nell'animo umano la volontà del giusto»3. Di conseguenza, si può dire che il diritto è frutto della mente e nasce in una prima forma di società formatasi nell'utilità, ma che approda con il tempo, grazie alla ragione, all'onestà. Che il diritto sia un prodotto mentale si evince anche dal fatto che esso è fortemente legato a Dio, nel senso che deriva da quest'ultimo. Infatti «essendo i diritti eterni nel di lor intelletto, o sia nella lor idea, e gli uomini essendo in tempo, non posson i diritti altronde venire agli uomini che da Dio»4.

Anche nella Scienza Nuova, come nel Diritto Universale, Vico parla di diritti e non di diritto al singolare (in generale si tenga presente che quest'opera non è incentrata propriamente su tale tema e quindi Vico si riferisce al diritto più raramente e in casi più isolati rispetto al Diritto Universale). L'uso del plurale è dovuto al fatto che il filosofo napoletano nell'opera del 1720 distingue due diversi tipi di diritto (che sono già stati introdotti in precedenza nel paragrafo dedicato al conatus): lo ius prius e lo ius

posterius. Entrambe le forme di diritto dipendono dalle capacità che Dio ha donato agli

uomini:

Iddio Ottimo Massimo creò l'uomo a sua somiglianza, dandogli per la sua potenza l'essere, per la sua sapienza il conoscere, e per la sua bontà il volere, col quale l'uomo vuole il suo essere ed il suo conoscere, volendo, cioè, la perfezione della sua natura. Da questo terzo beneficio d'Iddio, si producono due parti del diritto naturale, l'una per la quale l'uomo vuol essere, e l'altra per la quale egli vuol conoscere5.

La potenza umana si esercita attraverso tre manifestazioni divine, che sono la causa della somiglianza tra uomo e Dio: essere, conoscere e volere. È grazie ai primi due che l'uomo si perfeziona e si avvicina a Dio, ma per migliorarsi deve volerlo. Perciò il volere è quella potenza che determina sia l'essere che il conoscere, ai quali corrispondono le due parti del diritto naturale:

1. il diritto primo attraverso cui l'uomo vuole essere;

2. il diritto secondo o posteriore che gli permette di conoscere.

3 Ivi, p. 60. 4 SN44, § 1039. 5 OG, p. 92.

1. Lo ius prius pur essendo quello che determina l'uomo nella sua essenza è in sostanza ciò che è comune con gli altri animali. Perciò esso viene definito come «“il diritto insegnato dalla natura ad ogni essere animato”; e ciò, generalizzato dai metafisici, è da essi riportato all'azione della bontà divina, per la quale ogni cosa creata mantiensi nella perfetta originaria sua condizione»6. Esso è ciò che permette all'uomo di proteggere se stesso e di tutelarsi, anche attraverso l'uso della forza, quando questa viene ritenuta necessaria.

Tali facoltà, tali diritti riceverono il nome di «primi naturali diritti», perché fin dal suo nascere l'uomo gli possiede e gli conosce, ammaestrandolo i rapidissimi, anzi istantenei avvertimenti dei sensi, coi caratteri del piacere e del dolore, a ricercare le cose giovevoli alla vita ed a schivar le nocive, onde conservarsi il proprio essere; ed ugualmente trovandosi impedito di conseguire le cose utili, o buttato a forza verso le nocive, egli sentesi spinto ad opporre la forza alla forza, quando altro mezzo non gli occorre di ottenere le une, e di sottrarsi alle altre; e quando, per esser mortale, non può l'uomo nell'attuale sua specie perdurare, lo spinge natura, come ogni altro essere animato, a conservare il suo essere in genere7.

Pur essendo tutti i diritti prodotti della mente, poiché derivati da Dio, lo ius prius si configura come essenzialmente corporeo, in quanto è un diritto che per conservare se stesso sfrutta le capacità sensibili di ognuno con la combinazione del piacere, da perseguire, e del dolore, da evitare. Quando gli uomini (ma il discorso vale anche per ogni altro animale) si trovano poi impossibilitati a ottenere l'utile o hanno a che fare con qualcosa di dannoso, essi ricorrono alla forza bruta e corporea per salvare se stessi e la loro specie. Questo significa che tale diritto non è altro che la possibilità, da parte degli uomini, di servirsi liberamente della forza ogniqualvolta percepiscano una minaccia o un'offesa, o nel caso subiscano essi stessi una violenza. Da un lato esso è sicuramente, come tutti i diritti, frutto della mente; ma, dall'altro, nella sua applicazione pratica è essenzialmente corporeo. Inoltre, tale tipo ius è quello di cui si serve l'uomo primitivo, che come si sa è tutto corpo e quasi niente mente. Perciò, così come i primi uomini fanno uso delle sole conoscenze sensibili, anche il loro primo diritto naturale, essendo commisurato al loro grado di avanzamento, sarà tutto corporeo.

2. Lo ius posterius è invece quello per cui l'uomo vuol conoscere. Questo tipo di diritto, e il nome è già un indizio di per sé, non può affermarsi se non successivamente al diritto

6 Ibidem. 7 Ibidem.

primo. Quindi, «alla parte posteriore del diritto è subordinata la prima parte di esso»8. Esso, però, nella misura in cui esercita la facoltà conoscitiva umana è altrettanto necessario, perché fa in modo che gli uomini si configurino come tali.

Ma in quella parte del diritto per cui l'uomo vuole il suo conoscere, la quale forma la vita propria e particolare dell'uomo, che in altra cosa non consiste se non nell'esercizio della sua facoltà di conoscere, ivi son contenuti i diritti nominati dagli stoici «alla natura confacenti e consentanei», i quali spettano alla vera vita dell'uomo; volendogli descrivere, l'uom gli significherebbe col dire, che dessi si riportano a quelle azioni che sono operate in modo convenevole alla natura, in quello cioè che convien alla vita sociale, e per le quali vien conservata la vera vita umana, quella di cui sapientemente parlò Terenzio, dicendo, che laddove né il padre in alcun modo dimostra al figliuolo l'affetto che gli porta, né il figliuolo porta rispetto al padre, ivi non si vive veramente, cioè non si vive in modo conforme alla verità e alla ragione, non si vive con vita sociale e compagnevole9.

Lo ius posterius esercitando la conoscenza sviluppa quelle facoltà che caratterizzano un essere umano e che lo contraddistinguono dagli altri animali: il vivere secondo verità e in modo socievole con gli altri esseri umani.

In primo luogo, quindi, si può dire che il diritto secondo è confacente alla mente proprio in quanto esso esercita la facoltà conoscitiva e perché è una produzione della razionalità umana, della mente, cioè quella capacità che pone l'uomo al di sopra di ogni altro essere generato da Dio. Poi, in secondo luogo, tale diritto è essenzialmente mentale perché non è più basato sulla potenza o violenza corporea che caratterizza il primo diritto naturale. Sia chiaro, sempre di una forza si stratta. Infatti, scrive Vico che «la forza è il constitutivo elemento di ogni diritto naturale»10. Esso è però fondato su una forza diversa rispetto a quella dello ius prius11, cioè è astratta e probabilmente anche più potente di quella del diritto primo: è la forza costrittiva della legge. Attraverso le leggi si sostituiscono alle espressioni reali di violenza il rigore delle leggi penali. Inoltre, per il carattere sociale che acquista il diritto secondo, la punizione adesso non è più privata come in precedenza (infatti, essa veniva applicata in un nucleo sociale ristretto), ma pubblica. Quindi, in quanto pubblica, la legge non dipende più da individui diversi, che

8 Ivi, p. 94. 9 Ibidem. 10 Ibidem.

11 L'utilizzo della parola forza, per riferirsi alla forma di diritto dei primi uomini, è probabilmente impropria, visto che per Vico forza ha un valore prettamente astratto. Perciò nell'analizzare ciò che è legato alla prima forma di diritto il filosofo napoletano si serve di termini che diano un senso pratico o sensibile al contesto di cui tratta. Riguardo a ciò si veda, ad esempio, la frase della Scienza Nuova in cui scrive che «le mancipazioni cominciarono con vera mano, per dire con “vera forza”, perché “forza” è astratto, “mano” è sensibile» (SN44, § 1027).

la esercitano secondo la loro interpretazione, ma è la manifestazione diretta di un solo ente, di una sola forza: quella statale.

Grazie a tutto questo rigore nelle leggi penali, a tutta questa severità nei giudizi pubblici, a tutta questa venerazione negli atti legittimi, le repubbliche eliminarono la violenza privata: ciò non poteva avvenire se non a patto che tutte le violenze cedessero il passo a una sola forza che costringesse i singoli. Questa forza superiore ad ogni altra forza privata non è che l'imperio delle leggi mediante il quale il buon diritto secondo il diritto delle genti maggiori derivante dalla forza giusta del corpo, si trasformò in buon diritto secondo il diritto civile comune, derivante dalla forza giusta dell'animo. In tal modo il coraggio, che era stato in base al diritto delle genti maggiori la forza corporale temperata dalla ragione, mediante la quale ognuno difendeva con le proprie mani i propri beni, divenne la forza dell'animo, o del diritto (che inerisce all'animo) mediante la quale ognuno tutela e conserva i propri beni con la legge. Una volta che l'autorità delle leggi fu rinsaldata mediante tutto questo terrore, […] la struttura della repubblica si avvicinò tanto più al genere delle cose divine, quanto più in alto si elevava12.

Adesso non è più necessario fare uso della violenza in ogni caso, perché essa è stata sostituita da una forza astratta talmente forte da generare terrore. La legge si configura come il deterrente allo scontro tra gli uomini, poiché tutela ogni aspetto della vita sociale del singolo. Quindi, in ogni ambito della società si assiste a una progressiva astrazione da quella che era la base corporea che lo aveva fondato. Tale evoluzione non avviene solo nella tutela dei beni di ognuno e di se stesso13 e nella difesa della proprietà privata14, ma anche in tutte quelle manifestazioni sociali che stanno alla base della fondazione di ogni nazione15.

Questo diritto è caratterizzato da due peculiarità: «la prima per cui è in sommo grado formale, la seconda, per cui è in sommo grado necessario, cioè certo. E per questo è

12 OG, pp. 640-642.

13 «Rimane da dire della tutela. L'abbiamo definita come libertà di tutelare sé e i propri beni mediante la forza, […] ma una volta introdotte le leggi, fu traslata dalla designazione della forza del corpo a quella dell'animo, e così la forza tornò alla sua natura, cioè a dire il diritto di rivendicare le proprie cose o di trarne vendetta in giudizio» (Ivi, p. 422).

14 «Dalla storia della parola “proprietà” può vedersi come il vocabolo sia stato traslato a designazioni improprie, ma la cosa […] abbia raggiunto la natura che le è in sommo grado propria, dimodoché i diritti sono stati trasferiti dal corpo all'animo e il proprio di ciascuno, ossia il suo di ciascuno, che è come dire il diritto di ciascuno, abbia attraversato a poco a poco prima la consumazione, poi la raccolta, poi la presa di possesso, quindi la custodia, da ultimo la delimitazione mediante confini, per arrivare finalmente alla volontà, della quale non vi è nulla di più proprio all'uomo» (Ivi, p. 422). 15 «I primi fondatori delle civili società al diritto di effettiva violenza delle genti maggiori, sostituirono le

imitazioni della violenza. Perciò la mancipazione per la quale si compiono tutti gli atti legittimi, si solennizzava colla benigna simbolica tradizione di una funicella [nexus]; l'usucapione più non era un'assidua corporea adesione, ma si dimostrava colla possessione, la quale procurata in principio con atto materiale, poscia per la sola disposizione dell'animo si conservava; l'usurpazione più non consisteva in un atto di rapina, ma dava luogo a una modesta appellazione, che chiamasi volgarmente citazione» (Ivi, p. 144).

sommamente formale: proprio per essere sommamente necessario, sommamente certo»16. Per questo suo carattere formale e necessario, il diritto, inteso come espresso attraverso la legge, è essenzialmente eterno, immutabile, in quanto è espressione della ragione. Poiché esso contribuisce ad avvicinare gli uomini a Dio, è in misura ancora maggiore più divino del primo. Infatti, lo stesso Vico, nella Scienza Nuova, lo associa ai generi intelligibili, quando scrive che una volta che «furono intesi gli universali intelligibili, si riconobbe quella essenziale proprietà della legge: - che debba esser universale, - e si stabilì quella massima in giurisprudenza: che “legibus, non exemplis,

est iudicandum»17.

Per concludere, si può dire che lo ius posterius dà forma compiuta a quello che attraverso lo ius prius viene solo cominciato. È chiaro che quest'ultimo è necessario per l'affermazione dell'altro, ma è solo nel diritto secondo che l'uomo diventa tale passando dalla giustizia privata della famiglia alla giustizia pubblica dello stato, che è la completa espressione della ragione. È proprio per questa sua essenza razionale che Vico definisce tale tipo di giustizia come “giustizia architettonica”. Infatti, come nel diritto privato della famiglia (a cui corrisponde un primo grado di razionalità) si devono esercitare le virtù familiari, per mantenere la pace, allo stesso modo, nella società civile vanno esercitate quelle virtù civili che portano alla felicità, per vivere nel rispetto reciproco. Perciò, «la giustizia architettonica è la ragione dell'autorità, stata da noi diffinita mente civile […]. Laonde i filosofi la nominano con eleganza “giustizia architettonica”, perché a lei si aspetta di innalzare l'edificio della civile felicità, facendo concorrere al compimento di esso ogni virtù civile»18.

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 127-132)