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Conclusioni su Vico e Spinoza

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 166-180)

Vico e Spinoza: un confronto

3. Conclusioni su Vico e Spinoza

Per tirare le fila di questo discorso è bene partire dal Trattato teologico-politico per poi analizzare l'Etica, che, nel taglio qui proposto, pone maggiori punti di contatto nel rapporto con la filosofia vichiana57. Riguardo ai primi due capitoli del Trattato di Spinoza, si è visto come la forte immaginazione sia ciò che contraddistingue i profeti. Vico, pur non trattando propriamente di profeti (i quali parlano con Dio come tra mente e mente), sostiene che i primi sapienti del mondo furono i “poeti teologi”. Loro sono i primi a sviluppare la capacità immaginativa e formarsi gli universali fantastici. Perciò essi interpretano i segnali divini e proprio la divinazione fu una delle prime attività umane. Questi segni divini si manifestano ai poeti teologi «per gli auspìci, per gli oracoli ed altri segni corporei creduti divini avvisi, perché creduti venire dagli dèi, ch'essi gentili credevano esser composti di corpo»58. La differenza tra i due filosofi sta

56 Ivi, p. 49.

57 Ad esempio, un'analogia, che qui non è stata analizzata, ma che viene fatta da notare da Amoroso, è quella tra il Mosè del Trattato teologico-politico e l'Omero della Scienza Nuova. A tal proposito si veda il già citato: L. Amoroso, Vico e gli ebrei, op. cit., p. 75.

nel fatto, che Vico riferisce tale tipo d'interpretazione divina, basata sull'immaginazione, ai primi uomini dell'umanità che dovevano ancora ritrovare il vero Dio. Spinoza, invece, la riferisce direttamente ai profeti biblici.

Concentriamoci adesso sull'Etica. Da ciò che è stato analizzato nel paragrafo precedente si possono trovare, a mio avviso, alcune affinità nell'impostazione del percorso che l'uomo compie verso la conoscenza. Naturalmente, le due opere presentano strutture diverse. Spinoza scrive la sua Etica con un ordine geometrico e ogni argomento ha un posto preciso nel testo. In Vico, invece, è necessario un lavoro un po' più archeologico, perché al di là delle degnità, i vari argomenti non sono sviluppati in maniera organica, ma sono inseriti in differenti luoghi del testo. Quindi, è compito del lettore ricostruire un dato tema all'interno della Scienza Nuova, componendo i vari passi che si accordano tra di loro.

Nonostante ciò, un primo punto di contatto riguarda proprio l'impostazione generale delle due opere. Infatti, anche la seconda parte dell'Etica mostra, così come la Scienza

Nuova, una certa processualità. Tale carattere processuale si evince, prima di tutto, dal

titolo della seconda parte: Della natura e dell'origine della mente. Il termine origine sembra infatti designare una sorta di nascita e sviluppo della mente. Tale supposizione è poi confermata dall'impostazione generale di tutta la seconda parte, in cui si mostra come la mente si origini, si sviluppi, a partire dal corpo. Chiaramente, rispetto alla

Scienza Nuova, Spinoza si muove all'interno di una dimensione che è assolutamente

astorica. Ma, nonostante questo, in entrambi i filosofi la conoscenza umana appare nel suo carattere processuale.

Simile è poi il modo in cui entrambi i filosofi tendono a far equivalere, da un lato, immaginazione e memoria (in Vico, come si è visto nei precedenti capitoli, si aggiunge a queste due l'ingegno) e, dall'altro, immaginazione e parola. Su quest'ultima analogia è necessaria una precisazione riguardo al ruolo che l'immagine comune svolge, in Spinoza e in Vico, sia per il singolo individuo che per quelli con cui entra in contatto. Infatti, nel primo si ha una doppia valenza dell'immagine/parola comune: essa è comune a tutti e, allo stesso tempo, ognuno se la rappresenta nella sua particolarità. Come si sa, ognuno ha un modo diverso di interpretare e riconoscere le immagini a seconda della sua abitudine. In Vico, invece, non si parla di immagine universale e particolare allo stesso tempo. Gli uomini sono caratterizzati tutti dalle stesse capacità e le loro emozioni

sviluppano i medesimi prodotti. Non c'è una diversa predisposizione dei corpi ad essere colpiti dagli oggetti esterni ed è per questo che il prodotto dell'immaginazione si chiama universale fantastico, perché è uniforme a tutti e appartiene al senso comune. Tale differenza, però, ha cause più profonde. In quanto questo insistere sulla particolarità, da parte di Spinoza, è alla base della sua fisiologia ed è un punto cardine di tutto il suo pensiero. Al di là di quest'ultima discordanza, sia Spinoza che Vico associano l'immaginazione alla sfera del linguaggio. Si potrebbe però obiettare che mentre il primo unisce immagini comuni e parole, il secondo mette le immagini in relazione alle forme di espressione delle origini. Infatti, come si è visto, il linguaggio articolato è un prodotto della ragione e perciò può essere raggiunto solo possedendo il pensiero razionale. Però Spinoza, a differenza di Vico, non sviluppa una vera e propria teoria del linguaggio. Il suo è solo un ragionamento sul rapporto che lega parole e immagini. È chiaro che le parole di cui si serve per fare gli esempi rientrerebbero, in Vico, tra quelle dell'ultima età umana, cioè l'età della ragione. Però, non è su questo che ci si deve concentrare, ma su ciò che il nome evoca. Infatti, come in Spinoza le parole ponum e

uomo suscitano delle immagini, delle idee, legate a delle tracce precedenti, lo stesso

avviene anche in Vico. Pure in quest'ultimo, come si è già scritto nel capitolo precedente, «i nomi destano idee che lasciano fermi vestigi»59. Quindi, anche riguardo al rapporto parole-immagini si instaura una forte corrispondenza tra i due filosofi, non solo a livello concettuale, ma anche a livello di terminologia. Infatti, Vico sembra fare proprio un termine spinoziano in particolare: la parola vestigium (traccia), che anch'egli utilizza al plurale, per sostenere che i nomi servono a evocare quelle determinate idee che hanno lasciato delle tracce ferme, cioè durature, nella nostra mente.

Oltre alle singole analogie su questi determinati temi, è considerando il punto di partenza delle rispettive filosofie che si registra la forte affinità tra i due filosofi. Infatti, Vico, come Spinoza, parte dal corpo per fondare la sua teoria della conoscenza. Questo si è visto già nel De Antiquissima. Ma in maniera ancora più netta è nella Scienza

Nuova, dove la mente è come annullata dal corpo, che i primi uomini si basano su

conoscenze essenzialmente corporee. Prima di giungere a una conoscenza razionale bisogna passare dal corpo e da ciò con cui esso viene in contatto. Però Vico, a differenza del filosofo olandese, non mette sullo stesso piano corpo e mente. Per il filosofo

napoletano quest'ultima rimane a un grado più alto rispetto al corpo. La sua natura è essenzialmente divina, ma, proprio per non cadere nello spinozismo, non può ammettere pari dignità al corpo e alla conoscenza che deriva da esso. Nonostante questo, si è visto come Vico sviluppi l'immagine a partire dalla conoscenza sensibile, cioè da quegli oggetti esterni che toccano i suoi organi corporei.

Inoltre, anche Vico considera i prodotti dell'immaginazione come assolutamente veri. Non ne parla però, come fa Spinoza, in termini di inadeguatezza. Questa differenza, non è, però, dovuta a una diversa idea sulla questione, ma alla dimensione storica della

Scienza Nuova. Infatti, se si guarda retrospettivamente la conoscenza dei primi uomini

paragonandola alla nostra, la prima ci appare vera se considerata come creazione umana e come prodotto di un'umanità che non era dotata di determinate capacità mentali e astrattive; ma, allo stesso tempo, se ne può affermare l'inadeguatezza rispetto alla nostra conoscenza razionale. E questo è dimostrato, a mio modo di vedere, dal fatto che le favole dei primi uomini, mano a mano che lo sviluppo dell'umanità procede, prima si corrompono e, infine, perdono il loro carattere di verità. Inoltre l'immaginazione come vera è da considerare anche nel suo ruolo necessario che svolge per la conoscenza umana. Per giungere alla ragione, alla conoscenza adeguata, bisogna prima passare dall'immaginazione. In questo senso Vico segnala la pericolosità della filosofia cartesiana, essa è sterile poiché tralascia tutto ciò che deriva dal corpo e che non presenta un carattere chiaro e distinto. Vico sembrerebbe mosso dallo stesso motivo di Spinoza. Entrambi rivalutano, facendone il fulcro del loro pensiero, quello che la filosofia cartesiana, impostasi nell'Europa di quegli anni, cerca di non considerare: «una ragione che non impone le sue regole ai fenomeni, ma si costruisce a partire dal proprio altro – dall'immaginario, dall'infinita ambiguità e indeterminatezza del pensiero fantastico e poietico – cercando in quegli stessi fenomeni i tratti comuni e le condizioni di possibilità della loro resistenza infinita a ogni tentativo di riduzione»60.

Infine, entrambi fanno dell'immagine un senso comune che, oltre a possedere un certo grado di verità, è anche alla base della socievolezza umana. Grazie all'immaginazione e alla parola gli uomini entrano in contatto tra di loro, verrebbe da dire che si urtano a vicenda, capendo così di avere determinate caratteristiche comuni, le quali permettono di costruire il mondo civile.

60 A. Sangiacomo, “Historia sincera”: ermeneutica dell'immaginazione in Spinoza e Vico, «BCSV», XLI, 1/2011, pp. 43-74, p. 73.

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