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La successione delle forme di governo

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 132-145)

Mente e corpo nella filosofia politica vichiana

2. La successione delle forme di governo

Vico tratta esplicitamente delle forme di governo solamente nelle ultime due edizioni della Scienza Nuova. Infatti l'edizione del 1725 non affronta in maniera esaustiva questo tema, ma lo espone solo sporadicamente, non conferendogli, quindi, un vero e proprio carattere teorico19. Tale teoria era stata esposta, ma in modo diverso, già nel Diritto

16 Ivi, p. 640. 17 SN44, § 501. 18 OG, p. 132.

Universale e per questo motivo non è il caso di analizzare l'opera del 1720 nel dettaglio,

ma riferirsi ad essa solo quando necessario.

In generale Vico aderisce alla tripartizione classica delle forme di governo: repubblica, monarchia e aristocrazia. Si discosta però, rivendicando anche l'originalità della sua tesi, dalla loro consueta successione. Scrive, infatti, che «per tutta l'intiera vita onde vivon le nazioni, esse corrono con quest'ordine sopra queste tre spezie di repubbliche, […] prima in repubbliche d'ottimati, poi nelle libere popolari e finalmente sotto le monarchie»20. In realtà la triade proposta da Vico può anche essere intese sotto forma di diade21. Infatti, il vero mutamento sociale si ha nel passaggio dall'aristocrazia alla repubblica popolare, mentre tra quest'ultima e monarchia il cambiamento avviene gradualmente, tanto che l'avvento del regno monarchico diventa un fatto necessario per la sopravvivenza dello stato. Che la frattura maggiore sia tra aristocrazia, da un lato, e democrazia e monarchia, dall'altro, si evince anche dall'età storica in cui le tre forme di governo sono inserite. I governi aristocratici rientrano nella seconda età del mondo (età degli eroi) e per questo sono detti anche governi eroici. Invece, repubblica popolare e monarchia rientrano nella terza età degli uomini e, quindi, sono detti governi umani, entrambi basati su delle leggi

C. 't Hart, La metodologia giuridica vichiana, in «BCSV», XII-XIII, 1982-83, pp. 5-28; Id, La teoria vichiana sulla successione delle forme di stato e le sue implicazioni politiche, in «BCSV», XVII- XVIII, 1987-88, pp. 153-162; R. Caporali, Heroes gentium. Sapienza e politica in Vico, il Mulino, Bologna 1992, in part. pp. 225-254. Proprio quest'ultimo afferma che «solo a partire dalla redazione del '30 l'impostazione vichiana s'avvia ad assumere un più preciso carattere di necessità genetica» (Ivi, p.227).

20 SN44, § 1004. Questa successione di forme di governo si discosta da quella esposta nel Diritto Universale, in cui Vico fa corrispondere, con un ordine diverso da quello futuro della Scienza Nuova, i tre tipi di governo (aristocrazia, monarchia e democrazia) alle tre fonti del diritto (tutela, dominio e libertà). Infatti nel De Uno sostiene che «dalla tutela, dal dominio e dalla libertà nacquero tre forme pure dei politici governi, l'aristocrazia o di ottimati, la monarchia o la popolare» (OG, p. 166). E poco più avanti continua così: «Siccome nell'uomo è prima a prodursi la tutela dei sensi, ad essa seguendo il regno delle sciolte passioni, e prevalendo all'ultimo la signoria della ragione, parimente nella vita del genere umano, cioè nella storia, vedonsi in sul principio stabiliti gli stati di ottimati, di cui è essenziale e costitutivo elemento la difesa dell'ordine patrizio, il qual governo largamente si estese nei tempi eroici ed oscuri. Venne in appresso quella forma politica dove han più campo le sciolte passioni, cioè la monarchia pura, la signoria, la tirannide. […] Nacque all'ultimo il governo della ragione e delle leggi, […] perciò tardissime ed ultime nacquero le popolari e libere repubbliche» (Ivi, p. 176). 21 Su ciò cfr. N. Bobbio, Vico e la teoria delle forme di governo, op. cit., pp. 8-10. A tal proposito egli

scrive che: «Data una triade, A, B, C, la riduzione a diade può essere compiuta o avvicinando B a C, e staccando A, oppure avvicinando A a B e staccando C, oppure avvicinando A a C, e staccando B. nella storia delle teorie delle forme di governo si ritrovano tutte e tre le combinazioni. Date le tre forme in questo ordine, monarchia, aristocrazia, democrazia, la diade di Machiavelli, monarchia o repubblica, è il risultato dell'isolamento di A e dell'unificazione di B e C; la diade della maggior parte dei teorici odierni del diritto pubblico, autocrazia-democrazia, è il risultato dell'isolamento di C e dell'unificazione in una sola categoria di A e B. La diade di Vico è, salvo errore, il solo esempio della terza possibile combinazione, che si ottiene isolando il termine intermedio B, e unificando i due estremi, A e B» (Ivi, p. 8n).

che garantiscano l'uguaglianza di ognuno. Infatti, «tutti sien nati liberi nelle loro città, così libere popolari, ove tutti o la maggior parte sono esse forze giuste della città, per le quali forze giuste son essi i signori della libertà popolare; o nelle monarchie, nelle qual'i monarchi uguagliano tutti i soggetti con le loro leggi»22. Quindi, lo iato che si forma tra aristocrazia e democrazia-monarchia è dovuto al fatto che la prima non ha alla sua base l'uguaglianza civile, ma quella fra soli nobili. Le altre due, invece, si formano proprio in contrapposizione alla prima per garantire tale equità. Ciononostante questo non deve portare a considerare solo due forme di governo, perché queste specie rimangono sempre e in ogni caso tre e ognuna di esse presenta le proprie peculiarità.

Prima di analizzare il modo in cui si passa da un governo all'altro è necessario fare alcune precisazioni. Infatti, due punti sono legati a questa teoria. Il primo riguarda il rifiuto, in particolare contro Machiavelli, della possibilità di un governo misto. Questa scelta non era nuova, ma aveva già trovato spazio nelle trattazioni di Bodin, Pufendorf e Hobbes, anche se in Vico tale rifiuto viene espresso in modalità particolari. Infatti, il filosofo napoletano, subito dopo aver presentato la suddetta successione, tratta del governo misto in questi termini:

[…] onde Tacito, quantunque non le veda con tal ordine, dice (quale nell'Idea

dell'opera l'avisammo) che, oltre a queste tre forme di Stati pubblici, ordinate dalla

natura de' popoli, l'altre di queste tre, mescolate per umano provvedimento, sono più da desiderarsi dal cielo che da potersi unquemai conseguire, e, se per sorte ve n'hanno, non sono punto durevoli. Ma, per non trallasciare punto di dubbio d'intorno a tal successione di Stati politici o sien civili, secondo questa ritruoverassi le repubbliche mescolarsi naturalmente, non già di forme (che sarebbero mostri), ma di forme seconde mescolate coi governi delle primiere; il qual mescolamento è fondato sopra quella Degnità: che, cangiandosi gli uomini, ritengono per qualche tempo l'impressione del loro vezzo primiero23.

Per spiegare la sua idea sul governo misto Vico fa riferimento alla degnità LXXI, per la quale «i natii costumi, e sopra tutto quello della natural libertà, non si cangiano tutti ad un tratto, ma per gradi e per lungo tempo»24. Di conseguenza sono ammesse forme miste intese come forme transitorie, cioè vengono interpretate come una persistenza da parte della specie di governo dell'età precedente a perdurare per qualche tempo anche in quella successiva. Infatti, i governi familiari dei primi uomini si mantengono anche nelle repubbliche aristocratiche. A loro volta, queste ultime sono presenti anche nelle

22 SN44, § 927. 23 SN44, § 1004. 24 Ivi, § 249.

prime repubbliche popolari e, infine, anche le monarchie hanno bisogno, per nascere, del sostegno popolare. Perciò, «se è vero che non possono darsi stati misti nel senso proprio della parola, cioè stati in cui sarebbe diviso ciò che non può essere diviso (il potere sovrano), vi sono nella realtà stati in cui le forme successive sono “mescolate” con le forme precedenti»25.

Il secondo punto in questione è quello per cui Vico non aderisce a un'altra concezione classica, cioè quella che individua sei forme di governo, dove tre sono quelle positive e le altre tre sono gli opposti negativi. Secondo tale teoria ad aristocrazia, monarchia e repubblica si alternano i loro contrari: oligarchia, tirannide e anarchia26. Infatti, per Vico non ha senso parlare di forme di governo buone o cattive, perché ogni nazione è «in ciascheduna sua spezie ottima». Quindi, se ogni tipo di governo è ottimo non si può ammettere una forma di governo cosiddetta negativa. Ogni stadio è di per sé positivo, ottimo, in quanto è sempre ordinato dalla provvidenza divina.

A questo punto si può passare ad analizzare il modo in cui i vari governi si succedono nel tempo. Per il fine che il capitolo si propone (quello di mostrare come il rapporto mente-corpo possa essere trasportato anche nella discussione politica di Vico), è necessario iniziare a ragionare non tanto dall'aristocrazia, prima forma di governo, ma da ciò che la precede: la monarchia familiare. Quest'ultima si forma dai primi giganti, che, terrorizzati dal fulmine, si ritirarono nelle caverne e attraverso le prime unioni danno vita ai nuclei familiari, i quali avevano a capo i padri di famiglia. A tal proposito, Vico scrive che «i padri nello stato delle famiglie dovetter esser i sappienti in divinità d'auspìci, i sacerdoti che sagrificavano per proccurargli o sia ben intendergli, e gli re che portavano le divine leggi alle loro famiglie»27. Questa monarchia, però, non rientra propriamente nelle forme di governo, ma appare come una forma proto-statale, in quanto è solamente un governo esercitato dai padri sui figli senza alcuna legge, ma con la sola autorità della religione. È attraverso questo espediente che Vico prende le distanze dal Platone delle Leggi e da tutta una tradizione filosofica, affermando che

25 N. Bobbio, Vico e la teoria delle forme di governo, op. cit., p. 12.

26 Questa idea Vico la riprende quasi sicuramente da Bodin, a cui il filosofo napoletano non riconosce, come spesso fa anche per altri pensatori, alcun merito; ma, al contrario, gli dedica un capitolo per confutare la sua filosofia politica. Mi riferisco al capitolo conclusivo (III) della sezione XIII del quarto libro della Scienza Nuova: Confutazione de' principi della dottrina politica fatta sopra il sistema di Giovanni Bodino (§§ 1009-1019). Al rapporto tra Vico e Bodin sono stati dedicati diversi studi. Il lavoro più recente è quello di A. Del Prete, Vico et Bodin, «Historia philosophica. Internation Journal», I, 2003, pp. 43-53.

l'aristocrazia, non la monarchia, è la prima specie di governo. Inoltre, il motivo fondamentale per cui le monarchie familiari non rientrano tra le altre forme politiche sta nella modalità in cui esse si formano.

La qual tradizione, mal ricevuta, diede la grave occasione del comun errore a tutti i politici: di credere che la prima forma de' governi civili fusse ella nel mondo stata monarchica; onde sono dati in quelli ingiusti princìpi di rea politica: che i regni civili nacquero o da forza aperta o da froda, che poi scoppiò nella forza. Ma in que' tempi, tutti orgoglio e fierezza per la fresca origine della civiltà bestiale […], nella somma semplicità e rozzezza di cotal vita, […] non si può affatto intendere né froda né forza, con la quale uno potesse assoggettir tutti gli altri ad una civil monarchia28.

Come detto nel paragrafo precedente, ogni diritto è tale in quanto fa uso della forza. I primi uomini dell'età degli dei, non essendo capaci né di ingannare gli altri né di far uso della forza, non poterono soggiogare gli altri uomini e di conseguenza formare una monarchia civile. Perciò, senza servirsi della violenza, formano una monarchia privata. Ciononostante è da questa prima forma di potere che bisogna partire, perché è da qui che la società, così come la intende Vico, si sviluppa. Infatti, non tutti i giganti avevano formato i regni familiari. Alcuni erano rimasti ad uno stato ferino, dove donne e beni erano bersaglio gli uni degli altri. Questi giganti empi tendono a dividersi in due gruppi: i forti e i deboli. Poiché i secondi erano preda dei primi, per salvarsi chiesero aiuto e protezione ai padri di famiglia. Questi ultimi, unendosi fra di loro in un vincolo di amicizia, uccisero i violenti e in cambio i giganti empi, detti “famoli”, finirono sotto il loro controllo. A differenza dei primi uomini che avevano basato la loro unione sui matrimoni e sull'amicizia, i famoli si assoggettano ai padri di famiglia per necessità ed è proprio tale carattere a fare in modo che si formi la società vera e propria. Infatti

i primi vennero all'umana società spinti dalla religione e da natural istinto di propagare la generazione degli uomini (l'un pia, l'altra propiamente detta gentil cagione), diedero principio ad un'amicizia nobile e signorile; e perché i secondi vi vennero per necessità di salvare la vita, diedero principio alla «società» che propiamente si dice, per comunicare principalmente l'utilità, e, 'n conseguenza, vile e servile29.

Solo nel momento in cui i famoli vengono salvati dai padri di famiglia si forma quella che è comunemente chiamata società. Questo perché alla base di questa unione c'è un

28 Ivi, § 522. 29 Ivi, § 555.

doppio atto di violenza da parte dei padri di famiglia (e la forza, come si sa, è alla base della nascita del diritto e, di conseguenza, dello stato): quello verso i giganti violenti e quello verso i giganti empi. Nel primo caso si ha un vero e proprio atto di forza fisica. Nel secondo, invece, l'utilizzo della forza va ravvisato nel modo in cui i famoli vengono trattati dai padri, cioè come servi. La condizione indispensabile per la nascita della società è la formazione, all'interno della società, della dicotomia tra padrone (i padri e i loro figli, detti liberi) e servo (i famoli e i loro figli, detti clientes).

Con la formazione delle famiglie dei famoli, le cui «vite erano in balia de' loro signori»30, e l'unione dei padri tra loro, pur entrando storicamente nell'età degli eroi, non nasce ancora l'aristocrazia. Il regno aristocratico per potersi sviluppare definitivamente ha bisogno di un ultimo evento: l'ammutinamento dei famoli contro gli eroi. Nella misura in cui «gli uomini prima amano d'uscir di suggezione e disiderano ugualità»31, anche i famoli si stancarono di vivere in quello stato servile ribellandosi ai loro padroni. Per rispondere a questa offensiva «dovettero per natura esser portati gli eroi ad unirsi in ordini, per resistere alla moltitudini de' famoli sollevati, dovendo loro far capo alcun padre più di tutti feroce e di spirito più presente; e tali se ne dissero i “re”»32. Così nascono i regni aristocratici in cui i padri erano sovrani nelle loro famiglie e uguali fra loro, poiché nessuno voleva cedere agli altri dei propri diritti o privilegi. Perciò i padri «senza umano scorgimento o consiglio, si truovaron aver uniti i loro privati interessi a ciascun lor comune, il quale si disse “patria”, […] onde dovettero i soli nobili esser i cittadini delle prime patrie»33.

Quindi, i nobili (chiamati anche patrizi proprio in quanto sono anche padri) si uniscono fra di loro formando un governo aristocratico. Essi, però, hanno bisogno di qualcuno che continui a servire all'interno della città. Perciò i senatori si vedono costretti a fare una concessione ai clienti che si erano ribellati. Viene quindi concesso il “diritto

30 Ivi, § 582. 31 Ivi, § 293.

32 Ivi, § 584. In questo caso l'individuazione di un capo non è riferito alla nascita della monarchia, ma all'aristocrazia. Questo necessità deriva, da un lato, dal bisogno dei vari padri-eroi di individuare un capo fra di loro. Inoltre, dall'altro lato, questo utilizzo da parte di Vico va pensato in rapporto alla storia romana, a cui l'autore fa sempre riferimento per illustrare la sua teoria delle forme di governo. In questo senso Vico, in maniera innovativa, reinterpreta come governo aristocratico ciò che nella rappresentazione classica è il periodo della monarchia. Secondo questa tesi tra i vari senatori ne viene scelto uno che è il capo, una sorta di re, e che si configura come una specie di rappresentante di tutto il senato. Ma in generale tutti i senatori godono degli stessi diritti. Di conseguenza il periodo del governo monarchico a Roma si ha con la nascita dell'impero, che viene per l'appunto dopo il periodo repubblicano.

bonitario dei campi” ai famoli. Secondo questo diritto, che fu la prima legge agraria del mondo, veniva concesso ai clienti un dominio d'uso, precario, dei campi che appartenevano ai nobili. In realtà i clienti continuavano a non avere niente, poiché tale possesso era troppo instabile per poter garantire una qualche forma di benessere sociale. «Così convennero i famoli a comporre le prime plebi dell'eroiche città, senza avervi niuno privilegio di cittadini»34. Quando i plebei si accorgono che in realtà non hanno alcun diritto domandano di poter celebrare i matrimoni così come facevano i padri, privilegio che gli avrebbe fatto ottenere la cittadinanza romana, basata proprio su tale principio. Con il tempo non solo le richieste della plebe ai patrizi aumentano, ma anche il numero dei plebei nella città cresce sempre più. Dunque, «poi che esse plebi dell'eroiche città, divenute numerose ed anco agguerrite (che mettevano paura a' padri, che nelle repubbliche di pochi debbon esser pochi) ed assistite dalla forza (ch'è la loro moltitudine), cominciarono a comandare leggi senza autorità de' senati, si cangiarono le repubbliche, e da aristocratiche divennero popolari»35.

Da ultimo, la democrazia diventa per natura monarchia quando i vari cittadini, soggiogati dall'ambizione, smettono di interessarsi ai problemi pubblici per dedicarsi, invece, a quelli privati.

Cotal legge regia naturale è conceputa con questa formula naturale di eterna utilità: che, poiché nelle repubbliche libere tutti guardano a' loro privati interessi, a' quali fanno servire le loro pubbliche armi in eccidio delle loro nazioni, perché si conservin le nazioni, vi surga un solo (come tra' romani un Augusto), che con la forza dell'armi richiami a sé tutte le cure pubbliche e lasci a' soggetti curarsi le loro cose private, e tale e tanta cura abbiano delle pubbliche quale e quanta il monarca lor ne permetta; e così si salvino i popoli, ch'anderebbero altrimente a distruggersi36.

Per fare in modo che le repubbliche non si autodistruggano a causa del desiderio di ognuno di curare, non l'interesse pubblico, ma quello privato, bisogna che nello stato nasca una figura carismatica che, con la forza delle armi, sia in grado di affermarsi come re. Con l'avvento della monarchia uno solo diventa il responsabile della gestione delle cose pubbliche e così gli altri cittadini possono dedicarsi ai loro privati interessi. Perché la monarchia sia stabile il re ha bisogno di trovare l'appoggio del popolo, l'unico che può garantirgli la possibilità di un comando saldo. «Perciò le monarchie per natura si

34 Ivi, § 597. 35 Ivi, § 1006. 36 Ivi, § 1008.

governano popolarmente»37 attraverso tre diversi procedimenti: primo, con leggi che hanno il fine di rendere tutti i cittadini uguali tra di loro; secondo, liberando il popolo dall'oppressione dei più forti; terzo, concedendo privilegi a determinati ordini o persone meritevoli di tale onore. Così si afferma l'ultima delle forme di governo, la quale è la più conforme alla natura umana completamente sviluppata nelle sue capacità razionali. A questo punto possiamo concludere analizzando come la filosofia politica della

Scienza Nuova, esposta sopra, sia declinabile nel rapporto che a livello gnoseologico si

instaura tra mente e corpo. Da un primo punto di vista tale relazione si può scorgere, a livello generale, nella teoria delle forme di governo. Se, come si è già detto all'inizio del capitolo, la fondazione delle repubbliche corrisponde allo sviluppo dell'uomo, allora il passaggio da una forma di governo all'altra può essere inteso come un progressivo spostamento del corpo verso la mente. Non è un caso, a tal proposito, che Vico definisca la monarchia civile espressione di una «intelligente natura, la qual è propria dell'uomo»38. In generale la successione nel tempo dei vari governi avviene attraverso quest'ordine: uno, pochi, molti/tutti e di nuovo uno.

Ma ci piace finalmente di dimostrare come sopra quest'ordine di cose umane civili, corpolento e composto, vi convenga l'ordine de' numeri, che sono cose astratte e purissime. Incominciarono i governi dall'uno con le monarchie famigliari; indi passarono a' pochi, con l'aristocrazie eroiche; s'innoltrarono ai molti e tutti nelle repubbliche popolari, nelle quali o tutti o la maggior parte fanno la ragione pubblica; finalmente ritornarono all'uno nelle monarchie civili. Né nella natura de' numeri si può intender divisione più adeguata né con altr'ordine che uno, pochi, molti e tutti, e che i pochi, molti e tutti ritengano, ciascheduno nella sua spezie, la ragione dell'uno: siccome i numeri consistono in indivisibili, al dir d'Aristotile, e,

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 132-145)