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La mente nella storia

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 116-126)

La mente dinamica della Scienza Nuova

4. La mente nella storia

Alla fine della sezione dedicata alla Metafisica poetica, Vico indica nove aspetti principali che caratterizzano la sua opera. Uno di questi definisce la Scienza Nuova come «una storia ideale eterna sopra la quale corrano in tempo le storie di tutte le nazioni»101. Tale principio, caratteristico dell'opera vichiana, ha spesso dato adito ad alcune interpretazioni che tendono a considerare la Scienza Nuova in ottica storicistica. Infatti, il concetto di storia ideale eterna non deve portare a considerare la storia vichiana in senso storicistico, come se essa avesse una ragione o una direzione prestabilita. La storia ideale eterna è in sé atemporale. Da sola non è nulla, ma acquista valore solo quando in essa “corrono in tempo”, cioè ognuna con il suo tempo, le varie storie delle nazioni. Quindi le varie nazioni, in tempi diversi e intrecciati tra loro, presentano caratteri uniformi, conferitigli da questa storia ideale eterna, la quale si configura come una specie di principio, di legge, immanente di uniformità.

Sempre legato alla storia ideale eterna e a questa concezione di Vico come precursore dello storicismo si ha un altro passo, situato nella sezione Del Metodo, in cui l'autore scrive che qui

ci avvanziamo ad affermare ch'in tanto chi medita questa Scienza egli narri a se stesso questa storia ideal eterna, in quanto – essendo questo mondo di nazioni stato certamente fatto dagli uomini […], e perciò dovendosene ritruovare la guisa dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana – egli, in quella pruova «dovette, deve, dovrà», esso stesso sel faccia; perché, ove avvenga che chi fa le cose esso stesso le narri, ivi non può essere più certa l'istoria102.

In questo frase molti critici hanno visto uno spostamento del criterio del verum ipsum

factum al terreno della storia. Qui, però, Vico non dice affatto che l'uomo deve narrare la

propria storia, cioè la storia dell'umanità. Piuttosto, si dice che l'uomo deve narrare la storia ideale eterna, perché questa è stata fatta dagli uomini. Ma la storia ideale eterna ha senso solo attraverso le nascita delle varie nazioni fatte dagli uomini, le quali si sviluppano secondo caratteri comuni in tempi diversi. Perciò bisogna convenire con Cristofolini «che Vico non ha mai detto che l'uomo fa la storia, ma ha parlato di “mondo civile” fatto dagli uomini»103.

101 SN44, § 393. 102 SN44, § 349.

Che non sia propriamente l'uomo a fare la storia si comprende anche dal significato a cui i termini ideale ed eterna, per questo tipo di storia, rimandano. Essi vanno infatti collegati a due tradizioni differenti: quella cristiana e quella platonica.

È proprio l'utilizzo del termine ideale a connettersi al platonismo. Infatti, scrive Vico, i semi dell'eterno vero, appartenenti a Dio, non sono spenti nei primi uomini che avevano abbandonato la religione.

Ma, siccome, in noi sono sepolti alcuni semi eterni di vero, che tratto tratto dalla fanciullezza si van coltivando, finché con l'età e con le discipline provengono in ischiaritissime cognizioni di scienze; così nel genere umano per lo peccato furono sepolti i semi eterni del giusto, che tratto tratto dalla fanciullezza del mondo, col più e più spiegarsi la mente umana sopra la sua vera natura, si sono iti spiegando in massime dimostrate di giustizia104.

Prima dei semi del vero, necessari per sviluppare le scienze, devono destarsi negli uomini i semi del giusto che permettono di costruire il mondo civile sopra la giustizia. Mano a mano che i giganti tornano ad essere uomini il giusto sarà sempre più alla base della società.

Inoltre, la storia, in quanto ideale ed eterna, è pure legata al cristianesimo proprio perché è la manifestazione storica della provvidenza divina. Quest'ultima, sostiene Vico, è stata sempre considerata come appartenente soltanto all'ordine delle cose naturali e mai a quelle civili. La metafisica si deve però applicare alla fisica tanto quanto alla società.

Perciò questa Scienza, per uno de' suoi principali aspetti, dev'essere una teologia civile ragionata della provvedenza divina. […] Laonde cotale Scienza dee essere una dimostrazione, per così dire, di fatto istorico della provvedenza divina, perché dee essere una storia degli ordini che quella, senza verun umano scorgimento o consiglio, e sovente contro essi proponimenti degli uomini, ha dato a questa gran città del genere umano, ché, quantunque questo mondo sia stato criato in tempo e particolare, però gli ordini ch'ella v'ha posto sono universali ed eterni105.

La provvidenza divina agisce nella formazione del mondo civile, in quanto conferisce a quest'ultimo i caratteri di universalità e di eternità che gli appartengono. Essa è ciò che propriamente porta l'uomo verso la giusta direzione, nonostante le sue intenzioni possano essere inizialmente contrarie.

104 SN25, § 49. Lo stesso pensiero era già stato espresso da Vico nel De Uno attraverso il principio della vis veri: «laonde, nell'uomo corrotto non sono del tutto spenti i semi della verità, e questi coll'aiuto d'Iddio, valgono a fargli dispiegare una forza che contrasta alla corruzione della natura» (DU, p. 52). 105 SN44, § 342.

Poco dopo, sempre nella sezione Del metodo, Vico illustra i tre principi di cui si serve la Provvidenza per rimediare agli errori dell'agire umano106. Questi contribuiscono alla conservazione del genere umano e sono: naturalezza, ordine e fine.

1. La naturalezza indica il momento essenzialmente dinamico e spontaneo dello sviluppo. Essa corrisponde alla facilità con cui le cose nascono.

2. L'ordine è ciò che dispone, nel loro modo migliore, le cose, le quali nascono secondo i propri tempi e i propri luoghi. Infatti, come già detto, le varie nascite non sono simultanee, ma variano a seconda dei tempi e dei luoghi.

3. Il fine è invece il principio attraverso cui la provvidenza regola le azioni umane, correggendo quelle sbagliate e reindirizzandole verso il fine preposto da Dio107. Questo concetto, cioè che la sapienza divina regoli la natura degli uomini, avvalendosi delle azioni e degli intenti umani per fini più alti, è ripetuto anche nella Conchiusione

dell'opera. Infatti, le nazioni umane sono state certamente fatte dagli uomini, ma, allo

stesso tempo, tale mondo è sorto anche da una mente diversa da quella umana, che è sempre orientata verso fini particolari. Però, non è grazie ai fini particolari che l'uomo può proteggere se stesso. Può ottenere ciò solo attraverso fini generali. Le intenzioni umane, perciò, non hanno sempre il medesimo risultato che era stato immaginato: i giganti sono mossi da una libidine animalesca e abbandonano i figli, ma nonostante ciò nascono i casti matrimoni e le famiglie; i primi padri delle famiglie vogliono esercitare un potere tirannico sui clienti, ma da qui sorgono le città; quando i nobili vogliono abusare del loro potere a sfavore del popolo aumentano, invece, le libertà popolari; e così in moltissimi altri casi. Questa manifestazione della divina provvidenza si rivela nel mondo grazie all'azione della mente umana. Dio agisce grazie alla mente umana, ma allo stesso tempo è l'uomo stesso che agisce sul mondo grazie allo sviluppo della

106 Su ciò cfr. S. Caianiello, Processualità e temporalità in Vico, in Vico tra l'Italia e la Francia, op. cit., pp. 287-309.

107 «Per tutto ciò, […] qui pruove non si potranno più sublimi desiderare che queste istesse che ci daranno la naturalezza, l'ordine e 'l fine, ch'è essa conservazione del genere umano. Le quali pruove vi riusciranno luminose e distinte, ove rifletteremo con quanta facilità le cose nascono ed a quali occasioni, che spesso da lontanissime parti, e talvolta tutte contrarie ai proponimenti degli uomini, vengono e vi si adagiano da se stesse; e tali pruove ne somministra ne somministra l'onnipotenza. Combinarle e vederne l'ordine, a quali tempi e luoghi loro propi nascono le cose ora, che vi debbon nascer ora, e l'altre si differiscono nascer ne' tempi e ne' luoghi loro, nello che, all'avviso d'Orazio, consiste tutta la bellezza dell'ordine; e tali pruove ci apparecchia l'eterna sapienza. E finalmente considerare se siam capaci d'intendere se, a quelle occasioni, luoghi e tempi, potevano nascere altri benefìci divini, co' quali, in tali o tali bisogni o malori degli uomini, si poteva condurre meglio a bene e conservare l'umana società; e tali pruove ne darà l'eterna bontà di Dio» (SN44, §344).

propria mente, la quale ha abbracciato il vero Dio108.

Penso che tali parole provino ancora una volta, come la mente umana non esegua un progetto razionale quando crea il suo mondo. Il fare dei primi uomini, e credo che ciò risulti anche dai paragrafi precedenti, è un fare che dietro di sé non ha alcun disegno prestabilito. «La mente, che attua il verum-factum, o esprime una razionalità a

posteriori, oppure, quando edifica, attraverso i miti, dà luogo ad agire infondato. La

mente consapevole e intenzionale non guida la storia, né le assicura il rimedio»109. Comunque, come si è visto per il linguaggio, il fare dei primi uomini va considerato come vero perché le loro verità devono essere commisurate allo stato attuale della mente. Se quest'ultima è caratterizzata da vari stadi, crea a seconda del suo grado di sviluppo. Ecco perché la Scienza Nuova è pure una “storia delle umane idee”, le quali «incominciarono da idee divine con la contemplazione del cielo fatta con gli occhi del corpo […]; così questa storia d'idee ne darà le rozze origini così delle scienze pratiche che costuman le nazioni, come delle scienze specolative le quali, ora còlte, sono celebrate da' dotti»110.

La storia, quindi, non è la costruzione privilegiata dell'uomo. Allo stesso tempo l'uomo partecipa della storia. In quanto ogni aspetto che riguarda l'umanità è caratterizzato da un corso, l'uomo è immerso in una dimensione temporale e processuale, che svolge all'interno del testo vichiano un ruolo fondamentale. È come se l'uomo partecipasse di due storie. Una, di cui si è già detto, è la storia ideale eterna, la quale si configura sostanzialmente come atemporale. L'altra è la storia temporale intesa come processo, come succedersi di età. Tutto, infatti, è caratterizzato da fasi di sviluppo. Questo si è visto ad esempio per l'uomo, per la mente, per l'universale fantastico e pure per il linguaggio. In questo senso la mente umana partecipa costantemente dell'elemento

108 «Perché pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni (che fu il primo principio incontrastato di questa Scienza, dappoiché disperammo di ritruovarla da' filosofi e da' filologi); ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti; quali fini ristretti, fatti mezzi per servire a fini più ampi, gli ha sempre adoperati per conservare l'umana generazione in questa terra. Imperciocché vogliono gli uomini usar la libidine bestiale e disperdere i loro parti, e ne fanno la castità de' matrimoni, onde surgono le famiglie; […] vogliono le nazioni disperdere se medesime, e vanno a salvarne gli avanzi dentro le solitudini, donde, qual fenice, nuovamente risurgano. Questo, che fece tutto ciò, fu pur mente, perché 'l fecero gli uomini con intelligenza; non fu fato, perché 'l fecero con elezione; non caso, perché con perpetuità, sempre così faccendo, escono nelle medesime cose» (Ivi, § 1108).

109 C. Castellani, Metafisica della mente e verum-factum. Un confronto di Vico con Cartesio, in Vico e Gentile. Annuario dell'accademia d'Ungheria (1995), op. cit., pp. 75-85, p. 79.

processuale. A differenza della storia ideale eterna, la storia come processo «ha un'indiscutibile autonomia e un'interna cogenza: essa è veicolata dall'immagine di un movimento continuo […] delle modificazioni della mente che generano sette di tempi all'interno delle quali si delimitano di volta in volta “incompossibilità” del darsi simultaneo dei vari aspetti della indiffinita natura della mente»111.

Quello che si vuole analizzare adesso, è il movimento che caratterizza la mente e l'uomo all'interno di tale processo. Cioè quali siano le fasi che caratterizzano la mente nelle varie età in cui essa si trova. Prima di analizzare il modo in cui viene presentato il rapporto della mente con la storia, è bene sottolineare che tale processo evolutivo non è immediato, ma è molto lento e spesso anche non immediatamente accettato dagli uomini. Questo concetto viene espresso da Vico nella degnità LXXI della Scienza

Nuova del 1744: «i natii costumi, e sopra tutto quello della natural libertà, non si

cangiano tutti ad un tratto, ma per gradi e per lungo tempo»112. Questa degnità è una rielaborazione di un principio che era stato espresso da Vico anche nella Scienza Nuova del 1725, in cui è scritto che «la natura degli uomini non cangiandosi tutta ad un tratto, ma sempre ritenendo un'impressione del vezzo o sia usanza primiera»113. Seppur simili, tali enunciati presentano anche una forte differenza. In quello del 1725 Vico sottolinea sia il cambiamento graduale dell'umanità sia la profonda inerzia che caratterizza gli uomini. È proprio la natura che caratterizza i popoli a far sì che loro tendano sempre a resistere ad ogni forma di cambiamento. L'uomo, sostanzialmente, cerca sempre di frenare la gradualità, lo sviluppo che lo circonda.

Questo concetto viene però rielaborato già pochi anni più tardi, infatti la degnità della versione del 1744, sopra citata, corrisponde alla LXVII nella versione del 1730. Già cinque anni dopo, quindi, essa viene presentata in una forma diversa. Intanto non si parla più di natura dei popoli, ma di costumi natii. Inoltre, ed è il cambiamento più evidente, viene completamente eliminato qualsiasi riferimento alla tendenza a persistere da parte degli uomini. Adesso viene tematizzato il solo sviluppo, che avviene per gradi e per lungo tempo. Vico rimane cosciente di questa resistenza al cambiamento da parte dell'uomo e ne parla, infatti, in altri luoghi della Scienza Nuova, però a livello delle

111 S. Caianiello, Processualità e temporalità in Vico, op. cit., pp. 290-291. L'utilizzo da parte dell'autrice del termine “sette di tempi” va riferito a un passo del libro III della Scienza Nuova del 1744 (§879), in cui Vico afferma che ai tempi del giovane Omero si affermarono nello stesso tempo in Grecia una serie di costumi talmente diversi da sembrare “incompossibili” tra di loro.

112 SN44, § 249. 113 SN25, § 90.

degnità, cioè degli assiomi generali che caratterizzano tale scienza, questa inerzia umana scompare per far posto alla sola processualità.

Passiamo adesso ad analizzare il rapporto che si crea tra la mente umana e il ritmo della storia. Riguardo a questo tema si possono citare cinque differenti degnità: LIII, LXV, LXVI, LXVII e LVIII. Questi cinque assiomi possono poi essere suddivisi in due distinti gruppi, che corrispondono a due diversi sviluppi dell'umanità. Le prime due degnità (LIII e LXV) indicano un tipo di sviluppo lineare e ascendente, mentre le altre tre (LXVI, LXVII e LXVIII) illustrano una progressione parabolica114.

Si vedano, a questo punto, i primi due enunciati:

LIII. Gli uomini prima sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura.

LXV. L'ordine delle cose umane procedette: che prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l'accademie115.

Come si può immediatamente comprendere i due modelli ascensionali sono riferiti a due aspetti diversi, ma comunque collegati tra loro. La prima delle due degnità riguarda la conoscenza umana. Il ritmo che viene espresso è totalmente ascensionale. L'uomo, prima, sente senza avvertire, cioè è dotato di sensi, ma non li usa. Poi, utilizza la conoscenza sensibile grazie alle passioni, le quali, come si sa, sono state risvegliate dal fulmine. Infine, una volta sviluppata la propria mente, si serve della riflessione.

La degnità LXV presenta, invece, un movimento ascensionale che sembra riguardare i luoghi dello sviluppo umano. Si passa infatti dalle selve, ai tuguri, ai villaggi, alle città e infine alle accademie. Però, al di là dell'apparenza, Vico non si riferisce qui ai luoghi, ma allo sviluppo delle lingue che accompagna il progressivo avanzamento della società umana. Infatti, nella spiegazione chiarisce che «questa Degnità è un gran principio d'etimologia: che secondo questa serie di cose umane si debbono narrare le storie delle voci delle lingue natie, come osserviamo nella lingua latina quasi tutto il corpo delle sue voci aver origini selvagge e contadinesche»116. Vico, a tal proposito, porta l'esempio della parola lex. Tale termine viene prima inteso come “raccolta di ghiande” ed è simile a illex, cioè l'elce (leccio), l'albero che produce la ghianda. Questo è perciò il momento dei tuguri (il momento delle selve non va considerato, perché i primi uomini non erano

114 Su ciò cfr. P. Cristofolini, La Scienza Nuova di Vico, op. cit., pp. 105-109. 115 SN44, § 218 e § 239.

ancora capaci di produrre alcun tipo di linguaggio). Ai villaggi corrisponde la parola lex intesa come “raccolta di legumi”, da cui appunto legumina. Poi, nelle città lex indica “raccolta di cittadini”. Infine, e qui sta il senso di citare le accademie nell'ordine delle cose, lex diventa legere cioè il raccogliere insieme le lettere per formare, così, parole diverse.

Per riassumere, le due degnità sono riferite a due temi strettamente collegati, in quanto entrambi riferiti alle attività mentali: la conoscenza umana e il linguaggio, che hanno un ruolo fondamentale nella nascita delle nazioni, le quali anche se non direttamente nominate, in questo caso, sono implicitamente considerate.

Passiamo adesso alle tre degnità che mostrano la progressione parabolica (cioè prima ascendente e poi discendente) dell'umanità:

LXVI. Gli uomini prima sentono il necessario, dipoi badano all'utile, appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano nel piacere, quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrapazzar le sostanze.

LXVII. La natura de' popoli prima è cruda, dipoi severa, quindi benigna, appresso dilicata, finalmente dissoluta.

LXVIII. Nel gener umano prima surgono immani e goffi, qual'i Polifemi; poi magnanimi ed orgogliosi, quali gli Achilli; quindi valorosi e giusti, quali gli Aristidi, gli Scipioni affricani; più a noi gli appariscenti con grand'immagini di virtù che s'accompagnano con grandi vizi, ch'appo il volgo fanno strepito di vera gloria, quali gli Alessandri e i Cesari, più oltre i tristi riflessivi, qual'i Tiberi; finalmente i furiosi dissoluti e sfacciati, qual'i Caligoli, i Neroni, i Domiziani. Questa Degnità dimostra che i primi abbisognarono per ubbidire l'uomo all'uomo nello stato delle famiglie, e disporlo ad ubbidir alle leggi nello stato ch'aveva a venire delle città; i secondi, che naturalmente non credevano a' loro pari, per istabilire sulle famiglie le repubbliche di forma aristocratica; i terzi per aprirvi la strada alla libertà popolare; i quarti per introdurvi le monarchie; i quinti per istabilirle; i sesti per rovesciarle.

E questa con l'antecedenti Degnità danno una parte de' princìpi della storia ideal eterna, sulla quale corrono in tempo tutte le nazioni ne' loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini117.

Si può notare, innanzitutto, che queste degnità, a differenza delle altre, non rientrano propriamente nell'ambito delle attività mentali, ma vanno accostate alla sfera dell'agire pratico. La prima delle tre riguarda i desideri umani che, dopo aver iniziato da ciò che è strettamente necessario, toccano l'acme nel momento in cui raggiungono la comodità. Da qui il desiderio si rivolge sempre più verso le cose superflue, per arrivare, infine, a dissipare ogni bene con cui hanno a che fare.

La degnità LXVII riguarda invece la natura dei popoli, che, in maniera analoga ai

desideri, partendo da uno stato rozzo e semplice, si innalza fino ad essere benigna per poi ripiegarsi su se stessa, abbracciando una natura sfrenata.

La degnità LXVIII presenta, invece, tre distinte progressioni paraboliche. La prima riguarda ancora una volta gli uomini e la loro natura. All'inizio, essi sono goffi, poi magnanimi e orgogliosi, per raggiungere, infine, il punto più alto quando sono valorosi e giusti. Da qui, iniziano gradualmente a peggiorare e da appariscenti, diventano poi riflessivi e tristi e infine, come nei casi precedenti, dissoluti. La seconda progressione parabolica, che questa degnità mostra, è quella che instaura il parallelismo tra le varie

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