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Ritorno alla metafisica

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 67-73)

Facoltà della mente e metodo di conoscenza

4. Ritorno alla metafisica

Nel paragrafo precedente si è visto quanto sia decisivo il ruolo didattico della geometria sintetica nella formazione della mente. La sintesi viene preferita da Vico nell'educazione dei giovani per la sua capacità di far leva su quelle facoltà che i ragazzi sono portati, per inclinazione naturale, ad utilizzare in misura maggiore rispetto alle altre. Nello specifico, come detto precedentemente, il procedimento sintetico esercita la fantasia e, per la sua tendenza a comporre le cose che indaga, sviluppa l'ingegno più di quello che fa l'analisi. Però, quando si passa al Liber Metaphysicus, il contesto cambia.

A cambiare con esso è anche l'utilizzo, che Vico fa, della geometria sintetica e dell'algebra analitica e conseguentemente delle capacità che esse regolano. Quindi, adesso, cercherò di mostrare brevemente come nel De Antiquissima venga sviluppato il discorso sulle arti che governano le facoltà conoscitive.

Subito dopo aver presentato topica e critica, Vico sostiene che tutti i filosofi e le scuole filosofiche che si dedicano univocamente ad una delle due arti tralasciando l'altra sbagliano fortemente, «perché la scoperta non può essere certa senza il giudizio, così come il giudizio non può esserlo senza la scoperta»68. Se la topica corrisponde all'ars

inveniendi e la critica all'ars judicandi, queste si giustificano l'una con l'altra diventando

entrambe necessarie per la formazione del sapere. È proprio perché vengono utilizzate insieme che divengono certe.

Sia chiaro fin da subito. Non è che qui il pensiero vichiano venga rivoluzionato rispetto a quello che abbiamo visto nelle prolusioni accademiche. Infatti penso che si possa tranquillamente sostenere che la correlazione tra analisi e sintesi è determinata da una precedenza della seconda sulla prima, così come viene espresso già nel De Ratione. Vico sostiene chiaramente che la critica non può pensare di procedere da sola senza la topica:

Come può dunque l'idea chiara e distinta della mente nostra essere regola del vero

67 De Mente, pp. 59-61. 68 De Antiquissima, p. 125.

se non viene analizzato tutto ciò che è insito nella cosa e che ad essa si riferisce? E in che modo si può essere certi di aver analizzato ogni cosa se non è stata esaminata ogni questione che possa sorgere su quella cosa?

[…] se si confida nell'idea chiara e distinta della mente per analizzare una cosa, s'incorre facilmente in errore e spesso si crederà di aver penetrato distintamente le cose quando invece le si è solo conosciute confusamente, perché non si è giunti alla conoscenza di tutte le caratteristiche che differenziano quelle cose dalle altre69. Come si vede il giudizio di Vico sull'analisi cartesiana non è cambiato. Egli l'approva nella misura in cui è accompagnata dalla geometria sintetica, la quale è l'unico procedimento che il filosofo napoletano ritenga adatto per scoprire ogni questione riguardo a ciò che si sta conoscendo. Il rischio della critica è che essa porti a ragionare sul nulla e perciò, per evitare questo, si deve procedere così: (1) chiedersi se la cosa sia; (2) che cosa essa sia; (3) quanto sia grande in estensione, peso e quantità; (4) come sia fatta, determinando cioè le sue qualità e (5) chiedersi quando è stata generata, quanto essa potrà durare e per quali cause potrà corrompersi. Questo procedimento va utilizzato per tutti i predicati di qualsiasi cosa si stia indagando e da qui procedere a collegare le cose tra di loro. L'osservazione attenta di una cosa, l'esperienza che se ne acquisisce, deve sempre precedere il giudizio su di essa.

Come già detto, però, in quanto si sta affrontando il tema metafisico non si può pensare di privilegiare il solo momento sintetico a discapito di quello analitico. Ci deve essere perciò correlazione tra le due precedenti arti, ma allo stesso tempo questa correlazione deve essere il primo momento necessario per arrivare al secondo, la trasformazione della topica in critica:

Ma se con l'aiuto della Critica si considerano tutti i luoghi della Topica, allora si potrà essere certi di aver conosciuto le cose chiaramente e distintamente, perché si sarà trattata la questione affrontando tutto ciò che è relativo ad essa: avendo preso tutto in considerazione, la Topica stessa si sarà convertita in Critica. I precetti teorici, infatti, sono come le leggi della Repubblica delle Lettere: essi sono osservazioni di un fatto naturale da parte di tutti gli uomini di cultura, le quali confluiscono nelle regole delle singole discipline.

Così, colui che farà qualcosa attenendosi a queste teorie sarà certo di essere in accordo con tutti i dotti; chi non lo farà commetterà facilmente errore, perché si fiderà unicamente della propria opinione70.

A questo punto sembra provata la necessità di far seguire al momento della scoperta quello del giudizio. Risulta ormai chiaro in che senso Vico ritenga imprescindibile il

69 Ivi, pp. 125-127. 70 Ivi, p. 127 (corsivo mio).

momento dell'analisi nella conoscenza umana. Essa deve accompagnare la topica facendo in modo che quest'ultima, progressivamente, si trasformi nella critica stessa. Qualsiasi indagine su un oggetto deve portare alla sua definizione, cioè a stabilire su di esso un giudizio. Credo che sia questo il senso in cui va letta l'affermazione di Vico al recensore del suo Liber Metaphysicus, quando scrive che «confuto non già l'analisi […]. Io l'appruovo, e l'appruovo tanto»71. L'approvazione è tale nella misura in cui all'analisi si accompagna la sintesi e viceversa, perché in questo modo soltanto le conoscenze umane sono tali e non mere opinioni.

Questa interdipendenza tra topica e critica porta direttamente e conseguentemente a un altro punto che differenzia il De Antiquissima dalle prolusioni accademiche anteriori. Mi riferisco al ruolo che la fantasia gioca all'interno della metafisica vichiana e soprattutto al rapporto che questa intrattiene con l'ingegno. Il termine phantasia, infatti, non è quasi mai usato in quest'opera, tranne quando si parla delle facoltà conoscitive umane e alla fine del §IV del settimo capitolo nella famosa frase: «la fantasia, che è l'occhio dell'ingegno»72. Questo breve inciso ribadisce la connessione, di cui peraltro si è già trattato precedentemente, tra ingegno e immaginazione.

Ma come mai, mentre nelle Orazioni Vico aveva molto insistito sullo sviluppo della fantasia nell'ottica di un miglioramento della facoltà ingegnosa, adesso essa viene quasi completamente tralasciata a favore dell'ingegno? Tutto ciò rientra precisamente nel discorso sviluppato fino ad ora.

Il motivo per cui al di là di questo punto Vico non abbia la necessità di parlare della fantasia è dovuto al fatto che adesso siamo in un ambito metafisico. La metafisica «tratta del vero esente dal dubbio, perché riguarda un oggetto della cui esistenza, sia che dubiti sia che sbagli o s'inganni, l'uomo ha comunque certezza»73. E in modo analogo sostiene nella seconda Risposta che qui si tratta della metafisica «nella quale l'uomo ha da conoscere e spiegare la sua mente, purissima e semplicissima cosa»74.

Si può sostenere che il discorso non sia più rivolto a dei giovani che devono scoprire gli oggetti che gli stanno intorno e che devono sviluppare le facoltà conoscitive. Adesso siamo nel momento filosofico più alto, in cui si presuppone che le capacità conoscitive umane siano state già tutte formate secondo le loro possibilità, siamo nella condizione in

71 Risposta I, p. 328. 72 De Antiquissima, p. 135. 73 Ivi, p. 111.

cui opera il saggio. Infatti scrive Vico: «che la forma metafisica consista in esser nuda di ogni forma particolare, cioè a dire che ella riceva tutte le particolari forme con tutta la facilità ed acconcezza; e quindi raccoglio la forma a cui debba il saggio conformar la sua mente»75.

Al centro del discorso non ci sono tanto le conoscenze della percezione sensibile, o meglio, ci sono nella misura in cui queste ultime vengono rielaborate dall'ingegno che elimina la percentuale corporea che le conoscenze di questo tipo hanno facendone una componente prettamente mentale e astratta. Detto questo, credo si possa sostenere che l'ingegno nel Liber Metaphysicus sia da collegare in misura maggiore all'intelletto76. Questo si vede anche all'inizio del capitolo VII. Qui, insieme ai sensi, alla fantasia e alla memoria, viene considerato l'intelletto come facoltà umana e non l'ingegno:

Conformemente a questi esempi, il vero intelletto è una facoltà, perché quel che comprendiamo attraverso di esso lo facciamo vero. Pertanto l'aritmetica e la geometria, nonché quella loro filiazione che è la meccanica, sono nella facoltà dell'uomo perché in esse dimostriamo il vero in quanto lo facciamo77.

Nei paragrafi successivi a questo, quando Vico entra nel merito delle varie capacità umane, non si parla più di intelletto, ma di ingegno. Questo è, a mio modo di vedere, segno della forte relazione che questi ultimi due termini instaurano all'interno del testo vichiano. Allo stesso tempo non si deve commettere l'errore di renderli equivalenti. Se infatti riprendiamo per intero l'inciso precedentemente citato, leggiamo che «la fantasia è l'occhio dell'ingegno, come il giudizio è l'occhio dell'intelletto»78. L'ingenium, quindi, può essere considerato come un terzo tra immaginazione e intelletto. È infatti ciò che, nel momento della topica, collega e unifica le immagini derivate dalla conoscenza sensibile e in questo senso è legato alla percezione e alle conoscenze corporee. Ma successivamente, nel passaggio che l'uomo deve necessariamente fare verso la critica, l'ingegno è ciò che permette di esprimere un giudizio poiché è con esso che le cose si fanno e vengono conosciute e perciò questo è collegato anche all'intelletto ed è una conoscenza prettamente astratta. In questo modo il principio del verum-factum trova la sua giustificazione sia per la conoscenza derivata dalle realtà fisiche sia per quelle

75 Risposta I, p. 329.

76 Sostiene ciò anche M. Sanna: «La metafisica, come fase conoscitiva avanzata, si avvale della strumentazione dell'intellectus» (Id, La “Fantasia, che è l'occhio dell'ingegno”, op. cit., p. 30). 77 De Antiquissima, p. 115.

esclusivamente astratte, matematica e geometria, che la mente umana compone liberamente.

Si può sostenere che sia proprio la facoltà ingegnosa a giustificare la correlazione tra metodo sintetico e metodo analitico. Ciò si può vedere chiaramente nelle Vici Vindiciae. Nella digressione sull'ingegno umano Vico scrive che è assurdo sostenere che l'ingegno contrasti con la verità. Riprendendo Bacone, asserisce che l'ingenium «è padre divino di tutte le invenzioni»79. Per usare la sintesi bisogna essere dotati di grande ingegno, poiché essa arriva a dimostrare ciò che aveva postulato come vero attraverso la composizione di ciò che è separato e distinto. Ma allo stesso tempo è sbagliato pensare che ci sia una contraddizione tra le dimostrazioni della sintesi e quelle dell'analisi. Infatti quest'ultima:

deriva da una qualche occulta forza divina dell'ingegno, per la quale anche a coloro che si occupano di algebra sembra di avere una capacità divinatrice, quando con retto procedimento dimostrano il vero; e ciò che quelli che seguono il metodo sintetico spesso riescono a dimostrare solo con molta fatica, quelli che applicano il metodo analitico lo dimostrano con somma facilità e prontezza: e questa capacità non può essere se non è una forza d'ingegno superiore, altro certo non è80.

La critica o il giudizio, così come la intende Vico, è quindi collegata all'ingegno. Attraverso questo metodo la capacità ingegnosa umana è come se raggiungesse un livello più alto rispetto a quello del metodo sintetico. Ecco perché, quello dalla sintesi all'analisi è un passaggio necessario. È così che la filosofia può elevare la mente umana e «rinsaldare e rafforzare la coerenza del saggio»81.

Per concludere il discorso, si può sostenere che Vico utilizzi un metodo geometrico collegandolo sia all'immaginazione che alla ragione. «Questo è il nuovo che Vico, […] introduce nel dibattito sulla razionalità dello spirito da un lato e le sue facoltà sensibili dall'altro […]: entrambe, ragione e immaginazione sono forze che mirano alla sintesi, alla commisurazione e alla proporzione, in termini geometrici: alla congruenza»82. Quest'ultima non è un concetto propriamente vichiano ma è un termine di derivazione euclidea. Oltre che dal matematico greco, questo concetto è utilizzato anche da Leibniz, il quale ne parla anche in termini di caratteristica. È proprio guardando l'uso che il

79 Vici Vindiciae, p. 352. 80 Ibidem.

81 Ivi, p. 356.

filosofo tedesco ne fa, che si può individuare un ulteriore punto di contatto, insieme a quello mostrato in precedenza, tra i due filosofi83.

La congruenza per Leibniz è un metodo che può dare grandi vantaggi in quanto permette alla mente di rappresentarsi in modo esatto e al suo stato naturale, senza dover ricorrere per forza a delle figure, tutto ciò che deriva dall'immaginazione. Perciò essa è qualcosa di opposto all'algebra cartesiana. Infatti quest'ultima, sottomettendo la geometria, non riesce a comprendere in modo esaustivo la figura geometrica, in quanto è difficile esporre le parti delle figure attraverso il calcolo algebrico. «Invece, questa nuova caratteristica, seguendo le figure visuali, non può non dare contemporaneamente sia la soluzione sia la costruzione e la dimostrazione geometrica, il tutto in maniera naturale e mediante un'analisi: cioè attraverso procedimenti determinati»84.

Inoltre, come in Vico l'analisi è il momento che l'uomo può e deve raggiungere attraverso un precedente procedimento sintetico, così in Leibniz «tale caratteristica spinge l'analisi sino al termine»85. Quest'ultimo, però, nello spiegare il funzionamento di tale congruenza si addentra in maggiori dettagli. Nella lettera a Huygens questo metodo viene mostrato nella sua applicazione al campo geometrico, in quanto esso è fortemente legato all'immaginazione. La congruenza può andare oltre, fino ad arrivare a descrivere le cose naturali, con la condizione che la cosa sia presente alla nostra mente, poiché solo così si può istituire un'analogia tra la costruzione mentale e la realtà fisica. L'oggetto d'indagine è così, e solo così, conosciuto chiaramente e distintamente. La caratteristica, attraverso l'uso di caratteri che sono come lettere dell'alfabeto, permette di fare ragionamenti, senza fatica e al contempo sicuri, valevoli per molteplici campi di conoscenze. «L'analogia diviene l'organo dell'applicazione di verità (che si fanno) alla realtà (che è) e costruisce uno spazio generico suscettibile di conferire senso a singolarità che si lasciano leggere»86.

Passando oltre la mera applicazione della caratteristica, si può sostenere che, in generale, l'intento di Leibniz sia quello di elaborare un metodo che superi l'algebra

83 Su ciò cfr. B. Pinchard, Congruenza, schematismo, sintesi. Prospettive leibniziane intorno al criterio di verità secondo Giambattista Vico, in «BCSV», XX, 1990, pp. 141-156.

84 Lettera di Leibniz a C. Huygens dell'8-IX-1679, in G.W. Leibniz, Scritti di Logica, tomo II, a cura di F. Barone, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 462.

85 Ibidem.

86 B. Pinchard, Congruenza, schematismo, sintesi, op. cit., p. 150. L'autore si serve di questa definizione per spiegare il momento del fulmine nella Scienza Nuova. Al di là di questo interessante parallelismo mi pare che il modo in cui viene applicata la congruenza possa essere più facilmente paragonato all'analogia, istituita nel De Antiquissima, tra punto metafisico e punto geometrico.

cartesiana. Anche Vico è mosso dagli stessi intenti. Egli, trattando di geometria sintetica e analitica, dialoga e polemizza con Cartesio così da approdare ad un'analisi totalmente diversa rispetto a quella del filosofo francese. Però, allo stesso tempo, le definizioni vichiane vengono riprese dalle opere di Cartesio. È quindi il caso di concentrarsi nuovamente sul rapporto fra i due, così da vedere i loro differenti punti di vista anche su questo tema.

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 67-73)