• Non ci sono risultati.

Il conatus come risveglio della mente

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 82-93)

La mente dinamica della Scienza Nuova

1. Il conatus come risveglio della mente

Il conatus è un termine tipico del lessico della filosofia moderna. Secondo la definizione data da Abbagnano, con questo nome si indica «l'ormé stoica cioè l'istinto o la tendenza di ogni essere alla propria conservazione»6. Lo stesso Vico si serve del termine conato a più riprese nelle sue opere. Nella Scienza Nuova esso arriva a svolgere un ruolo di primo piano nello sviluppo della mente. Però, prima di analizzare come esso venga presentato nell'ultima opera vichiana, è utile analizzarne lo sviluppo lungo tutta la sua produzione filosofica. In questa analisi è necessario partire dall'Autobiografia perché è esposta una teoria che, pur non trattandone propriamente, può essere associata al conato così come esso è delineato nelle varie opere vichiane. Da qui si passerà quindi al De

Antiquissima, successivamente si vedrà l'utilizzo del termine nel Diritto Universale,

così da arrivare infine alla Scienza Nuova7.

Nella Vita si può trovare una prefigurazione di quella che poi diverrà la teoria del conato (va comunque tenuto presente che l'autobiografia vichiana è di diversi anni più tarda rispetto al Liber Metaphysicus, poiché fu scritta tra il 1723 e il 1728 e infine ampliata nel 1731). Anche se la parola conato non viene mai esplicitamente utilizzata, si possono trovare delle assonanze tra la sua azione, così come è espressa nel De Antiquissima, e

6 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, UTET, Torino 1994, p. 145.

7 Su ciò cfr. M. Papini, Arbor humanae linguae. L'etimologico di G. B. Vico come chiave ermeneutica della storia del mondo, Cappelli, Bologna 1984 (in part. pp. 107-179); N. Badaloni, Introduzione a Vico, op. cit. pp. 38-50 e Id., Laici credenti, op. cit., pp. 149-154.

quella del cuneo. La figura del cuneo che agisce nella natura è introdotta nella parte del testo in cui Vico rimanda al De Antiquissima e al De aequilibrio corporis animantis, andato oggi perduto. In queste righe, dopo una serie di connessioni instaurate tra etimologie di parole fondamentali nel lessico della natura, si introduce il principio del cuneo, il quale agisce in ogni istante nella costruzione dei moti naturali.

E dalla voce «coelum», che significa egualmente il «bolino» e 'l «gran corpo dell'aria», [Vico] congetturava non forse gli egizi, da cui Pittagora aveva appreso, avessero oppinato che l'istromento, con cui la natura lavora tutto, egli sia il cuneo, e che ciò vollero significare gli egizi con le loro piramidi. E i latini la «natura» dissero «ingenium», di cui è principal propietà l'acutezza; sì che la natura formi e sformi ogni forma col bolino dell'aria; e che formi, leggiermente incavando, la materia; la sformi, profondandovi il suo bolino col quale l'aria depreda tutto; e la mano che muova questo istrumento sia l'etere, la cui mente fu creduta da tutti Giove8.

Il cuneo, mosso da Dio e in questo caso da Giove, è la figura geometrica che rappresenta lo strumento con cui la natura agisce su ogni realtà. Dalla voce coelum, che si ricollega al significato greco koilos, che significa ciò che è incavato o atto a incavare, si arriva al bulino. Analogamente a questa etimologia, il cuneo grazie alla sua forma penetra nella natura muovendola. Esso può agire in questo modo perché lo spazio non è costituito dal vuoto, ma è pieno e perciò attraverso l'incuneamento tutto si sforma e forma. Sta qui la motivazione della struttura delle piramidi egizie, le quali si presentano come una replica dell'azione del cuneo nella natura. Lo stesso avviene con la nozione di

ingenium, che ha come proprietà predominante l'acutezza. Però, come si sa, ingegno

non è solo una proprietà della natura, ma lo è anche degli uomini. Quindi, questa azione del cuneo che agisce nel mondo, può essere replicata anche nella mente umana. Infatti, continua Vico:

E i latini l'«aria» dissero «anima», come principio onde l'universo abbia il moto e la vita, sopra cui, come femmina, operi come maschio l'etere, che, insinuato nell'animale, da' latini fu detto «animus»; […] e come sopra l'anima operi l'animo, così sopra l'animo operi quella che da' latini si dice «mens», che tanto vale quanto «pensiero», onde restò a' latini detta «mens animi», e che 'l pensiero o mente sia agli uomini mandato da Giove, che è la mente dell'etere. Ché se egli fosse così, il principio operante di tutte le cose in natura dovrebbero essere corpicelli di figura piramidali9.

8 Vita, pp. 38-39. 9 Ibidem.

Secondo tale credenza, lo stesso cuneo che agisce nella natura agisce nell'uomo grazie a Giove, principio movente.

In questi due passi si può effettivamente notare una certa analogia con la teoria del conato. Come quest'ultimo mette in moto la natura grazie alla precedente azione divina, così si comporta anche il cuneo che penetra nella natura. A tal proposito è interessante l'estensione della teoria del cuneo non solo alla natura, ma anche all'uomo. In questo senso è possibile sostenere che questo passo dell'Autobiografia funge da cerniera tra il

De Antiquissima, in cui l'azione del conato è concentrata sul mondo naturale, e il Diritto Universale e la Scienza Nuova, dove il conato è spostato sull'uomo.

Si può quindi passare a vedere come il conatus sia esposto nel Liber Metaphysicus. Trattando dei punti metafisici, c'è già stato modo di parlare brevemente del conato come del medio tra la quiete e il moto. Esso è «proprietà della materia de' corpi: della materia, dico, metafisica, che è la sostanza, non della materia fisica, che è esso corpo, del quale è proprio il muoversi»10. Il conato è perciò principio del moto ma non è movimento. Infatti mentre il movimento è un fenomeno fisico, il primo, pur essendo sua causa, mantiene la natura metafisica che caratterizza lo stato di quiete. In questa suddivisione, Vico si discosta in maniera netta dall'interpretazione data dalla scienza moderna sul moto e sulla quiete, rimanendo perciò più vicino alla considerazione di stampo aristotelico, che considerava la quiete come lo stato verso cui tende ogni corpo in movimento. Infatti con la rivoluzione scientifica, a partire da Galileo ma con Cartesio in maniera definitiva, il termine quiete perde la sua concezione ontologica. Sia l'una che l'altro sono ormai considerati delle semplici qualità fisiche caratterizzate da una certa quantità che nulla hanno a che fare con la metafisica. Vico, contrariamente agli ultimi traguardi della terminologia scientifica, rivendica la natura metafisica della quiete e quella fisica del moto.

Il mondo è creato, cioè è messo in movimento, da Dio (quiete), grazie al conatus. Vico, per mostrarne il procedimento, utilizza l'esempio di una bilancia dai piatti equilibrati a cui si aggiunge in uno dei due un granello di sabbia. Attraverso tale dimostrazione deduce che non è tutto il granello a far pendere la bilancia ma solo una parte di quello. Se infatti il granello viene diviso, il piatto si sbilancia nuovamente, come con il granello intero, e così continuerà a fare all'infinito. Perciò il principio di questo moto non va

ricercato nel corpo fisico del granello di sabbia, ma nell'universo.

Dunque quello, che è moto ne' corpi particolari, nell'universo moto non è, perché l'universo non ha con chi altro possa mutar vicinanza, in che essi pongono l'essenza del moto. Dunque è una forza che fa dentro di se medesimo: questo in se stesso sforzarsi è uno in se stesso convertirsi. Ciò non può essere del corpo, perché avrebbe ciascuna parte del corpo a rivoltarsi contro di se medesima; onde questo sarebbe tanto, quanto le parti del corpo si replicassero. Dunque, dico io, il conato non è del corpo, ma dell'universo del corpo11.

Il conato è una forza metafisica interna ad ogni corpo reale che agisce attraverso un continuo rivoltarsi in se stesso. Esso non va però identificato con il corpo perché tale azione sarebbe come una replicazione del corpo. Si configura come la parte metafisica che è presente in ogni cosa fisica e perciò anche nell'uomo.

Che il moto sia caratteristico dei corpi fisici si vede anche dal fatto che tutti i moti sono composti. Il moto semplice è infatti solo quello rettilineo, ma questo movimento è un concetto soltanto metafisico. Se si ha un passaggio dal metafisico al fisico, dal semplice al composto, si può dire che il punto di partenza del conatus, in quanto concetto metafisico, è un moto rettilineo. Ma non appena questo diventa reale, cioè fisico, cessa di muoversi in maniera rettilinea e diventa composto12. Infatti, nella realtà quotidiana qualsiasi movimento è composto da tanti moti diversi e, anche se quelli che precipitando nell'aria o muovendosi sulla terra sembrano muoversi in modo rettilineo, in realtà non si spostano così. Si tratta solo di un'impressione che può portare a considerazioni sbagliate. Qua l'esperienza deve essere aiutata dalla ragione, poiché ogni oggetto viene a contatto con tante materie che lo rendono in ogni istante diverso rispetto al momento precedente. Perciò, il moto rettilineo di un corpo è solo apparente, perché esso in ogni momento subisce deviazioni. Le cose imperfette sono solo quelle fisiche, «al di fuori della natura esiste il concetto di retto, che è regola delle cose distorte»13.

11 Ivi, p. 373.

12 Da notare, come questa idea riguardo al moto sia molto simile al “mito platonico” che Salviati narra nella Prima Giornata del Dialogo. Tale mito serve a sostenere la tesi della non presenza del moto retto in natura. Infatti il moto retto serve solo a fabbricare l'opera, la quale, una volta creata si muove solo circolarmente o resta immobile. Dice perciò Salviati, che possiamo «ragionevolmente dire che la natura, per conferire in un mobile, prima costituito in quiete, una determinata velocità, si serva del farlo muover, per alcun tempo e per qualche spazio, di moto retto. […] potremo con Platone dire che gli desse di muoversi da principio di moto retto ed accelerato, e che poi, giunto a quel tal grado di velocità, convertisse il suo moto retto in circolare» (G. Galilei, Le Opere, vol. VII, op. cit., pp. 44-45). Anche per Vico il moto retto appartiene alla sfera metafisica, ma se per il filosofo napoletano, al momento della creazione fisica dell'oggetto, il movimento passa da retto a composto, per Galileo si passa dal moto retto a quello circolare.

Da notare che qui è sempre la geometria a rendere comprensibile, attraverso un atto immaginativo, la connessione tra momento metafisico del moto retto e quello fisico del moto composto. «Come difatti linee distorte sono composte da linee rette – ragion per cui linee circolari constano di indefinite rette, dal momento che constano di indefiniti punti –, così i moti composti delle cose estese si compongono dei semplici conati dei punti»14.

Secondo Vico, è proprio grazie a questa divisione metafisica tra quiete e movimento che si riescono ad evitare i problemi che derivano dalla comunicazione dei moti, i quali non possono essere comunicati. Mantenere la distanza ontologica tra quiete e moto, consente a Vico di dichiarare l'inconoscibilità di questi ultimi, perché se potessimo comunicarli sarebbe come penetrare un corpo, il che è impossibile. L'unica cosa che è possibile capire è che la quiete in natura non esiste:

Nella percossa, per esempio, è in moto la mano che percuote; è in moto la palla che par quieta, per quello ne ragionammo non darsi quiete in natura; è in moto l'aere, che circonda e la palla e la mano, ed è lo spazio che tra la palla e la mano si frappone; è in moto l'aria dello spazio vicina, e l'altra vicino a questa infino all'universo. Al moto della mano dunque, perché egli è pieno, risentesi l'universo; e sì il moto di ciascheduna parte diviene sforzo del tutto: lo sforzo del tutto è in ciascheduna parte indefinito. Dunque la percossa non serve ad altro che di occasione che lo sforzo dell'universo, il quale era sì debole nella palla, che sembrava star queta, alla percossa si spieghi più, e, più spiegandosi, ci dia apparenza di più sensibile moto15.

Da questo Vico arriva a due conclusioni: la prima, che tutta la natura è necessariamente in movimento e, la seconda, che l'uomo non è in grado di muovere nulla di ciò che lo circonda. O meglio, l'uomo può solo dare una determinazione di movimento agli oggetti reali, ma il moto in sé è conferito solo da Dio attraverso il conato.

Passiamo adesso al Diritto Universale. In quest'opera, in cui vengono prefigurati i temi sviluppati successivamente nella Scienza Nuova, Vico ricerca la fondazione del diritto nella sua universalità. Cioè si chiede quali siano i caratteri comuni a tutti i popoli per quanto riguarda la vita sociale e in particolar modo attraverso quali basi giuridiche questa si costituisca. Quest'opera non è solo un preludio al più celebre capolavoro vichiano, ma essa sviluppa in maniera nuova temi già precedentemente affrontati. Infatti, sia nel De Uno che nel De Constantia, è possibile vedere l'accostamento tra il

14 Ibidem.

diritto naturale e la teoria del conato, la quale è esplicitamente ripresa dal De

Antiquissima. Inoltre questa relazione ha come risultato quello di creare una più netta

divisione tra ciò che riguarda il corpo e ciò che invece ha a che fare con la mente. Ma procediamo con ordine.

Qui non c'è più l'uomo guidato dalla razionalità, così come era delineato nelle opere precedenti. Ad esso si sostituisce quello corrotto dal peccato originale, il quale ha stravolto le sue due parti interiori, intelletto e volontà, che lo distinguevano dagli altri esseri animati. «Sia l'uno che l'altra sono stati corrotti dal peccato originale; la mente è stata ingannata dagli errori e l'animo dilaniato dalle passioni; dagli errori della mente nascono le passioni dell'animo ed entrambi generano ogni tipo di infelicità all'uomo»16. L'uomo, allontanatosi da Dio, è diventato come un animale. Ha perso la strada che conduce alla verità e il suo istinto è rivolto solo verso i bisogni primari, i quali gli forniscono un piacere immediato e di facile fruizione. «Se in precedenza l'uomo per mezzo della contemplazione del vero eterno effettuata con mente pura imparava direttamente da Dio il comportamento pratico, […] dal momento che l'uomo era stato privato della cognizione del vero […] per causa del peccato, il certo si sostituì al vero»17. Ciononostante, «nell'uomo corrotto è tuttavia presente il conato della mente intesa al vero»18. È attraverso questo ritorno al vero, dice Vico, che diventa possibile raggiungere quella rettitudine d'animo, l'unica che può portare l'uomo alla volontà di giustizia.

Nel cammino verso una società fondata su basi giuridiche, il diritto naturale si sviluppa secondo due forme differenti, una conseguente all'altra: lo ius prius e lo ius posterius. «La tutela dei sensi e la libertà degli affetti costituiscono dunque quel naturale diritto nominato prius, primario […]. La signoria della ragione, l'equilibranza degli affetti, l'autorità tutelare del consiglio, formano quel diritto naturale detto “secondario” dagl'interpreti, e “conseguenze della natura” dagli stoici»19. La prima forma di diritto riguarda fondamentalmente la libertà e la tutela personale e quella del nucleo familiare. Il secondo, invece, si forma in un contesto più ampio che garantisce la preservazione e lo sviluppo della città.

Ciò che è importante osservare, alla luce di quello che si sta trattando, è che i due tipi di

16 OG, p. 348. 17 Ivi, p. 360. 18 Ivi, p. 348. 19 Ivi, pp. 90-92.

diritto sono fondati sul conato, il quale, in continuità con il Liber Metaphysicus, non è un principio corporeo ma divino:

[…] abbiamo diviso in due parti il diritto naturale: “diritto primo” e “diritto secondo. Abbiamo inoltre detto che sono fondati sulla “forza” cioè sul “conato”. Abbiamo però negato che il corpo possegga il conato, giacché conari significa resistere a un moto esterno. […] abbiamo escluso dal campo della fisica il conato per introdurlo in quello della metafisica. Infatti il poter resistere al moto di un qualche corpo è proprio di chi questo moto può dare, cioè della mente e di Dio. Non è filosofo che neghi che i conati sono i veri moti del corpo. Infatti il conato è sì del corpo, ma non proviene dal corpo; chi attribuisce ai corpi la provenienza del conato, alla stessa stregua può essere indotto ad assegnare alla natura occulti disegni, indoli, desideri, simpatie e antipatie20.

Il conato è quindi alla base della nascita della società civile. Pur essendo un principio che deriva dalla mente, esso, in qualche modo, ha a che fare anche con il corpo poiché è anche forza. L'errore che non va commesso è quello che porta il conato ad essere identificato come una caratteristica essenzialmente e unicamente corporea. Il conatus, ha invece a che fare con il corpo solo nella misura in cui è legato alla mente.

Oltre alla continuità con il De Antiquissima bisogna sottolineare, non tanto le differenze che possono esserci fra le due opere, ma la nuova ottica in cui la teoria del conato viene inserita. Questo concetto «estrapolato originariamente dalla meccanica, esteso alla metafisica come principio dell'azione di un agente libero come Dio, torna qui a mischiarsi con le cose umane»21.

E, in quanto principio solamente umano, esso è negato agli animali:

Per questa ragione abbiamo negato agli animali bruti il diritto naturale primo: perché è una forza del corpo messa in moto dal desiderio che gli animali bruti non hanno; essi hanno soltanto una certa immagine del desiderio, detta “appetito”, che non è vero desiderio, giacché i bruti non hanno a sostegno dei loro movimenti un principio di libertà. Invece il diritto naturale secondo consiste nella forza del vero e della razionalità, che ha desiderio nel conato, ossia governa il moto del desiderio. E abbiamo detto che il diritto naturale secondo conferisce al primo la forma del diritto in quanto gli conferisce il carattere dell'immutabilità: nulla infatti può avvenire per natura, che non sia prima lecito per natura22.

In modo analogo Vico si era precedentemente espresso nel De Uno:

Ma noi, nella nostra metafisica, alle cose inanimate ed ai bruti abbiam dinegato lo

20 Ivi. p.380.

21 N. Badaloni, Laici Credenti..., op. cit., p. 150. 22 OG, p. 380.

sforzo, il conato, ed alle ragioni fisiche, per le quali i fisici ed i meccanici dicono, insieme col volgo, gli sforzi, i conati dei corpi, abbiamo opposto, essere dessi semplici moti, riportando lo sforzo, il conato, alla sola mente, la quale del libero arbitrio provveduta, può substare, sussistere potenzialmente, ed il moto può egualmente sussistere e stare nello sforzo, perciò il gius naturale primario non può estendersi ai bruti, nella qual sentenza sembrano concordare i latini, i quali col nome di brutum significavano ogni cosa sprovveduta di forza, quidquid est sine

vi23.

Gli animali sono guidati dall'appetito e per questo i loro moti non sono dettati dalla ragione, ma solo dall'istinto animale. Gli uomini, attraverso il conato, sono governati dal desiderio, il quale è diverso dall'appetito, poiché il primo è legato al libero arbitrio. Ecco perché ai “bruti” non può essere concesso alcun tipo di diritto naturale: essi non hanno, e non possono avere, la forza che deriva dal conato. Il conatus è forza, l'unica forza che contrasta la corruzione umana. Esso è vis veri, forza della verità, essenza della ragione umana e generatrice di virtù. Quindi attraverso il conato l'uomo si incammina lungo un percorso che lentamente lo porterà di nuovo verso Dio, la più grande verità che era stata scioccamente abbandonata.

Il concetto di conato trova infine posto anche nella Scienza Nuova, la quale rielabora in maniera compiuta ciò che nel Diritto Universale era stato in qualche modo solo abbozzato. Al di là di questo, i due lavori hanno anche intenti differenti. Mentre l'opera giuridica vichiana ha come tema principale il diritto naturale e quello sviluppa, la

Scienza Nuova presenta sì “la comune natura delle nazioni”, ma accanto al diritto

trovano posto tutti i saperi che l'uomo ha creato nella sua strada verso la verità. Basti

Nel documento Il rapporto tra mente e corpo in Vico (pagine 82-93)