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Alcune riflessioni su Mim VI 18-21 e Mim VII 57-63, 108-112 Siccome uno dei tratti peculiari dei Mimiambi è la rete di collegamenti intratestuali che

LA PROCACCIATRICE DI RELAZIONI O LA MEZZANA

2.3 Eroda e la caratterizzazione: la mezzana Gillide

2.3.4 Alcune riflessioni su Mim VI 18-21 e Mim VII 57-63, 108-112 Siccome uno dei tratti peculiari dei Mimiambi è la rete di collegamenti intratestuali che

si estende tra i vari componimenti, vorrei aggiungere una nota conclusiva all'analisi del discorso di Gillide facendo riferimento a passi selezionati dei Mimiambi VI e VII, in cui ritengo possibile trovare un'ulteriore traccia dell'inclinazione di Eroda a inserire nella propria opera, sulla bocca di personaggi che sulla carta dovrebbero essere totalmente alieni al mondo letterario, spunti di polemica culturale e allusioni ironiche.

La mia opinione è che anche qui Eroda faccia riferimento alla poesia d'amore e che, pertanto, quello utilizzato nel Mim. I non sia un semplice escamotage per dare vivacità al personaggio di Gillide, ma sia altresì un modo per veicolare il proprio pensiero. Il Mimiambo VI, intitolato Le amiche o le donne in una conversazione privata (φιλιάζουσαι ἢ ἰδιάζουσαι), si apre col motivo tradizionale della visita di Metro a casa dell'amica Coritto. Ciò che davvero interessa a Metro è venire a conoscenza del nome dell'abile artigiano che ha confezionato il βαυβών500 di proprietà di Coritto (vv. 18-21):

{ΜΗΤΡΩ} {ΚΟΡΙΤΤΩ} {ΜΗΤΡΩ} λίσσομα[ί σ]ε̣, μὴ ψεύσηι, φίλη Κοριττοῖ, τίς ποτ' ἦν ὅ σοι ῥάψας τὸν κόκκινον βαυβῶνα; κοῦ δ' ὁρώρηκας, Μητροῖ, σὺ κεῖνον; Νοσσὶς ε[ἶ]χεν ἡρίννης τριτημέρη<ι> νιν· μᾶ, κ̣αλόν τι δώρημα.501 20

Coritto scopre sdegnata che il baubone, cui lei tanto teneva e che ciononostante aveva prestato all'amica Eubule (vv. 27-28), era passato nelle mani dell'odiosa figlia di Erinna, Nosside, alla quale non lo avrebbe concesso per nessun motivo, nemmeno se l'oggetto

500 Il termine βαυβών è un hapax, messo generalmente in relazione sia al culto di Βαυβώ sia al verbo

βαυβάω (cfr. Headlam-Knox 1922, 288-289; Stern 1979, 249-254; Neri 1994, 221-222 n. 4). Per quanto concerne il significato, esso identifica il fallo in cuoio usato dalle donne per pratiche masturbatorie e omoerotiche e, pertanto, corrisponde al termine ὄλισβος, che troviamo per la prima volta attestato nell'opera di Saffo: Giangrande 1980, 249-250 lo riconosce nel composto ὀλισβοδόκος presente nel fr. 303 Aa, 5 V. (non è d'accordo West 1990, 1-2, il quale ritiene, dato il contesto, che l'aggettivo si riferisca alle corde di uno strumento musicale e che Saffo con il termine ὄλισβος indichi il plettro). Come si evince dalla ricca documentazione di Santelia 1989, 73-78, l'uso del fallo artificiale è ampiamente attestato sia nella tradizione mimica (Sophr. fr. 23 K.-A.) sia in quella comica (Aristoph. fr. 592, 15-28 K.-A., fr. 332, 13 K.-A., Lys. 109, Cratin. fr. 354 K.-A.; cfr. Herderson 1975, 220-222).

501 Trad.: [Metro]: «Ti prego, non mentirmi, / cara Coritto, chi mai era colui che ti ha cucito / il baubone

scarlatto?»; [Coritto]: «E tu quello dove l'hai visto, / Metro?»; [Metro]: «Nosside l'aveva, la figlia di Erinna, / l'altro giorno. Oh, un bel regalo!».

in questione fosse stato di scarsa qualità o se ne avesse posseduti mille (vv. 33-36). nnn Alla luce del massiccio ricorso a lingua e motivi della poesia erotica greca nel Mim. I, ritengo che sia assolutamente probabile una rapida toccata letteraria di Eroda all'autrice della Conocchia, Erinna (IV sec. a.C.), che nell'Alessandria del III sec. a.C. conobbe grande fortuna502, e alla poetessa locrese Nosside (inizio III sec. a.C.), che in uno degli epigrammi dell'Antologia Palatina a lei attribuiti dichiara, con forte coscienza letteraria, la propria predilezione per la tematica amorosa (AP V 170):

Ἅδιον οὐδὲν ἔρωτος· ἃ δ’ ὄλβια, δεύτερα πάντα ἐστίν· ἀπὸ στόματος δ’ ἔπτυσα καὶ τὸ μέλι. τοῦτο λέγει Νοσσίς· τίνα δ’ ἁ Κύπρις οὐκ ἐφίλησεν,

οὐκ οἶδεν τήνα γ’, ἄνθεα ποῖα ῥόδα.503

A sostegno della presenza di carica allusiva nell'espressione «Nosside, figlia di Erinna» si è pronunciato Camillo Neri504, il quale ha osservato che, dal momento che il nome Νοσσίς, relativamente diffuso505, avrebbe potuto essere insufficiente per innescare nel pubblico il riconoscimento della poetessa locrese, Eroda vi avrebbe per questo aggiunto

502 All'epoca ellenistica risalgono sei epigrammi che celebrano, in termini estremamente lusinghieri, le

qualità letterarie della poetessa Erinna; essi insistono sulla sua mors immatura, particolare che giustifica tanto la brevitas quanto l'alone di mistero di cui è circondata la sua persona: AP VII 11 (Asclepiade), AP VII 12 (anon.), AP VII 13 (Leonida), AP IX 190 (anon.), AP VII 713 (Antipatro di Sidone), AP IV 1, 12 (Meleagro). Analizzando il lessico adottato da questi «non disinteressanti laudatores», Neri 2003, 9-10 è giunto alla conclusione che i trecento esametri dell'opera di Erinna siano andati incontro a un processo di strumentalizzazione: la scuola poetica e filologica che risaliva a Callimaco vi ha visto un ottimo manifesto poetico contenente i principi dell'estetica letteraria callimachea (ὀλιγοστιχίη, δύναμις, γλυκύτης) e, in conseguenza di ciò, la Conocchia di Erinna è stata a più riprese celebrata e ripubblicata. In questo contesto risulta perfettamente giustificabile ‒ credo ‒ l'allusivo riferimento di Eroda a Erinna: non una frecciata polemica contro la poetessa, ma una stoccata sarcastica nei confronti di quanti ne hanno sfruttato il nome per celebrare i propri ideali estetici e letterari. Si veda in merito la polemica di Antifane contro i cultori di Erinna: AP XI 322.

503 Trad.: «Niente è più dolce dell'amore, e ogni felicità gli è / seconda; dalla bocca ho sputato anche il

miele. / Questo dice Nosside: chi non è amato da Cipride, / ignora quali rose siano i suoi fiori». Ad eccezione di questo breve 'manifesto poetico', non ci sono giunti altri componimenti di Nosside incentrati sulla tematica erotica; ciò che rimane della sua produzione è per lo più costituito da epigrammi che descrivono la donazione di offerte votive, in particolar modo da parte di donne (cfr. ad es. AP VI 275). Bowman 2004, 16-21 dà un quadro generico della figura e dell'opera di Nosside, contestualizzandola in rapporto ai precedenti letterari, Saffo in particolar modo, ma anche Erinna. I nomi di Nosside e di Erinna compaiono entrambi nell'elenco delle nove migliori poetesse stilato da Antipatro di Tessalonica (I sec. d.C.) in AP IX 26, in merito al quale cfr. Bowman 2004, 7-9.

504 Cfr. Neri 1994, 221-232. Il primo a scorgere in Mim. VI 20 un'allusione alle poetesse Erinna e Nosside

è stato Crusius 1892, 118, in un periodo in cui la maggior parte della critica negava fortemente questa possibilità (cfr. Groeneboom 1922, 182, Terzaghi 1925, 122, Cataudella 1948, 94, Puccioni 1950, 122 n. 20) o propendeva per una più cauta sospensione del giudizio (cfr. Nairn-Laloy 1928, 72). Successivamente all'edizione di Cunningham 1971, che ha messo in rilievo lo statuto di poeta doctus di Eroda, ma soprattutto in seguito alla pubblicazione del contributo di Camillo Neri, quasi tutti gli studiosi accettano l'idea della presenza del cenno letterario.

la clausola ἠρίννης (risultato della crasi tra l'articolo ἡ e il nome Ἡρίννης): il nome Erinna, privo di attestazioni nelle iscrizioni, avrebbe senza dubbio fatto apprezzare ai colti fruitori dei Mimiambi la frecciata nei confronti della ben nota epigrammista contemporanea Nosside. Considerato il contesto in cui è calata l'allusione ‒ Nosside si è appropriata di un oggetto, il βαυβών, che non può non screditarla ‒ non è fuor di luogo credere, con Lamberto Di Gregorio, che la poetessa di Locri sia bersaglio di una punta polemica di Eroda; ciò avverrebbe, d'altro canto, in una forma allusiva dai contorni volutamente indeterminati come nel Mimiambo VIII506.

Ma a cosa è dovuto questo velato cenno polemico? Per trovare una risposta a questa domanda bisogna tentare di comprendere perché Eroda abbia connesso le due poetesse con una parentela che non è altrimenti attestata. Una valida spiegazione è stata avanzata da Neri, che vi rintraccia un modello satirico, frequente nella commedia aristofanea, in cui due personaggi reali e noti al pubblico vengono uniti in virtù di un rapporto fittizio di parentela, che ne mette in evidenza la somiglianza nel vizio o la degenerazione del figlio rispetto al padre507. È ipotesi plausibile che Eroda abbia ripreso questo schema per sottolineare, in virtù dell'affinità di materia tra le due, la qualità deteriore dell'opera di Nosside rispetto a quella di Erinna, di cui la prima sarebbe imitatrice non all'altezza e, perciò, esponente di quella poetica dozzinale che Antifane criticherà (cfr. AP XI 322). Inoltre, Neri fa notare come Eroda, attraverso la designazione di Νοσσίς con il nome della madre, mostri di aver appreso la lezione parodica del suo modello Ipponatte (cfr. Hipp. fr. 42a Deg. = 31, 1 W.), sfruttando a fini parodici un modulo di cui si era servita la stessa Nosside per presentare solennemente la propria genealogia (AP VI 265, 3-4):

δέξαι βύσσινον εἷμα, τό τοι μετὰ παιδὸς ἀγαυὰ Νοσσίδος ὕφανεν Θευφιλὶς ἁ Κλεόχας.508

Infine, è da registrare una certa malizia dietro la scelta di mettere tra le mani di una poetessa d'amore un βαυβών, giocando sulla fama di viziosità delle donne che scrivono d'amore509; si pensi, ad esempio, al caso di Filenide, cui Eroda fa allusione in Mim. I 5.

506 Cfr. Di Gregorio 2004, 144-145.

507 Cfr. Neri 1994, 230-231, il quale rimanda ad Aristoph. Ach. 118 (Κλεισθένης ὁ Σιβυρτίου: erano

entrambi cinedi) e Vesp. 421-422 (Φίλιππον... τὸν Γοργίου: in questo caso la parentela tra discepolo e maestro indica probabilmente la differenza qualitativa tra i due).

508 Trad.: «Accetta questo peplo di bisso che, con la nobile figlia / Nosside, tessé Teofili, figlia di Cleoca». 509 Rist 1993, 441 e Anagnostou-Laoutides 2015, 158 sono convinte che la connessione tra Nosside ed

Erinna sia riconducibile alla loro fama di poetesse omosessuali, a cui rimandano il riferimento all'uso dei βαυβῶνες con i lacci, di cui parla Coritto in Mim. VI 71, e l'oscuro proverbio di Mim. VII 62b-63.

L'ipotesi di un'allusione letteraria a Nosside e ad Erinna trova a mio parere conferma nel

Mimiambo VII, intitolato Il calzolaio (Σκυτεύς) e considerato generalmente dalla critica

come strettamente connesso al mimo precedente, in virtù della presenza di due personaggi con lo stesso nome, Metro e il calzolaio Cerdone510. Quest'ultimo, dopo aver decantato la bellezza dei propri prodotti (vv. 17-30) e essersi lamentato degli alti costi di produzione e delle condizioni economiche precarie in cui versa la sua famiglia (vv. 31- 48), tenta di stupire le sue clienti sciorinando in un lungo e affollato elenco, di evidente ascendenza comica (cfr. Rhinth. fr. 5 K.-A.), le varie tipologie di calzature presenti nella bottega, concludendo il catalogo con un proverbio particolarmente ambiguo (vv. 57-63):

Σικυώνια, Ἀμβ̣ρακίδια, Νοσ̣σίδες, λεῖαι, ψιττάκια, κανναβίσκα, Βαυκίδε̣ς̣, βλαῦται, Ἰ̣ωνίκ’ ἀμφίσφαιρα, νυκτ̣ιπήδη̣κ̣ες, ἀκροσφύρια, κα̣ρκίνια, σάμβαλ’ Ἀργ̣εῖα, κοκκίδες, ἔφηβοι, διάβαθρα· ὧν ἐρᾶ<ι> θυ̣μός ὑμέων ἑκάστης εἴπατ’, ὡς ἂν αἴσθοισθε σκύτεα γυναῖκες καὶ κύνες τί βρώζουσιν511. 60

510 Il primo a opporsi all'idea che i Mimiambi VI e VII siano tra loro collegati è stato Reinach 1904, 285-

286, seguito da Groeneboom 1922, 117, Terzaghi 1925, 127, 139, Nairn-Laloy 1928, 92, Romagnoli 1938, 113-114 e Puccioni 1948, 115, 137. Sulla scia di Headlam-Knox 1922, L-LII, Crusius-Herzog 1926, 27 e Cunningham 1964, 33-35 sono invece del parere che i personaggi dei due componimenti siano gli stessi e che le differenze di situazione possano essere giustificate presupponendo che tra un mimo e l'altro sia trascorso un adeguato lasso di tempo, durante il quale Metro e Cerdone sarebbero entrati in confidenza e l'artigiano avrebbe fatto fortuna con il commercio di βαυβῶνες, arrivando ad aprire una bottega di scarpe. C'è però un ulteriore problema: nel Mim. VII il calzolaio Cerdone sta cercando di vendere semplici scarpe oppure gli oggetti protagonisti del mimo precedente, i βαυβῶνες? Cunningham 1964 ritiene che Metro e le sue amiche si rechino nella bottega di Cerdone per acquistare i falli in cuoio (così anche Levin 1976, 345-355 e Rist 1993, 440-444); lo deduce sulla base dell'ambiguità dei vv. 62b-63, 108-112, 127-129 e del doppio senso cui si prestano alcuni termini del catalogo (Νοσσίδες, Βαυκίδες, καρκίνια, κοκκίδες). Lawall 1976, 165-169, invece, esclude fermamente la possibilità che le parole del calzolaio abbiano una doppia valenza e facciano riferimento alla sfera sessuale. L'ipotesi ad oggi migliore mi sembra quella di Di Gregorio 2004, 279-280, il quale ritiene che le velate allusioni di Cerdone ai βαυβῶνες siano colte soltanto da Metro e non dalle altre clienti, entrate nel negozio solo per comprare scarpe. Un'interpretazione che si distacca da tutte le precedenti per la sua originalità è quella proposta da Kutzko 2006, 167-182; in base all'analogia di situazione con Ovid. Am. II 7-8, lo studioso ritiene che i Mimiambi VI e VII siano un esempio di «quasi-dramatic diptych», tramite il quale l'autore evoca l'azione drammatica sulla pagina scritta: il lettore/ascoltatore del Mim. VI immagina un dialogo drammatico ma non ne comprende del tutto le implicazioni finché non legge il Mim. VII, che obbliga il pubblico a modificare nella mente la scena generata leggendo il Mim. VI. Tuttavia la lettura di Kutzko ‒ Metro, in realtà, sarebbe andata da Coritto per accertarsi del fatto che Artemisia non avesse rivelato i suoi segreti riguardanti Cerdone e i bauboni ‒ non ha riscosso consensi.

511 Trad.: «Sicionie, Ambraciote, Nossidi, lisce, / psittaci, canapine, Baucidi, blaute, / Ioniche con bottoni

ai lati, scendiletto da notte, / stivaletti oltre la caviglia, granchioline, sandali argivi, / scarlattine, efebi, sandali da passeggio; quelle che desidera il cuore / di ciascuna di voi, ditele, così capirete / perché donne e cani mangiano la pelle».

Come dimostra Alan Sumler, alcuni termini di questo elenco sembrano avere una doppia valenza che, affiancandosi al significato letterale, allude velatamente alla sfera sessuale; per fare un esempio, le calzature indicate con i termini καρκίνια (v. 61) e κοκκίδες (v. 62) potrebbero nascondere, in virtù del colore scarlatto, un riferimento ai βαυβῶνες (cfr. Mim. VI 20 τὸν κόκκινον βαυβῶνα), riferimento che sembra trovare conferma nel proverbio dei vv. 62b-63, in cui Cerdone allude con buona probabilità all'uso orale dei falli artificiali in cuoio da parte delle donne512.

In un tale contesto è possibile che la menzione di Νοσσίδες513 e Βαυκίδες514, collegate tra loro «almeno sul piano fonico e metrico (entrambe sono femminili plurali, omoteleutici, isosillabici, parossitoni con identica sillaba tonica, cretici tra la seconda metà del quarto piede ed il quinto)»515 potesse facilmente richiamare alla mente dei colti fruitori dei Mimiambi la poetessa locrese e Baucide, amica di Erinna morta in giovane età e motivo ispiratore della sua poesia516. Neri osserva giustamente che anche qui la menzione delle Baucidi, comunemente considerate calzature tipiche delle etere (cfr. Alex. fr. 103, 7 K.-A.), ha la funzione di innescare, grazie al «'sottofondo allusivo' alla Baucide erinnea» il riconoscimento, nel conio semantico Νοσσίδες, dell'allusione a Nosside517. L'inclusione del suo nome in un catalogo dove alcuni termini nascondono un

512 Cfr. Sumler 2010, 465-475. Per una nuova interpretazione dei vv. 62b-63, rimando ad Anagnostou-

Laoutides 2015, 153-166, la quale avanza l'ipotesi che l'oscuro proverbio tragga origine dalla cattiva reputazione, di cui gli adepti dei culti greci legati alla fertilità godevano presso le comunità ebraiche.

513 Le Νοσσίδες sono citate, in qualità di calzature femminili, unicamente da Hesych. ν 661 Latte e Poll.

VII 94; tuttavia quest'ultimo sembrerebbe dipendere da Eroda (cfr. Neri 1994, 225 n. 25). Già Headlam riteneva che il nome di questi calzari derivasse da una famosa Nosside che li indossava, citando Poll. VII 89, che menziona scarpe come le Ificratidi e le Alcibiadi così chiamate ἀπὸ... τῶν χρησαμένων (Headlam-Knox 1922, 345). Cogliendo lo spunto, Romagnoli 1938, 133 vi ha individuato una possibile connessione con la poetessa Nosside e Cunningham 1964, 34 un'allusione al βαυβών. Brancolini 1978, 228 rigetta questo genere di approcci e propende per vedere nel termine una connessione con νεοσσίς, νεοσσός, ritenendo che le νοσσίδες siano scarpe del colore dei νεοσσοί («pulcini»), quindi gialle. Alla luce di quanto emerso finora, ritengo preferibile considerare le Nossidi un conio semantico su Νοσσίς.

514 Si tratta di lussuose calzature di color zafferano (cfr. Poll. VII 94) e di origine ionica (EM 192, 17).

Dovevano essere scarpe da etera, modificabili con un tacco in sughero per rendere le donne più alte, stando al fr. 103, 7-9 K.-A. di Alessi, in cui vengono descritti i trucchi usati da Isostasion per rendere attraenti le ragazze del suo πορνεῖον: τυγχάνει μικρά τις οὖσα, φελλὸς ἐν ταῖς βαυκίσιν / ἐγκεκάττυται· μακρά τις, διάβαθρον λεπτὸν φορεῖ / τήν τε κεφαλὴν ἐπὶ τὸν ὦμον καταβαλοῦσ’ ἐξέρχεται· Il termine βαυκίδες non può derivare dal nome dell'amica di Erinna, vissuta all'inizio o nella prima metà del IV sec. a.C., perché è attestato già in un frammento delle Tesmoforiazuse Seconde di Aristofane (fr. 355 K.-A.), databili agli ultimi anni del V sec. a.C. Tuttavia, come sottolinea Neri 1994, 224 n. 24, esso appartiene a una famiglia di parole (βαυκίζω, βαυκισμός, βαυκαλάω) che accostano βαυκίδες a βαυβών.

515 Neri 1994, 224.

516 Così ritengono Cunningham 1964, 32 n. 3, Rist 1993, 441, Neri 1994, 223-28, Di Gregorio 2004, 273-

276, Zanker 2009, 206, Sumler 2010, 469-472, Barbieri 2016, 254-555 n. 32, Chesterton 2016, 208 e Piacenza 2016b, 33. È invece fermamente contraria a questa interpretazione Brancolini 1978, 228 n. 4.

doppio senso sessuale che allude a vizi femminili, all'interno di un mimiambo incentrato sulla tensione tra ciò che è lecito in privato e ciò che non lo è nella sfera pubblica, veicola un'irridente frecciata polemica nei confronti della poetessa d'amore Nosside. È in questi piccoli ma significativi dettagli che la voce di Eroda emerge dai personaggi dei Mimiambi, dotandoli di una caratterizzazione che li affranca decisamente dalla fissità dei tipi, ma anche portando allo scoperto l'artificio nascosto dietro il tentativo di creare un genere ibrido in bilico tra l'obbedienza alle convenzioni teatrali e quel gusto tipicamente alessandrino per erudizione, polemica letteraria e interazione dei generi. Si veda, da ultimo, l'effetto straniante prodotto dalle ambigue lusinghe rivolte a Metro da Cerdone (vv. 208-211), in cui il calzolaio, personaggio rozzo, abietto e interessato unicamente al profitto, si slancia in un'improbabile ripresa di Anacreonte (fr. 83 Gentili) e dell'inizio della celebre Ode della gelosia di Saffo (fr. 31 Voigt):

Mim. VII 208-211: Anacr. fr. 83 Gentili: Sapph. fr. 31, 1-4 Voigt: δύ]ναιτό μ’ ἐλάσαι σαν[..] τὸν πίσ[υγγον ἐόντα λίθινον ἐς θεοὺς ἀναπτῆν̣α̣ι̣· ἔχεις γὰρ οὐχὶ γλάσσαν, ἡδονῆς δ’ ἠθμ̣ό̣ν. ἆ, θεῶν ἐκεῖνος οὐ μακρὴν ἀπ..[...].. ὅτεω<ι> σὺ χείλεα νύκτα κἠμέρην οἴγ̣[εις.518 ἀναπέτομαι δὴ πρὸς Ὄλυμπον πτερύγεσσι κούφηις διὰ τὸν Ἔρωτ’· οὐ γὰρ ἐμοὶ <–ᴗ> θέλει συνηβᾶν519. φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν ἔμμεν' ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί- σας ὐπακούει520 110

Lo scarto tra il significato che il materiale innestato aveva nel contesto d'origine e la riproposizione parodicamente distorta dei delicati versi d'amore sulla bocca del volgare Cerdone suscita inevitabilmente un effetto grottesco e umoristico. Nel mimiambo, ad innalzarsi in cielo fino agli dei spinto dall'amore non è il poeta di Teo, tanto celebrato in

518 Trad.: «Sarebbe in grado di dare lo slancio a me... il calzolaio, / per quanto sia di pietra, sì da

innalzarmi in volo fino agli dei: / non hai infatti una lingua ma un filtro di piacere. / Ah, non lontano dagli dei quello... / per il quale tu le labbra notte e giorno apri».

519 Trad.: «Volo verso l'Olimpo su ali leggere / a causa di Eros; infatti con me non... vuole passare la

giovinezza».

520 Trad.: «A me pare uguale agli dei quell'uomo / ‒ chiunque sia ‒ che di fronte a te / siede e vicino,

età alessandrina, ma un umile ciabattino, sollecitato, nonostante sia fatto di pietra, dalla soavità della voce della cliente (vv. 108-109); lungi dal trattarsi di un'innocua galanteria, il riferimento alla lingua della donna come «filtro di piacere» (v. 110) cela un'allusione erotica al καταγλωττισμός, un bacio lascivo ben noto ai comici521.

Anche i versi iniziali dell'ode di Saffo, in cui viene detto pari agli dei l'uomo che, seduto di fronte a una fanciulla, la sente parlare dolcemente, vengono parodicamente alterati da Cerdone, che gioca sul doppio senso osceno di χείλεα: l'innocente atto di aprire la bocca per parlare diventa, per il calzolaio, un malizioso riferimento ad un rapporto sessuale522. Questa strategia adottata da Eroda, che consiste nel far parlare in modo ricercato e poeticamente allusivo caratteri tradizionalmente rozzi e ignoranti (il calzolaio, la mezzana, il lenone), ha lo scopo di sollecitare la memoria poetica del colto pubblico dei

Mimiambi, che di conseguenza assume un ruolo attivo nella delineazione del profilo dei

personaggi. Lo humour prodotto da questo contrasto è tipico delle opere alessandrine; infatti, esso è in qualche modo accostabile a quello degli Idilli di Teocrito, in cui pastori infiammati d'amore si esprimono come persone colte e urbane. Fin qui niente di strano. Tuttavia, confrontando i Mimiambi I, VI e VII è emerso un trait d'union: in ciascuno dei componimenti la voce dell'autore si è fatta largo tra i suoi personaggi, insinuandosi in loro e adattandosi al meglio nelle nuove vesti; a volte, però, l'efficacia del camuffamento si affievolisce intenzionalmente, ed è proprio in questi momenti che un lettore dotto e attento può cogliere le spie che permettono di riconoscere, dietro il realismo della trama, la presenza del poeta. Questo è ciò che abbiamo tentato di fare, arrivando alla conclusione che il poeta sia parte integrante della fisionomia dei suoi personaggi, una parte fondamentale, quella che li riscatta da un copione già abbozzato. Così Eroda esprime, in modo ironico e distaccato, il proprio parere personale su temi culturali di attualità: lo abbiamo visto nel caso della mezzana Gillide, di Coritto e del calzolaio Cerdone in riferimento alla poesia d'amore, in gran voga in età alessandrina. Un procedimento simile sarà analizzato nel corso della lettura del Mim. IV, in cui il dialogo tra due popolane, che commentano i capolavori nel tempio di Asclepio, improvvisandosi critiche d'arte con risultati grossolani e grotteschi, diventa l'occasione per riflettere sulle teorie contemporanee sull'arte e, di riflesso, sulla poesia.

521 Cfr. Crusius 1892, 145. Per riferimenti al καταγλωττισμός nella commedia si veda Aristoph. Nub. 51,

Thesm. 131 e 1191-92 (cfr. Henderson 1975, 182).

522 Cfr. Cunningham 1964, 35 n. 4 e Cunningham 1971, 190, il quale rimanda ad Aristot. HA 583a, 16 ss.,