Chi meglio di un poeta doctus alessandrino come Eroda potrebbe essere in grado di dare nuova vita a uno dei topoi letterari più affascinanti, e quindi frequentati, dell'antichità classica? Come abbiamo già avuto modo di accennare, Eroda compone il proprio
Programmengedicht inserendosi con grande originalità di forma e contenuto nel solco
del motivo tradizionale dell'ἐνύπνιον, di cui sfrutta le potenzialità unendo e plasmando ad arte nel proprio componimento gli elementi di due distinti filoni della letteratura onirica: da una parte quello, simile a una visione, che tratta il tema dell'investitura poetica e «accoglie, con chiara simbologia, un nuovo poeta in un genere di suo gradimento»233, dall'altra il sogno allegorico, in cui accanto alla parola un ruolo importante è svolto dall'immagine, e pertanto necessita di un'adeguata interpretazione. Quest'ultimo trova il modello principale nel sogno che, nel libro XIX dell'Odissea ai vv. 535-553234, Penelope racconta ad un mendicante, sotto le cui spoglie si cela Odisseo,
chiedendogli di ascoltarlo e interpretare il significato latente della simbologia onirica. Ella ha sognato che venti oche beccano il grano nella corte del palazzo e lei si rallegra osservandole, quando improvvisamente una grande aquila piomba su di loro e le uccide spezzando loro il collo; vedendole riverse in un mucchio, Penelope comincia a disperarsi, ma l'aquila torna indietro e, posatasi su una sporgenza del tetto, le si rivolge con voce umana spiegandole il significato simbolico del sogno235 (vv. 546-550):
θάρσει, Ἰκαρίου κούρη τηλεκλειτοῖο·
οὐκ ὄναρ, ἀλλ' ὕπαρ ἐσθλόν, ὅ τοι τετελεσμένον ἔσται. χῆνες μὲν μνηστῆρες, ἐγὼ δέ τοι αἰετὸς ὄρνις
233 Gigante Lanzara 1993, 230-231.
234 Per l'analisi dell'episodio cfr. Kessels 1978, 91-110, Walde 2001, 54-67 e Guidorizzi 2013, 59-64. 235 Come sottolinea Dodds 1951, 106-107 questo è l'unico caso presente in Omero di sogno interpretato
simbolicamente, tuttavia ciò non deve far pensare che il libro XIX dell'Odissea sia stato composto in un'epoca più tarda rispetto al libro IV, in cui ai vv. 795-841 è presente un sogno 'oggettivo', di tipo primitivo: l'εἴδωλον di Iftima, creato per l'occasione da Atena, appare in sogno a Penelope per rassicurarla sulla sorte del figlio Telemaco. Tuttavia questa figura onirica non è immaginata, ma esiste oggettivamente nello spazio ed è indipendente dal sognatore, anche se è caratterizzata da una materialità debole, paragonabile a quella del fumo o dell'aria; infatti ella entra nella camera da letto della sorella aprendo il chiavistello, si pone sul capo di Penelope dormiente e le si presenta dicendo «Tu dormi, Penelope» (v. 804 εὕδεις, Πηνελόπεια). Inoltre, nel libro V dell'Iliade, ritenuto una delle parti più antiche dei poemi omerici, troviamo un ὀνειροπόλος, il vecchio Euridamante, che non era stato in grado di interpretare i sogni (v. 150 οὐκ ἐκρινατ' ὀνείρους) dei propri figli in partenza per Troia, dove trovarono la morte per mano di Diomede (cfr. vv. 148-151). Secondo Dodds la risoluzione della questione non va ricercata in una presunta giustapposizione di atteggiamenti arcaici e recenziori, ma in una distinzione fra tipologie diverse di esperienza onirica.
ἦα πάρος, νῦν αὖτε τεὸς πόσις εἰλήλουθα, ὃς πᾶσι μνηστῆρσιν ἀεικέα πότμον ἐφήσω. ὣς ἔφατ', αὐτὰρ ἐμὲ μελιηδὴς ὕπνος ἀνῆκε·236
Come ha giustamente evidenziato Carlo Brillante237, l'aspetto più singolare di questo episodio è il fatto che l'interpretazione del sogno, che solitamente ha luogo dopo il risveglio, qui venga offerta nell'ambito del sogno stesso; l'aquila che ha fatto strage delle oche improvvisamente non è più un comune personaggio, ma cambia ruolo e si fa narratore, rivelando alla sognatrice Penelope il significato di ciò che ha appena visto. Dopo aver ascoltato il racconto della moglie, Odisseo, celato dietro le sembianze di un mendicante, può solo convalidare la spiegazione già proposta dall'interprete interno al sogno, che prevede l'uccisione di tutti i pretendenti per mano di Odisseo (vv. 555-558). Eroda avrà avuto presente questa scena? E ancora, avrà forse tratto ispirazione da essa? Dato che dai Mimiambi emerge una fitta trama di allusioni ai poemi omerici, e in particolare all'Odissea, da cui Eroda riprende veri e propri nuclei narrativi, ritengo utile esaminare i tratti che accomunano e quelli che invece separano i due racconti onirici. Eroda mostra di aver compreso l'importanza del racconto del sogno e soprattutto della presenza di un interlocutore che ispiri una certa fiducia nel protagonista e che possa assisterlo durante l'interpretazione delle allegorie oniriche, perché il sogno diventi così «creazione di realtà», contenente «una verità profonda che conforma la realtà stessa»238; questo aspetto emerge dalla smania del fattore di renderne partecipe la serva Anna: σύ τε μοι τ̣[οὖ]ν̣α̣ρ, εἰ θέλεις, Ἀννᾶ, / ἄκουσον· οὐ γὰρ νη̣[πία]ς̣ φρένας βόσκεις (vv. 14-5). Allo stesso modo Penelope individua nel mendicante, che poco prima le ha dato notizie di Odisseo (vv. 185-307), l'ascoltatore in grado di fugare i suoi dubbi sulla veridicità dei contenuti di un sogno rappresentato simbolicamente, ma che si rivelerà assolutamente esplicito nel messaggio: ἀλλ' ἄγε μοι τὸν ὄνειρον ὑπόκριναι καὶ ἄκουσον (v. 535). Per quanto riguarda la simbologia del sogno si potrebbe essere tentati di instaurare un parallelo tra l'uccisione delle oche di Penelope da parte dell'aquila-Odisseo e l'uccisione del capro di Eroda per mano dei caprai, ma una tale suggestione non presenta sufficienti elementi per essere sviluppata. Inoltre, l'architettura onirica elaborata da Eroda presenta
236 Trad.:«"Fatti coraggio, figlia del celebre Icario. / Non è sogno, ma realtàfavorevole, che sarà portata
a compimento. / Le oche sono i tuoi pretendenti, e io per te prima ero un uccello, / un'aquila, ora invece sono il tuo sposo, qui ritornato, / che a tutti i pretendenti assegnerò una brutta morte". / Così diceva, e allora mi lasciò il dolce sonno».
237 Brillante 2005, 19-20; cfr. anche Guidorizzi 2013, 60. 238 Miralles 1992, 103-104.
un notevole livello di elaborazione e il sognatore ha parte attiva nello svolgersi degli eventi, non si pone passivamente come Penelope; anzi, una volta terminato il racconto, nonostante la presenza di un'allocuzione ad Anna che farebbe immaginare un passaggio di testimone (v. 66), il poeta si appresta ad esporre la propria interpretazione del sogno. A questo proposito è necessario tenere presente una differenza sostanziale tra le due situazioni: mentre il protagonista del mimiambo si mostra entusiasta e fiducioso rispetto alla veridicità dei contenuti del sogno e all'interpretazione che lui stesso ne propone, che prevede il sostegno del dio Dioniso e la promessa della propria gloria futura come poeta, con la riflessione di Penelope sul significato e sul valore conoscitivo dei sogni (Od. XIX 560-567) veniamo dirottati su binari diametralmente opposti. Dopo aver premesso che i sogni sono incomprensibili e ambigui e che non sempre ciò che annunciano si attua per gli uomini (vv. 560-561 ξεῖν', ἦ τοι μὲν ὄνειροι ἀμήχανοι ἀκριόμυθοι / γίνοντ', οὐδέ τι πάντα τελείεται ἀνθρώποισι), Penelope distingue le due tipologie di porte da cui essi provengono: i sogni che scaturiscono dalle porte d'avorio sono ingannevoli, portano all'uomo soltanto parole infruttuose e illusioni, mentre quelli che vengono dalle porte di corno sono veritieri e destinati ad avverarsi; tuttavia questa seconda eventualità non apre uno spiraglio positivo, poiché all'uomo non è dato avere certezze sulla loro origine ed è condannato a rimanere nel dubbio: nonostante abbia ricevuto un'interpretazione esplicita del proprio sogno, ulteriormente confermata dalle parole del mendicante-Odisseo, Penelope resta attanagliata dai dubbi e teme l'inganno. A questo punto è necessaria una puntualizzazione sulle modalità con cui gli antichi Greci si rapportavano ai fenomeni onirici, poiché ciò avveniva in modo totalmente differente rispetto a noi, eredi di secoli di concezioni soggettivistiche e dell'esperienza freudiana, per cui il sogno è sostanzialmente una creazione e proiezione dell'Io239.
239 Guidorizzi 1988, XI ricorda che ciò che noi riconduciamo all'unica categoria di 'sogno' nella Grecia
antica andava soggetto a una pluralità di definizioni, poiché non si trattava di un fenomeno unitario, ma aveva uno statuto debole e non era definito con rigorosità. Nel libro I dei suoi Ὀνειροκριτικά, Artemidoro di Daldis (II sec. d.C.) introduce una distinzione fondamentale tra ὄνειρος («sogno»), in grado di indicare gli avvenimenti futuri, ed ἐνύπνιον («visione onirica»), che invece deriva dal passato personale di un individuo e, in particolare, dai residui dei pensieri e delle azioni quotidiane che, durante la notte, si ripropongono in sogno in forma ormai frantumata e disorganica; tra i sogni profetici si distinguono quelli θεωρηματικοὶ, in cui vi è corrispondenza tra contenuto e immagine, e quelli ἀλληγορικοὶ, in cui una cosa è rappresentata per mezzo di un'altra (I, 1). Inoltre viene esposta anche una classificazione che riscosse notevole fortuna in età tardo-antica e che prevede una suddivisione tra cinque diverse tipologie di sogno (I, 2): la distinzione principale rimane quella tra ὄνειρος ed ἐνύπνιον, poi viene citato il φάντασμα, simile alla nostra «allucinazione» e incapace di rivelare il futuro, e infine ὅραμα («nitida visione») e χρηματισμός («oracolo»), entrambi rivelatori di eventi futuri. Eroda non sembra però fare distinzione tra ἐνύπνιον, che è il titolo del mimiambo, e ὄναρ, menzionato ai vv. 14 e 66; a questo proposito segnalo un'imprecisione in Kessels 1978, 191, in cui viene giustamente attestato
Quelli dei Greci sono per lo più Aussenträume240, sogni dotati di identità autonoma ed esterna rispetto alla psiche di chi dorme e caratterizzati da un carattere obiettivo che, nei poemi omerici, giunge spesso fino alla personificazione. A questo proposito, Dodds afferma che i Greci «never spoke as we do of having a dream, but always of seeing a dream ‒ ὄναρ ἰδεῖν, ἐνύπνιον ἰδεῖν»: questo modo di descrivere i sogni, paragonabile a come si racconterebbe un evento reale, riflette la natura di immagine propria del sogno e il suo carattere oggettivo241. A.H.M. Kessels puntualizza che in realtà ὄναρ ἰδεῖν non è l'espressione adottata più frequentemente dai greci per riferirsi al sogno: molto più comuni sono le perifrasi costituite dal verbo δοκεῖν seguito da nominativo o accusativo e infinito, come testimoniano le iscrizioni degli Iamata di Epidauro e gli Ὀνειροκριτικά di Artemidoro242. Secondo lo studioso, questa tendenza crescente dei greci a riferirsi ai sogni introducendoli con i verbi ἰδεῖν e δοκεῖν, non deve essere ricondotta a una distinzione tra Aussenträume e Innenträume, ma piuttosto ad un cambiamento dell'attitudine dei greci nei confronti del fenomeno onirico: il sogno è ancora considerato come qualcosa di oggettivo, ma emerge la volontà di dare enfasi alla persona che sogna come 'agente' del sogno, invece di relegarla al ruolo di semplice spettatore passivo. Ciò è riscontrabile anche nel Mim. VIII di Eroda, dove chi comunica il sogno introduce il racconto con l'aoristo ὠιήθη̣[ν (v. 16), più oltre espone parte di ciò che vi accadeva con δόκεον (v. 45) e al v. 65 si avvale del participio ἰ[δ]ὼν (il verbo
3 volte il termine ὄναρ nei Mimiambi (oltre ai luoghi citati cfr. anche Mim. I 11) ma non viene riportato ἐνύπνιον; peraltro rimando alle pp. 174-192 di questo studio per un esame della terminologia onirica.
240 La terminologia è di Hundt 1935. Agli Aussenträume sono contrapposti gli Innenträume, considerati
pure esperienze mentali, anche se possono derivare anche da cause esterne; cfr. Brillante 2005, 15: «nell'ambito di una società come quella greca affermare che il sogno andava considerato unicamente in rapporto alla sfera privata, individuale, significava anche ridimensionarne il significato e vanificarne il ruolo che poteva svolgere nell'ambito sociale».
241 Dodds 1951, 105. Cfr. anche Kessels 1978, 155-157: «dreams, then, are not, in Greek epic tradition,
the fact or the state that one is dreaming, so not a mental process only, but the things or persons one seems to perceive in a dream; hence the objective characters of dreams: the Greek sees a dream, but we have a dream» (p. 157). Accanto a questa interpretazione tradizionale, che vede il sogno come qualcosa di oggettivo e autorevole, Erodoto (Hist. VII 12-18) attesta nelle parole di Artabano, consigliere di Serse, una lettura di tipo razionalistico, che all'epoca cominciava presumibilmente a riscuotere un certo successo: i sogni riflettono i pensieri e le preoccupazioni che attanagliano gli uomini durante lo stato di veglia (cfr. Empedocle, fr. 108 D.-K.). Tuttavia Dodds 1951, 118 fa notare che Artabano si serve ancora della tradizionale espressione 'oggettiva' che presuppone l'esistenza di «sogni che vagando giungono tra gli uomini» (Her. Hist. VII 16 β 2 ἐνύπνια τὰ ἐς ἀνθρώπους πεπλανημένα). Lieshout 1980, 19 elenca alcuni termini di questo tipo tramite i quali i greci si riferivano all'arrivo di un sogno (φοιτᾶν, ἀΐσσειν, πεπλανῆσθαι, ἐλθεῖν, μολεῖν), al suo apparire (στῆ δ' ὑπὲρ κεφαλῆς, κεφαλῆφι οἱ ἑπέστη, ὑπερστᾶν) e al suo andarsene (λιάσθη ἐς πνιὰς ἀνέμων, ἀποπέτεσθαι, οἴχεσθαι); tuttavia egli mette in guardia sulla liceità di derivare una divisione tra Aussentraüme e Innentraüme basandosi sulla ricorrenza di queste espressioni: «it is, however, hard to discern to what extent and from what date this terminology should be regarded as metaphorical or even stereotyped use of language».
ἰδεῖν forse è usato anche alla fine del v. 66), contribuendo a sottolineare la propria attiva partecipazione agli eventi del sogno, di natura pur sempre obiettiva. Anche questo tratto contribuisce ad avvicinare il sogno di Eroda a quello di Penelope, che, a differenza degli altri sogni omerici, non viene descritto durante la sua apparizione 'sopra il capo del dormiente', ma viene richiamato alla mente e raccontato dalla sognatrice secondo la sua ottica personale243. In ogni caso, nonostante l'oggettività dei sogni omerici, non può passare inosservata, nelle parole di Penelope, la presenza di elementi di ambiguità connaturati non alla qualità del messaggio onirico, che è espresso generalmente con chiarezza, ma all'intrinseca inaffidabilità dei contenuti e dell'aspetto esteriore (manifestazione ambigua in quanto εἴδωλον). Basti pensare al sogno mandato dalla divinità a Serse per condizionare la sua scelta di invadere la Grecia, portandolo alla rovina244, oppure al «perfido Sogno» (οὖλον ὄνειρον, Il. II 6) celato sotto le sembianze di Nestore e inviato ad Agamennone da Zeus, per indurre, con l'inganno, il capo degli Achei ad attaccare i Troiani, e onorare così Achille (Il. II 1-83).
Si potrà ora spiegare il motivo della radicale diversità di atteggiamento di Eroda e di Penelope nei confronti dell'affidabilità del messaggio onirico, facendo riferimento alle conclusioni a cui è arrivato Carlo Brillante in merito all'evoluzione dei modelli tradizionali di ispirazione poetica e sogno245. Nonostante in età alessandrina il sogno continui a mantenere il carattere tradizionale di realtà oggettiva, la riflessione filosofica ha portato ad una progressiva valorizzazione degli organi di senso, dando rilievo al momento della ricezione del sogno da parte del soggetto, come è emerso anche dall'analisi linguistica. Questi mutamenti e il parallelo processo di laicizzazione della poesia hanno fatto sì che si creasse il terreno fertile perché poeti come Eroda e Callimaco potessero sfruttare le potenzialità dell'ambientazione onirica per veicolare riflessioni sulla loro poetica e porsi sotto l'egida della divinità, senza che il valore e l'autorevolezza di una tale esperienza fossero intaccati dalla natura ambigua e ingannevole del sogno, verso cui Penelope si mostrava comprensibilmente diffidente. Data la presunta influenza del teatro attico sui Mimiambi, è necessario sviluppare ancora alcune riflessioni prima di passare ad analizzare il filone della letteratura onirica che tratta dell'investitura poetica; «è nel V secolo – scrive infatti Del Corno – che, parallelamente ad una espansione culturale del sogno simbolico [...] le testimonianze
243 Cfr. Guidorizzi 2013, 60.
244 L'episodio si trova narrato distesamente nelle Storie di Erodoto (VII 12-18). Cfr. Brillante 2005, 17-18. 245 Cfr. Brillante 2003, 87-109.
sull'arte onirica si moltiplicano nella letteratura»246, a cominciare dal teatro tragico, dove i sogni-incubi, connotati da un profondo simbolismo, compaiono in numerosi drammi colmando di pathos i discorsi delle eroine tragiche. Nei Persiani di Eschilo, in un'atmosfera cupa e dominata da funesti presagi, la regina Atossa, fortemente turbata, narra un sogno da lei considerato presagio di sventura (vv. 175-210): ci sono una coppia di donne, entrambe alte e belle, ma una indossa un abito dalla foggia persiana, mentre l'altra porta un peplo dorico; venute a lite tra loro, il figlio di Atossa, Serse, cerca di unirle allo stesso giogo, ma fallisce nell'impresa, poiché la donna greca, a differenza di quella persiana che si sottomette docilmente, si ribella con fierezza spezzando il giogo e facendo cadere Serse dal carro. Si tratta di un presagio della sconfitta di Salamina, come temeva Atossa, la quale rimprovera il Coro, che si era assunto il ruolo di ἐνυπνίων κριτής (v. 226), di essere stato un interprete superficiale (v. 520 ὑμεῖς δὲ φαύλως αὔτ' ἄγαν ἐκρίνατε) perché aveva prospettato una soluzione positiva (cfr. vv. 215-25). Nelle
Coefore (vv. 523-551), in una serrata sticomitia, l'orrendo sogno di Clitemnestra viene
raccontato dal coro e poco alla volta interpretato dal figlio Oreste, che riconosce in se stesso il serpente che morderà la madre: ἐκδρακοντωθεὶς δ' ἐγὼ / κτείνω νιν, ὡς τοὔνειρον ἐννέπει τόδε (vv. 549-550). Anche nell'Elettra sofoclea il sogno di Clitemnestra (vv. 417-423) ha una forte valenza simbolica, ma il suo significato è talmente manifesto da non aver bisogno di interpreti: dallo scettro di Agamennone germoglia un vigoroso arbusto che si estende su tutta la terra di Micene, presagio dell'imminente vendetta di Oreste247. La regina troiana Ecuba, nell'omonima tragedia euripidea, deplora ai vv. 87-89 l'assenza dei profeti ispirati Eleno e Cassandra, che avrebbero potuto interpretare il significato dei suoi terrori notturni. Un ultimo esempio lo troviamo nell'Ifigenia in Tauride di Euripide ai vv. 42-58, dove la stessa Ifigenia, autrice di un sogno simbolico premonitore, lo spiega con tono deciso, ma fraintendendone completamente il senso: «io questo sogno lo interpreto così: è morto
246 Artemidoro, Il libro dei sogni a cura di D. Del Corno, Milano, 1975, XXI.
247 Cfr. Walde 2001, 125-144. Il sogno di Clitemnestra compariva già nell' Ὀρέστεια di Stesicoro: fr. 180
David-Finglass τᾶι δὲ δράκων ἐδόκησε μολεῖν κάρα βεβροτωμένος ἄκρον («un serpente sembrò andare da lei, insanguinato nel sommo del capo») ἐκ δ' ἄρα τοῦ βασιλεὺς Πλεισθενίδας ἐφάνη («e poi da lì apparve un re della casa di Plistene»). In questo caso può darsi che il serpente apparso in sogno a Clitemnestra non rappresenti Oreste, bensì suo marito Agamennone, che lei aveva colpito con una scure al capo. Intendendo il termine βασιλεὺς nel senso di 'un vero re, non un usurpatore', colui che emerge dalla testa del serpente potrebbe essere Oreste oppure Agamennone; M. Davies e P. J. Finglass propendono per la prima opzione «because of the powerful symbolism that it entails. Clytemnestra has killed Agamemnon, the snake, but not Agamemnon's offpring, which now emerges from that dead snake to take vengeance» (Stesichorus: The Poems. Edited with Introduction, Translation, and Commentary by M. Davies and P. J. Finglass. Cambridge University Press, 2014, 505-507).
Oreste e io l'ho consacrato secondo il rito» (vv. 55-56 τοὔναρ δ’ ὧδε συμβάλλω τόδε· /
τέθνηκ’ Ὀρέστης, οὖ κατηρξάμην ἐγώ)248.
Se è vero – come abbiamo già accennato – che Eroda ha attinto anche alla commedia per la composizione dei suoi Mimiambi, bisogna accennare alla presenza, nelle Vespe249 di Aristofane, di questo motivo che fu forse introdotto nel genere comico da Epicarmo, a giudicare da un passo del DeAnima di Tertulliano: Epicharmus etiam summum apicem
inter divinationes somniis extulit cum Philocoro Atheniensi (46 = fr.*274 K.-A.).
Dopo aver passato in rassegna numerosi esempi del filone della letteratura onirica che riguarda i sogni simbolici bisognosi di adeguata spiegazione e avendo rinvenuto alcuni punti in comune ma anche notevoli divergenze con il sogno erodeo, diventa necessario un esame delle ricorrenze del topos onirico in contesti legati a dichiarazioni di poetica, perché nel mimo di Eroda l'ambientazione del sogno serve a soddisfare un'esigenza pratica dell'autore, in quanto «si configura come la dimensione ideale per un discorso letterario al quale la metafora alleggerisce il peso dell'impostazione programmatica»250. Punto di riferimento imprescindibile per ogni poeta che volesse rappresentare la propria investitura poetica sono senz'altro i versi 22-34 della Teogonia, in cui Esiodo espone l'incontro avuto con le Muse, mentre stava pascolando il suo gregge alle pendici del monte Elicona: le dee gli parlarono, colsero un ramo d'alloro e glielo consegnarono come bastone rapsodico per investirlo poeta e cantore della loro poesia ispirata251. Questa esperienza diventerà uno dei modelli prediletti per i poeti che vorranno presentare la propria iniziazione poetica, riproponendo, rivisitando e modificando a seconda delle loro esigenze il celebre antecedente esiodeo. Un esempio degno di nota è il racconto, tramandatoci nell'iscrizione di Mnesiepes252, dell'apparizione delle Muse al giovane Archiloco, rappresentazione in forma simbolica della sua investitura come poeta dell'invettiva e del biasimo: Telesicle incarica il figlio Archiloco di recarsi nel demo di Λειμῶνες per riportare da lì una vacca da rivendere successivamente; durante il
248 Per l'interpretazione del passo rimando a Walde 2001, 157-174.
249 Aristoph. Vesp. 12-53, 91-94, 1037-1042. Cfr. anche Aristoph. Equit. 1090-1095; Ra. 48-51; Plaut.
Merc. 225-255 e Rud. 593-613.
250 Gigante Lanzara 1993, 230. 251 Cfr. Pretagostini 1995, 165-166.
252 SEG 15, 517 = Archil. Test. 4 Tarditi. Si tratta di un'iscrizione databile alla seconda metà del III sec.
a.C., rinvenuta a Paro nel 1949 in un tempio, il cosiddetto Ἀρχιλοχεῖον, dedicato dal cittadino di Paro Mnesiepe ad Apollo, a Dioniso, alle Muse e ad Archiloco. Per un approfondimento sull'argomento rimando a Miralles-Pòrtulas 1983, 63-80, Brillante 1990, 7-20 e Bruno 2007, 18-19 e n. 4.
[Fig. 5] Pyxis attica del Pittore di Esiodo, rivenuta a Eretria e databile al 460-450 a.C. Particolare con sviluppo piano della superficie laterale: il poeta Archiloco seduto in mezzo alle Muse (a sinistra) e Archiloco bovaro con vacca al suo fianco (a destra). Boston, Museum of Fines Arts (inv. n. 98.887). viaggio di ritorno, nella località di Λισσίδες, Archiloco incontra253 un gruppo di giovani donne, presumibilmente delle contadine di ritorno dal lavoro nei campi, con cui si scambia battute di scherno (l. 30 σκώπτειν); le donne sono in realtà le Muse e, dopo avergli assicurato che avrebbero pagato il giusto prezzo per la vacca, scompaiono