LA PROCACCIATRICE DI RELAZIONI O LA MEZZANA
2.3 Eroda e la caratterizzazione: la mezzana Gillide
2.3.1 Modelli ripresi, modelli variat
Il personaggio della vecchia mezzana doveva essere una figura particolarmente popolare già nella tradizione mimica, come attesta il fr. 69 K.-A. di Sofrone382, e, sulla base di un passaggio di Ateneo, anche nella magodia, un genere drammatico affine al mimo sotto vari aspetti: «il cosiddetto magodòs (μαγῳδὸς) porta tamburelli e piatti e tutto il suo
abbigliamento è femminile; si muove sempre con atteggiamento provocatorio e fa ogni cosa in modo impudente (ἔξω κόσμου), e interpreta talvolta parti femminili di adultere
(μοιχούς) e di mezzane (μαστροπούς)» (Athaen. Deipn. XIV 14, 8-13).
Per quanto riguarda l'Archaia, il riferimento obbligato va alla scena delle
Tesmoforiazuse di Aristofane, in cui Euripide si traveste da vecchia mezzana e,
conducendo con sé una prostituta, distrae l'arciere scita e libera il Parente (Aristoph.
Thesm. 1172-1209); è probabile che una mezzana fosse attiva in un'altra commedia
aristofanea, la Vecchiaia: il fr. 148 K.-A. sembra descrivere una mezzana nell'atto di presentare la sua 'merce' all'anziano cliente, chiedendogli quali siano le sue preferenze, mentre la donna di cui si parla nel fr. 137 K.-A. potrebbe essere identificata con la stessa mezzana oppure con una delle sue protette383. Inoltre, come ha sottolineato Hans Georg Oeri sulla base del fr. 188 K.-A. 384, è possibile che nel Faone di Platone Comico il ruolo della mezzana fosse rivestito dalla dea Afrodite. Il
381 Mastromarco 1991, 191.
382 Et. Gud. z (Par. suppl. 172) ap. Theod. Gl. 50 (1972) 30 μαστροπός· παρὰ τὸ μαίεσθαι τοὺς τρόπους
τῶν πορνευουσῶν γυναικῶν. οὕτως ἐν ὑπομνήματι τῶν Σώφρονος ἀνδρείων.
383 Aristoph. fr. 137 K.-A.: ἐπὶ τοῦ περιδρόμου στᾶσα τῆς συνοικίας («stando lei in piedi presso l'area
adiacente al bordello»); fr. 148 K.-A.: ὦ πρεσβῦτα, πότερα φιλεῖς τὰς δρυπεπεῖς ἑταίρας / ἢ τὰς ὑποπάρθένους ἁλμάδας ὡς ἐλάας / στιφράς; («Vecchio, quali preferisci, le etere mature /o quelle semivergini, sode come olive / in salamoia?»). È possibile che nelle Lemnie di Aristofane l'anziana nutrice di Ipsipile, Polisso, svolgesse il ruolo di mezzana tra la padrona e Giasone: cfr. frr. 376, 377 K.-A., per la cui discussione rimando al commento di Pellegrino 2015, 229-230. Sulla maschera della mezzana nell'Archaia si veda Oeri 1948, 26-27.
Il personaggio della μαστροπός riscuote notevole successo nella commedia nuova, in cui generalmente si assiste ai raggiri messi in atto da vecchie megere ai danni di giovani e sprovveduti amanti: Filippide ha scritto una commedia intitolata Mezzana (fr. 15 K.- A.)385 e lo stesso personaggio figura, inoltre, nei frammenti di due commediografi del medesimo periodo, Epicrate (fr. 8 K.-A.) e Teofilo (fr. 11 K.-A.).Anche le commedie di Plauto sono popolate da numerose mezzane: Cleareta nell'Asinaria, Syra e Melaenis nella Cistellaria (che trova il suo modello nelle Synaristosai di Menandro, in cui, come mostrano i quattro mosaici riprodotti nelle figg. 16-20, compariva in scena la vecchia mezzana Filenide, amante del vino), Leaena nel Curculio e Scapha nella Mostellaria386. La sfida di Eroda, pertanto, non si prospetta tra le più semplici, poiché deve riprendere un personaggio la cui fortuna è ormai legata a una serie di caratteristiche stereotipate, deve renderlo ben riconoscibile, ma allo stesso tempo non deve farlo scadere nella banalità, anzi in meno di cento versi deve dotarlo di una fisionomia in grado di colpire un pubblico affatto estraneo alla figura della μαστροπός sulla scena. Dall'analisi delle commedie plautine sopracitate emergono alcune delle caratteristiche che hanno reso memorabile la maschera comica della mezzana, tra le quali si possono annoverare l'età avanzata, l'indole lasciva, la passione smodata per il vino e la rozzezza culturale.
Per quanto riguarda la vecchiaia, spiccano per la loro incisività le parole sdegnate con cui Metriche prende le distanze dal discorso tentatore di Gillide, quando ai vv. 67-68 le rinfaccia che il candore dei suoi capelli le indebolisce la mente387. Ma bisogna ricordare che già ai vv. 15-16 era stata la stessa Gillide a fare esplicito riferimento alla propria vecchiaia e alla conseguente debolezza fisica, esagerandole di proposito per discolparsi delle mancate visite a Metriche e perché la tarda età le consente di ricoprire il ruolo di saggia consigliera388. A questo proposito occorre sottolineare, con Luis Alfonso Llera
385 Di Gregorio 1997, 48 prospetta la possibilità che il titolo della commedia di Filippide, Μαστροπός,
possa anche essere un maschile, poiché l'unica fonte che sembra alludere all'opera, l'Antiatticista, vi si riferisce con Φιλιππίδης Μαστροπῶι; tuttavia, nell'unico frammento pervenutoci si parla di una donna che ha dei ripostigli per il vino e, tenendo presente la tradizionale rappresentazione delle mezzane come intrinsecamente e morbosamente propense al bere (cfr. pp. 147-155 del presente elaborato), è più logico considerare il termine Μαστροπός femminile e vedere nella donna la mezzana del titolo.
386 In merito alla figura della mezzana nella Nea e nelle commedie plautine rimando a Oeri 1948, 50-53 e
Morenilla Talens 1994, 93-106. Secondo quest'ultima studiosa è probabile che una lena figurasse anche nella Corollaria di Nevio (cfr. Morenilla Talens 1994, 89).
387 Cfr. Men. fr. 646, 1 K.-A. οὐχ αἱ τρίχες ποιοῦσιν αἱ λευκαὶ φρονεῖν. Menandro utilizza però
un'espressione più secca e precisa rispetto a quella di Eroda, il quale grazie all'uso del neutro plurale τὰ λευκά con valore di astratto, seguito dal genitivo, rende la locuzione più vaga e poetica.
388 Cfr. Albiani 1995, 300. Inoltre il ruolo di premurosa confidente si addice perfettamente ad una nutrice
Fueyo ed Elena Esposito, che al v. 15 Eroda pone sulla bocca di Gillide un verbo carico di notevole allusività, l'hapax omerico δραίνω, usato da Agamennone a proposito di Nestore (Il. X 96, ἀλλ' εἴ τι δραίνεις, ἐπεὶ οὐδὲ σέ γ' ὕπνος ἱκάνει); il fatto che il verbo sia stato ripreso, a quanto ci risulta, soltanto da Eroda in questo luogo e in Mim. II 95 va a sostegno della possibilità che la memoria poetica del lettore potesse stabilire un confronto tra l'eroico vigore di Nestore, che pur essendo ormai anziano (Il. X 77 γεραιὸς) non cedeva alla penosa vecchiaia (Il. X 79, οὐ μὲν ἐπέτρεπε γήραι λυγρῷ), e la debolezza di Gillide, che con toni pateticamente connotati si definisce forte quanto una mosca389 perché la vecchiaia la trascina giù (vv. 15-16)390. Inoltre, in questo confronto implicito, Nestore, l'eroe saggio e giusto per eccellenza, dispensiere di consigli ai Greci durante la guerra di Troia, viene declassato al livello di squallida megera opportunista, che fornisce consigli a Metriche non tanto perché le vuole bene (cfr. v. 66), ma per mero tornaconto personale (cfr. vv. 89-90). A questo punto lo scarto tra l'elevato contesto d'origine del verbo e la sua riproposizione parodicamente distorta sulle labbra della volgare Gillide sarebbero già di per sé sufficienti a generare il sorriso nei colti fruitori dei Mimiambi, ma l'ironica replica di Metriche, basata sul doppio senso erotico del verbo ἄγχω391, dona alla scena un ulteriore tocco di vivacità: Gillide non deve fingere di
spesso, nella tradizione teatrale greco-latina, la nutrice svolgeva la funzione di ruffiana per la sua padrona: basti pensare alla nutrice di Fedra nell'Ippolito di Euripide (cfr. Mastromarco 1991, 180).
389 Degani 2002, 48, 55 sottolinea come la singolare propensione di Ipponatte per i Tiervergleiche, usati
solitamente per sottolineare qualità negative (cfr. Hippon. frr. 63 Deg. κύμινδις; 32 Deg. κύων; 79, 11 Deg. ἔχιδνα; 129b Deg. ἑρωδιός; 135 Deg. κερκύδειλος; 136 Deg. δέλφαξ; 141 Deg. κύων), abbia lasciato traccia anche nell'opera di Eroda (oltre a Mim. I 15, cfr. anche Mimm. III 41, 89; IV 44; VI 13- 14; VII 63). Anche i paragoni con gli oggetti inanimati ricorrono nelle opere di entrambi gli autori: una pietra e una statua (Mimm. VI 4; VII 109 e Hippon. fr. 144 Deg.), una pentola di purè (Hippon. fr. 118 Deg.), un filtro che lascia cadere il liquido goccia a goccia (Mim. III 33; Hippon. fr. 59 Deg.).
390 Cfr. Llera Fueyo 1988, 658-659 e Esposito 2001, 151-152. Nel commento a Il. X 96 (792, 28 = III 25,
21ss. Valk) Eustazio riporta, dopo un iniziale «δραίνειν» ἀντὶ τοῦ πράττειν e la citazione «ἀλλ’ εἴ τι δραίνεις», ἤτοι δρᾷς ἢ δύνασαι δρᾶν, un'antica esegesi (οἱ δὲ παλαιοὶ δραίνειν λέγουσι τὸ ἀγρυπνεῖν, ἤγουν ἀργὸν ὕπνου εἶναι καὶ βλέπειν. δρῶ γὰρ τὸ βλέπω, καθὰ καὶ ἀλλαχοῦ εἴρηται (68, 30-32). διὸ εἰπὼν ὁ ποιητής, «εἴ τι δραίνεις», ἐπάγει «ἐπεὶ οὐδέ σέ γε ὕπνος ἰκάνει»), che intendeva il verbo δραίνειν in due modi diversi: o come sinonimo di πράττειν oppure con il significato di «stare attento», «stare sveglio», desunto dall'immediato contesto del passo dell'Iliade (in cui è presente ὕπνος ἱκάνει) come usavano fare i glossografi antichi, che Aristarco contestava aspramente e da cui spesso prendeva le distanze anche Callimaco (si veda in merito Tosi 1997, 223-40). Elena Esposito ritiene che, attraverso l'allusione a Il. X 96, il rifiuto dell'esegesi glossografica del verbo δραίνειν e l'adozione del suo significato corretto, Eroda dimostri la propria propensione per una 'poesia filologica': «nel riutilizzo della tradizione egli mostra infatti un interesse per la rarità lessicale, non disgiunto da una genuina sensibilità filologica per la parola; ammicca parimenti al suo pubblico, richiamando, per poi stravolgerlo parodicamente, un noto luogo omerico» (Esposito 2001, 152).
391 Cfr. Leone 1955, 314, il quale rimanda a Hesych. α 876 Latte ἄγχει·.. πλησιάζει. Massa Positano 1970,
52 ha osservato che «anche il linguaggio di Metriche è questa volta da etera: si è appena ai preliminari del colloquio, e Metriche è la prima, nell'ironico complimento rivolto alla mammina, ad usare un doppio senso che allude al mestiere antico di Gillide». Si veda in merito Di Gregorio 1995, 684-685.
lamentarsi dell'età, perché in realtà è ancora così forte da χἠτέρους ἄγχειν (v. 18 «soffocarne altri»), ossia da togliere il fiato ad altri uomini stringendoli tra le sue braccia come ha fatto con tanti ai tempi in cui, prima di diventare mezzana, era un'etera. Ritengo che Eroda, attraverso questa maliziosa insinuazione di Metriche, abbia anche voluto alludere velatamente ad un'altra caratteristica propria della maschera comica della vecchia, ossia la natura lussuriosa; nel caso di Gillide, essa non si placa neppure quando l'età dell'amore e della passione è da tempo trascorsa.
In un tale contesto si potrebbe essere tentati di seguire Llera Fueyo e Elena Esposito nell'intravedere nel secondo emistichio del v. 16 (χἠ σκιὴ παρέστηκεν) l'evocazione di un'immagine che, a partire da Omero, diventerà tradizionale, ossia la morte che sta accanto all'uomo, qui ipoteticamente ripresa da Eroda con lo stesso verbo e tempo con cuioccorre in Il.XVI853=XXIV132(ἄγχι παρέστηκεν θάνατος καὶ μοῖρακραταιή)392. Tuttavia alcuni studiosi fanno notare che la concezione della morte come ombra è familiare a noi moderni, ma una simile equivalenza di σκιή e θάνατος non risulta attestata in nessuna opera della letteratura greca, cosa che, nonostante la proposta di Llera Fueyo di considerare l'operazione di Eroda come una variatio in imitando, pone a questa interpretazione un ostacolo non indifferente. Giuseppe Giangrande pensa che il termine ἡ σκιή debba essere connesso a γῆρας, poiché Eroda è solito impiegare l'articolo con funzione individualizzante per indicare che chi parla non si riferirsce a un nome qualsiasi, ma a qualcosa di preciso come richiede il contesto; perciò in questo caso ‒ così mi pare opportuno e prudente intendere il vocabolo ‒ ἡ σκιή si qualifica come «quella particolare ombra che è la vecchiaia, sulla quale verte il discorso»393. Infatti, è proprio sul tema dell'incombere della vecchiaia e della precarietà della vita umana che Gillide insisterà per convincere Metriche, ancora avvenente ma non più giovanissima, ad accettare le offerte amorose di Grillo (vv. 37-46, 63); lei stessa, quindi, si offre come esempio concreto di ciò che la vita riserva dopo l'età della giovinezza394. Un'altra caratteristica peculiare delle mezzane è la passione smodata per il vino, che, come sottolinea Rachel J. Finnegan, può essere ricondotta al tradizionale ritratto comico
392 Cfr. Hymn. Ven. 269 (ἀλλ' ὅτε κεν δὴ μοῖρα παρεστήκῃ θανάτοιο), Mimn. fr. 2,5 W. (Κῆρες δὲ
παρεστήκασι μέλαιναι), Xen. Hell. II 3, 56 (τὸ τοῦ θανάτου παρεστηκότος). Per quanto riguarda le ulteriori conclusioni raggiunte da Elena Esposito cfr. pp. 167-168 del presente elaborato.
393 Di Gregorio 1997, 59. Cfr. Giangrande 1973, 85. Llera Fueyo 1988, 656 fa presente che in questo caso
la medesima idea è espressa in Hymn. Ven. 244-245 (γῆρας... / ...τό τ' ἔπειτα παρίσταται ἀνθρώποισιν).
[Fig. 16] Mosaico con scena iniziale delle Synaristosai di Menandro. Firmato da Dioscuride di Samo (fine II sec. a.C.). Pompei, Villa di Cicerone. Napoli, Museo Archeologico Nazionale (inv. n. 9987).
[Fig. 17] Mosaico con scena iniziale delle Synaristosai di Menandro, fine III-inizio IV sec. d.C. Mitilene, Casa di Menandro. New Archaeological Museum of Mytilene (MNC 6DM 2.3).
[Fig. 18] Mosaico con scena iniziale delle Synaristosai di Menandro. Firmato da Zosimo di Samosata (inizio III sec. d.C). Zeugma, Villa di Zosimo. Gaziantep, Museum of Archaelogy (inv. n. 8177).
delle donne, in particolare delle donne anziane, come propense al bere senza misura: non di rado vengono colte mentre bevono vino puro da enormi coppe, alcune lo hanno rubato dalle dispense, altre hanno partecipato a feste religiose per aver un pretesto per ubriacarsi, altre ancora amano discutere degli effetti inebrianti di certi tipi di vino395. Un cenno deve andare anche a quattro mosaici che raffigurano la scena iniziale delle
Synaristosai di Menandro. Il primo, riprodotto nella fig. 16, è stato rinvenuto a Pompei
nella Villa di Cicerone, è firmato da Dioscoride di Samo (fine II sec. a.C.) e l'originale è verosimilmente una pittura ellenistica (inizio III sec. a.C.): raffigura due donne giovani, Plangone e Pitiade, che conversano tra loro, e una terza più anziana, la mezzana Filenide, riconoscibile dalla grottesca maschera tipica della vecchia megera, con rughe profonde, occhi storti e tratti deformati in un ghigno, capelli bianchi e, stretta con forza in mano, l'immancabile coppa di vino, probabilmente versatole dalla giovane ancella alla sua destra. Il secondo mosaico abbelliva il pavimento della cosiddetta Casa di Menandro a Mitilene ed è perfettamente convergente con quello pompeiano [fig. 17] 396. Il terzo è un pannello musivo rinvenuto in una grande villa durante gli scavi effettuati nel 2000 a Zeugma, Turchia [fig. 18]; rappresenta anch'esso la scena I delle Synaristosai (come indica l'iscrizione che sormonta le figure) ed è stato realizzato dall'artista siriaco Zosimo di Samosata (sul bordo inferiore è posta l'iscrizione ΖΩΣΙΜΟΣ ΕΠΟΙΕΙ). Franco Ferrari ha posto l'attenzione sulla variazione di un dettaglio: a differenza delle opere precedenti, in cui la mezzana Filenide stringe la coppa di vino nella mano destra e è presente una sola ancella, qui l'anziana sta ricevendo la coppa da una delle due ancelle raffigurate397. A questo secondo personaggio fanno riferimento sia Plauto (Cist. 19, raro
nimium dabat quod biberem, id merum infuscabat), sia Menandro (Synar.fr.335 K.-A.): ἄν ἔτι πιεῖν μοι δῶι τις, ἀλλ' ἡ βάρβαρος / ἅμα τῆι τραπέζηι καὶ τὸν οἶνον ὤιχετο / ἄρας' ἀφ' ἡμῶν398. Ferrari ipotizza che Zosimo abbia rappresentato non solo l'ancella che le porge il vino, maanche quella (ἡ βάρβαρος) che aveva suscitato il disappunto della
395 Finnegan 1992, 27-28. Cfr. Aristoph. Eccl. 153-155, 227, 1123-24, Lys. 194-197 (vino puro);
Aristoph. Lys. 200-201; Thesm. 633, 740-47, fr. 472 K.-A., Pherecr. frr. 75, 152 K.-A., Philyll. fr. 5 K.- A. (grandi quantità di vino e coppe enormi); Aristoph. Thesm. 555-557, Eccl. 14-15 (furto di vino); Aristoph. Lys. 194-198, Thesm. 630-32, 735-36, Eccl. 132-143 (pretesti per bere); Aristoph. Eccl. 1118- 24 (effetti inebrianti del vino). Sulla maschera della vecchia beona nella commedia greca cfr. Oeri 1948, 13-18, 39-46 e per la passione per il vino delle mezzane cfr. Morenilla Talens 2008, 86s., 90-93.
396 Per un'analisi approfondita del mosaico mitilenese in questione rimando a Charitonidis-Kahil-
Ginouvès 1970, 41-44 e tav. 5, 1.
397 Cfr. Ferrari 2004, 134-135.
398 Trad.: «[... sarei più contenta] se mi offrisse ancora da bere, ma la barbara / anche il vino, oltre alla
[Fig. 19] Mosaico con scena iniziale delle Synaristosai di Menandro.
Rinvenuto nel 2007 a Dafne, antico sobborgo di Antiochia. Riproduzione da Gutzwiller-Çelik 2012, 598.
[Fig. 20] Particolare della metà di sinistra del Mosaico delle Synaristosai a Dafne: una serva versa il vino a Filenide. Riproduzione da Gutzwiller-Çelik 2012, 601.
mezzana, poiché le aveva portato via dalla tavola ciò che più le stava a cuore, ossia il vino, gesto deducibile sulla base della stizzita recriminazione di Filenide.
Questa interpretazione sembra trovare conferma in un pannello musivo rinvenuto nel 2007, nel corso di una campagna di scavo condotta nell'antica Dafne, sobborgo di Antiochia, sotto la direzione di Ömer Çelik dell'Hatay Archaeological Museum399. Come informa un'iscrizione [ΣΥΝΑΡΙΣΤΩΣΩΝ ΜΕ(ΡΟΣ) Α], anch'esso raffigura il medesimo tema degli altri tre mosaici citati, ma si differenzia da essi per la presenza di sei figure, tutte della stessa dimensione, collegate tra loro da sguardi e gesti: Filenide, Plangone, Pitiade e tre serve [fig. 19]. La serva più a destra, in piedi di fronte al tavolo su cui sono posti vino e acqua, è senz'altro quella rimproverata dalla mezzana nel frammento menandreo; invece nella fig. 20 è possibile vedere nel dettaglio la serva colta nell'atto di versare il vino nella coppa di Filenide; quest'ultima ha le caratteristiche
[Fig. 21] Statua in marmo di vecchia ebbra. Copia romana di un originale greco databile al III sec. a.C. e attribuito a Mirone di Tebe. Roma, Musei Capitolini (inv. Scu 299).
tipiche delle anziane (lunghi capelli bianchi, viso smunto e rugoso),ma è dignitosa e non presenta i tratti grotteschi con cui Filenide è ritratta nei mosaici di Pompei e di Mitilene. Impossibile, infine, non pensare alla celebre statua raffigurante una anus ebria di cui parla Plinio nel XXXVI libro della Naturalis Historia e di cui ci sono pervenute due copie romane in marmo [nella fig. 21 si può osservare quella conservata ai Musei Capitolini; la seconda è al Glyptothek Museum di Monaco (inv. n. 437)] da un originale ellenistico attribuito a Mirone di Tebe e databile al III sec. a.C.400; la statua in questione
400 In realtà Plinio (NHXXXVI 4. 10, Nam Mironis illius, qui in aere laudatur, anus ebria est Smyrnae in
primis inclyta) deve aver confuso il celebre Mirone del V sec. con un omonimo scultore più tardo, quasi sicuramente Mirone di Tebe, attivo a Pergamo tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. Dimartino 2008, 77 n. 14 cita l'eventualità che Plinio si sia basato su un lemma che avrebbe riportato il nome della donna (Maronis, fatto diventare per errore Myronis) e il luogo (Zmyrnae); se così fosse si potrebbe vedere nella statua la raffigurazione della vecchia Maronide, celebrata in due epigrammi ellenistici di Leonida (AP VII 353, in cui al v. 3 Maronide è definita φιλάκρητος «amante del vino puro») edi Antipatrodi Sidone (AP VII 455, in cui Maronide è ἡ πίθων σποδός «la spugna degli orci»). A questo proposito si ricordi che il motivo della vecchia emarginata e beona è presente in numerosi epigrammi, in cui vengono rappresentate vecchie ubriache con nomi parlanti (oltre a Maronide abbiamo Silenide, Ampelide, Bacchilide), le quali, dopo una vita passata a bere grandi boccali di vino puro, vengono seppellite presso botti colme di vino o presso i vitigni che le avevano alimentate: cfr. AP V 289, VI 291, VII 329, 353, 384, 455-457, XI 57, 409. Per un approfondimento sulla statua in questione rimando a Zanker 1989 e all'ottimo contributo di Alessia Dimartino già citato, da cui ho attinto per la mia analisi; la studiosa si sofferma sull'identificazione del soggetto, sulle origini del tema rappresentato nelle fonti scritte e iconografiche e sulla destinazione della statua (cfr. Dimartino 2008, 67-80).
è inquadrabile nella tendenza dell'arte ellenistica ad abbracciare nuovi e provocatori contenuti espressivi, riconducibili alla sfera dell'umile e del quotidiano, e a ricercare un approfondimento psicologico, sottolineato dagli accenti prevalentemente patetici: l'anziana è seduta a terra con le gambe ossute piegate e incrociate, tra le quali sorregge una grande giara, destinata non alla mescita ma alla conservazione del vino puro, e su cui poggia una corona di foglie d'edera e grappoli d'uva; il volto, solcato da rughe profonde e segnato da un'espressione assente e sfigurata dallo stato di ebbrezza, è riverso all'indietro e dipende anche strutturalmente dalla giara da lei stretta al petto in modo possessivo. I difetti tipici della vecchiaia non sono soltanto abbozzati, ma vengono messi in risalto e addirittura esasperati dall'artista, che indugia sulla pelle grinzosa e cadente, le rughe del volto e del collo, lo scavo delle ossa, eccessivamente spigolose, canalizzando lo sguardo dell'osservatore sul petto scarno e sulle clavicole sporgenti. La decadenza fisica della donna è sottolineata anche dal contrasto con i gioielli, l'acconciatura curata e la lunga e ricca veste dalle pieghe voluminose; il particolare della spallina dell'abito calata ‒ allusione alla sfera afrodisiaca ‒ induce a pensare che il soggetto raffigurato sia una mezzana o una vecchia etera arricchitasi nel corso degli anni, colta nell'atto di partecipare alle feste in onore di Dioniso401.
Anche per questo molti studiosi l'hanno accostata alla figura di Gillide; tuttavia, io ritengo che quest'ultima sia caratterizzata da un umorismo caustico e irriverente, ma al contempo bonario, che nella statua mironiana non trova spazio, perché sopraffatto dai toni patetici e dalla pedante registrazione di ogni dettaglio volto a definire un'umanità abbruttita e degradata dal punto di vista fisico e morale.
Quell'originario senso comico, riprodotto da Eroda nel ritratto e nelle parole della mezzana e legato al beffardo accostamento tra vecchiaia, femminilità e ubriachezza, risale al repertorio dei tipi della commedia che abbiamo poc'anzi passato in esame ed è riscontrabile nella ricchissima produzione di figurine e vasi in terracotta che, a partire dalla fine del V sec. a.C. fino alla tarda età imperiale, raffigura donne anziane abbracciate a enormi giare di vino o direttamente impegnate a bere. Caterina Greco ha preso in esame una serie di figurine fittili del IV sec. a.C., soffermandosi in particolare su una statuetta rinvenuta negli scavi condotti da Mussinano nel 1979 nelle necropoli di Montagna di Marzo402 [fig. 22]. Essa raffigura una vecchia dalle forme cadenti, con il viso pieno, doppiomento accentuato, naso camuso, sopracciglia sfuggenti che donano
401 Cfr. Dimartino 2008, 69, 75.
agli occhi piccoli e distanti un piglio furbo e malizioso, sottolineato dalla bocca dischiusa in un sorriso beffardo; come si può dedurre dal voluminoso skyphos retto con entrambe le mani e posto sul grembo, la donna è colta mentre è in procinto di accingersi a una memorabile bevuta. La studiosa è convinta che la statua della anus ebria attribuita a Mirone sia una «rielaborazione ellenistica, di gusto raffinato ma enfatico, di un motivo nato con ben altro significato e destinato ad un diverso pubblico»403 e riconosce un legame inscindibile tra quel motivo e il teatro comico contemporaneo, fonte di ispirazione dietro la statuetta di Montagna di Marzo e altre terracotte del medesimo tipo, considerate i precedenti iconografici alle numerose realizzazioni del tema dell'anziana ubriaca diffusesi nell'artigianato plastico in età tardo-ellenistica. Un esempio di questa