• Non ci sono risultati.

La costruzione di una persona autoriale

1.3 Eroda mette in scena Eroda

1.3.2 La costruzione di una persona autoriale

L'apparente semplicità della domanda "Chi racconta il sogno?" nasconde, in realtà, complesse implicazioni in merito alla personalità poetica di Eroda e alla natura della sua opera. Il lettore, infatti, è incoraggiato a interpretare il personaggio principale del Mim. VIII come una manifestazione letteraria dell'autore reale dell'opera, e allo stesso tempo è spinto a riflettere sull'operazione poetica attuata nella composizione dei Mimiambi. Per affrontare un argomento di tale portata è stato necessario circoscrivere il campo d'indagine, concentrando l'attenzione sulle modalità con cui Eroda ha costruito la propria persona autoriale nel Mim. VIII, soprattutto in relazione ad altri due personaggi presenti nel racconto onirico, e sugli scopi sottesi ad una tale scelta85.

Non di rado gli autori antichi erano percepiti attraverso il tramite delle loro personae dai lettori, i quali erano convinti di poter dedurre notizie credibili in merito alle vicende biografiche della loro vita, alle loro convinzioni e personalità sulla base delle parole, spesso esposte in prima persona, contenute nelle loro opere86; ciò è spia della mancanza di una forte distinzione antica tra autore reale e narratore fittizio, che si riflette in una posizione di ambiguità dell'autore nel testo, una figura spesso al limite tra realtà e finzione. Tuttavia, in un'età come quella ellenistica, in cui il carattere libresco della cultura diventa preponderante rispetto alle epoche precedenti e gli autori dimostrano chiara coscienza del nuovo medium, si assiste a un cambiamento significativo nelle abitudini e negli scopi della rappresentazione autoriale, come conseguenza dell'invito implicito del supporto librario all'analisi intertestuale (e intratestuale)87; le personae

85 Nonostante questo argomento sia rimasto a lungo lontano dall'attenzione degli studiosi di Eroda,

concentrati sul tentativo di risolvere l'intricata matassa di allusioni e possibili polemiche letterarie nascoste nel Mim. VIII, si deve ad Hutchinson 1988, 237-238 il merito di aver per primo notato l'importanza del fatto che il poeta si sia esplicitamente calato nella propria opera in qualità di personaggio teatrale e che, in quanto tale, debba sottostare alle convenzioni da lui stesso create.

86 Cfr. Morrison 2002, 33-36, 55-61. Basti pensare alla poesia giambica, in cui, sebbene domini la prima

persona singolare e a volte i toni dello ψόγος sembrino molto personali, spesso la persona loquens non coincide con quella dell'autore, ma si nasconde dietro una maschera giambica. Fantuzzi 2002, 12 nota che talvolta l'uso fuorviante di tale 'io' genera fraintendimenti sull'identità della persona loquens in coloro che non sono stati presenti alla prima performance del componimento da parte dell'autore. Aristotele in Rhet. III 1418b 28-33 dice che Archiloco, in un carme di biasimo per una donna, aveva introdotto il padre di lei indignato come persona loquens (fr. 122 West), e che aveva attribuito al carpentiere Carone giambi pieni di disprezzo per le ricchezze eccessive di Gige, in contrasto con la morale dell'epoca (fr. 19 West). Cfr. anche Depew 1992, 321-322 e Clay 1988, 9-18. Morrison 2002, 52 aggiunge che l'importanza «of this narratorial personality in the Archaic poets makes them important models for the Hellenistic poets, with their own particular interest in narrators and poetic authority».

87 Cfr. Bing 1988b; lo studioso analizza il nuovo contesto libresco che ha caratterizzato l'epoca ellenistica

e ha influenzato il modo in cui i poeti percepivano se stessi, soffermandosi sull'interazione tra tradizione e innovazione, e affermando che «the written word creates the possibility of transforming the

autoriali, infatti, diventano sempre più spesso l'emblema tangibile di un dato programma poetico, incorporando i principi e le svariate influenze che permeano l'opera dell'autore. Ritengo che, per arrivare a comprendere come Eroda abbia plasmato una forma poetica innovativa e originale a partire dalla tradizione letteraria precedente e nel confronto con i poeti suoi contemporanei, sia innanzitutto necessario analizzare il modo in cui il poeta decide di presentare se stesso all'interno dei Mimiambi, l'immagine che sceglie di dare della propria figura di autore e del suo rapporto col processo di creazione poetica e col pubblico. Il Mim. VIII è il terreno ideale per una ricerca di questo tipo; infatti in questo componimento, oltre a fornire al pubblico il proprio manifesto di poetica, veicolandolo attraverso una suggestiva simbologia onirica, Eroda dà vita letteraria a se stesso, introducendo nel mimo la propria persona autoriale ‒ un vero e proprio personaggio ‒ e conferendosi strategicamente lo status di protagonista88. Attraverso l'analisi dei gesti di una così importante dramatis persona, delle sue parole, dei suoi attributi, del modo di rapportarsi con gli altri personaggi, si potrà capire quali aspetti della propria figura autoriale Eroda ha voluto mettere in rilievo e si anticiperanno molti degli elementi cardine della sua poetica, riscontrabili de facto in tutti i mimiambi.

Barnaby Chesterton è stato il primo a soffermarsi sullo studio della rappresentazione autoriale di Eroda e a intuire la portata delle implicazioni che, in un componimento programmatico come il Mim. VIII, si possono ricavare da un'analisi approfondita delle

traditions of the literary past» e, allo stesso tempo, «the very freedom that writing provides has [...] another function, namely to affirm the continued validity of the tradition» (p. 26). Inoltre, Bing rileva il ruolo sempre più importante che il lettore ha in un tale contesto: «the poet's self image is now also geared to the reader» (p. 15). Anche Clay 1998, 30 rileva questa novità: «literacy and the ancient book opened a gap between a poet and his audience, and the absence of the performing poet is filled by the mask or persona of the writer. Contemplating this mask is the unfamiliar mask of the reader. Both are creations and necessities of wide-spread literacy» (cfr. anche Fantuzzi 1993, 42).

88 Nonostante lo stato lacunoso in cui ci è pervenuto il Mimiambo VIII, abbiamo a che fare molto

probabilmente con un lungo monologo; infatti, anche se la voce parlante si rivolge a due serve per rimproverarle e ad un'altra, Anna, per raccontarle il sogno, non sembra ricevere alcuna risposta da loro. Anche il Mim. II è un lungo monologo (interrotto solo dall'intervento del γραμματεύς ai vv. 46-48), ma colui che parla chiama ripetutamente se stesso Battaro (vv. 5, 49, 75, 82, 93) e nomina i suoi antenati (vv. 75-77); viceversa il protagonista del Mim. VIII non si identifica mai e non viene mai identificato da altri interlocutori, costituendo un caso unico tra i mimiambi che siamo in grado di leggere. Oltre all'ipotesi che egli sia il padrone di una modesta fattoria (deducibile dagli ordini dati alle serve ai vv. 1- 13), l'unico dettaglio che può aiutarci a dare un'identità a questo personaggio lo troviamo ai vv. 73-79, in cui si presenta come un poeta che compone giambi e, in particolare, coliambi. Perciò l'interpretazione del protagonista, il fattore, come persona del poeta pare l'unica possibile. Inoltre Miralles 1992, 109, individuando il nodo dell'interpretazione del componimento nei parallelismi da stabilirsi tra i concetti del sogno e quelli della realtà, sottolinea l'importanza di «un fatto ovvio che il testo stesso stabilisce, ossia l'identità tra soggetto della narrazione e soggetto del sogno; però anche in questo caso bisogna proceder oltre l'ovvio e identificare il narratore e il sognatore con il poeta ‒ come gli spettatori della commedia identificavano ciò che diceva il corifeo nella parabasi con ciò che diceva il poeta stesso».

strategie narrative e delle tecniche di caratterizzazione dei personaggi89; questo tipo di ricerca ha il pregio di andare oltre ai limitati tentativi ‒ peraltro necessari ‒ di identificare e spiegare i singoli elementi del testo, mirando soprattutto a cogliere nel loro insieme le intenzioni poetiche che si celano dietro determinate scelte, collocandole nel contesto più appropriato e confrontandole con quelle dei poeti contemporanei. Tenendo presenti i risultati del suo studio, si cercherà di comprendere come e perché Eroda abbia plasmato la propria persona poetica in relazione ad altri due personaggi presenti nel racconto onirico. L'obiettivo è capire se la loro particolare caratterizzazione sia funzionale solo all'esposizione dei modelli poetici che innervano la struttura formale dei Mimiambi oppure anche alla costruzione della rappresentazione autoriale di Eroda come amalgama degli attributi del suo predecessore poetico e del suo divino garante; una tale operazione implicherebbe un trasferimento, da questi ultimi alla persona di Eroda, dell'autorità poetica e della legittimazione divina necessarie per dare credibilità all'interpretazione del sogno. Nelle pagine successive verrà inoltre preso in esame un aspetto che Chesterton non ha trattato nel suo studio, ma che a mio parere ha cruciale importanza nella definizione della persona poetica di Eroda: la lingua del protagonista del mimo, che, nonostante l'impressione di vivacità e immediatezza, è caratterizzata da una studiata allusività alla letteratura alta e da una inclinazione parodica affatto casuali. Nell'ultima sezione del componimento (vv. 65-79), la persona di Eroda fornisce la propria interpretazione del sogno, in cui viene evidenziata la natura composita ‒ mimica e giambica ‒ dell'opera, che può essere ravvisata anche nella presenza di due personaggi nell'allegoria onirica: un giovane, ossia il dio Dioniso, e un vecchio adirato, identificato dalla maggioranza della critica con Ipponatte. Queste figure incarnano i due generi che Eroda unisce nell'intento di dar forma a qualcosa di innovativo: il mimiambo90.

89 Cfr. Chesterton 2016 e Chesterton 2018.

90 Cfr. Fantuzzi 2002, 7: «Non c'è dubbio che Eronda configuri la sintesi da lui attuata tra la tradizione

comica e la tradizione giambica arcaica proprio attraverso il confronto con il preciso modello di Ipponatte, drammatizzando così la propria poetica attraverso la dialettica tra il "giovane", ossia il Dioniso della tradizione comica, e il "vecchio", ossia il modello Ipponatte della tradizione giambica». Inoltre, Fantuzzi ritiene che il concetto di 'contaminazione dei generi letterari', additato spesso come uno dei tratti distintivi della raffinata poesia alessandrina, non sia da ricondurre unicamente «alla ricercatezza intellettualistica e all'amore per la novità ad ogni costo: una ricercatezza tutta libresca, ludica e 'sovversiva', pronta a sacrificare il sistema letterario tradizionale» (p. 20). Infatti dimostra che gli alessandrini, come fecero i ditirambografi del V e del IV sec. a.C. di cui parla Platone nelle Leggi (3.700a-e), si sono dovuti arrendere di fronte all'inattualità degli antichi contesti di poesia e hanno dovuto rifunzionalizzare le forme dei generi letterari ereditati dalla tradizione, perché le numerose 'occasioni di performance' della Grecia arcaica e classica mutarono drasticamente o addirittura vennero meno con i profondi cambiamenti politici e sociali del III sec. a.C.: «restava un patrimonio di convenzioni linguistiche, metri, e contenuti che oramai avevano perso la loro solidarietà funzionale;

Ma non solo: pur avendo superato l'idea dell'ispirazione divina, Eroda non rinuncia all'alone di sacralità che deriva dalla legittimazione da parte di un garante divino, il dio del teatro Dioniso (vv. 63-64, 68)91; inoltre, riallacciandosi all'insigne predecessore Ipponatte attraverso un'investitura poetica sui generis, Eroda sfrutta in modo originale le possibilità espressive insite nel motivo della convalida dell'opera poetica92 e, allo stesso tempo, giustifica la distanza dal teatro attico e dal mimo dorico connaturata alla propria opera, poiché caratterizzata da metro e dialetto non drammatici93. Andremo ora ad analizzare queste due figure e il rapporto che ciascuna instaura con la persona di Eroda. Due sono gli elementi distintivi che connotano la figura del vecchio: il primo è ‒ ovviamente ‒ la vecchiaia, l'altro è il temperamento collerico (v.75 γέροντι ὀρινθέντι)94. Una tale povertà descrittiva, in stridente contrasto con ciò che è possibile osservare nei personaggi degli altri mimiambi, suggerisce che Eroda abbia voluto mettere in risalto proprio queste due caratteristiche per un motivo ben preciso. Infatti, se la vecchiaia è un attributo piuttosto comune in riferimento ai predecessori poetici95, l'enfasi sull'irascibilità, unitamente all'uso di marche linguistiche ben riconoscibili, rimanda senza ombra di dubbio al giambografo Ipponatte96. Nelle testimonianze del III sec. a.C.

staccate dalle situazioni originarie quelle strutture formali si erano disaggregate dalle strutture funzionali dei generi, e si apriva ora la possibilità di nuove aggregazioni (Fantuzzi 1993, 46).

91 Chesterton 2018 ritiene che Eroda abbia introdotto la figura di Dioniso e il contesto agonistico-rituale

con intenzionale ambiguità, per sottolineare sia il carattere 'religioso', 'rituale' del sogno sia l'interpretazione degli eventi narrati come rappresentativi di una performance drammatica: «both elements have a clear importance for Herodas' delineation of his poetic programme, as the ritualistic context which the dream-narrative suggests reinforces the notion that the dream itself posseses a heaven-sent origin. The evocation of dramatic performance is, as the interpretation of the dream shows, a critical aspect of Heroda's assertion of the success of his hybrid poetic form» (p. 20).

92 Cfr. Fantuzzi 2002, 5-6: «L'introduzione della figura del 'garante' di una specifica techne non è

contemplata da tutti gli autori dell'epoca ellenistica, né in tutte le loro opere ‒ in particolare non la contempla nessuno degli autori che più o meno innovativamente si collocano pur sempre nel solco della consolidata tradizione dell'epica narrativa ‒ [...] Al contrario, adottano piuttosto frequentemente questa strategia di giustificazione/convalidazione alcune opere che rispondono a intenti di poetica per i quali il precedente di una tradizione o non è immediatamente evidente oppure non c'è proprio, e lo si deve inventare».

93 Cfr. Kutzko 2012, 375-380.

94 Al v. 59 il vecchio si riferisce a se stesso definendosi πρέσβυς, mentre al v. 62 è chi parla a chiamarlo

ὁ γέρων. La sua irascibilità è evidente nella minaccia rivolta al protagonista ai vv. 59-60: ἔρῥ ἐκ προσώπου μή σε καίπερ ὤν πρέσβυς / οὔλῃ κατ' ἰθὺ τῇ βατηρίῃ κόψω.

95 Come possiamo dedurre da Bing 1988a, ciò è particolarmente evidente nel caso delle statue dei poeti:

così Anacreonte è descritto da Leonida negli epigrammi A.Pl. 306 = 31 G.-P. e A.Pl. 307 = 90 G.-P. e allo stesso modo la statua di Filita di Cos in un epigramma del nuovo Posidippo (63 A.-B.).

96 Cfr. ad es. la minaccia del vecchio ai vv. 59-60, in cui l'espressione τῆι βατηρίηι κό[ψω riproduce

integralmente, in ogni particolarità prosodica e linguistica, un intero emistichio di Ipponatte (fr. 8 Deg. = 20 W. δοκέων ἐκεῖνον τῆι βακτηρίηι κόψαι); che senso potrebbe mai avere un calco ipponatteo così marcato sulla bocca di un personaggio che non è Ipponatte? Inoltre, come sottolinea Bing 1988b, 71 n.

notiamo che le parole pronunciate in prima persona dalla persona di Ipponatte nei suoi giambi, improntati a biasimo e crudo vituperio tipici della ἰαμβικὴ ἰδέα, erano state interpretate come espressione della personalità del poeta stesso. Questa tendenza è ben visibile in quattro epigrammi sepolcrali fittizi per la tomba di Ipponatte ‒ di Leonida di Taranto (AP VII 408), Filippo di Tessalonica (AP VII 405), Alceo di Messene (AP VII 536) e Teocrito (Epigr. XIX)97. Esemplare è l'epigramma di Leonida di Taranto, in cui il

topos dell'allocuzione al viandante, al quale viene chiesto di fermarsi e rendere omaggio

al defunto, viene sovvertito e trasformato in un monito ad allontanarsi dalla tomba, per non rischiare di svegliare «la vespa pungente che riposa nel sonno» (vv. 1-2), poiché «le sue parole infuocate sanno ferire anche nell'Ade» (vv. 5-6):

Ἀτρέμα τὸν τύμβον παραμείβετε, μὴ τὸν ἐν ὕπνῳ πικρὸν ἐγείρητε σφῆκ’ ἀναπαυόμενον. ἄρτι γὰρ Ἱππώνακτος ὁ καὶ τοκεῶνε βαΰξας ἄρτι κεκοίμηται θυμὸς ἐν ἡσυχίῃ. ἀλλὰ προμηθήσασθε· τὰ γὰρ πεπυρωμένα κείνου 5 ῥήματα πημαίνειν οἶδε καὶ εἰν Ἀίδῃ.98

Eroda si è servito di quelle caratteristiche stereotipate, per le quali all'epoca Ipponatte era famoso a causa di una interpretazione biografica dei suoi giambi, allo scopo di identificare indirettamente il vecchio del sogno con il suo modello poetico99.

33, κόπτειν sembra essere una delle parole caratteristiche di Ipponatte (cfr. anche fr. 121 Deg. = 120 W. e fr. 122 Deg. = 121 W.). Per un'analisi approfondita sulla figura e sul ruolo di Ipponatte in Eroda rimando al cap. 1.5.2 sulla componente coliambica nell'opera erodea.

97 Per un'analisi di questi epigrammi rimando a Degani 1973, 91-97. È da notare che nell'epigramma di

Alceo di Messene (AP VIII 536) Ipponatte è definito ὁ πρέσβυς (v. 1): Οὐδὲ θανὼν ὁ πρέσβυς ἑῷ ἐπιτέτροφε τύμβῳ / βότρυν ἀπ' οἰνάνθης ἥμερον, ἀλλὰ βάτον / καὶ πνιγόεσσαν ἄχερδον ἀποστύφουσαν ὁδιτῶν / χείλεα καὶ δίψει καρφαλέον φάρυγα. / Ἀλλά τις Ἱππώνακτος ἐπὴν παρὰ σῆμα νέηται, / εὐχέσθω κνώσσειν εὐμενέοντα νέκυν. Sfruttando la simbologia legata alle piante, il poeta mette in guardia il viandante dal passare di fianco alla tomba del vecchio giambografo, sulla quale crescono soltanto il rovo e il soffocante pero selvatico, a causa dell'indole aspra di Ipponatte, che neppure da morto ha saputo nutrire sulla sua tomba il dolce grappolo della vite.

98 Leon. Tarent. AP VII 408 = LVIII G.-P.; trad.: «Passate piano piano accanto alla mia tomba, non

svegliate / la vespa pungente che riposa nel sonno. / Da poco infatti l'ira di Ipponatte che latrò anche contro i genitori / da poco si è addormentata in pace. / Ma state attenti: le sue parole infuocate / sanno ferire anche nell'Ade».

99 Rosen 1992, 212 interpreta la reazione collerica di Ipponatte come causata dalla scelta di Eroda di

contaminare i giambi con elementi drammatici, mentre Fountoulakis 2002, 310-314 è dell'idea che il giambografo di Efeso si opponga alla contaminazione del giambo con il mimo popolare, che a causa delle sue umili origini non può aspirare ad essere annoverato tra i generi teatrali più prestigiosi come tragedia e commedia. Queste ipotesi poggiano su basi fallaci: nel III sec. a.C. la Kreuzung der Gattungen era largamente diffusa (cfr. Rossi 2000, 153-59). Jacqueline Klooster, invece, interpreta il comportamento di Ipponatte non come una condanna dell'opera di Eroda, bensì come la prova che il

Adesso è interessante rilevare come lo stesso atteggiamento stereotipato, gli stessi vezzi linguistici, gli stessi attributi tipici della persona di Ipponatte abbiano contribuito a caratterizzare la persona di Eroda, fornendole una giustificazione per reclamare a buon diritto l'onore di condividere il successo e la fama con il giambografo di Efeso.

Nei primi versi del mimiambo il fattore-Eroda, dopo essersi destato dal sogno che lui stesso interpreterà come prova del proprio successo poetico, rimprovera le proprie serve per la loro pigrizia servendosi di un linguaggio che, come vedremo a breve, ricorda proprio quello di Ipponatte. Ma è soprattutto ai vv. 8-9 che si trova una spia importante:

τ̣ό̣ν̣θρυζε καὶ κνῶ, μέχρις εὖ παραστά[ς σοι τὸ] βρέγμα τῶι σκίπωνι μαλθακὸν θῶμα[ι.

Come ha osservato Jacqueline Klooster, in questi versi il fattore minaccia la schiava Psilla di colpirla con un bastone (σκίπων) esattamente come, nel sogno, il vecchio Ipponatte ha fatto con lui agitando con fervore la βατηρίη (v. 60): «this near-quotation illustrates how Hipponax' threat towards Herondas has taught him to behave as a iambic poet (viz. aggressively). The fact that Hipponax and Herondas ultimately display the same behavior illustrates that Herondas qualifies as a real iambic poet in the vein of Hipponax»100. Infatti bisogna ricordare che, sebbene a primo impatto la minaccia del fattore appaia come una sorta di prefigurazione che anticipa la minaccia del vecchio, in realtà il fattore si limita a modellare il proprio comportamento e il proprio linguaggio sull'esempio del personaggio che, nel sogno appena avvenuto, rappresentava Ipponatte. Inoltre, il termine σκίπων e il suo equivalente σκῆπτρον hanno un significato pregnante in poesia, in quanto vocaboli evocativi di saggezza e potere. Basti pensare, ad esempio, a numerosi passi omerici oppure alla celebre scena dell'investitura poetica di Esiodo

nuovo poeta ha dimostrato di essere in grado di assimilare il proprio modello alla perfezione: «verbal aggression and threats are the means through which Hipponax chooses to invest his imitator as a poet» (Klooster 2011, 53). Già Bing 1988b, 71 n. 33 scriveva: «such abusive behavior, even towards an admirer, is precisely what we would expect from a notorious practitioner of invective». A differenza di Callimaco nel Giambo I, Eroda decide di non forzare la celebre persona poetica di Ipponatte rendendolo accondiscendente e mansueto (cfr. fr. 191, 3-4 Pf.), ma coglie l'occasione per inserire nel Sogno una scenetta che avrebbe potuto stemperare i toni seri del Programmengedicht e, allo stesso tempo, convalidare paradossalmente la propria rivendicazione poetica. Anche Kutzko 2012, 376 n. 37 ritiene che la minaccia delle bastonate costituisca l'escamotage con cui Eroda immagina ironicamente di essere riconosciuto e iniziato come poeta di coliambi dal proprio modello Ipponatte: «Herodas will limp because of Hipponax's cane, just as much as his meter limps» (cfr. anche Mim. I 71).

100 Klooster 2011, 53. Cfr. anche Hutchinson 1988, 239 n. 39, il quale per primo suggerisce che le due

figure drammatiche di Eroda e di Ipponatte siano simbolicamente unite dal compimento di un'azione simile (la minaccia di colpire con un bastone rispettivamente la serva e la persona del poeta).

nella Teogonia, in cui riceve dalle Muse uno σκῆπτρον ricavato da un ramo d'alloro101; Callimaco menziona l'oggetto in questione in relazione a due dei Sette Sapienti: quello di Pittaco è definito γεροντικὸν ὅπλον (Call. Epigr. I 7 Pf.), Talete invece lo usa per tracciare figure geometriche sulla sabbia (Call. fr. 191. 57-59 Pf.) e per colpire il suolo in segno di indignazione per l'offerta della coppa a suo parere non meritata (v. 69). Il bastone, che nell'immaginario comune è l'attributo tipico delle persone anziane, avvicina ‒ almeno simbolicamente ‒ la persona di Eroda a quella di Ipponatte anche sotto questo aspetto, e non senza una punta di ironia, come nota giustamente Claudia N. Fernández102. Non sembra pertanto un azzardo ipotizzare che Eroda abbia escogitato un sofisticato escamotage per mettere in rilievo la sua rappresentazione autoriale: egli avrebbe messo in scena un fattore (niente meno che Eroda stesso) con le caratteristiche tipiche di Ipponatte, ossia vecchiaia e irascibilità103; questi poi, destatosi da un sogno