LA PROCACCIATRICE DI RELAZIONI O LA MEZZANA
2.4 Proposte di interpretazione del Mimiambo
2.4.2 La filigrana omerica
L'allusività epica costituisce un filo rosso che ha accompagnato con una certa costanza la nostra analisi del Mim. I e del Mim. VIII; la conclusione che ne abbiamo tratto è che Eroda non si limita soltanto a riprendere in maniera superficiale singoli termini e stilemi omerici, ma, forte di una conoscenza dei poemi omerici che potremmo definire 'alessandrina', rielabora a fini programmatici intere scene e nuclei narrativi e, sulla scia del suo modello Ipponatte, sovverte la tradizione aulica ricollocandola in un contesto assolutamente eterogeneo rispetto a quello di partenza e traendone effetti comici534. Ciò che va messo in evidenza è il fatto che Eroda, anche nel Mim. I, avvisa il suo pubblico inserendo nel testo spie più o meno allusive ai poemi omerici, e infine, quando i colti fruitori dell'opera sono ormai in allerta, modella la scena programmaticamente più significativa su un episodio odissiaco; così, nel Sogno, l'incontro tra la persona di Eroda e il vecchio irato è modellata sulla lite tra Odisseo e Iro (Od. XVIII 25-31).
533 López Cruces 2016a, 463-464 ritiene che Eroda, con questa ripresa dell'incontro iniziatico tra Iambe e
Ipponatte, in cui Metriche/Ipponatte rifiuta inaspettatamente l'aiuto che le offre Gillide/Iambe (da lei in passato il poeta aveva appreso il coliambo), abbia voluto rappresentare una «escena de iniciación frustrada, que se entiende mejor cuando pensamos que Métrique es Hiponacte pero, a la vez, Herondas: el nuevo Hiponacte no necesita ninguna ispiración para componer y proclama su absoluto dominio de las tradiciones genéricas que se integran en los mimiambos» (p. 464).
La scena iniziale del Mim. I, con l'arrivo di Gillide a casa di Metriche e lo scambio di battute tra le due, rievoca un episodio narrato nel libro IV dell'Odissea: la visita che l'εἴδωλον di Iftime, creato dalla dea Atena, fa in sogno alla sorella Penelope, affinché ella, rassicurata sulla sorte di Telemaco, smetta di piangere e disperarsi (Od. IV 787- 790, 795-801). Ecco le parole che Penelope rivolge alla sorella (Od. IV 810-818):
τίπτε, κασιγνήτη, δεῦρ’ ἤλυθες; οὔ τι πάρος γε πωλέ’, ἐπεὶ μάλα πολλὸν ἀπόπροθι δώματα ναίεις· καί με κέλεαι παύσασθαι ὀϊζύος ἠδ’ ὀδυνάων πολλέων, αἵ μ’ ἐρέθουσι κατὰ φρένα καὶ κατὰ θυμόν· ἣ πρὶν μὲν πόσιν ἐσθλὸν ἀπώλεσα θυμολέοντα, παντοίῃσ’ ἀρετῇσι κεκασμένον ἐν Δαναοῖσιν, ἐσθλόν, τοῦ κλέος εὐρὺ καθ’ Ἑλλάδα καὶ μέσον Ἄργος. νῦν αὖ παῖς ἀγαπητὸς ἔβη κοίλης ἐπὶ νηός, νήπιος, οὔτε πόνων εὖ εἰδὼς οὔτ’ ἀγοράων535. 810 815
Alcune somiglianze tra il mimo e l'ipotesto odissiaco sono evidenti: la sorpresa suscitata dalla visita (Mim. I 8-9 ⁓ Od. IV 810), la rarità di un tale avvenimento (Mim. I 10-12 ⁓
Od. IV 810), la lontananza della casa della visitatrice (Mim. I 13 ⁓ Od. IV 811),
l'assenza prolungata del marito come causa di solitudine e dolore (Mim. I 21-22, 36-37 ⁓ Od. IV 814-816) e l'intento consolatorio della visita (Mim. I 39-40 ⁓ Od. IV 12-13). Altre sono delle suggestioni: Metriche rimprovera Gillide per il fatto che sono ben cinque mesi che nessuno l'ha più vista presentarsi alla sua casa «nemmeno in sogno» (Mim. I 11 οὐδ’ὄναρ) e la visita dell' εἴδωλον di Iftime a Penelope avviene proprio in sogno (Od. IV 808-809 ... Πηνελόπεια, / ἡδὺ μάλα κνώσσουσ' ἐν ὀνειρείῃσι πύλῃσιν); inoltre, Metriche si rivolge con ironia a Gillide come se fosse una dea (Mim. I 9 τί σὺ θεὸ̣ς̣ π̣ρ̣ὸ̣ς ἀνθρώπους;) e la stessa eventualità è prospettata da Penelope (Od. IV 831 εἰ μὲν δὴ θεός ἐσσι); Metriche, infine, chiede se la visita di Gillide è stata architettata da una delle divinità che regolano il destino (Mim. I 8-9) e nell'Odissea l' εἴδωλον di Iftime è stato davvero creato e inviato da una dea, Atena (Od. IV 795-801, 828-829).
Una volta tracciato questo quadro di corrispondenze, a cui si aggiungano le marche omeriche già individuate nel corso dell'analisi del mimo (cfr. Mim. I 15-16, 34-35, 38,
535 Trad.: «Perché, sorella, sei venuta fin qui? Non ti si vede spesso / finora, poiché molto lontano hai
dimora; / e tu mi esorti ad astenermi dal pianto e dai molti / dolori, che mi straziano nella mente e nel cuore. / Ma io prima ho perso l'insigne sposo dal cuor di leone, / che per ogni virtù spiccava tra i Danai, / lo sposo insigne, la cui vasta gloria è diffusa per l'Ellade e dentro Argo. / E ora anche l'amato figlio è partito su una concava nave, / un fanciullo, inesperto di fatiche e di adunanze».
46, 52, 82a), diventa quasi scontato vedere le analogie tra la figura di Penelope, la sposa fedele per eccellenza, e la bona meretrix Metriche, entrambe in attesa di un uomo che ha affrontato un lungo viaggio per mare e di cui non hanno alcuna notizia (Mim. I 23- 24, 68 ⁓ Od. IV 832-837); tuttavia, se il viaggio in mare di Odisseo durerà dieci anni, il Mandris di Metriche è lontano da soli dieci mesi e per giunta la sua meta era l'Egitto, dipinto dalla mezzana come il Paese di Bengodi. In questo processo di declassamento dell'elevato statuto eroico dei personaggi, trova conferma il generale rifiuto (polemico?) di Eroda dell'aemulatio omerica e la volontà di sovvertire parodicamente la tradizione dell'epos eroico, calando i suoi protagonisti al livello basso e 'realistico' del mimo. Come abbiamo anticipato, questa fitta rete allusiva è finalizzata a fornire ai colti fruitori dell'opera di Eroda la chiave di lettura corretta per decifrare il modello letterario sottostante alla scena più rilevante dal punto di vista programmatico. Il duro rimprovero di Metriche alla sua vecchia nutrice Gillide, colpevole di averle fatto una proposta disonorevole (Mim. I 67-77), ricalca in maniera fedele la sgridata che Penelope rivolge all'anziana nutrice Euriclea, la cui unica colpa era quella di averla svegliata per annunciarle il ritorno del suo sposo e l'uccisione dei pretendenti (Od. XXIII 11-24):
μαῖα φίλη, μάργην σε θεοὶ θέσαν, οἵ τε δύνανται ἄφρονα ποιῆσαι καὶ ἐπίφρονά περ μάλ’ ἐόντα, καί τε χαλιφρονέοντα σαοφροσύνης ἐπέβησαν· οἵ σέ περ ἔβλαψαν· πρὶν δὲ φρένας αἰσίμη ἦσθα. ... ἀλλ’ ἄγε νῦν κατάβηθι καὶ ἂψ ἔρχευ μέγαρόνδε. εἰ γάρ τίς μ’ ἄλλη γε γυναικῶν, αἵ μοι ἔασι, ταῦτ’ ἐλθοῦσ’ ἤγγειλε καὶ ἐξ ὕπνου ἀνέγειρε, τῶ κε τάχα στυγερῶς μιν ἐγὼν ἀπέπεμψα νέεσθαι αὖτις ἔσω μέγαρον· σὲ δὲ τοῦτό γε γῆρας ὀνήσει.536 11 20
Metriche, come nell'esempio precedente, costituisce il contraltare mimico della sposa di Odisseo, mentre Gillide ricopre il ruolo di una Euriclea moralmente distorta e degradata che, invece di precipitarsi da Penelope incoraggiandola ad accogliere lo sposo dopo dieci anni di viaggio in mare, cerca di convincere Metriche, passati soli dieci mesi dalla
536 Trad.: «Nutrice cara, folle ti hanno resa gli dei, che possono / rendere dissennato anche chi è molto
avveduto, / e chi è stolto incamminarlo verso la saggezza. / Essi ti hanno certo guastata; prima eri sana di mente. [...] Ma orsù ora scendi e torna indietro nella sala. / Se infatti un'altra delle donne di cui dispongo / fosse venuta a darmi questo annuncio e mi avesse destata dal sonno, / subito in malo modo io l'avrei cacciata rimandandola / indietro nella sala; in questo, almeno, la vecchiaia ti proteggerà».
partenza di Mandris, ad accettare la corte di Grillo, un pretendente che ha bisogno della mediazione di una mezzana e che viene ironicamente descritto come un effeminato. In entrambi i passi colei che parla rimprovera una donna verso cui nutre affetto (Mim. I 73 φί̣λη ⁓ Od. XXIII 11 μαῖα φίλη) e di cui mette in evidenza l'anzianità (Mim. I 67, 74- 75 ⁓ Od. XXIII 24). Ciò che ha fatto incollerire Metriche e Penelope sono stati i discorsi pronunciati dalle rispettive nutrici, che con le loro parole hanno dimostrato di essere diventate deboli di mente (Mim. I 67-68 ⁓ Od. XXIII 11-14); il discorso di Euriclea è incentrato sul ritorno di Odisseo e sull'uccisione dei pretendenti (Od. XXIII 7-9), mentre quello di Gillide sul mancato ritorno di Mandris e sulla proposta di un pretendente (Mim. I 23-66). Con un gioco di inversioni, Penelope è convinta della morte di Odisseo (Od. XXIII 67-68), mentre Metriche giura sul ritorno di Mandris (Mim. I 68).
La reazione delle due donne è dura, ma viene moderata dal legame di lunga data che le lega alle vecchie nutrici; entrambe, però, sottolineano che, se un'altra donna avesse osato rivolgergli tali parole, non le avrebbero risparmiato una memorabile punizione, mandando via la temeraria zoppa e malconcia (Mim. I 69-72 ⁓ Od. XXIII 21-24). Anche in questo caso assistiamo a un capovolgimento nel risultato finale: nell'Odissea Penelope accetta di verificare le parole di Euriclea, mentre nel mimo Metriche congeda rapidamente Gillide, che cerca addirittura di rettificare il suo messaggio (Mim. I 83). Ancora una volta ‒ lo nota Elena Esposito ‒ Eroda non si limita a sovvertire la tradizione, ma «saccheggia l'epos omerico di quei materiali per così dire anti-eroici, intrinsecamente comici e adatti dunque ad essere impiantati, dilatati, rivitalizzati all'interno del neonato genere»537. Ritengo significativo che la scelta di Eroda, parlando in due mimiambi programmatici dell'adozione del metro coliambico e del modello ipponetteo, sia ricaduta proprio su due episodi odissiaci ‒ la lite tra Odisseo e Iro e il rimprovero di Penelope a Euriclea ‒ che nei contenuti riprendono la tradizione giambica di ascendenza ipponattea, improntata alla poetica dello ψόγος, e che sono incentrati su personaggi 'bassi', che solitamente nella tradizione eroica rimanevano nell'ombra.
Pertanto, diversamente da Nicola Piacenza538, non trovo incongruo che Eroda abbia sovrapposto al personaggio di Metriche/Penelope la figura di Ipponatte: nella scena mimica così costruita, Gillide/Euriclea costituisce il bersaglio dello ψόγος di
537 Esposito 2001, 159.
538 Cfr. Piacenza 2014, 170, il quale ritiene che, se ammettiamo che nel Mim. VIII la figura del vecchio
(Ipponatte) ricalchi quella di Odisseo nello scontro con Iro (già Ipponatte sovrapponeva nei suoi giambi la figura dell'eroe odissiaco con la propria persona), allora nel Mim. I non possiamo ravvisare dietro Metriche/Penelope la figura del giambografo di Efeso.
Metriche/Penelope, la quale minaccia la vecchia alla maniera tipicamente ipponattea, dicendole che, se fosse stata un'altra, le avrebbe fatto «cantare zoppa canzoni zoppe» (v. 71 χωλὴν δ’ ἀείδειν χώλ’), definendosi infine con orgoglio «figlia di Pite» (v. 76). In conclusione, possiamo ribadire quanto l'evocazione dell'ipotesto odissiaco sia per Eroda funzionale a livello programmatico: serve a mettere in luce la natura mimica e 'realistica' della sua opera attraverso l'inversione e la degradazione dell'epos omerico, serve a mostrare un riutilizzo critico e 'filologico' della tradizione letteraria, e infine serve a evidenziare il legame con il modello Ipponatte, di cui Eroda non riprende solo il metro e la lingua, ma anche lo spirito polemico e aggressivo, l'ironia sprezzante e la
verve parodica. Eroda, ancora una volta, dà prova di spessore culturale, competenza ed
erudizione poetica, confermando la qualifica di poeta doctus attribuitagli dalla critica.