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LA PROCACCIATRICE DI RELAZIONI O LA MEZZANA

2.3 Eroda e la caratterizzazione: la mezzana Gillide

2.3.3 La rhesis di una docta tentatrice

Dal v. 21 al v. 66, con un'unica brevissima interruzione di Metriche al v. 48 che divide il discorso in due parti, Gillide sviluppa la sua rhesis per convincere la donna ad accettare l'amore di Grillo, dal momento che Mandris, partito da dieci mesi per l'Egitto senza mandare alcuna notizia, deve averla dimenticata e tradita. Ciò che più desta interesse è il fatto che questo discorso, a dispetto di quanto lascerebbe sospettare il basso livello sociale e morale della rozza mezzana, risulta retoricamente ben articolato ed è intarsiato di riprese linguistiche e motivi non solo genericamente di elevata cifra poetica, ma per lo più riconducibili a un genere che ha riscosso un notevole successo nella letteratura alessandrina. Dalle osservazioni effettuate in merito alla lingua del fattore del Sogno e da quanto risulterà dall'analisi dei prossimi mimiambi, è possibile affermare che questo procedimento, costruito sui contrasti per generare humour, è indubbiamente una marca tipica della poetica di Eroda, il quale non esita a esporre la propria opinione sulle mode artistiche e letterarie del tempo e a prendere posizione nei dibattiti sviluppatisi all'interno della cerchia dei poeti alessandrini, ma lo fa attraverso le parole dei suoi personaggi e, quindi, con un certo distacco e una sostanziale ironia di fondo.

L'astuta mezzana dà avvio alla sua rhesis facendo leva sulla triste condizione della sua figlioccia, costretta a consumare la giovinezza vivendo come una vedova, e usando due elementi di elevata cifra stilistica: innanzitutto troviamo l'allocuzione ὦ τέκνον (v. 21), che evoca contesti tragici e solenni, poiché il termine τέκνον era scomparso già nel V sec. a.C. dalla Umgangsprache e in Aristofane è spesso paratragico436; inoltre, a breve distanza, viene usato l'hapax χηραίνεις al posto del più comune χηρεύεις, e viene rievocato l'explicit di un noto verso dell'Alcesti di Euripide, quando Eracle, al rifiuto di Admeto di sposarsi di nuovo, gli chiede: τί δ'; οὐ γαμεῖς γὰρ ἀλλὰ χηρεύσηι λέχος; (Eur.

Alc. 1089, «Perché? Non ti risposerai, il tuo letto resterà vuoto?»)437.

Per rendere l'idea della solitudine notturna, Gillide si avvale, al posto di μονοκοιτεῖν438, di una perifrasi ben più efficace ed evocativa, μόνη τρύχουσα τὴν μίαν κοίτην (v. 22), che rimanda a un topos della poesia d'amore, quello dell'innamorato infelice che si

436 Cfr. ad esempio Aristoph. Thesm. 1181, in cui è Euripide, travestito da mezzana, ad usare la solenne

allocuzione nei confronti della giovane prostituta che seduce l'arciere. Cfr. Mastromarco 1991, 180.

437 Il v. 21 è un coliambo ischiorrogico (cfr. Bo 1962, 12-14): lo spondeo in quinta sede, attestato anche

nei coliambi di Ipponatte, conferisce un ritmo lento alla seconda metà dell'emistichio e permette alla mezzana di porre in risalto le parole ἤδη χηραίνεις.

logora e soffre passando le notti da solo; esso trova il suo archetipo nei celebri versi del fr. 168 B Voigt, citati anonimi da Efestione (XI 5), ma generalmente attribuiti a Saffo439:

δέδυκε μὲν ἀ σελάννα καὶ Πληΐαδες, μέσαι δὲ νύκτες, παρὰ δ' ἔρχετ' ὤρα· ἔγω δὲ μόνα κατεύδω. È tramontata la luna e le Pleiadi; a metà è la notte, il tempo fugge via;

e io da sola giaccio.

Il motivo del letto deserto rientra in particolare nel repertorio del 'lamento della donna abbandonata', i cui primi esempi nella letteratura greca si ritrovano in Saffo (fr. 94 V.) e, con minor sicurezza, in Alceo (fr. 10 V.), per poi svilupparsi in età ellenistica: penso, ad esempio, alla disperazione di Simeta, sedotta e poi abbandonata da Delfi, nelle Φαρμακεύτριαι di Teocrito, alla protagonista del Fragmentum Grenfellianum, che supplica l'amato di non lasciarla fuori dalla porta (P. Dryton 50), a un epigramma di Meleagro (AP V 8), in cui la voce femminile si duole che i giuramenti d'amore siano stati infranti e che l'amante giaccia tra le braccia di altre donne, e infine al cosiddetto

Lamento di Elena (Adesp. Lyr. fr. 6 Pow.), in cui Elena si affligge per aver perso

l'amore di Menelao440. Eroda si inserisce in questo filone con innovazione, poiché gli stilemi e i topoi del lamento d'amore non sono posti sulle labbra di Metriche, la donna abbandonata, bensì su quelle della mezzana, che li utilizza per far sorgere nella giovane mal d'amore, desiderio di vendetta e gelosia, sentimenti che solitamente attanagliano le donne abbandonate. Ciò riflette la tendenza, affermatasi nella poesia ellenistica, ad approfondire l'esame dell'animo femminile: era risaputo che i suddetti stati d'animo, se nutriti da una donna, potessero essere sfruttati per favorire le avventure amorose441. Per quanto riguarda le scelte lessicali, si ricordi che il verbo τρύχειν apparteneva inizialmente al linguaggio medico, ma si è in seguito affermato nel lessico erotico, in

439 Il motivo è riecheggiato anche dallo Pseudo Teocrito (Id. XX 45 μώνα δ' ἀνὰ νύκτα καθεύδοι), da

Bione (II 27-30 ἄλλαι μὲν κνώσσουσι σὺν ἀλλήλαισιν ἀδελφαί, / αὐτὰρ ἐγὼ μούνα, μούνα δὲ σύ, νύμφα, καθεύδεις. / αἱ δύο παρθενικαὶ συνομάλικες, αἱ δύο καλαί, /ἀλλὰ μόναι κατὰ λέκτρα καθεύδομες), da Meleagro (AP V 166, 5-6 ἆρά γ' ἔχει σύγκοιτα τὰ δάκρυα κἀμὸν ὄνειρον / ψυχαπάτην στέρνοις ἀμφιβαλοῦσα φιλεῖ; AP V 191, 3-4 ἆρα γε τὴν φιλάσωτον ἔτ' ἐν κοίταισιν ἀθρήσω / ἄγρυπνον λύχνῳ, πόλλ' ἀποκλαομένην;), da Crinagora (AP V 119 Χἣν ῥίψῃς ἐπὶ λαιὰ καὶ ἢν ἐπὶ δεξιὰ ῥίψῃς, / Κριναγόρη, κενεοῦ σαυτὸν ὕπερθε λέχους, / εἰ μή σοι χαρίεσσα παρακλίνοιτο Γέμελλα, / γνώσῃ κοιμηθεὶς οὐχ ὕπνον, ἀλλὰ κόπον.) nonché da Orazio, che si rifà anche all'epigramma AP V 150 di Asclepiade (Sat. I 5, 82-83 hic ego mendacem stultissimus usque puellam / ad mediam noctem expecto), da Ovidio (Her. XV 155-56 Sappho desertos cantat amores /hactenus ut media cetera nocte silent) e da Agazia Scolastico (AP V 237 πᾶσαν ἐγὼ τὴν νύκτα κινύρομαι).

440 In merito al motivo del lamento della donna abbandonata rimando a Esposito 2005, 59-70. 441 Cfr. Giangrande 1991, 79-81.

particolare tra i poeti alessandrini442. L'effetto comico nasce dal contrasto tra l'apparente preoccupazione di Gillide per lo stato d'animo della giovane e i suoi reali interessi di natura prettamente economica, tra il marcato patetismo delle sue parole, improntate ai sentimenti delicati e autentici della poesia d'amore, e l'indole abietta di colei che le pronuncia: come si intuisce dal suo rimarcare il fatto che Metriche abbia «un unico

letto», ciò che sta realmente a cuore a Gillide sono i profitti economici e quindi si

premura che la sua protetta non rimanga 'vedova' e con il letto vuoto di amanti, come anche la lena della Cistellaria (Plaut. Cist. 44 numquam ego hanc viduam cubare sivi). Inoltre ‒ lo ha sottolineato Elena Esposito ‒ le parole di Gillide mostrano una notevole affinità con quelle che Teti rivolge al figlio Achille in Il. XXIV 128-132443:

τέκνον ἐμὸν τέο μέχρις ὀδυρόμενος καὶ ἀχεύων σὴν ἔδεαι κραδίην μεμνημένος οὔτέ τι σίτου οὔτ’ εὐνῆς; ἀγαθὸν δὲ γυναικί περ ἐν φιλότητι μίσγεσθ’· οὐ γάρ μοι δηρὸν βέῃ, ἀλλά τοι ἤδη ἄγχι παρέστηκεν θάνατος καὶ μοῖρα κραταιή. 130

Anche Gillide, dopo aver aver sottilineato l'imminenza della vecchiaia (secondo alcuni anche della morte: cfr. vv. 15-16 τὸ γὰρ γῆρας / ἡμέ⸥α̣ς καθέλκει χἠ σκιὴ παρέστηκεν) e l'opposizione giovinezza-vecchiaia (vv. 19-20), esorta Metriche a non sprecare il resto della sua breve gioventù vivendo come una vedova, soffrendo invano e trascurando i piaceri del letto (vv. 21-22444) e a offrirsi invece alla dea Afrodite prima che la vecchiaia le punti improvvisamente gli occhi addosso (vv. 59-63); a sostegno della validità dei suoi consigli, insiste sulla precarietà dell'esistenza umana e sulla conseguente necessità di godere delle gioie della vita appena si presentano, in primis l'amore (vv. 38-46). La studiosa ritiene che l'allusione erodea a questi versi iliadici, messi fortemente in discussione dai critici antichi e addirittura espunti da Aristonico in quanto non

442 Cfr. Hipp. Morb. Sacr. 18; Aristoph. Pax 989; AP XII 88 (δισσοί με τρύχουσι... ἔρωτες); AP XII 143,

3 (ἀλλά μ' Ἀπολλοφάνους τρύχει πόθος). Cfr. anche Mastromarco 1991, 181.

443 Cfr. Esposito 2001, 152-153. Trad.: «Figlio mio, fino a quando piangendo e affliggendoti / ti

consumerai nel cuore non pensando né al cibo / né ai piaceri del letto? È cosa buona unirsi a una donna / in amore; infatti non mi vivrai a lungo, ma a te già / è vicina la morte e il destino inesorabile».

444 Esposito 2001, 153 accosta i vv. 21-22, sia per il senso sia per l'allitterante struttura fonica, ai versi del

libro XVI dell'Odissea, in cui Telemaco chiede al porcaro Eumeo se la madre si affligga ancora in solitudine o se abbia sposato un altro uomo, lasciando abbandonato il letto di Odisseo (vv. 33-35 ἤ μοι ἔτ' ἐν μεγάροις μήτηρ μένει, ἦέ τις ἤδη / ἀνδρῶν ἄλλος ἔγημεν, Ὀδυσσῆος δέ που εὐνὴ / χήτει ἐνευναίων κάκ' ἀράχνια κεῖται ἔχουσα); Eumeo lo rassicura dicendogli che Penelope resiste con animo fermo, trascorrendo giorni e notti nel dolore e nel pianto (vv. 37-39 καὶ λίην κείνη γε μένει τετληότι θυμῷ / σοῖσιν ἐνὶ μεγάροισιν· ὀϊζυραὶ δέ οἱ αἰεὶ / φθίνουσιν νύκτες τε καὶ ἤματα δάκρυ χεούσῃ).

confacenti ai criteri dell' εὐπρέπεια, non miri solo a sfruttare uno spunto comico tramite lo scarto tra un contesto elevato e uno umile, ma costituisca «una presa di posizione, da parte del poeta-filologo, in sostegno del testo omerico: una difesa che sembrerebbe avvenire con modalità tipicamente alessandrine, attraverso cioè l'uso dell'opera letteraria stessa quale veicolo alternativo di quello che avrebbe fornito la filologia»445.

La strategia adottata dalla mezzana nella prima parte del suo discorso si basa sul far ingelosire Metriche, portandola a uno stato d'animo più favorevole per convincerla ad accettare le offerte amorose di Grillo, esposte nella seconda parte del discorso.

Per ottenere ciò, deve convincerla del fatto che Mandris, partito per l'Egitto da dieci mesi senza mandarle neanche una lettera (vv. 23-24), si sia facilmente dimenticato di lei tradendola con un nuovo amore sbocciato in terra straniera (v. 25); questo è infatti il significato dell'espressione metaforica πίνειν ἐκ καινῆς, che presuppone l'ellissi del sostantivo κύλιξ, «coppa»446 (come pare suggerire la nota a margine κύλικος eseguita in P da una mano coeva), oppure κρήνη, «fonte», sfruttando la valenza erotica di una metafora che ha un'illustre tradizione letteraria alle spalle, a partire da Teognide447. Per rendere credibile l'eventualità di un tradimento di Mandris, Gillide deve persuadere Metriche del fatto che in Egitto esista qualsiasi cosa desiderabile e che, di conseguenza, nella terra dei Tolomei sia di casa la dea dell'amore, Afrodite (vv. 26-27). A sostegno di ciò, la mezzana fa seguire un'enumerazione delle meraviglie d'Egitto che le vengono in mente, ripetendo nomi verosimilmente sulla bocca di tutti ed elencandoli in maniera disordinata, come se volesse farli apparire più numerosi di quanto realmente fossero: ricchezza, palestre, potere, tranquillità, gloria, spettacoli, filosofi448, oro, giovanotti, il tempio degli dei fratelli, il re buono449, il Museo, vino450 (vv. 28-31).

445 Esposito 2001, 153-154.

446 Il termine κύλιξ è sottinteso anche in Aristoph. Acharn. 985, Eq. 107, 121-122, Alex. fr. 116, 1 K.-A. e

Diph. fr. 17, 8 K.-A. Per l'accostamento tra coppa e amore vedi Plaut. Truc. 43 (si semel amoris poculum accepit meri), Plut. De garr. 505 E e Groeneboom 1922, 44-45, il quale sottolinea che per i greci il termine χείλη designava sia le labbra della donna sia gli orli della coppa.

447 Cfr. Theogn. 958-961: Ἔστε μὲν αὐτὸς ἔπινον ἀπὸ κρήνης μελανύδρου, / ἡδύ τί μοι ἐδόκει καὶ καλὸν

ἦμεν ὕδωρ. / νῦν δ’ ἤδη τεθόλωται, ὕδωρ δ’ ἀναμίσγεται οὔδει· / ἄλλης δὴ κρήνης πίομαι ἢ ποταμοῦ («Finché io bevevo alla fonte scura, / dolce mi pareva e bella l'acqua. / Ma ora si è fatta torbida, l'acqua si mescola al fango. / Berrò ad un'altra fonte o a un altro fiume»).

448 La maggior parte dei critici intende il termine φιλόσοφοι nel senso moderno di «filosofi», adducendo

l'esempio di Stratone di Lampsaco, l'allievo di Teofrasto a cui Tolemeo I Sotèr affidò l'istruzione del figlio, oppure quello dell'allievo di Aristotele, Demetrio Falereo, che ad Alessandria godette di grandissima considerazione (cfr. Cunningham 1971, 66; Di Gregorio 1997, 68; Zanker 2009, 26; Barbieri 2016, 175). Tuttavia, Luzzatto 2008, 150 fa notare che all'epoca le scuole di filosofia più famose avevano sede ad Atene e il loro inserimento in un elenco dei pregi di Alessandria risulterebbe fuori luogo; anche per questo ritiene che i φιλόσοφοι nominati da Gillide siano da identificare con i

La confusione e la ripetizione degli elementi di questo elenco, l'irrilevanza di alcuni di essi ai fini dello scopo perseguito da Gillide e la presenza di termini non adeguati al linguaggio di una mezzana ignorante hanno portato P. Maas e, sulla sua scia, A. Vogliano e B. Marzullo a considerare i vv. 28, 30 e 31 il rifacimento di un inetto interpolatore451. Non è tuttavia possibile accettare la loro proposta di espunzione: questi versi sono indispensabili per conferire efficacia all'argomentazione di Gillide, l'enumerazione disordinata (in cui sono peraltro ravvisabili dei richiami a distanza tra un verso e l'altro) dà al discorso un'impressione di vivace e popolaresco realismo, mentre i riferimenti ai filosofi e al Museo sono in linea con la tendenza di Eroda ad attribuire ai suoi personaggi una cultura e un'elevatezza di eloquio in stridente (e umoristico) contrasto con la loro umile condizione sociale452. Per questo non stupisce il fatto che le parole con le quali la mezzana tesse le lodi dell'Egitto, e in particolare di Alessandria, rimandino a un motivo poetico ‒ l'encomio di una regione o di una città ‒ che vanta una tradizione letteraria risalente a Pindaro e ai tragediografi, in poesia, e a Isocrate per quanto riguarda la prosa, e che fu poi teorizzata in età ellenistica453.

membri del Museo citato al v. 31, poiché «la notorietà dell'istituzione, come del titolo conferito ai suoi membri, avrà reso l'accostamento di immediata evidenza». Ritengo preferibile questa seconda interpretazione per i sopracitati motivi e perché così vengono messi in risalto i richiami a distanza tra un verso e l'altro (πλοῦτος... χρυσίον, παλαίστρη... νεηνίσκοι, φιλόσοφοι... Μουσῆιον); non perché «un'allusione a Demetrio Falereo o Stratone di Lampsaco sarebbe troppo dotta per il personaggio che parla»: abbiamo appurato che il discorso della mezzana non si attiene a criteri di verosimiglianza, ma è improntato a dotte riprese letterarie e a topoi eruditi volutamente in contrasto con la presumibile cultura di una mezzana. Già Marzullo 1953, 64 aveva collegato i filosofi con il Museo, ma non è accettabile la sua proposta di correggere il termine φιλόσοφοι (a suo parere una correzione dell'interpolatore da lui presupposto) in φιλόλογοι; si ricordi che il termine φιλόλογος è stato usato per la prima volta da Eratostene nella seconda metà del III sec. a.C., in un'epoca posteriore alla composizione dei Mimiambi.

449 A proposito delle questioni di ordine cronologico derivanti dalla menzione del θεῶν ἀδελφῶν τέμενος

e del βασιλεὺς χρηστός (v. 30) rimando a p. 135 del presente elaborato. È verosimile che, attraverso l'encomio dell'Egitto e in particolare della capitale tolemaica, Eroda intendesse fare cosa gradita al sovrano (probabilmente si tratta di Tolemeo II Filadelfo, però non ci sono prove stringenti che portino ad escludere con sicurezza l'eventualità di un riferimento all'Evergete), ma non l'ha inserito unicamente allo scopo di adulazione, bensì in funzione del discorso tentatore della mezzana: «Gillide non esce dal proprio ruolo per lasciare la parola a Eronda che celebra il βασιλεὺς χρηστός» (Di Gregorio 1997, 71). Zanker 2009, 37-38 ha accostato, pur sottolineandone le differenze, la lode dell'Egitto del Mim. I con i vv. 58-68 dell'Id. XIV di Teocrito, in cui Tionico consiglia all'amico Eschine, attanagliato dalle pene d'amore, di partire per l'Egitto e arruolarsi nell'esercito di Tolemeo II Filadelfo, del quale fa un elogio.

450 Cfr. Massa Positano 1970, 61: «A prima vista sembra proprio che οἶνος si debba correggere in αἶνος, e

la tentazione, dato il contesto, si presenta suggestiva, anche per il richiamo a δόξα del v. 28. Ma senz'altro Eroda gioca proprio, per questo effetto comico, sulla somiglianza formale dei due termini: αἶνος si muta irresistibilmente in οἶνος sulle labbra della mezzana beona».

451 Cfr. Vogliano 1925, 407-408 (che riporta il pensiero di Paul Maas) e Marzullo 1953, 52-67. 452 Si deve a Cunningham 1965, 7-9 la convincente confutazione dell'ipotesi di interpolazione.

453 Cfr. Pind. Nem. III (lode di Siracusa), Nem. X (lode di Argo), Isocr. Paneg. 23-28 (elogio di Atene).

Rudolf Kassel ha per primo istituito un confronto tra questi versi e un anonimo elogio della città di Alessandria in sotadei, contenuto nel P. Gron. inv. 66 (II sec. d.C.)454. Tra i due testi è possibile notare alcune concordanze contenutistiche e formali: l'Encomium

Alexandreae presenta la città come capitale del mondo, fondata dal «giovane macedone» per eternarne la gloria (v. 3), così anche Gillide sottolinea la centralità dell'Egitto e di Alessandria nel mondo allora conosciuto (vv. 26-27) e l'importanza dell'operato dei sovrani tolemaici (v. 30); in entrambi i testi si mette in risalto l'opulenza della regione (Enc. Alex. 2 ⁓ Mim. I 28-29), il terreno e i beni che esso fornisce (Enc. Alex. 7-10 ⁓

Mim. I 31), il rilievo dato alla cultura e agli intellettuali nella città (Enc. Alex. 11 ⁓ Mim.

I 29, 31) e la gran quantità della popolazione (Enc. Alex. 14 ⁓ Mim. I 29, 32-35).

L'elenco delle meraviglie è maliziosamente concluso dalla mezzana con la menzione, impreziosita da due paragoni ricercati, delle numerose e avvenenti donne egizie.

Ai vv. 32-33 Eroda ha ripreso il proverbiale riferimento alle stelle del cielo per rendere l'idea della molteplicità, innovandolo attraverso il paragone con le belle donne, che diventerà un luogo comune della poesia erotica successiva455. La bellezza delle fanciulle egizie è resa tramite il paragone con le tre dee che si sottoposero al giudizio di Paride (vv. 34-35), episodio ampiamente citato da Euripide, ma che divenne un vero e proprio

topos nella poesia erotica alessandria, dove ricorre talvolta variato in modo originale456. Elena Esposito ritiene che anche nel passo in questione si possa intravedere «un modo di operare in cui filologia e poesia sono strettamente interdipendenti»457. Infatti l'unico passo dell'Iliade in cui si accenna al giudizio di Paride (Il. XXIV 25-30458) era stato

454 Cfr. Kassel 1981, 26. Il papiro è stato pubblicato e commentato da Hendrix-Parsons-Worp 1981,71-83. 455 Si veda Ovid. Ars A. I 55-59: Tot tibi tamque dabit formosas Roma puellas, / ‘Haec habet’ ut dicas

‘quicquid in orbe fuit.’ [...] / quot caelum stellas, tot habet tua Roma puellas (trad.: «Roma ti offrirà tante e così belle ragazze che dirai 'tutto ciò che è al mondo lo ha questa città' [...] la tua Roma ha tante ragazze quante le stelle in cielo»). Per il paragone con le stelle del cielo per indicare la moltitudine cfr. Call. Hymn. Del. 175; Theocr. XXX 27; Catull. VII 7, LXI 202. Il generico paragone tra donne e stelle risale a Sapph. fr. 96, 6-9 V.: νῦν δὲ Λύδαισιν ἐμπρέπεται γυναί- / κεσσιν ὤς ποτ' ἀελίω / δύντος ἀ βροδοδάκτυλος <σελάννα> / πάντα περ<ρ>έχοίς' ἄστρα («ora ella spicca tra le donne Lidie come talvolta, quando il sole è tramontato, la luna dalle dita di rosa, che supera tutti gli astri»).

456 Cfr. Eur. Androm. 284-292; I. A. 1284-1305; Hel. 22-30; Tro. 919-934, 969-982 (sull'argomento vedi

Stinton 1965). Per la ripresa del motivo della κρίσις τῶν θεῶν nella poesia ellenistica e in quella successiva cfr. AP V 35, 36, 69, 222, 234, 272; AP XVI 72, 82; Catull. LXI 17; Ovid. Heroid. XVI 137.

457 Esposito 2001, 154-155.

458 Il. XXIV 25-30 ἔνθ’ ἄλλοις μὲν πᾶσιν ἑήνδανεν, οὐδέ ποθ’ Ἥρῃ / οὐδὲ Ποσειδάων’ οὐδὲ γλαυκώπιδι

κούρῃ, / ἀλλ’ ἔχον ὥς σφιν πρῶτον ἀπήχθετο Ἴλιος ἱρὴ / καὶ Πρίαμος καὶ λαὸς Ἀλεξάνδρου ἕνεκ’ ἄτης, / ὃς νείκεσσε θεὰς ὅτε οἱ μέσσαυλον ἵκοντο, / τὴν δ’ ᾔνησ’ ἥ οἱ πόρε μαχλοσύνην ἀλεγεινήν. Trad.:«A tutti gli altri piaceva questo, ma non certo a Era, / a Poseidone e alla vergine dagli occhi azzurri; / ma, come prima, era odiata da loro Ilio sacra / e Priamo e il suo popolo, per colpa di Paride, / che aveva offeso le dee quando nella capanna gli vennero, / e lui lodò quella che gli offrì la funesta lussuria». Cfr. anche schol. ad Il. XXIV 25-30.

sottoposto ad atetesi da Aristonico per una serie di motivi, tra i quali l'uso del verbo νεικεῖν (v. 29 «insultare») in luogo di κρίνειν («giudicare») e il termine μαχλοσύνη (v. 30 «lussuria») per indicare il dono di Afrodite a Paride, al posto dell'amore di Elena. «Colpisce indubbiamente» ‒ osserva la studiosa ‒ «che il poeta, riecheggiando questo preciso luogo, intervenga proprio in quei punti che dovevano imbarazzare gli interpreti; così al posto di νεικεῖν egli usa κρίνειν, e in luogo di μαχλοσύνη, καλλονή, elementi, questi, che se ‒ per ovvie ragioni cronologiche ‒ non si possono certo ricondurre all'atetesi di Aristonico, risponderanno nondimeno ad antiche perplessità, denunciando nel poeta un'attenzione propriamente filologica alla parola» (Esposito 2001, 155). Da ciò è possibile dedurre che anche i riferimenti in apparenza più generici e comuni nascondono un'allusività mai banale, con cui Eroda modella un personaggio, quello della mezzana, che appartiene sì alla tradizione mimico-comica, ma è qui dotato di una cultura letteraria di tutto rispetto, riflessa nel suo dotto eloquio, che la riscatta dalla monotonia del tipo e la rende unica nel suo genere, un vero e proprio individuo.

La sezione seguente del discorso di Gillide (vv. 36-46) è caratterizzata da periodi più brevi e dominati dalla paratassi; infatti è incentrata su temi riconducibili a una saggezza di stampo popolaresco, fatta di vecchie e trite sentenze dal sapore proverbiale sulla brevità della giovinezza (vv. 38b-39), il destino di tenebra che attende l'uomo dopo la morte (vv. 42b-43) e l'instabilità della vita umana (vv. 45-46). Come sappiamo, però, Eroda ama filtrare anche le tematiche più popolari attraverso la lente colorata della letteratura e pertanto non ritengo azzardato ipotizzare, sulla scorta di Maria Grazia Bonanno, che l'archetipo letterario del frequentatissimo motivo dello sfiorire repentino della giovinezza femminile e dell'inesorabile arrivo della vecchiaia, possa essere il secondo epodo di Colonia di Archiloco (fr. 188 West; P. Köln 58, 36-40)459:

οὐκέ⸥θ' ὁμῶς θάλλεις ἁπαλὸν χρόα· κάρφετα⸤ι γὰρ ἤδη ὄγμοι⸥ς, κακοῦ δὲ γήραος καθαιρεῖ

...] ἀ̣φ' ἱμερτοῦ δὲ θο̣ρὼν γλυκὺ̣ς ἵμερος π̣[ροσώπου ...]κ̣εν· ἦ γὰρ πολλὰ δή σ' ἐ̣πῆιξ̣εν

πνεύμ]α̣τα χειμερίων ἀνέμων, μ̣ά̣λ̣α̣ π̣ο̣λλάκις δ'̣ ε[ 460

459 Cfr. Bonanno 1990, 85-103. Al termine del suo discorso Gillide ribadisce nuovamente l'avvertimento

in merito all'avvicinarsi della vecchiaia: vv. 62-63 «offriti a lei [scil. ad Afrodite], che la vecchiaia non ti punti gli occhi addosso senza che tu te ne accorga».

460 Trad.: «Tuttavia tu non sei più in fiore nel tenero corpo: infatti già avvizzisce / di rughe, e di orrenda

vecchiezza la distrugge... / ... il dolce desiderio fuggendo dall'amabile volto / ... infatti davvero iniziano ad assalirti / molti soffi di venti invernali, e spesso soprattutto...».

Il collegamento con il componimento archilocheo sarebbe ulteriormente avvalorato se accettassimo la suggestiva ipotesi avanzata da Headlam e Knox e intendessimo ἄγριος χειμών (Mim. I 44) come metafora della vecchiaia: in tal caso l'immagine sarebbe simile a quella dei «molti soffi di venti invernali» di Archiloco461. Un parallelo che supporta tale accostamento è riscontrabile in un epigramma di Antifane, in cui si dice che «l'inverno di vecchiaia è gravoso» (AP X 100, 5 χειμὼν τοὐντεῦθεν γήρως βαρύς). Tuttavia non c'è ancora unanimità su questa interpretazione: A. Barigazzi vede in ἄγριος χειμών una perifrasi indicante la morte, mentre L. Massa Positano ritiene che per i Greci essa non possa che rappresentare quella forza che sconvolge ogni cosa, ossia l'amore462. L'immagine della vecchiaia che divora la bellezza giovanile assimilata alla cenere che soffoca il fuoco (v. 38) ricorre anche nell'Inno ad Apollo di Callimaco (v. 84) e, inoltre, l'espressione τέφρη κάψει ricalca, nel suono, κάππεσε τέφρη di Il. XXIII 251463.

L'insistenza sulla brevità della giovinezza e sull'incombere della vecchiaia è ovviamente finalizzata a convincere Metriche a cogliere l'occasione che le si offre assecondando le richieste erotiche di un nuovo spasimante (vv. 39-40), di cui a breve la mezzana le parlerà. In questo modo Gillide mostra di conoscere un motivo spesso impiegato dai poeti ellenistici come argumentum, in contesti erotici, per vincere la resistenza del/la