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1.3 Eroda mette in scena Eroda

1.3.1 Chi racconta il sogno?

Fino al 1922, data della pubblicazione da parte di Knox dell'edizione intitolata The

Mimes and Fragments con commentario di Headlam, gli studiosi erano convinti che il

protagonista del Sogno fosse una donna. Ciò si spiega col fatto che all'epoca era possibile leggere in buono stato soltanto i primi tre versi del mimo: sono occorsi ben trent'anni di lavoro filologico, dal primo Addendum del Kenyon all'edizione Headlam- Knox, per recuperare buona parte del componimento. Pertanto si immaginava che le colorite parole di rimprovero e le minacce rivolte alle serve, lente nel dare inizio ai lavori domestici quotidiani, fossero pronunciate da una delle solite eroine di Eroda71. La prima voce fuori dal coro è stata, nel 1906, quella di Achille Vogliano, che nella sua tesi di laurea pubblicata col titolo Ricerche sopra l'ottavo Mimiambo di Heroda ha

71 Cfr. ad esempio Crusius 1892, 151ss., Bücheler 1892, 59, Setti 1893, LI-LII. Veneroni 1971, 224 n. 2

fa notare la notevole frequenza nei mimi del motivo dei rimproveri ai servi e alle serve recalcitranti (in Eroda, ad esempio, possiamo trovare scene simili anche in Mim. IV 41-51, Mim. V 10-11, 23-24, 47-51, Mim. VI 1-11, Mim. VII 4-13, Mim. IX 1-10; cfr. anche Theocr. Id. II 18-20 e XV 26-33) e spiega che questo tipo di scene «sono all'inizio pennellate di colore intese ad accentuare il carattere veristico, poi finiscono per diventare luoghi comuni, e, come tali, si trovano anche nella commedia nuova greca e nella commedia latina, dove alle ancelle si affiancano le figure di primo piano dei servi».

avuto un'intuizione che ha poi trovato largo seguito nella critica: il protagonista del componimento è un uomo, è il poeta stesso che, sotto le spoglie di un fattore, intavola una polemica letteraria e parla di sé e della propria opera, preannunciando la propria gloria futura, inizialmente in forma allegorica e poi in maniera esplicita.

In quegli anni Crusius giunge indipendentemente alla stessa conclusione72, ritenendo che le parole del protagonista siano sconvenienti per una donna. Sebbene i personaggi femminili dei mimi di Eroda non risparmino ai loro schiavi ramanzine e punizioni, ‒ sostiene Crusius73 ‒ tendono ad evitare insulti inutili e gratuiti (Mim. VIII 4 τὸν κυσὸν εἰσδύς) e, soprattutto, non si arrogano prerogative prettamente maschili (Mim. VIII 8 τὸ βρέγμα τῷ σκίπωνι μαλθακὸν θῶμαι), commissionando l'esercizio delle punizioni corporali a un altro schiavo o a un ufficiale giudiziario, come ad esempio fa Bitinna nei confronti dell'infedele schiavo Gastrone nel Mim. V74. Lo studioso, pertanto, ritiene che a parlare sia un personaggio di sesso maschile e sostituisce il participio femminile παραστᾶ[σα proposto da Kenyon al v. 8 con il maschile παραστά[ς, che può verosimilmente essere seguito dal σοι congetturato da Sitzler75. Inoltre, per la prima volta considera i vv. 76-79, in cui il poeta parla della sua gloria futura, la chiusa del mimo, mentre in precedenza tutti li ritenevano un proemio ad un secondo libro76. Ad ostacolare la nuova tesi di Vogliano e di Crusius sono principalmente i vv. 46-47, in cui chi racconta il sogno sembra parlare di sé al femminile:

κἠλά<λ>αξαν ὥνθρω[ποι

ὥς μ’ εἶδ[ον ...]ως τὴν δο[ρὴ]ν πιεζεῦσαν

72 Vogliano 1925, 396 specifica che Crusius e lui avevano capito indipendentemente l'uno dall'altro che

sotto le spoglie del fattore si celasse Eroda stesso che parlava in difesa della propria poetica. Infatti la quarta edizione dei Mimiambi di Crusius è uscita nel 1905, giusto un anno prima delle Ricerche di Vogliano, il quale aveva dovuto attendere la propria promozione a dottore per darla alle stampe. Quella pubblicata nel 1908 da Crusius è una ristampa dell'edizione del 1905 con l'aggiunta di alcune correzioni.

73 Crusius 1924, 378. Veneroni 1971, 224 n. 2 nota che il Meister non era d'accordo con le motivazioni di

Crusius, affermando che anche le altre donne di Eroda non si fanno molti scrupoli in fatto di linguaggio (cfr. Mim. IV 41-51 e Mim. VI 1-11).

74 Cfr. Mim. V 10-11, 18, 25, 32-34, 41-42, 47-49. Cfr. anche Mim. III 4-5, 94-95.

75 Cfr. Sitzler 1896. A sostegno dell'introduzione, dopo παραστά[ς, del monosillabo enclitico σοι, Crusius

1924, 378-379 osserva che nei Mimiambi non mancano trimetri terminanti con un monosillabo: Mim. I 6 παρεῦσαν με, 48 ἄκουσον δή, 54 ἐκ τῆς γῆς, 87 πέπωκέν κω; Mim. II 3 τὴν νηῦν, 58 ἢν σοι, 65 καὶ σύ; Mim. III 59 κοῦ μοι, 88 δὺς ᾖ; Mim. V 7 βούλει μοι, 66 δεῖ σε, 69 οὕτω σε; Mim. VI 22 ἤν σοι, 93 εἰπεῖν μοι; Mim. VII 1 εἴ τι, 35 πρός με, 80 πρός σε, 113 θῶ μιν. Di parere contrario Terzaghi 1925, 36, il quale ritiene il monosillabo finale in questione una zeppa.

76 Crusius 1905, 76. Cfr. ad es. Knox 1925, 14, Knox 1926, 248 e Vogliano 1927, 75. Dawson 1950, 144

critica l'ipotesi avanzata da Knox, che vede nel Mim. VIII un prologo a un secondo libro di mimi pubblicato da Eroda, perché «the eight Mime would form a suitable epilogue to a Gedichtbuch, but there is any evidence that Herondas had a hand in the editing of his poems».

Per quanto riguarda il v. 47, dove a una prima lettura il participio femminile πιεζεῦσαν sembrerebbe logicamente riferito alla persona che supera la prova, Knox (seguito da Herzog) propone di considerare τὴν δο[ρὴ]ν come soggetto del participio e με come complemento oggetto («they saw the hide close evenly round me»). Pur trattandosi di un modo di esprimersi senza dubbio particolare, non è tuttavia impossibile; Cataudella propone infatti come parallelo i vv. 1-2 dello Ione di Euripide:

Ὁ χαλκέοισιν οὐρανὸν νώτοις Ἄτλας θεῶν παλαιὸν οἶκον ἐκτρίβων θεῶν

In questi versi iniziali Ermes, in riferimento ad Atlante, dice che il titano «logora con le

spalle bronzee il cielo» invece che «logora le spalle con il reggere il cielo»77.

Un'altra soluzione possibile consiste nel correggere, sulla scia di Knox78, il participio femminile πιεζεῦσαν nel maschile πιεζεῦντα; per spiegare un tale errore, Puccioni suggerisce la possibilità che il copista di P abbia concordato meccanicamente il participio con la parola precedente di genere femminile, δο[ρὴ]ν, trasformando πιεζεῦντα in πιεζεῦσαν. Cunningham ritiene che tale correzione, pur non essendo del tutto certa, sia comunque preferibile alla proposta di considerare τὴν δο[ρὴ]ν soggetto del participio e με complemento oggetto, poiché in questo secondo caso «the order is peculiar and the sense strained – it is much easier to imagine a person pressing the skin than the skin pressing the feet of the person standing on it»79.

Del resto perché, dal momento che sono certi i maschili ἰ[δ]ὼν (v. 65) e μοῦνος (v. 73), non potrebbe essere un errore proprio questo femminile che leggiamo solo al v. 47? Ma la questione non è ancora chiusa per tutti; in un articolo pubblicato nel 1925, ritrattando quanto affermato nella tesi di dottorato del 1906, Achille Vogliano critica l'interpretazione di Knox e Herzog, formulando una nuova ipotesi80: in una prima parte

77 Cfr. Cataudella 1948, 132-133. 78 Cfr. Knox 1925, 14.

79 Cunningham 1971, 200. Terzaghi 1925, 197 è fortemente contrario alla proposta di considerare τὴν

δο[ρὴ]ν come soggetto del participio femminile πιεζεῦσαν e με come complemento oggetto.

80 Cfr. Vogliano 1925, 398-406 e Vogliano 1927, 71-73. A questa tesi è giunto indipendentemente anche

Terzaghi 1925, 196-9. Vogliano 1925, 403 confessa addirittura di essere stato inizialmente accarezzato dall'idea che Eroda fosse, in realtà, una donna; una Herodiade avrebbe assicurato l'unità del sesso del personaggio e avrebbe spiegato «anche psicologicamente la predilezione del poeta per la dipintura di certe debolezze femminili, la sottile notazione della psiche femminile», per non parlare della menzione di Erinna e Nosside nel Mim. VI. Tuttavia lo studioso ammette di essersi dovuto arrendere, seppur a malincuore, di fronte alla realtà: «Heroda è proprio un maschio per quanto ami damascarsi da donna». La risposta di Herzog 1926, 43-44 a queste parole è sarcastica e sprezzante: «Also Herondas, der echte kynische Nachfahr eines Semonides und Hipponax, wenn nicht ein Weib, so doch ein Feminist! Höher

del componimento, ossia quella comprendente l'introduzione e la narrazione del sogno, a parlare è una donna; quindi, dopo i due versi di raccordo 65-66, chi prende la parola è un uomo, il poeta stesso che dà la propria spiegazione del sogno (vv. 67-75) e infine, con accenti personali, si arriva alla chiusa (vv. 76-79).

Per collegare tra loro queste due parti del mimo – impresa non certo facile – Vogliano ha ritenuto che l'ipotesi preferibile, anche se non del tutto soddisfacente, fosse quella proposta da Wilamowitz nel corso di una loro conversazione; questi gli avrebbe suggerito l'idea di un monologo di una donna nella prima parte, seguito da un intervento scenico del poeta nella seconda: «E se la donna che finora ha parlato si togliesse la

maschera e gli altri attributi femminili ed apparendo nelle originarie fattezze di uomo dicesse 'Miei signori e signore, chi vi ha parlato finora è stato Heroda sotto le spoglie di donna, ma ora parlo io proprio in prima persona'». L'attore, nel togliersi la

maschera, direbbe al v. 65: «ediohocessatodiaverequestafoggia di abbigliamento».

Tuttavia, un'azione scenica di questa portata ‒ oltretutto priva di paralleli nella letteratura greca ‒ deve necessariamente possedere una valida funzione nell'economia testuale del mimiambo, che invece risulta più scorrevole senza presupporre un cambiamento del protagonista. Inoltre, si oppone anche un argomento paleografico: l'integrazione ἔ̣[χ]ων proposta da Vogliano non è accettabile, perché la lettera iniziale è chiaramente iota; non si può prendere in considerazione neppure ἴ[σχ]ων, dal momento che nella lacuna non c'è spazio per due lettere e avremmo uno spondeo in seconda sede. Pur dovendo confrontarsi con tali difficoltà, Vogliano difende con tenacia la sua nuova posizione anche in uno scritto del 1927, dove osserva, oltre alle già citate ambiguità dei vv. 8 e 47, anche il fatto che al v. 27 ricorra in bocca a chi narra il sogno la particella esclamativa μᾶ, che nell'opera di Eroda troviamo solo quando parla una donna81.

Al fine di scardinare tutte le argomentazioni che porterebbero all'individuazione di un protagonista maschile nei vv. 1-64, egli arriva ad esaminare anche l'incerto v. 45, in cui

gehts nicht. Wer an eine solche Naturumkehrung (um kein Fremdwort zu gebrauchen) glauben kann, sollte sie anderen durch eine ernsthaft durchgeführte methodische Beweisführung glaubhaft zu machen versuchen. Ich schlage dafür eine vollständige Neuausgabe des Ἐνύπνιον mit psychoanalytischem Kommentar nach Freud'scher Methode vor. Aber ehe das geleistet ist, möchte ich bei der nüchternen philologischen Methode bleiben, mit der ich nun in der Rekonstruktion fortfahre».

81 Cfr. Vogliano 1927, 71-78. Lo ha notato per primo Meister 1983, 683-684. Il copista di P avrebbe

contraddistinto questo μᾶ lasciando davanti uno spazio bianco e accentandolo col circonflesso (come in Mim. IV 33, V 56, VI 4, 21, 47), tuttavia questi particolari potrebbero essere dovuti al caso; in merito cfr. Di Gregorio 1997, 87 e Schmidt 1968, 12-14. Alla proposta di Herzog di restituire in questo modo il v. 27 κα[τείρυσ]αν∙ μάλ' ε[ἰκό]τω[ς θεῶν ἦν τις Vogliano risponde che non è possibile spezzare in due con una cesura un'espressione che forma un tutto a sé come μάλ' εἰκότως.

Knox legge δ'[ε]ἷς μο̣ῦ̣[νο]ς e Herzog δὶς μο̣ῦ̣[νος]. Nonostante la lettura di Herzog sia, se non del tutto certa, quanto mai probabile, Vogliano vi legge Ρ al posto di Υ e supplisce i vv. 45-46a in questo modo: χἁγὼ δόκεον δισμυ̣ρ̣[̣ία] ἐκ τόσης λείης / ἐπ' οὖν ἁλέσθαι («e a me sembrava che moltissimi, tra tanta folla, saltassero»); egli elimina così un altro riferimento al genere maschile del personaggio che racconta il sogno. Nicola Terzaghi, che sempre nel 1925 ha formulato indipendentemente la stessa proposta di Vogliano, tenta invece di risolvere il passaggio tra le due parti del mimo con una sostituzione della narratrice del sogno, una fattoressa di campagna, con il poeta stesso, il quale direbbe ai versi 65-66: «se io avessi visto ciò, avrei detto (ἔλεξα): datemi il vestito, chè il sogno va spiegato così»82. In questo modo, data la forma ipotetica che Eroda ammette per sé, Terzaghi ritiene che la richiesta dell'abito posta dopo il rimprovero delle serve e il racconto del sogno non sia più contraddittoria e irrealistica. Tuttavia, come sottolinea Di Gregorio, una tale lettura è insostenibile sotto vari aspetti: le integrazioni non hanno ragione d'essere, il testo che ne risulta è metricamente impossibile, il tradito ἔληξα dovrebbe essere corretto in ἔλεξα (da λάσκω)83 e ‒ aggiungo io ‒ manca ancora una motivazione che giustifichi il cambio di personaggio. Tenendo conto dell'interpretazione fornita per i vv. 46-47, dei maschili ἰ[δ]ὼν (v. 65), μοῦνος (v. 73) e forse μο̣ῦ̣[νος] al v. 45, della difficoltà di spiegare un cambio di personaggio, e considerando che il verbo ἔληξα (v. 65) va messo in relazione con λήγω, possiamo concludere con sicurezza che a pronunciare il v. 65a è un uomo – lo stesso uomo dei versi precedenti! – il quale termina il racconto del sogno dicendo «e dopo

aver visto ciò smisi di sognare». Questa lettura, che vede come protagonista del mimo

un unico personaggio, un fattore dietro al quale si cela Eroda, è quella ormai prediletta dalla quasi totalità della critica e a cui va indubbiamente la nostra preferenza84.

82 Terzaghi 1925, 196-199.

83 Puccioni 1950, 177 ritiene ἔληξα (v. 65) l'aoristo di λάσκω (cfr. Mim. III 11 λήξειε) e avanza l'ipotesi

(difficilmente condivisibile) che il poeta, mentre sogna, urli impaurito pronunciando parole sconnesse («dammi il vestito, Anna!»), per poi risvegliarsi bruscamente.

84 L'unica voce discorde, in tempi relativamente recenti, è quella di Bruna Veneroni; la studiosa, pur

considerando inutili le discussioni sull'identità e sul sesso del personaggio protagonista della prima parte del componimento, ritiene più plausibile l'ipotesi di una sovrapposizione finale del poeta a un personaggio femminile che, per la maggior parte del componimento, gli farebbe da schermo (Veneroni 1971, 224-225). Nonostante non condivida l'opinione della studiosa, ritengo apprezzabile il fatto che abbia tentato di spiegare la dissonanza tra la prima e la seconda parte del mimiambo e di risolvere l'aporia che ne consegue: essa sarebbe giustificata ‒ a suo parere ‒ perché Eroda, in questo contesto, sta esplicitamente narrando un sogno allegorico, dotato di una forma che oscilla tra realtà e fantasia.