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7 1 Alcune riflessioni sul linguaggio filosofico

Da una breve ricognizione nei testi dedicati alla traduzione di filosofia da noi reperiti,309 emerge un quadro generale abbastanza chiaro: il problema su cui

maggiormente si focalizza l’attenzione degli studiosi è quello della terminologia. Essa in effetti, pur non costituendo l’unico criterio di definizione dell’espressione filosofica (come speriamo di aver dimostrato con la precedente analisi stilistica), riveste un ruolo fondamentale nella traduzione e nella comprensione dei testi filosofici. Emblematica in questo senso è la prefazione di Theodor Wiesengrund Adorno al suo Philophische Terminologie [Terminologia filosofica], celebre testo che racchiude il ciclo di lezioni da lui dedicate al tema, tenute all’Università di Francoforte tra il 1962 e il 1963:

Se ritengo legittimo dare un’introduzione alla filosofia nella forma di un’introduzione alla sua terminologia, è perché sono guidato da una convinzione che probabilmente non è affatto estranea a molti di voi, e che del resto viene espressa nei più diversi campi del pensiero filosofico contemporaneo. Alla filosofia il suo linguaggio è essenziale, i problemi filosofici sono in larga misura problemi del linguaggio […].310

Se è vero che «alla filosofia il suo linguaggio è essenziale» e che dietro agli enigmi del pensiero si celano gli enigmi della parola, sorge tuttavia spontanea la domanda su cosa ultimamente s’intenda per “linguaggio filosofico”, e se effettivamente si possa parlare di una terminologia filosofica ben circoscrivibile e identificabile; si ha spesso l’impressione, come afferma Natalija Avtonomova, che

309 Tra quelli non direttamente citati nella nostra analisi segnaliamo in particolare: AA. VV.,

Tradurre filosofia. Esperienze di traduzione di testi filosofici del Seicento e del Settecento, a cura di Pina Totaro, Olschki, Firenze 2011; AA. VV., Edizioni e traduzioni di testi filosofici. Esperienze di lavoro e riflessioni, a cura di M. Baldi, B. Faes de Mottoni, FrancoAngeli, Milano 2006; AVTONOMOVA N. S., O filosofskom perevode [La traduzione della filosofia], in «Voprosy filosofii» n. 2, 2006, pp. 89-101.

310 ADORNO W. T., Terminologia filosofica, a cura di Anna Solmi, Einaudi, Torino 2007, p. 3. Ed.

originale: Philophische Terminologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1973. Scrive a proposito Massimo Baldini: «I filosofi si sono da sempre interessati dei fenomeni linguistici. Un tale interesse lo troviamo nei sofisti, in Socrate, in Platone, in Aristotele, negli stoici, negli scettici, negli epicurei, in Agostino e, su su, per fare solo qualche esempio, sino a giungere a Locke, Condillac, Rousseau, Fichte. Inoltre la filosofia del novecento è stata caratterizzata addirittura da una vera e propria «svolta linguistica». Il linguaggio non è stato più per molti filosofi del ventesimo secolo un problema tra tanti, ma il problema per antonomasia». BALDINI M., Elogio del silenzio e della parola: i filosofi, i mistici e i poeti, Rubbettino, Catanzaro 2005, pp. 5-6.

quella di “linguaggio filosofico” non sia altro che una definizione di comodo atta a designare una varietà espressiva e terminologica difficilmente classificabile; la studiosa nota infatti che «sono molte le forme espressive che possono essere considerate “linguaggio filosofico”, da quella logicamente rigorosa a quella espressamente poetica; dipende da come intendiamo il concetto di filosofia».311

Ciò accade principalmente perché la filosofia, più che un genere tipologico ben definito con caratteristiche proprie, è l’espressione originale (almeno tentativamente) della visione del mondo di un pensatore, di un gruppo, di una cultura; essa “illumina” gli ambiti consueti del reale con una luce interpretativa, cercando di mettere in crisi le convenzioni consolidate o di riapprofondire le ragioni delle stesse, e questo ha una grande importanza per quanto concerne la terminologia, che assume valore non di per se stessa (come segnale tipologico specifico di genere), ma come oggetto duttile di una Weltanschauung, di un idioletto autoriale che conferisce ai termini significati originali e implicazioni nuove. A tali considerazioni si potrebbe obiettare che termini filosofici specifici esistono (noumeno, fenomeno, ontologia per citarne alcuni), e che essi costituiscono etichette perfettamente normalizzate da un punto di vista terminologico; 312 la presenza di questo linguaggio speciale313 e specifico inoltre,

come nel caso delle traduzioni scientifiche, avvantaggerebbe molto il traduttore di filosofia, permettendogli di emanciparsi parzialmente dall’onere dell’interpretazione, affidando al termine stesso la veicolazione meccanica del

311 AVTONOMOVA N. S., Zametki o filosofskom jazyke: tradicii, problemy, perspektivy [Notazioni sulla

lingua filosofica: tradizioni, problemi, prospettive], in «Voprosy filosofii» n. 11, 1999, pp. 13-28, p. 14.

312 Avtonomova riconosce ad esempio l’esistenza nella filosofia russa di un filone di termini

tecnico-professionali (professional’no-techničeskie), anche se a suo avviso nel pensiero russo ha sempre prevalso il linguaggio “comune” (obščeznačimyj). Cfr. Ivi, p. 15. La prevalenza di linguaggio comune su quello tecnico dipende con ogni probabilità dal fatto che in Russia la filosofia come disciplina è stata introdotta molto tardi (con la riforma scolastica degli zar Nicola I e Alessandro I) e ha faticato a lungo a trovare una propria identità in rapporto all’Occidente. Non è un caso che ancora agli inizi del ‘900 fosse molto viva la querelle sull’esistenza di una filosofia russa autonoma e originale. Cfr. DAHM H., L’ascesa di un valore universale, in Storia delle tradizioni filosofiche dell’Europa Orientale, pp. 36-38.

313Per linguaggio speciale s’intende «quell’insieme di mezzi linguistici (di tipo lessicale,

morfologico, fraseologico e sintattico) adottato in modo convenzionale e consensuale da un insieme di individui che operano in uno stesso ambito, per lo scambio e la divulgazione di informazioni ad esso relative. Esso risponde alle esigenze di comprensione ottimale a livello specialistico fornendo garanzie di precisione, univocità e concisione. Sono dunque linguaggi speciali i gerghi professionali, i linguaggi delle varie discipline accademiche, scientifiche e tecniche, e comunque i linguaggi di tutte le comunità che condividono un qualche sapere o una qualche attività specifica. Alcuni di questi sono molto strutturati e consolidati (i linguaggi delle scienze naturali), altri si trasformano rapidamente (i linguaggi delle varie tecnologie)». (RIEDIGER H., Cos’è la terminologia e come si fa un glossario, in http://www.term- minator.it/corso/doc/mod3_termino_glossa.pdf , consultato il 23/06/2012.)

significato. A quest’obiezione, parzialmente giustificata, risponde in modo estremamente chiaro Ree:

Si dirà che da un certo punto di vista i traduttori di filosofia hanno un compito più semplice degli altri, perché una parte consistente del vocabolario filosofico consiste di termini tecnici – “etica”, “morale” e “fenomenologia” per esempio, o “idealismo”, “materialismo” e “utilitarismo”, o “intensionalità”, “supervenienza” e “temporalità”. Sembrerebbe assodato che questi termini siano facilmente traducibili o trasponibili: “etica” è presumibilmente la stessa cosa che “éthique” o “Ethik”, e “temporalità” equivale a temporalité e Zeitlichkeit. Sono automaticamente intercambiabili, proprio come “idrogeno” e Wasserstoff, o “novantasei” e quatre-vingt-seize: differenti parole arbitrarie vengono utilizzate per esprimere esattamente la stessa cosa. In breve tempo tuttavia, traduttori e lettori realizzeranno che la terminologia artificiale non funziona sempre in filosofia nello stesso identico modo in cui funziona nelle scienze. […] Sarebbe sciocco dire che ciò che Platone chiama psyche sia la stessa entità che Cartesio chiama mens, che Locke preferiva descrivere come “the mind” ed Hegel denominava Geist.314

È necessario rendersi conto che nella trasposizione dei termini “tecnici” in campo filosofico può avvenire un mutamento di significato, e che anche nel caso della normalizzazione più precisa rimane quel residuo di ambiguità, in cui spesso si cela la chiave identificativa del senso pieno del termine. Per questo i glossari filosofici sono soltanto tentativi che richiedono aggiornamenti e revisioni continue e che possono proporsi soltanto come proposta descrittiva della situazione del pensiero e non come risultato definitivo o prescrittivo. In ciò sta forse la “tragedia della filosofia”, la quale, come scrive Adorno nel suo ciclo di lezioni, «accampa dei particolari diritti alla precisione dei concetti e quindi anche alla precisione dell’espressione linguistica dei concetti – e non può non farlo. D’altro lato, la filosofia delude continuamente proprio su questo punto; non si può presentare una semplice lista dei significati filosofici allo stesso modo in cui ciò è possibile per le scienze positive».315

Per essere correttamente compresa, la parola filosofica ha necessariamente bisogno del suo background; se «un termine scientifico come “ossigeno” non è proprietà di nessuno e la conoscenza di Lavoisier è irrilevante per il suo uso scientifico»,316 un termine filosofico, anche se “logoro”, è quasi

sempre la cifra identificativa del pensiero autoriale e non può prescindere dal contesto ampio della cultura: «non si possono dare spiegazioni isolate delle singole parole, le spiegazioni delle parole rappresentano solo un primo approccio, e sono rese possibili solo dall’esplicito riferimento al contesto in cui le parole sono

314 REE J., The Translation of Philosophy, in «New Literary History» n. 32, vol. 2, pp. 223-257, p. 229. 315 ADORNO T. W., Terminologia filosofica, p. 5.

situate».317

Più che come deposito di certezze il linguaggio filosofico si configura dunque come una creatura costantemente in divenire, squassata dai venti impetuosi di una dialettica costante e inesauribile:

I termini filosofici, più che indicare qualcosa di chiaro e di universalmente definibile, sono segni di questioni, nelle quali la filosofia s’imbatte sempre di nuovo e che quasi mai vengono archiviate una volta per sempre. Per dirla con una delle formulazioni lapidarie, di cui Adorno è maestro: «ogni termine filosofico è la cicatrice di un problema irrisolto».318

In questo senso, a nostro avviso, l’orizzonte metatestuale diventa una risorsa importante, di cui il traduttore deve sapersi servire nello stilare il suo testo senza ritenere, come fa ad esempio Eco, che le note a piè di pagina costituiscano una sconfitta;319

esse sono semplicemente un modo efficace per tentare di veicolare quel residuo che va perso nella trasposizione terminologica, e costituiscono un valido aiuto per il lettore, perlomeno nello stadio in cui una cultura poco conosciuta come quella filosofico-religiosa russa non è stata ancora “semiotizzata” dalla cultura di arrivo, ossia digerita e fatta propria.

Anche la terminologia di Filosofija neravenstva pone problemi su cui è necessario riflettere e che andremo ora ad analizzare: essa può essere: a) terminologia tecnica che presenta difficoltà traduttive perché espressione originale di concetti che non sono condivisi da tutte le culture (sobornost’); b) terminologia tecnica che non presenta difficolta traduttive ma che necessità comunque di un approfondimento metatestuale (vseedinstvo); c) terminologia comune che non presenta apparentemente difficoltà traduttiva, ma il cui senso è determ inato dalla Weltanschauung di appartenenza e che dunque la semplice trasposizione terminologica non è in grado di rendere (tvorčestvo, ličnost’, lik, ecc.).