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4 4 L’ira di Dio e il giudizio universale

L’altro elemento su cui conviene soffermarsi è quello messo in evidenza nel sottotitolo dell’opera: «Lettere ai miei nemici». Filosofia dell’ineguaglianza è un libro da battaglia,98 acuminato e tagliente, in cui il filosofo indossa elmo e armatura e si

lancia all’attacco contro la società contemporanea; e tale attacco, ancor prima che uno scontro politico, costituisce un atto di difesa della vera fede contro l’apostasia socialista e rivoluzionaria. Non a caso le prime frasi del libro sono dedicate ai suoi nemici in spirito, ai «nemici della mia fede, coloro che nel proprio spirito hanno rinunciato a Cristo, tradendoLo e insorgendo contro di Lui in nome di Dei e idoli terreni». (p. 5) La loro apostasia ha spinto il paese verso la rovina, ha attirato sulla Russia l’“ira di Dio”. Secondo Berdjaev, infatti, la rivoluzione altro non è che «una punizione per i peccati del passato», (p. 10) espressione che lascia trasparire un duplice livello di lettura, storico e metastorico. Da una parte, infatti, bolscevismo e rivoluzione non sono altro che l’inevitabile conseguenza degli errori storici del passato; dall’altra, dietro la maschera delle logiche sociopolitiche esteriori, esse

celano il loro autentico significato, quello di flagello biblico, castigo inviato dal cielo per richiamare gli uomini sulla via della salvezza, secondo una dinamica assolutamente comune alla morale biblico-cristiana: «Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti».99 Più volte nella

Bibbia Dio richiama per mezzo dei profeti Israele, “popolo dalla dura cervice”, che non volendo ascoltare si abbandona alla propria rovina;100 e più volte, sembra far

intendere Berdjaev, Dio ha avvertito la Russia, con una teoria di “profeti” inascoltati, primo fra tutti Dostoevskij.101 Del resto il filosofo, citando nelle prime

pagine dell’opera l’antologia Vechi (1909), sembra includere nel novero di tale teoria anche se stesso e gli intellettuali a lui affini:

Noi già da lungo tempo mettevamo all’erta, già da tempo facevamo intravedere a cosa avrebbero condotto le vie per cui s’incamminava la società intellettuale russa e in cui spingeva il popolo russo. Noi parlavamo di quella terribile responsabilità che gravava sui detentori del potere, sulle classi dominanti che non facevano quasi niente per scongiurare creativamente questa fatale caduta della Russia e del popolo russo nell’abisso. Che si ricordino pure, adesso, dell’antologia Vechi e che la giudichino pure in modo più obiettivo. (p. 8)

La rivoluzione è dunque punizione “pedagogicamente” legata alla responsabilità e alla libertà: tramite l’avvertimento il castigo può essere evitato. Quella di non ascoltare è una libera scelta dell’uomo che lo getta però in pasto alle oscure forze del male, perché il rifiuto di Cristo è inevitabilmente l’accettazione dell’Anticristo: «La perdita del centro spirituale della vita rende gli uomini schiavi, li rende preda del diavolo».102 La rivoluzione è satanica, in essa vi è «il segno della perdita della

grazia e della maledizione» (p. 11), e i rivoluzionari abbandonando Dio hanno perduto la propria libertà umana diventando oderžimye, posseduti. Non è un caso che in Gli spiriti della rivoluzione russa Berdjaev individui in Besy [I demòni] di Dostoevskij l’immagine archetipica dell’uomo rivoluzionario; l’uomo che ha abbandonato Dio diviene demone, termine che per il filosofo è tutt’altro che allegorico (egli arriverà addirittura a definire la rivoluzione besovstvo, sabba

99 Ap 3, 19.

100 Ne sono un esempio, tra i tanti, il libro di Geremia e quello di Ezechiele, o, a parte invertite, i

flagelli inviati agli egiziani a causa dell’hybris del Faraone nel libro dell’Esodo.

101 «[…] in Dostoevskij non si può non vedere il profeta della rivoluzione russa. La rivoluzione

russa è permeata dai principi intuiti e definiti con geniale acutezza da Dostoevskij». (BERDJAEV N. A., Gli spiriti della rivoluzione russa, a cura di M. Martini, Mondadori, Milano 2001, p. 30).

102 LOSSKIJ, N. O., Istorija russkoj filosofii [Storia della filosofia russa], Sovetskij pisatel’, Moskva

1991, p. 281. Losskij riporta tale citazione come se appartenesse a Filosofia dell’ineguaglianza. Essa, tuttavia, non compare in nessuna edizione da noi consultata, compresa quella originale; è probabile che Losskij stesso abbia coniato la citazione, operando una sorta di parafrasi di quello che è il pensiero di Berdjaev riguardo alla rivoluzione.

demoniaco).103

Ancora una volta dunque il divino metastorico diviene chiave di decifrazione dell’evento storico, lo spirituale diviene lente del materiale, il sociale diviene escatologico, e la storia diviene apocalisse. La medesima dinamica di Filosofia dell’ineguaglianza sarà poi riproposta in scala più ampia in Nuovo medioevo del 1924, in cui l’apostasia non sarà più un peccato peculiarmente russo ma europeo: nell’Umanesimo occidentale che ha rifiutato il Dio-uomo in favore dell’uomo-dio, Berdjaev vedrà la causa della crisi della modernità, «un’impresa che ha fallito»,104 e auspicherà l’avvento di un nuovo medioevo, una nuova era di

unità tra ragione e fede in cui l’uomo sia in diretto contatto con il divino.

Filosofia dell’ineguaglianza è, dunque, un giudizio universale ante litteram, una sorta di processo cui, seppur in maniera disorganica, vengono sottoposti tutti gli esponenti della società. Paradossalmente, secondo Berdjaev, i maggiori colpevoli dell’accaduto non sono i bolscevichi (essi hanno solo approfittato degli eventi), bensì gli esponenti del vecchio regime, che non hanno adempiuto il compito loro affidato:

La rivoluzione è sempre la testimonianza che i detentori del potere non hanno realizzato il proprio fine. E la condanna dei ceti sociali dominanti fino alla rivoluzione è il fatto che sono stati loro a condurci fino alla rivoluzione, sono stati loro a permettere il suo realizzarsi. (p. 11).

Anche l’intelligencija ha la sua parte di responsabilità. Essa è stata incapace di una mossa creativa nella società, non ha saputo risolvere il lacerante dualismo tra un razionalismo ateo e materialista e un pallido e sentimentale misticismo, non ha saputo pronunciare “una parola nuova” e così ha lasciato strada libera alle forze distruttive della rivoluzione. Da una parte, infatti, vi sono i socialisti, i radicali, gli illuministi, i progressisti, gli umanisti «la progenie di Belinskij, dei critici, dei populisti russi», (p. 31) alfieri del nichilismo e del materialismo, incapaci di percepire le vere profondità della storia, «indifferenti ai problemi creativi del loro tempo»;105 essi, come tanti Ivan Karamazov, hanno avvelenato la coscienza del

popolo, conducendolo in vie di menzogna.106 Dall’altra vi sono “i mistici”, i

103 Cfr. BERDJAEV N. A., Gli spiriti della rivoluzione russa, p. 63.

104 BERDJAEV N. A., Nuovo medioevo, a cura di M. Boffa, Fazi, Roma 2004, p. 7. 105 BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 158.

106 In Gli spiriti della rivoluzione russa, ai molti intellettuali scandalizzati dalle violenze dei

rivoluzionari bolscevichi, Berdjaev risponderà con le beffarde parole che Smerdjakov, ne I fratelli Karamazov, rivolge a Ivan, che lo incalzava accusandolo dell’omicidio del padre: «Lei stesso continuava a dire che tutto è permesso, e adesso perché è turbato?». (BERDJAEV N. A., Gli spiriti della rivoluzione russa, p. 45).

Merežkovskij, gli Ivanov e gli intellettuali della decadenza, esteti dell’anima arroccati nel loro “mondo incantato”, completamente estranei alla vita del popolo, della società, dello Stato; così, rammenterà in seguito Berdjaev, «nella “torre” si svolgevano le raffinate conversazioni della più ricca cultura d’élite, mentre in basso infuriava la rivoluzione».107

Il giudizio del filosofo verso gli intellettuali russi, verso la loro negligenza e cecità, è particolarmente duro, perché amara è la consapevolezza del fallimento culturale di cui essi si sono resi responsabili. Solo lo shock degli eventi ha potuto risvegliare l’intelligencija dal suo sopore: «Perché si apprendessero le verità fondamentali la Russia doveva essere condotta alla rovina estrema». (p. 31)