4 5 Porevoljucionnost’ e postfazione
5. I motivi di un rifiuto
Lo studioso serbo-francese Marko Markovic ritiene Filosofia dell’ineguaglianza una delle migliori opere politiche di tutto il ‘900: «nel 1923 […] non troviamo al mondo niente di paragonabile nella letteratura di tale genere e soprattutto tra gli autori cristiani».114 Egli ritiene addirittura che se tale opera fosse apparsa in inglese
o in francese «avrebbe messo sottosopra gli ambienti politici e intellettuali,
112 Cfr. VOLKOGONOVA O. D., Berdjaev, p. 256, che cita FRANK S. L., Biografija P. B. Struve
[Biografia di P. B. Struve], Izdanie Imeni Čechova, New York 1956, pp. 131-32.
113 BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 288.
rovesciato le concezioni tradizionali, mostrato ai cristiani una via intermedia tra l’integralismo e il progressismo»:
Traumatizzati dalla prima guerra mondiale, risvegliati ai problemi sociali dallo shock della rivoluzione russa, l’Europa e l’Occidente attendevano un libro simile a quello di Berdjaev. La Filosofia dell’ineguaglianza arrivava al momento opportuno, come predestinata a rivestire un ruolo spirituale di primo piano. Essa portava più di un programma: una nuova visione del mondo, una rivalorizzazione dei principi politici, un orientamento cristiano, una presa di coscienza della missione degli intellettuali. […] Ma niente di tutto ciò è avvenuto. Non tradotta in una lingua occidentale, la Filosofia
dell’ineguaglianza resterà senza eco.115
Nonostante Markovic esageri assimilando l’opera a una sorta di kerigma, non c’è dubbio che abbia ragione quando afferma che essa avrebbe meritato una miglior fortuna. Tuttavia, prima ancora dei suoi detrattori e dei suoi avversari ideologici, fu il filosofo stesso a prenderne le distanze, fatto che pesa come un macigno sulla ricezione della stessa da parte della critica. Nella sua autobiografia egli scrive:
Proprio all’inizio del 1918 scrissi Filosofia dell’ineguaglianza, un libro che non mi piace, che ritengo per molti aspetti ingiusto e che non riflette fedelmente il mio pensiero.116
Una presa di posizione così netta non sembra lasciare spazio a dubbi; tuttavia, essa deve essere assolutamente spiegata e giustificata, dato che non è scientificamente corretto valutare il valore intrinseco di un’opera basandosi esclusivamente sull’opinione soggettiva dell’autore, tanto più che Berdjaev, secondo una psicologia comune a molti pensatori e artisti, non guardò mai con particolare favore ai frutti del proprio ingegno. Come nota acutamente Fedotov, 117
il prenebreženie k soveršenstvu [disprezzo per ciò che è compiuto, finito] che caratterizzò tutto il pensiero del Nostro si manifestò prepotentemente anche nella ricezione dei suoi propri lavori, portandolo a esaltare l’atto creativo e a disprezzare il prodotto oggettivato della creazione:
Del resto io non faccio parte di quel tipo di autori che sono tutti contenti dei loro libri e li rileggono volentieri. Anzi i miei vecchi libri non li guardo proprio e non mi piace citarli. Mi è caro lo slancio creatore nel momento in cui è vissuto, ma non il prodotto esteriorizzato di questo slancio creatore. Ogni libro
115 Ibidem.
116 BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 248.
117 FEDOTOV G. P., Berdjaev myslitel’ [Berdjaev pensatore], in AA.VV., Nikolaj Berdjaev: pro et contra,
a cura di A. A. Ermičëv, Izdatel’stvo Russkogo Christianskogo Gumanitarnogo Instituta, Sankt- Peterburg 1994, pp. 437-446, p. 440.
vorrei sempre riscriverlo di nuovo.118
Premesso ciò, vi sono vari motivi per cui Berdjaev, a torto o a ragione, ritenne opportuno ripudiare la propria opera, il principale dei quali è senza ombra di dubbio la condizione di spirito da lui mutata nel corso degli anni, come lui stesso dichiara nella postfazione del 1923:
Il mio libro Filosofia dell’ineguaglianza è stato scritto nell’estate del 1918, in un clima di ardente opposizione spirituale al trionfo della rivoluzione comunista. È possibile che in questo libro si siano mostrati in modo esagerato quei sentimenti negativi di cui già adesso non sono più preda. A quell’epoca per me non era ancora avvenuta la catarsi spirituale, non avevo ancora vissuto l’esperienza della rivoluzione in tutta la sua profondità, non l’avevo ancora compresa fino in fondo dal punto di vista religioso. (p. 344) 119
Filosofia dell’ineguaglianza è, secondo il suo autore, un libro eccessivamente dominato da emozioni negative, affetto, paradossalmente, dallo stesso male che egli diagnostica ai rivoluzionari e ai controrivoluzionari, ossia la prevalenza di un atteggiamento reattivo e legato al passato, in luogo di una volontà propositiva e creatrice. Scrive Volkogonova nella sua Biografia intellettuale: «Berdjaev notò, in modo assolutamente esatto, che nella rivoluzione esiste una coscienza manichea che divide il mondo in due parti, nel “noi” e in “quelli che non sono noi”», per cui l’uomo sembra vivere sempre «come in trincea».120 Tale manicheismo diviene in
Filosofia dell’ineguaglianza un rischio reale, specialmente nei passi più emotivamente marcati in senso oppositivo. La postfazione del 1923 è frutto invece di uno stato d’animo e di un atteggiamento diversi, più spiritualmente maturi, più rasserenati e votati a quello spirito di trasfigurazione e di redenzione che il Nostro designa come destino della storia; l’opposizione “istintiva” e manichea lascia man mano spazio all’approfondimento post-rivoluzionario, alla rielaborazione “adulta” e creatrice del male ricevuto, rielaborazione in cui il filosofo sarà impegnato per molti anni, come testimoniano opere più tarde quali Le fonti e il significato del comunismo russo o L’idea russa.
Oltre a ciò, vi sono altri motivi plausibili che avrebbero potuto spingere il
118BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p.101. Tale fatto è confermato anche dalla moglie
Lidija: «Ho notato che Ni[kolaj] non si rallegra mai visibilmente dei suoi libri: “Mi sembra sempre che questo libro sia già invecchiato, e di esso cambierei già molte cose”, dice». (BERDJAEVA L. JU., Professija: žena filosofa, [Professione: moglie di un filosofo], Molodaja Gvardja, Moskva 2002, p. 49).
119 Riguardo alle due discordanti indicazioni cronologiche sulla composizione del testo presenti nei
brani citati (inizio del 1918 ed estate del 1918), si tende ad accordare fiducia alla seconda, essendo quella meno lontana nel tempo dai fatti trattati.
120 VOLKOGONOVA O. D., N. Berdjaev. Intellektual’naja biografija [N. Berdjaev. Biografia
filosofo ad allontanarsi dalla propria opera; uno di essi è il fenomeno comunemente denominato polevenie [spostamento a sinistra], che riguardò Berdjaev a partire dagli anni dell’esilio; l’antipatia per le inclinazioni restauratrici dell’emigrazione bianca, l’emergere dei totalitarismi di destra, il forte sentimento patriottico, uniti all’avversione di lunga data per lo spirito borghese e per il capitalismo occidentale, spinsero il filosofo a un ripensamento critico nei confronti di socialismo e comunismo che lo portò ad avere un giudizio più mite su tali fenomeni e ad ammetterne alcuni meriti parziali; 121 di conseguenza, afferma N. A.
Struve (da non confondersi con il già citato Pëtr), è comprensibile che con l’andare degli anni Berdjaev «si sia disamorato dei suoi taglienti articoli dei giorni rivoluzionari, così come si disamorò in seguito del suo lavoro più importante di quel periodo, Filosofia dell’ineguaglianza».122
È necessario tuttavia precisare che, come Filosofia dell’ineguaglianza non è un “libro di destra”, così le opere degli anni trenta-quaranta non possono essere considerate “libri di sinistra”: le categorie politiche comuni non sono sufficienti a descrivere la natura di un pensiero sempre e comunque escatologico, orientato al problema della realizzazione spirituale e personale dell’uomo e ai destini ultimi della storia. Se analizziamo l’evoluzione filosofica di Berdjaev nel corso degli anni, notiamo infatti una continuità che va oltre le oscillazioni politiche: inizialmente egli attacca l’autocrazia zarista come sistema alienante che imbriglia la creatività spirituale dell’uomo in un falso materialismo; in Filosofia dell’ineguaglianza il nemico principale diviene il comunismo bolscevico, a cui viene rimproverato sostanzialmente lo stesso “peccato” dell’autocrazia, quello di voler essere regno di Dio in terra; negli anni trenta sono i due grandi totalitarismi di destra ad essere bersaglio degli strali del filosofo, strali che, tra l’altro, egli rivolse costantemente anche contro il sistema economico capitalista. Ciò che Berdjaev confuta in ognuno di questi sistemi politici
121 Uno di questi, nota L. V. Poljakov, è quello di aver disciplinato e organizzato, seppur con metodi
demagogici e costrittivi, le forze del popolo che si sarebbero altrimenti disperse nel vortice della rivoluzione; o di aver mantenuto ben salda l’identità russa e l’unità di patria di fronte alla minaccia del “fagocitante” nazionalsocialismo tedesco. Di fatto, mentre in Filosofia dell’ineguaglianza bolscevismo e comunismo si legano all’idea caotica, in opere degli anni trenta come Le fonti e il significato del comunismo russo esse rientrano nella sfera dell’ordine (anche se violento). Cfr. POLJAKOV L. V., Otrečennaja kniga [Il libro ripudiato], introduzione a BERDJAEV N. A., Filosofija neravenstva, IMA Press, Moskva 1990, pp. 3-20. In Le fonti e il significato del comunismo russo Berdjaev scriverà: «Le masse popolari erano state disciplinate e organizzate nella bufera della rivoluzione russa grazie all’idea comunista, e incanalate attraverso la simbologia magnetica del comunismo. In ciò sta l’incontenstabile merito del comunismo di fronte allo Stato russo. La Russia era minacciata da un’anarchia illimitata e dalla disgregazione che questa avrebbe provocato; ma tale evento fu arrestato dalla dittatura comunista, che seppe trovare gli slogan cui il popolo acconsentì di sottomettersi». (BERDJAEV N. A., Le fonti e il significato del comunismo russo, traduzione di L. Dal Santo, La Casa di Matriona, Milano 1976, pp. 172-173).
ed economici è la pretesa comune di sostituire il regno di Dio con quello di Cesare, l’afflato “satanico e anticristico” che pervade i grandi poteri del mondo e, in ultima analisi, il loro tentativo di alienare l’uomo dalla propria autocoscienza teandrica, rendendolo vittima reificata della natura oggettivata. Soltanto in tale ottica è comprensibile il ritorno a quell’inclinazione socialista che aveva già caratterizzato parte della sua gioventù.123 E in tale ottica va letta anche una delle
sue formulazioni più mature, il socialismo personalista, che non rappresenta in nessun modo una concessione ideologica fatta ai rivoluzionari o un compromesso con le loro idee; esso altro non è che una «proiezione sociale del personalismo»,124
il richiamo a una società “discreta” che non soffochi la persona e che non interferisca nella libertà spirituale dell’uomo. Il socialismo berdjaeviano degli anni trenta è un socialismo cristiano, non intende in alcun modo sostituirsi al regno di Dio, è l’affermazione del primato della persona sulla società, e come tale si discosta radicalmente dal socialismo “religioso” (nel senso infra-storico in precedenza specificato) o “totalitario” attaccato in Filosofia dell’ineguaglianza, in cui la persona è sottomessa all’idea sociale. Già nel 1907, del resto, in La nuova coscienza religiosa e la realtà sociale, Berdjaev aveva messo in guardia dalla commistione tra religione del socialismo e verità del socialismo, ossia tra la degenerazione atea e materialista del socialismo fatta poi propria dal comunismo bolscevico e un ordine sociale che «consiste nell’organizzare, per quanto è possibile, i mezzi di esistenza dell’umanità riducendo al minimo la dipendenza dell’uomo e lasciandogli il massimo di libertà»;125
e, nella lettera Sul socialismo, aveva stigmatizzato la falsa escatologia dei rivoluzionari accusandoli di voler fondare una lže-sobornost’, una “pseudo-comunionalità”, una falsa fratellanza, basata non sull’unione libera delle persone come identità uniche e irriducibili, ma sull’aggregazione meccanica di “compagni” alienati nell’idolo sociale.126 Anche
l’idea di una società di eguali prevista dal socialismo personalista, che sembra contrapporsi radicalmente al personalismo gerarchico di Filosofia dell’ineguaglianza, non costituisce in realtà un tradimento della sua idea fondamentale: l’eguaglianza berdjaeviana è infatti un’eguaglianza di ineguali, è una convivenza armonica di diseguaglianze metafisiche, poiché la giustizia e l’equiparazione sociale non
123 «Ritornai alla verità del socialismo che professavo in giovane età, ma sul terreno delle idee e
delle convinzioni maturate nel corso di tutta la mia vita». (BERDJAEV N. A., Schiavitù e libertà dell’uomo, p. 87).
124 Ibidem.
125 Cfr. CLÉMENT O., La strada di una filosofia religiosa: Berdjaev, p. 17. 126 Cfr. BERDJAEV N. A., Filosofija neravenstva, pp. 214-249.
omologano l’aristocraticità spirituale e l’unicità della persona:
Le personalità qualitativamente differenti e diseguali non solo sono in un senso profondo uguali di fronte a Dio, ma sono uguali davanti alla società, alla quale non spetta il diritto di differenziare gli individui sulla base di privilegi, cioè sulla base della differenza della loro collocazione sociale. Il senso dell’equiparazione sociale nella direzione di una struttura della società priva di classi deve per l’appunto concludersi con la manifestazione della diseguaglianza
individuale degli uomini, una diseguaglianza qualitativa, non per posizione, ma per essenza. (corsivo nostro – G. F.)127
[…]
Quando la tirannia egualizzatrice offende la mia concezione della dignità personale, il mio amore per la libertà e la creatività, insorgo contro di essa e sono pronto a esprimere la mia ribellione nella forma più estrema. Ma pure quando i difensori della diseguaglianza sociale difendono senza vergogna i loro privilegi, quando il capitalismo opprime le masse lavoratrici trasformando l’uomo in oggetto, mi ribello.128
Tra l’“opera ripudiata” e i successivi lavori di Berdjaev non vi è dunque un distacco abissale, ma un’evoluzione e un ripensamento formale in cui persiste una continuità di fondo, un medesimo centro di equilibrio che rimane invariato a prescindere dalle mutazioni periferiche: «La verà unità del pensiero – scriverà per l’appunto Berdjaev – è unità esistenziale e non logica».129
Ciò ovviamente non è detto per contestare la validità dell’atto di ripudio autoriale, comunque soggettivo; intendiamo solo far forza sugli innegabili punti comuni del pensiero dell’autore, nel tentativo di sottrarre l’opera all’ingiustificato ostracismo critico di cui fino ad oggi è stata oggetto.
127 BERDJAEV N. A., Schiavitù e libertà dell’uomo, p. 71. 128 Ivi, p. 69.
129 «Ci sono filosofi che fin dall’inizio giungono al sistema a cui rimangono fedeli tutta la vita. […]
Io non sono mai stato un filosofo di tipo accademico, e non ho mai voluto che la filosofia fosse astratta e lontana dalla vita. […] Le contraddizioni che si possono trovare nel mio pensiero sono le contraddizioni della lotta spirituale, le contraddizioni dell’esistenza stessa, che non possono essere celate da un’apparente unità logica. La vera unità del pensiero, legata all’unità della personalità (o della persona – G. F.), è unità esistenziale e non logica». (Ivi, p. 65).