• Non ci sono risultati.

Breve introduzione sulla teoria della traduzione

CAPITOLO SECONDO Cultura, stile e traduzione

1. Breve introduzione sulla teoria della traduzione

Costatando l’incredibile varietà dei testi dedicati alla traduttologia, la diversità degli approcci esistenti, la monotona e quasi ipnotica cantilena di temi che si ripetono fin dai tempi di Cicerone,150

viene naturale domandarsi se una teoria della traduzione sia effettivamente utile o possibile, o se costituisca soltanto una cervellotica e cerebrale complicazione. Da un lato, è innegabile che alcune ricerche teoriche siano degenerate in un isolamento intellettuale che ha creato una scissione tra il “bruto praticismo” dell’artigianato traduttivo e il raffinato iperuranio di idee sostanzialmente inapplicabili e inapplicate. Dall’altro, però, un fiorire così impetuoso di tentativi è segno di un fatto molto semplice: di una teoria c’è effettivamente bisogno. Le difficoltà e gli errori del passato infatti, non devono indurre a credere che sia possibile accostarsi alla traduzione da un punto di vista esclusivamente pratico. Illuminante a questo proposito è l’opinione del semiologo slovacco Anton Popovič, che sottolinea un fatto di cui solitamente non ci si rende conto fino in fondo: non esiste una vera opposizione tra teoria e prassi, tra riflessione sulla tradizione e traduzione de facto, per il semplice motivo che non esiste atto di traduzione che possa realmente prescindere da una teoria, sia essa esplicita o implicita:

All’argomentazione secondo cui sarebbe possibile tradurre anche senza teoria ribatto che anche il traduttore più scettico in realtà prende parte al formarsi della teoria: è quello che fa ogni volta che revisiona il proprio lavoro, ci riflette, lo valuta.151

Concepire l’atto traduttivo come prassi sradicata da ogni fondamento teorico rivela un approccio al problema superficiale e parziale, che contraddice non soltanto decenni di ricerca scientifica, ma anche l’esperienza quotidiana e il

150 «Ogni volta che si devono classificare metodi traduttivi, forme di traduzione o equivalenza

differenti, pare inevitabile ricadere nelle bipartizioni che costellano la storia della teoria traduttiva e risalgono […] a Cicerone». MORINI M., La traduzione. Teorie, strumenti, pratiche, Sironi, Milano 2007, p. 77.

151 POPOVIČ A., La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva, a cura di

D. Laudani e B. Osimo, Hoepli, Milano 2006. Edizione originale: Teória umeleckého prekladu, Tatran, Bratislava 1975.  

semplice buon senso; ogni ambito della nostra vita infatti, sia esso pratico o intellettuale, si basa su di una propria consolidata teoria, è sorretto da uno stratificarsi di esperienze che nel tempo generano una certezza “teoretica”, una serie di indicazioni generali destinate a resistere o a soccombere alla prova dei fatti: «la teoria – scrive Morini - traspare dalla pratica, la pratica genera la teoria, gli strumenti condizionano la pratica e danno vita a nuove teorie».152 Il celebre

detto di San Bernardo di Chiaravalle, «siamo nani sulle spalle dei giganti» non descrive altro che la dinamica elementare di conoscenza posta in gioco dall’uomo in ogni atto pratico, accademico e scientifico; rinunciare alla teoria significherebbe dunque condannarsi ad un immotivato autismo, privarsi di un prezioso strumento per l’acquisizione di una consapevolezza e di un rigore metodologico adeguati. Un buon sostrato teorico «difende il traduttore dal praticismo, dalle abitudini, dagli stereotipi creativi, dalle convenzioni. La riflessione teorica è d’impulso per chi ha smesso di crescere e si è fossilizzato»;153 ed è solo per questa via che il

traduttore può giungere ad una vera «cultura del tradurre», ossia ad una «consapevolezza critica del proprio fare».154 Un’ipotetica emancipazione da ogni

legame teorico si tradurrebbe solamente in un’adesione implicita al potere della cultura dominante, in una rinuncia alla propria libertà e alla propria intelligenza critica.155 Ciò premesso, bisogna ammettere, come già accennato in apertura, che vi

sono validi motivi che giustificano la diffusa diffidenza dei traduttori nei confronti delle proposte teoriche, primo fra tutti il fatto che troppo spesso la teoria si è ritagliata un ruolo autoreferenziale, rendendosi così incapace d’incidere concretamente nel lavoro dei traduttori. Come scrive Osimo,

[la] teoria della traduzione che non aspirava a essere concretamente applicabile, ha determinato una spaccatura nel campo della traduzione: da un lato i teorici, dall’altro i traduttori. I traduttori professionali, vedendo la totale inapplicabilità delle teorie, per reazione sono stati spinti ad abbracciare visioni

152 MORINI M., La traduzione, pp. 9-10.

153 POPOVIČ A., La scienza della traduzione, p. xxvii.

154 MATTIOLI E., Ritmo e traduzione, Mucchi, Modena 2001, p. 20.

155 A tali problematiche è parzialmente dedicato il testo di Lawrence Venuti, The Translator’s

Invisibility, in cui si mette in evidenza come concetti “innocui” quali “trasparenza” e “scorrevolezza” nascondano in realtà un’impronta culturale ben precisa. Cfr. VENUTI L. The Translator’s Invisibility. A History of Translation, Taylor & Francis, London 1995. Ed. italiana: L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, traduzione di M. Guglielmi, Armando, Roma 1999. Anche Gideon Toury si sofferma a lungo a riflettere sul problema della libertà del traduttore, che vede continuamente condizionato e influenzato da translation norms, norme che considera «la traduzione dei valori e delle idee generali di un gruppo sociale in istruzioni appropriate e applicabili in particolari situazioni». (TOURY G., A Handful of Paragraph on “Translation” and “Norms” in Translation and norms, a cura di C. Schäffner, Multilingual Matters, Clevedon 1999, pp. 9-31, p. 14).  

romantiche, in cui il traduttore è ispirato dal buon senso e dalla pratica a tradurre nel modo migliore. Tale reazione produce tutt’oggi conseguenze: le generazioni di traduttori meno giovani tendono ancora a respingere qualsiasi pronunciamento metodologico generale.156

Inoltre, siamo ancora ben lontani dall’elaborazione di una teoria completa ed esaustiva, degna di poter esser definita “scienza”. Più che ad un sistema organico e coerente infatti, l’insieme degli studi sulla traduzione assomiglia ad un mosaico male assimilato e male armonizzato, in cui perfino il succedersi delle denominazioni assunte dalla disciplina nel corso degli anni (“Scienza della traduzione”, “Teoria della traduzione”, “Translation Studies”), testimonia una profonda divergenza di concezioni e di intenti,157 che ha spesso condotto ad

un’incomprensione profonda tra le parti e, in ultimo, all’incomunicabilità. Secondo Torop, la causa primaria di questo caos babelico sta nella mancanza di un metodo condiviso e nella scarsa consapevolezza che la disciplina ha di se stessa: le varie branche della ricerca traduttologica (quella semiotica, quella linguistica, quella descrittiva, ecc.) non si sono ancora fuse in un insieme armonico ed integrato, non hanno ancora trovato una base comune di lavoro. 158 Per questo

motivo la diversità degli approcci, che se ben organizzata potrebbe costituire una ricchezza per la ricerca, ha finito per generare

una stortura paradossale che si fa evidente quando studiosi di discipline separate giungono per vie diverse alle stesse conclusioni, se non addirittura citando le stesse fonti; o quando le loro conclusioni mostrano pecche che si sarebbero potute evitare assumendo una prospettiva più ampia.159

Questa labilità metodologica e questa scarsa autoconsapevolezza hanno poi prodotto conseguenze anche peggiori: la forte volontà di dimostrare una propria scientificità, unita all’impossibilità metodologica di fondare questa volontà in modo saldo, ha generato una “cattiva scientifizzazione”, per cui, sotto la patina

156 OSIMO B., La traduzione totale: spunti per lo sviluppo della scienza della traduzione, Forum, Udine

2004, p. 3.

157 Siri Nergaard lega alle tre definizioni sopra citate tre filosofie traduttologiche diverse: quella

linguistica, legata alla “parola” e alla codifica dei procedimenti traduttivi; quella descrittiva, che cerca di determinare quali siano le caratteristiche di una traduzione; quella focalizzata principalmente sui rapporti tra i testi tradotti e le culture. Cfr. NERGAARD S., Introduzione a Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani, Milano 1995, pp. 5-17.

158 Cfr. TOROP P., La traduzione totale, a cura di B. Osimo, Hoepli, Milano 2010, pp. 5-7. Ed.

originale: Total’nyj perevod, Izd. Tartuskogo Universiteta, Tartu 1995.

ingannevole di termini tecnico-scientifici sono stati “contrabbandati” i risultati più banali. 160

In questo panorama così complesso, ancora pieno di nodi critici da risolvere, è possibile tuttavia individuare un comun denominatore che ha animato la ricerca negli ultimi quarant’anni, e cioè il progressivo allontanarsi degli studiosi dall’originale matrice lessicalista, per rivolgersi in modo sempre più marcato alle componenti extralinguistiche e culturali dell’atto traduttivo. I cosiddetti esponenti della «prima generazione» infatti,161 legati prevalentemente a dinamiche di tipo

linguistico, individuavano il focus della traduzione nei processi di transcodifica terminologica:

Fino agli Settanta, esisteva una teoria della traduzione come ambito secondario della linguistica. Il centro dell’interesse dei linguisti era altrove, e la traduzione era studiata con condiscendenza come fenomeno astratto, dal punto di vista non del traduttore, ma dello scienziato che compie esperimenti con la lingua. Vista in termini lessicalistici, la traduzione era considerata reperimento di “equivalenti” testuali e loro “trasporto” dall’origine alla destinazione.162

Scopo degli studiosi era quello di creare una Scienza della traduzione che potesse fornire norme prescrittive universali, in grado di regolare in modo quasi automatico il passaggio da una lingua all’altra. Una tale prospettiva, che al giorno d’oggi, oltre che irrealizzabile, appare piuttosto limitata, sembra già più comprensibile se si tiene conto di tre fattori di ordine storico-contestuale: in primis, tra gli anni quaranta e cinquanta si era scatenata una sorta di “guerra di religione” tra i fautori di una traduttologia linguistica, fondata su basi rigorosamente scientifiche, e i fautori della traduzione come arte, che sostenevano una visione più “romantica”, basata prevalentemente sul Geist della lingua e sul talento individuale dei traduttori: 163

come sovente accade in questi casi, tale

160 «D’altra parte, lo sfruttamento eccessivo di uno-due metalinguaggi nei quali vengono tradotti i

risultati di tutte le analisi […] creano l’illusione di acquisire conoscenze, conferendo una parvenza di scientificità anche a risultati banali». (TOROP P., La traduzione totale, p. 6).

161 Siri Nergaard, in accordo alle tre denominazioni sopra presentate, suddivide

convenzionalmente gli studiosi di traduzione in tre generazioni. Cfr. NERGAARD S. Teorie contemporanee della traduzione, p. 4.

162 OSIMO B., La traduzione totale: spunti per lo sviluppo della scienza della traduzione, p. 2.

163 «A partire da quell’epoca, nel pensiero sulla traduzione si attesta in modo definitivo la

contrapposizione tra teorie “letterarie” e teorie “linguistiche”: le prime si richiamavano alla traduzione filosofica tedesca (in particolare a Schleiermacher) e alla supremazia del testo letterario, mentre le seconde ambivano alla scientificità della disciplina […] Questa contrapposizione non era pretestuosa: tra i due approcci, infatti, si era rapidamente aperto un baratro epistemologico su ogni aspetto della ricerca: sui temi, i fini, le premesse, le prospettive». Cfr. SALMON L., Teoria della traduzione. Storia, scienza, professione, Vallardi, Milano 2003, p. 99.

contrapposizione aveva portato entrambi gli schieramenti a radicalizzare la propria posizione, conducendo a degli eccessi teoretici. In secondo luogo, vi era la persistente influenza del “sogno computazionale meccanico”,164che determinava

un approccio alla lingua di tipo matematico-scientista; infine, l’affermarsi delle teorie generativiste di Noam Chomsky, che postulava l’esistenza di strutture grammaticali profonde comuni a tutte le lingue, aveva contribuito a rafforzare la convinzione che nella parola e nelle sue dinamiche di trasformazione si celasse la formula magica in grado di risolvere una volta per tutte il secolare problema della traduzione. Un esempio evidente della temperie culturale di quegli anni è la famosa ouverture di Catford ad una delle sue opere più celebri, A Linguistic Theory of Translation:

[…] la traduzione è un’operazione che si fa sulle lingue: un processo di sostituzione di un testo in una lingua con un testo in un’altra lingua […] qualsiasi teoria della traduzione deve fondarsi su una teoria della lingua – una teoria linguistica generale.165

Di fatto, la prospettiva qui presentata è quella di «una traduzione al livello della parola o al massimo della frase, e cioè di una trasposizione quasi solo terminologica»,166 in cui i fattori extralinguistici e culturali sono ritenuti privi di

pertinenza scientifica. Sebbene tale approccio abbia avuto alcuni meriti innegabili, come quello, ad esempio, di contribuire ad uno studio più sistematico e meno ingenuo della lingua e dei processi traduttivi (soprattutto per ciò che concerne gli aspetti microstilistici), esso si basa su alcuni errori fondamentali: il primo è quello di considerare la traduzione solo come ramo specializzato della linguistica, fatto che ad esempio Susan Bassnett rimprovera a Catford;167 in secondo luogo quello di

164 «Il “sogno meccanico” nacque come l’ambizione di creare una macchina che potesse produrre

traduzioni sostituendosi gradualmente ai traduttori umani. […] Uno dei pionieri della traduzione meccanica non era neppure uno scienziato o un accademico, bensì un ingegnere-inventore. Costui, Pëtr Petrovič Trojanskij (noto anche come Smirnov-Trojanskij) […] ideò e brevettò una macchina in grado di effettuare traduzioni da una lingua naturale all’altra con la sola assistenza di esseri umani monolingue». (Ivi, p. 101). L’esperimento di Trojanskij cadde poi nel dimenticatoio. Per approfondimenti sull’argomento cfr. Ivi, pp. 101-109 e PANOV D. J., Perevodnaja mašina P. P. Trojanskogo. Sbornik materialov o perevodnoj mašine dlja perevoda s odnogo jazyka na drugie, predložennoj P. P. Trojnskim v 1933 godu [La macchina per tradurre di P. P. Trojanskij. Antologia dei materiali sulla macchina per tradurre da una lingua alle altre, presentata da P. P. Trojanskij nel 1933], Izdatel’stvo Akademii Nauk SSSR, Moskva 1959.    

165 CATFORD. C., A Linguistic theory of Translation. An Essays in Applied Linguistics, Oxford

University Press, London 1965, p. 1.

166 NERGAARD S., Teorie contemporanee della traduzione, p. 6.

167 «l’autore affronta l’argomento attraverso una discussione della teoria generale della linguistica,

e di conseguenza la traduzione non viene studiata come disciplina in se stessa, ma serve da esemplificazione per alcuni aspetti della linguistica applicata». (BASSNETT-MC GUIRE S., La

considerare le lingue naturali come entità isomorfe, e non anisomorfe e culturospecifiche.168

Nel corso degli anni dunque, le varie “correnti” di ricerca hanno tentato, ognuna secondo le modalità ritenute più congeniali, di reintegrare gli elementi culturali e contestuali ostracizzati dall’ondata teorica di “prima generazione”; un tentativo in questo senso sono state le teorie funzionaliste, che per prime hanno inserito la traduzione all’interno delle dinamiche comunicative della teoria dell’informazione: esse indagano la lingua non come insieme di elementi grammaticali discreti, ma come «strumento che si è evoluto per soddisfare le esigenze concrete di comunicazione dei parlanti, il cui oggetto è il discorso costituito da enunciati (utterances) che vanno interpretati nell’ambito del loro contesto (contesto extralinguistico)»;169

la tassonomia delle strategie traduttive di Katharina Reiss170

basata sull’Organon-Model di Karl Bühler,171

il celebre modello di Jakobson,172 la Skopostheorie173 rappresentano forse gli esempi più noti in tale ambito. Particolarmente indicativa in questo senso è anche l’esperienza del gruppo racchiuso dietro alla denominazione Translation Studies, che include nel suo alveo personalità come Susan Bassnett, André Lefevere, James Holmes, Itamar Even-Zohar, Gideon Toury, e che, banalizzando, s’interessa soprattutto degli

traduzione: teoria e pratica, a cura di G. Bandini, Bompiani, Milano 1993, p. 170. Ed. originale: Translation Studies, Routledge, London/New-York 1991).

168 «C’è una sostituzione di “materiale”: la concezione della lingua è isomorfa, ossia a determinati

elementi di una lingua fa corrispondere determinati elementi di un’altra lingua: come se il testo da tradurre fosse una costruzione fatta con mattoncini bianchi del lego, e il testo tradotto una costruzione uguale, fatta con mattoncini gialli: il colore cambia, la forma no. Ora sappiamo che la concezione isomorfa del linguaggio è applicabile soltanto a quelli artificiali (matematica, segnali stradali, ecc.). Le lingue (codici naturali), nate in modo spontaneo nell’ambito delle rispettive culture (originariamente orali) sono culturospecifiche e quindi anisomorfe». (OSIMO B., La traduzione totale, p. 3).  

169 SCARPA, F., Equivalenza funzionale e tipologie testuali nella traduzione, in Tradurre. Un approccio

multidisciplinare, a cura di M. Ulrych, Utet, Torino 1995, pp. 3-30, p. 5.

170 Katharina Reiss, basandosi su quelle che Bühler considera le tre funzioni primarie del processo

comunicativo (espressiva, conativa e referenziale) individua tre tipologie fondamentali di testo (informativo, in cui è centrale il contenuto, espressivo in cui è centrale la forma, conativo, in cui è centrale l’effetto) a cui lega tre corrispondenti strategie traduttive (equivalenza di contenuto, equivalenza di contenuto ed espressione, mantenimento effetto iniziale). Cfr. REISS K., Textbestimmung und Übersetzungsmethode, [Funzioni del testo e metodi di traduzione] in Übersetzungswissenschaft [Teoria della traduzione], Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1981, pp. 76-91, p. 77.

171 Cfr. BÜHLER, K., Die sprachtheorie [Teoria del linguaggio], Fischer, Stoccarda 1965.

172 Jakobson, ampliando lo schema triadico di Bühler, individua sei funzioni fondamentali della

lingua: referenziale, espressiva, conativa, poetica, fàtica e metalinguistica. Per approfondimenti, cfr. JAKOBSON R., Linguistica e poetica in Saggi di linguistica generale, a cura di L. Heilmann e L. Grassi, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 181-218. Ed. or: Essais de linguistique générale, Éditions de Minuit, Paris 1963.

173 Skopostheorie, teoria dello scopo: «Il modo in cui un testo viene tradotto dipende più dallo scopo

del testo di arrivo che dalla natura di quello di partenza. La traduzione viene vista come una transazione fra traduttore e destinatario (lettore, committente) nella quale le aspettative e le esigenze del secondo assumono un’importanza fondamentale». MORINI M., La traduzione, p. 86.

effetti dei testi tradotti nelle culture d’arrivo, ritenendo la traduzione una riscrittura, una manipolazione asservita ad interessi culturali e sociopolitici:

La traduzione, naturalmente, è una riscrittura del testo originale. Tutte le riscritture, quali che siano le loro intenzioni, riflettono una certa ideologia e una poetica, e perciò manipolano la letteratura per farla funzionare in una certa società e in un certo modo. La riscrittura è una manipolazione compiuta al servizio del potere, e nel suo aspetto positivo può contribuire all’evoluzione di una letteratura e di una società.174

Impossibile in questa sede approfondire in modo esaustivo tali tendenze, che richiederebbero per essere adeguatamente descritte un’opera di dimensioni bibliche: ci limiteremo a prendere brevemente in considerazione alcuni elementi che risultano importanti per il nostro lavoro, sia da un punto di vista orientativo che metodologico.