• Non ci sono risultati.

3 2 La guerra e le illusioni del febbraio

Negli anni della guerra, gravidi di attese e aspettative, Berdjaev aveva dedicato una considerevole mole di articoli alla missione storica della Russia.69

Concordemente all’intelligencija di orientamento slavofilo,70 egli auspicava che la

“collisione” delle culture conseguente allo scontro bellico avrebbe rivelato all’Europa i tesori e le profondità dello spirito russo, rimasti per troppo tempo ignorati perché confinati in una dimensione locale e «provinciale»; 71

grazie alla guerra vittoriosa invece, la Russia avrebbe finalmente occupato quella posizione di primo piano cui la Provvidenza divina l’aveva predestinata.72 Spezzando una

lancia a favore del Nostro, vorremmo precisare che nonostante in queste concezioni affiori chiaramente l’idea messianica tradizionale di popolo russo come popolo teoforo, investito dal cielo di un grande compito salvifico, Berdjaev non fu mai un fanatico nazionalista, né un fervente assertore del mantra “Mosca terza Roma”; nella bellezza della tradizione patria egli non vide mai un mezzo di prevaricazione verso le altre culture, ma la base propositiva per un’esperienza di autentica comunione, come testimoniano gli incontri ecumenici che caratterizzarono la sua attività intellettuale in Francia. Se è vero, come ricorda Evgenija Gercyk, che l’amore di Berdjaev per la Russia fu in quegli anni così forte

68 Si può parlare di “questione russa” o di “idea russa” fin dai tempi della “proclamazione” di

Mosca-Terza Roma, passando poi per P. J. Čadaaev, gli slavofili, Dostoevskij, Solov’ëv, solo per citare alcuni tra i personaggi più significativi. Per approfondimenti sul tema cfr. BARABANOV E. V., Russkaja ideja v eschatologičeskoj perspektive [L’idea russa in una prospettiva escatologica], in «Voprosy filosofii», n. 8, 1990, pp. 62-73.

69 Per la bibliografia completa degli articoli di Berdjaev cfr. la biblioteca telematica Biblioteka Jakova

Krotova [Biblioteca di Jakov Krotov] in http://krotov.info/library/02_b/berdyaev/berd_bibl.html.

70 Ad esempio Padre S. N. Bulgakov, L. S. Frank, V. F. Ern, E. N. Trubeckoj. Cfr. VOLKOGONOVA

O. D., Berdjaev, pp. 187-188.

71 «Ciò che si è compiuto nel cuore dello spirito russo cesserà di essere provinciale, lontano, chiuso,

diverrà mondiale, universale, non più solo orientale, ma anche occidentale». (BERDJAEV N. A., Russkaja ideja. Sud’ba Rossii, p. 227).

72 «Lo spirito creatore della Russia occuperà, alla fine, una posizione di preminenza nel concerto

da «dargli alla testa, come il vino»,73

è anche vero che l’ebrezza patriottica fu un fenomeno di larga scala che riguardò quasi tutta la società russa del tempo:

In Russia l’inizio della guerra con l’Impero Austro-Ungarico e la Germania provocò un grande entusiasmo, per non dire estasi. Tra lo zar e il popolo si creò un’unità commovente. Nella Piazza del Palazzo la folla, alla vista dello zar che usciva dal balcone del Palazzo d’inverno, cadeva in ginocchio. Tutti, compresi studenti ed ebrei, fino a pochi giorni prima acerrimi nemici della patria, intonavano l’inno “Dio salvi lo zar”. […] La guerra era a malapena iniziata che già, su progetto dell’artista Vasnecov, si cucivano le uniformi da parata (uguali a quelle dei paladini anticorussi) per l’imminente marcia dell’esercito russo dentro Berlino.74

La cruda realtà della guerra contribuì rapidamente a dissipare “i fumi della sbornia” e a smorzare l’ingenuo ottimismo iniziale, anche se fino al 1918, anno in cui fu firmato il trattato di Brest-Litovsk, Berdjaev continuò a sostenere l’idea propugnata anni prima, “avanti fino alla vittoria finale”. Lo stesso entusiasmo patriottico e lo stesso ansioso desiderio di veder realizzate le potenzialità culturali e spirituali del proprio paese, spinsero Berdjaev a salutare con gioia la rivoluzione di febbraio.75

Nella caduta dell’autocrazia, infatti, egli vide un’importante tappa del processo di maturazione nazionale e la possibilità per il popolo russo di adempiere la propria missione storica. Negli articoli scritti in quei mesi Berdjaev attacca l’autocrazia zarista, individuando in essa il trionfo del Grande Inquisitore dostoevskijano, l’affermazione di un principio alienante e reificante che priva l’uomo della libertà e della piena identità personale, secondo una dinamica interpretativa che resterà costante in tutta la sua carriera filosofica e che si riproporrà anche in Filosofia dell’ineguaglianza e nell’idea più matura di oggettivazione. I simboli sacri del regime zarista, secondo il filosofo, non sono altro che il mascheramento di un paradossale materialismo, l’arida cristallizzazione delle autentiche sorgenti della vita spirituale; 76

alla vuota autorità di tali simboli il

73 GERCYK E. K., Vospominanija [Ricordi], YMCA-Press, Pariž 1973, p. 133.

74 SAPOV V.V., Voenno-revoljucionnaja publicistika Berdjaeva [La pubblicistica bellico-rivoluzionaria

di Berdjaev], introduzione a BERDJAEV N. A., Padenie svjaščennogo russkogo carstva. Publicistika 1914-1922 [La caduta del sacro impero russo. Pubblicistica dal 1914 al 1922], a cura di V.V. Sapov, Astrel’, Moskva 2007, pp. 5-14, p. 7.

75 Evgenija Gercyk in una lettera a Remizov del 16 marzo 1917 scriveva: «Noi tutti, e i nostri amici

(Geršenzon, Šestov, Berdjaev), viviamo questo tempo ebbri dei miracoli che avvengono». (Sestry Gercyk. Pis’ma [Le sorelle Gercyk. Lettere], a cura di T. N Žukovskaja., INAPRESS, Sankt-Peterburg 2002, p. 259).

76«Il regno sacro è incatenato alla materialità, in esso lo spirito è assoggettato alla materia, alle

forme e alle immagini esteriori. Esso è meno spirituale dello Stato secolare, nel quale è già avvenuta una distinzione e nessuna soffocante materia viene ritenuta santa». (BERDJAEV N. A., Padenie svjaščennogo russkogo carstva [La caduta del sacro impero russo], pubblicato originariamente in «Russkaja svoboda» [Libertà russa] n. 2, aprile 1917, pp. 16-23, citato da Padenie svjaščennogo

popolo sottomette la propria responsabilità creatrice, rinunciando così al rischio della libertà, all’affermazione adulta di se stesso; una volta cadute le rassicuranti paratie del vecchio mondo, e dissipata la «seduzione di comodità, calore e garanzia di sicurezza»77 che la figura dello Zar rappresentava, il popolo sarà

costretto ad abbandonare il suo stato infantile, risvegliare le proprie atrofizzate energie spirituali e condurre la nazione in una nuova epoca. Nella rivoluzione appena compiuta Berdjaev intravede dunque la liberazione metafisica di tutta la Russia, un atto «geniale ed ispirato»78 in cui si incarna l’unità profonda di tutto il

popolo:

La rivoluzione russa è la più nazionale, più patriottica, più appartenente al popolo di tutte le rivoluzioni, la meno classista per carattere, né borghese, né proletaria. Ciò che è avvenuto a Mosca il primo marzo, quando tutti i soldati sono passati dalla parte del popolo, ha prodotto l’impressione non di una rivoluzione con le sue sanguinose lotte, ma di una festa luminosa di tutto il popolo.79

«Davvero», scrive in toni entusiastici, «nel modo in cui è avvenuta la rivoluzione russa vi è qualcosa di fiabesco. Ci sembra ancora di sognare, e che possa avvenire un brusco risveglio».80

3. 3. La disillusione

Il brusco risveglio avvenne puntualmente, dissipando ogni illusione. Nel vuoto di potere lasciato dal crollo dell’autocrazia, s’innestò il sistema bipolare costituito dal Soviet del popolo e dal governo provvisorio, che non aveva né i mezzi, né l’autorità per traghettare il paese verso le riforme democratiche promesse. La debolezza e l’impotenza dei moderati e dei liberali permisero l’affermazione di socialisti rivoluzionari e bolscevichi, e la progressiva radicalizzazione della scena politica: la “festa luminosa di tutto il popolo” assunse

russkogo carstva. Publicistika 1914-1922, pp. 508-516, p. 510). Più di venti anni dopo, nella sua autobiografia, Berdjaev scriverà: «Approvai allora la Caduta del sacro impero russo (titolo di un mio articolo), e in questa caduta vidi l’inizio del processo inevitabile che avrebbe portato al definitivo disfacimento di un simbolismo ormai incancrenito della carne storica. […]La vecchia carne storica della Russia, che si era chiamata Santa, stava ormai andando in decomposizione, e doveva apparire una nuova carne». (BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 244).

77 BERDJAEV N. A., Padenie svjaščennogo russkogo carstva, p. 515.

78BERDJAEV N. A., Psichologija pereživaemogo momenta [Psicologia del momento attuale], pubblicato

inizialmente in «Russkaja svoboda», n. 1, aprile 1917, pp. 6-12, e incluso poi in Padenie svjaščennogo russkogo carstva, pp. 501-507, p. 501.

79 Ibidem. 80 Ivi, p. 508.

i contorni della “rivoluzione rossa”, ispirata agli ideali del marxismo e del materialismo. In Kto vinovat? [Di chi è la colpa?], articolo pubblicato nell’agosto del 1917, Berdjaev prendeva atto di tale situazione, scagliandosi contro le minoranze eversive, accusate di essersi “appropriate” della rivoluzione con la forza ammaliante della demagogia:

È ormai chiaro che, se la rivoluzione è stata un bene, poiché nei suoi primi giorni ha liberato la Russia dall’incubo di un potere autocratico ormai in decomposizione, tuttavia, il suo successivo sviluppo e “approfondimento” ha seguito una via di menzogna e non ha apportato nessun bene né alla Russia, né al popolo russo. […] Nella rivoluzione russa è iniziato molto velocemente un processo di corruzione e decomposizione.81

La rivoluzione, secondo Berdjaev, si avvia ormai al fallimento, e la progressiva radicalizzazione delle forze in campo fa sì che ogni speranza di uno sviluppo incruento degli eventi venga ben presto abbandonata, come testimonia la cognata del filosofo Evgenija Rapp:

Mi ricordo il suo sorriso ironico, quando i nostri numerosissimi amici parlavano con trasporto dell’“incruenta rivoluzione russa”, cantavano l’eloquenza di Kerenskij e attendevano l’avvento di un regime di libertà e di giustizia. Lui sapeva perfettamente che la rivoluzione incruenta sarebbe finita nel sangue. Era molto taciturno e triste. Solo in rare occasioni, rispondendo a qualche interlocutore che credeva ingenuamente nella rivoluzione, replicava irato, denunciando chiaramente la natura malvagia della rivoluzione; e allora l’interlocutore se ne andava, convinto che N. A. fosse un reazionario.82

La fine delle illusioni coltivate durante gli anni di guerra gettò il filosofo in una condizione di grande scoramento, tantoché nell’autobiografia egli si ricorderà dell’estate del 1917 come del momento interiormente più duro: «Per quanto possa sembrare strano mi sentivo meglio nel periodo sovietico, dopo il rivolgimento dell’ottobre, che nell’estate e nell’autunno del 1917».83 Nel febbraio del 1918, a

81 BERDJAEV N. A., Kto vinovat?, pubblicato originariamente in «Russkaja svoboda», n. 18, aprile

1917, pp. 3-9, citato da BERDJAEV N. A., Duchovnye osnovy russkoj revoljucii [I fondamenti spirituali della rivoluzione russa], AST-Chranitel’, Moskva 2006, pp. 84-93, p. 84.

82 Cfr. BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 246. Indicativo anche il seguente episodio

raccontato dalla Rapp: «Una volta ero rimasta a casa da sola. Suona il campanello. Sulla porta del nostro salotto stava Andrej Belyj. Senza neppure salutare, con una voce tutta commossa mi chiese: “Sapete dove sono stato?” E senza aspettare risposta, continuò: “L’ho visto, Kerenskij… parlava… una folla enorme… parlava…” E Belyj, in una sorta di estasi, sollevò le braccia e continuò: “E ho visto come un raggio di luce scendere su di lui, ho visto la nascita dell’uomo nuovo… Ecco, l’u-o- mo.” Entrato senza farsi notare nel salotto, N. A., quando sentì le ultime parole di Belyj, scoppiò in una gran risata. Belyj gli diede un’occhiata fulminante e, senza neppure congedarsi, scappò via. Dopo di che non venne più a trovarci per parecchio». Ibidem, nota n. 6.

giochi già conclusi, Berdjaev giudicherà la rivoluzione come una catastrofe, come la rovina di tutte le illusioni russe, il grande fallimento storico della Russia. Essa, liberatasi dalle catene autocratiche, non ha saputo o voluto reggere il peso della responsabilità e della libertà e si è gettata in mano a un carceriere ancora peggiore del precedente, rinunciando così a realizzare la propria missione storica: al materialismo religioso ha preferito un materialismo ateo. Particolarmente doloroso è il fallimento di quel popolo su cui tutta la cultura russa aveva riposto per tanti secoli le proprie speranze:

Ma cosa ha mostrato e fatto vedere di sé quel «popolo» in cui credevano gli slavofili e i rivoluzionari populisti, in cui credevano Kireevskij e Herzen, Dostoevskij e i semidesjatiniki, i sostenitori dell’“andata al popolo”, i nuovi cercatori religiosi e i socialdemocratici russi, trasformatisi poi in populisti filo- orientali? Quel «popolo» non ha mostrato altro che barbarie primordiale, oscurità, teppismo, crudeltà, istinto da pogrom, psicologia da schiavo ribelle, non ha mostrato altro che il suo muso animale. Le parole originali del popolo sono suoni disarticolati, parole autentiche nel popolo ancora non sono nate.84

Chiamata alla grande prova della storia, la nazione Russa non ha saputo dare il contributo da tutti atteso. Non vi è stato il cambiamento spirituale agognato, la libertà del popolo non ha prevalso sull’alienazione oggettivante del potere; in fin dei conti, come nota acutamente Markovic, la rivoluzione russa per Berdjaev non è abbastanza rivoluzionaria,85 «il regno di Lenin non si differenzia in niente da

quello di Rasputin».86 Con straordinaria amarezza Berdjaev chiosa: «Le grandi

prove danno ragione a Čaadaev e non agli slavofili».87 Proprio dalle delusioni e

dalle amarezze di questi anni, dal risentimento verso coloro che Berdjaev ritiene responsabili del fallimento storico russo, e dalla speranza di un prossimo riscatto futuro, nascono le pagine veementi e “arrabbiate” che rendono Filosofia

84 BERDJAEV N. A., Gibel’ russchych illjuzij [La rovina delle illusioni russe], pubblicato

originariamente in «Russkaja Mysl’» gennaio-febbraio 1918, citato da Duchovnye osnovy russkoj revoljucii, pp. 104-113, pp. 108-109.

85MARKOVIC M., La philosophie de l’inégalité et les ideés politiques de Nicolas Berdjaev, Nouvelles

editions latines, Paris 1978, p. 37.

86 «Fino a poco tempo fa il popolo apparteneva alle centurie nere, e con le baionette dei soldati

sosteneva l’autocrazia e la reazione più feroce. Ora nel popolo ha trionfato il bolscevismo, e con le medesime baionette sostiene Lenin e Trockij. Non è cambiato niente. La luce non ha illuminato l’anima del popolo. Sotto una nuova scorza, sotto nuove maschere regna la stessa oscurità, la stessa terribile forza elementare. Il regno di Lenin non si differenzia in niente da quello di Rasputin». (BERDJAEV N. A., Gibel’ russchych illjuzij, p. 109).

87 BERDJAEV N. A., Byla li v Rossii revoljucija? [C’è stata in Russia una rivoluzione?], pubblicato

originariamente in «Narodopravstvo», n. 15, 1917, pp. 3-7, citato da Duchovnye osnovy russkoj revoljucii, pp. 94-103, p. 103. Pëtr Jakovlevič Čaadaev (Mosca 1784-1856) fu autore delle Filosofskie pis’ma [Lettere filosofiche], in cui stigmatizzava l’arretratezza culturale russa nei confronti dell’Europa.

dell’ineguaglianza una delle opere di filosofia politica, sociale e religiosa più originali nel suo genere.