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Filosofia come intuizione e affezione

CAPITOLO SECONDO Cultura, stile e traduzione

3. Filosofia come intuizione e affezione

Filosofia dell’ineguaglianza è certamente un testo complesso e molto controverso, che ha suscitato nel corso degli anni più di una perplessità, e non solo per i suoi contenuti ideologici, fatto su cui ci siamo già brevemente soffermati, ma anche per la modalità in cui tali contenuti sono divulgati. Due, in particolare, sono gli elementi che ne caratterizzano lo stile: il primo è certamente lo spiccato pathos emotivo, che immediatamente balza agli occhi; il secondo è una certa disorganicità espositiva, che lascia trapelare, come vedremo poi, una precisa inclinazione aforistica. Nella nostra analisi abbiamo cercato di far emergere i profondi legami che intercorrono tra tali caratteristiche e l’humus culturale da cui esse derivano, proprio per dimostrare come la traduzione sia, prima ancora che una decodificazione linguistica, lavoro che pertiene il dialogo tra le culture.

Abbiamo già notato nel primo capitolo come la cultura ortodossa russa abbia un’inclinazione epifanica e asistematica che la differenzia in modo sostanziale dalla forma mentis occidentale. Immaginando di rispondere ad una critica portata da Hans Urs von Balthasar alla cosmologia «instabile, sfuggente, evanescente dell’Oriente», Olivier Clément chiosava:

Ecco, ancora una volta, pietre romane, squadrate e congiunte accuratamente, pietre utili e buone per strade e acquedotti, di fronte al mosaico bizantino, in cui le pietruzze hanno come unica funzione quella di rivelare la luce!200

Proprio in questa notazione è forse la chiave per comprendere appieno i “sommovimenti” del pensiero berdjaeviano, non riducibile ad un algoritmo sistemico, ma caratterizzato piuttosto da “bagliori” delocalizzati, esplosioni e intuizioni improvvise; in questo senso, più ancora di altri pensatori russi, e nonostante le sue posizioni “di confine” rispetto alla Chiesa ufficiale, egli è un perfetto interprete della sensibilità ortodossa. Basta infatti leggere Filosofia dell’ineguaglianza per rendersi conto di come sia difficile fare ordine nel viluppo dei pensieri autoriali, orientarsi in un testo sovente lasciato in balia delle onde rizomatiche del pensiero, soggetto a continue crisi, antinomie paradossali e vertiginose. La sua antipatia per gli edifici costruiti con “pietre squadrate”, è d’altronde un fatto largamente riconosciuto in sede critica, 201

e non è un mistero che tale caratteristica, unita alla sua dirompente emotività, abbia spesso generato profonde incomprensioni nei suoi confronti. Non è un caso che Il’in, nel definirlo nulla più di un mediocre pubblicista, calchi la mano proprio su questa disorganicità espositiva,202 così come non è un caso che l’ambiente accademico

francese, specialmente in un primo momento, abbia espresso ben più di una riserva sul conto di questo “pseudo-pensatore”, tanto lontano dalla pulizia razionale dei philosophes, dallo scientismo matematico dei positivisti ottocenteschi, e dalla struttura chiara e salda del pensiero idealista tedesco. 203 Come scrive

ancora Clément,

200 CLÉMENT O., La strada di una filosofia religiosa, p. 97. Il testo a cui Clément fa riferimento è

BALTHASAR H. U., von, Kosmische Liturgie. Maximus der Bekenner, Verlag, Einsiedeln 1988; ed. italiana: Massimo il Confessore. Liturgia cosmica, traduzione di L. Tosti, Jaca Book, Milano 2001.

201 Cfr. ad esempio ZENKOVSKIJ V. V., Istorija russkoj filosofii, p. 719, e FEDOTOV G. P., Berdjaev-

myslitel’, p. 437.

202 «Alcuni suoi libri sono impossibili da leggere (ad esempio, i due tomi di Filosofia dello spirito

libero). Ciò, tra l’altro, si spiega anche con il fatto che Berdjaev non espone i propri pensieri in maniera organica [...]. Questa modalità espressiva ripugna chi ha gusto filosofico e letterario. È difficile immaginarsi uno scrittore o un pensatore tanto estraneo alla dialettica, allo sviluppo delle opposizioni e delle contrapposizioni creative, e tutto ciò, nonostante il suo pensiero sia dialettico». SAZANOVIČ P., Ideologičeskoe vozvraščenstvo, p. 2.

203 Scrive J. Marcadé che anche se Berdjaev si distingueva dal resto dell’emigrazione russa, tanto da

risultare per essa un estraneo, questo non faceva di lui un filosofo europeo, «riconosciuto pienamente dalle accademie di filosofia ufficiali, tantoché ancora adesso le sue opere vengono ignorate nei manuali e negli studi francesi di filosofia. La causa del misconoscimento è proprio nel fatto che egli è un pensatore troppo russo, che non espone le proprie idee in modo rigoroso e sistematico, che incappa spesso in evidenti contraddizioni e non comunica in modo chiaro i propri pensieri e le proprie percezioni intuitive. In sintesi, per i Russi Berdjaev era un filosofo troppo europeo, per i francesi invece, era troppo russo». (MARCADÉ J. C., Proniknovenie russkoj mysli vo franzuskuju sredu: N. A. Berdjaev i L. I. Šestov [La penetrazione del pensiero russo nella cultura

si potrebbe forse dire che [Berdjaev] non era affatto un “filosofo”, secondo l’accezione che l’università francese dà a questo termine (di ciò essa si è accorta solo ai nostri giorni ed è per questo motivo che, senza indagare quello che egli voleva dire, l’ha discretamente emarginato – salvo Henry Corbin e i suoi discepoli – con il pretesto che non sa argomentare, che confonde gli autori che cita, ecc.) Sino alla fine Berdjaev è rimasto un pensatore religioso russo, un sostenitore del «realismo mistico» […]; egli non argomenta metodicamente, ma proferisce, profetizza; non cammina umilmente e tortuosamente verso un accostamento obliquo del mistero, ma parla nel mistero, a partire da un’esperienza inseparabilmente spirituale ed ecclesiale, e allora parla di tutto e di niente, di fatti storici come del suo gatto Murr.204

Lo stesso Berdjaev d’altronde, ben conscio di questa sua caratteristica, più di una volta si sofferma a riflettere su tale questione, spiegando le ragioni che lo portano a rifuggire le costruzioni intellettuali sistematiche e definitive:

Ho già ricordato di avere una strana caratteristica. Non ho mai percepito lo sviluppo come qualcosa che si realizza seguendo una linea retta ascendente. La verità mi si presenta sempre come qualcosa di eternamente nuovo, come qualcosa che è appena nato e viene scoperto per la prima volta. […] Solo lo slancio iniziale poteva entusiasmarmi. Quello che viene chiamato «sviluppo», mi sembrava sempre un raffreddamento, stava già sotto il segno della necessità e non più della libertà. Il mio modo di pensare è intuitivo e aforistico. In esso non si dà alcuno sviluppo discorsivo del pensiero. Non posso sviluppare e dimostrare nulla in maniera consequenziale. E del resto mi sembra che una cosa simile sia proprio inutile.205

In queste parole vi è una prima provocazione, una prima profonda frattura tra il pensiero berdjaeviano e quello dei razionalisti francesi. Ciò che in questa rinuncia alla “discorsività del pensiero” indignava maggiormente i contemporanei, era la consapevole mancanza di scientificità che ad essa si legava, l’assenza di un’argomentazione logico-scientifica coerente che fosse in grado di sanzionare adeguatamente la verità delle asserzioni del filosofo; ma quello che dai più era considerato un minus, un segno d’immaturità e incapacità intellettuale, costituiva per Berdjaev una rivendicazione esistenziale ben precisa, l’affermazione della posizione vera e autentica del filosofo di fronte al mistero della realtà. La “provocazione” di Berdjaev era appunto quella di voler emancipare il pensiero filosofico dall’autorità “oggettivante” della scienza e, in questo senso, egli francese: N. A. Berdjaev e L. I. Šestov], in Russkaja religiozno-filosofskaja mysl’ XX veka, pp. 150-165, p. 153).  

204 CLÉMENT O., La strada di una filosofia religiosa: Berdjaev, p. 93. 205 BERDJAEV N. A, Autobiografia spirituale, p. 86.    

dimostrava tutta la sua appartenenza ad una cultura vocata alla conoscenza intuitiva dell’”inattingibile”.

L’altro motivo di scandalo o, se vogliamo, la seconda grande provocazione del Nostro, sta nella forte emotività delle sue opere, fatto dovuto principalmente a motivi temperamentali, come vedremo tra poco; tuttavia, anche in questa caratteristica è secondo noi possibile cogliere il riverbero o la conseguenza della cultura tradizionale e, in particolare, dell’idea “sobornica” (comunionale) di conoscenza integrale, che conferisce alla sfera emotiva un’importanza primaria nel processo di conoscenza. Se infatti la conoscenza autentica presuppone un incontro esistenziale tra il conoscente e la verità, se essa costituisce al fondo «un richiamo per l’uomo nella sua interezza e con tutte le sue facoltà: intelletto, volontà, coscienza, senso del bello, del vero, della giustizia, della misericordia, e così via»,206 ciò significa che anche la componente emotivo-affettiva è chiamata a

partecipare attivamente alla sinergia comunionale dell’atto cognitivo. E c’è di più: è proprio l’affettività con le sue intuizioni e contemplazioni metalogiche a penetrare la realtà nella sua sostanza più profonda, a cogliere quella «via regale della conoscenza» su cui tanto ha scritto Solov’ëv..207 In questo senso, il pensiero

religioso russo esalta il significato originale di filosofia come amore per la sapienza, e afferma un’idea completamente controcorrente rispetto alle teorie della comunicazione più diffuse,208 e del tutto “scioccante” per la concezione scientifica

moderna, abituata a considerare intelletto e sentimento come facoltà irrimediabilmente in opposizione:

Anche in questo la conoscenza che ci viene prospettata dalla tradizione religiosa russa è una sfida al nostro modo consueto di vedere, così

206 WETTER G. A., Origini e primi sviluppi della filosofia russa. Pensieri per una filosofia della sua storia,

in Storia delle tradizioni filosofiche dell’Europa orientale, p. 20.

207 «L’ignoranza confonde l’essere in sé e i fenomeni. La filosofia astratta li separa assolutamente.

Tu devi prendere la via regale tra la confusione e la separazione astratta, c’è un termine medio: la differenza e la corrispondenza. Il fenomeno non è l’essere in sé, ma ha con esso una relazione precisa, gli corrisponde». (SOLOV’ËV V. S., I principi filosofici della conoscenza integrale, a cura di A. Dell’Asta, La Casa di Matriona, Milano 1998, p. 165).

208 «La teologia della comunione si oppone a tutta una serie di teorie contemporanee della

comunicazione, come l’etica del discorso di Habermas, la pragmatica trascendentale di Apel, la teoria degli atti linguistici di Searle, che esercitano un certo influsso sul pensiero sociale contemporaneo. Se per queste teorie la riflessione sulle condizioni di una solida relazione nasce dal postulare l’esistenza di soggetti atomistici, i quali entrano in un contatto che costituisce un fenomeno secondario nelle loro vite individuali, la teologia della comunione ribalta la relazione che si istituisce tra la persona e l’altro. Essa parte dal presupposto che l’uomo è irriducibile a soggetto atomistico, in lui esiste qualcosa che non è rintracciabile al di fuori dell’incontro e si svela solo nell’incontro, e questo «qualcosa» è esattamente la persona». (FILONENKO A. S., La teologia dell’incontro in Russia nel XX secolo, in Atti del Convegno: Un incontro che continua. Vita e pensiero tra oriente eoccidente, in «La Nuova Europa», n. 6, 2010, pp. 7-18, p. 8).

profondamente indifferente e apparentemente distaccato, incapace di comprendere che non si dà vera conoscenza se non all’interno di quella che un’antica tradizione, occidentale per altro, chiama affezione.209

Berdjaev spiega bene tale posizione nell’Autobiografia, in cui scrive di conoscere

non con il solo intelletto, non con una ragione soggetta alle sue proprie leggi, ma con l’insieme delle mie forze spirituali e quindi anche con tutta la mia aspirazione al trionfo del significato della vita e con la mia intensa emotività. L’impassibilità nell’atto della conoscenza, tanto raccomandata da Spinoza, mi è sempre sembrata un’invenzione artificiosa, e del resto non può essere applicata neppure allo stesso Spinoza. La filosofia è amore per la sapienza, e l’amore è uno stato emotivo e passionale. La fonte della conoscenza filosofica è la vita integrale dello spirito, l’esperienza spirituale. Tutto il resto è soltanto un supporto secondario. La sofferenza, la gioia, un conflitto tragico, sono altrettante fonti di conoscenza.210

 

Non deve dunque stupire la passionalità di Filosofia dell’ineguaglianza, che è una declinazione forse ancora immatura della sua tensione cognitivo-esistenziale: per Berdjaev l’irruzione del personale nella propria opera non costituisce motivo di scandalo, ma al contrario testimonia l’unità della persona che nel suo atto conoscitivo e creativo non è scissa tra ragione e sentimento, ed è dunque il presupposto necessario e irrinunciabile di una filosofia autenticamente esistenziale. In ciò vi è anche un esplicito rimprovero a quelle tendenze speculative occidentali che mirano a rendere il pensiero algido e “anemico”, riflesso alienato di un intelletto autoreferenziale:

 

Gli uomini di cultura occidentali esaminano qualsiasi problema innanzitutto a partire dal suo riflesso culturale e storico, cioè a partire da ciò che è secondario. […] I russi considerano i problemi nella loro essenza e non nel loro riflesso culturale. Io perlomeno ho sempre parlato di ciò che è primario […]; ho parlato come uno che si mette di fronte all’enigma dell’universo, di fronte alla vita stessa. Ho parlato in modo esistenziale in quanto soggetto dell’esistenza. Perfino quando parlavano di filosofia esistenziale, i francesi parlavano della filosofia esistenziale in Kierkegaard, in Heidegger o Jaspers. Il che significa che la persona che parlava non rappresentava la filosofia esistenziale. Parlavano sempre di qualcosa, ma non si presentavano mai come

questa cosa.211

   

209DELL’ASTA A., La via regale della conoscenza, in Atti del convegno: La conoscenza integrale. Il pensiero

religioso russo sfida le riduzioni dell’occidente, in «La Nuova Europa» n. 6, 1998, pp. 38-47, p. 44.  

210 Ibidem. 211 Ivi, p. 280.  

Senza addentrarci oltre nell’analisi filosofica, andiamo ora a vedere come questi concetti hanno inciso nella formazione dello stile autoriale.