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Alcuni elementi teorici util

CAPITOLO SECONDO Cultura, stile e traduzione

2. Alcuni elementi teorici util

La ricerca di una teoria di ampio respiro che permetta al testo un maggior “spazio vitale” di quello concesso dalle prospettive linguistiche, diviene un’esigenza assolutamente fondamentale quando ci si accosta alla traduzione di testi filosofici, i quali trovano nella duttilità culturale la loro prima condizione di azione ed esistenza. Sarebbe infatti assurdo pensare di poter smembrare un testo come Filosofia dell’ineguaglianza in tassonomie e funzioni, perdendo così il significato globale del testo stesso. Come ben evidenzia Bevz, nelle teorie linguistiche della traduzione non vi sono elementi specifici relativi alla tipologia del testo filosofico: esso non è incasellabile nelle normali categorie funzionali,175 e

un’analisi tipologica e funzionale della filosofia deve necessariamente ispirarsi a modelli di testo letterario o, nel caso di una filosofia più formalizzata, a modelli

174 Prefazione a BASSNETT S., LEFEVERE A., Translation, History and Culture. A sourcebook,

Routledge, London 1992, p. xi.    

175 Vinogradov elenca sei tipologie testuali fondamentali: testi colloquiali, ufficiali, informativi,

scientifici, artistici, religiosi; Fëdorov parla invece di testi informativi, scientifici, pubblicistici, politici, oratorii, letterari. Cfr. VINOGRADOV V. S., Vedenie v perevodovedenie. Obščie i leksičeskie voprosy [Introduzione alla teoria della traduzione. Questioni generali e lessicali], IOSO RAO, Moskva 2001, pp. 16-17, e FËDOROV A. V., Osnovy obščej teorii perevoda. Lingvističeskie problemy, [Fondamenti per una teoria generale della traduzione], Vysšaja škola, Moskva 1983, p. 305.

stilistici logico-scientifici.176

Una tale modalità di analisi tuttavia, che ha bisogno di “deviare” dall’oggetto per poter comprendere l’oggetto stesso, rimane al fondo formale ed esteriore, “sovrastrutturale” rispetto alla particolarità fondamentale di un testo filosofico, quella cioè di essere l’espressione di una personale Weltanschauung che dialoga con l’ambiente culturale circostante. La filosofia dev’essere letta nella sua dimensione ampia, deve esser compresa nella complessità dei suoi rapporti con la cultura d’appartenenza e con quella di destinazione. Proprio in virtù di tali considerazioni, abbiamo tratto alcune indicazioni interessanti dall’approccio semiotico, che più di altri, a nostro giudizio, si sofferma sul legame diretto tra un testo e la cultura a cui esso appartiene.

Secondo Jurij Lotman, fondatore della scuola semiotica di Tartu, la traduzione riveste un ruolo assolutamente centrale nei processi culturali; partendo dall’idea di Jakobson di traduzione intersemiotica,177 egli considera traduzione

ogni processo di trasformazione che avviene all’interno della dialettica cultura - non cultura: «L’attività culturale, secondo Lotman, consiste nel tradurre porzioni della non-cultura in una delle lingue della cultura, trasformandole in testi e introducendo questa nuova informazione nella memoria collettiva».178 Per il

semiologo la cultura è «un’area chiusa sullo sfondo della non-cultura»,179 che vive

dei continui scambi con lo spazio extraculturale, tanto che non può fare a meno di esso; in questo rapporto tra i due ambiti avvengono continui processi di traduzione in cui ciò che è “altrui” (čužoj) viene “semiotizzato” e “trasformato” in ciò che è “proprio” (svoj):

[…] cultura e non cultura sono rappresentate come ambiti reciprocamente condizionati e bisognosi l’uno dell’altro. Il meccanismo della cultura è un congegno (ustrojstvo) che trasforma la sfera esterna in quella interna: la disorganizzazione in organizzazione, i profani in iniziati, i peccatori in giusti, l’entropia in informazione.180

176 BEVZ N. V., Kul’tura perevoda filosofskich tekstov: tipologija, strategija, [Cultura della traduzione di

testi filosofici: tipologie e strategie], in

http://archive.nbuv.gov.ua/portal/natural/vkhnu/Rgf/2011_973/11bnvtts.pdf, consultato il 23/01/2013.

177 Cfr. JAKOBSON R., Aspetti linguistici della traduzione in Saggi di linguistica generale, pp. 56-64, p.

57. Ed. or: Essais de linguistique générale, Éditions de Minuit, Paris 1963.

178 TRAINI S., L’eredità di Lotman, in «EC», rivista on-line dell’AISS, Associazione Italiana Studi

Semiotici, in http://www.ec-aiss.it;

179 LOTMAN J. M., USPENSKIJ B. N., Tipologia della cultura, a cura di R. Faccani e M. Marzaduri,

Bompiani, Milano 1975, p. 40.

180 IVANOV, V.V., LOTMAN J. M., PIATIGORSKIJ A. M., TOPOROV V. N., USPENSKIJ B. N., Tesi

per un’analisi semiotica delle culture, in LOTMAN J. M., Tesi per una semiotica delle culture, a cura di F. Sedda, Meltemi, Roma 2006, pp. 107-148, p. 109.

Tale dinamica appare ancora più chiara se si prendono in esame i testi dedicati alla semiosfera, in cui viene conferita particolare importanza al concetto di “confine”. Ispirandosi alla biosfera di Vernadskij (l’insieme degli organismi vivi), Lotman partorisce l’idea di un «continuum semiotico omogeneo», «un grande ambiente circoscritto rispetto allo spazio che lo circonda, in grado di manifestare un’omogeneità semiotica»,181 che denomina appunto semiosfera; in quest’ottica il

confine tra interno ed esterno diviene il luogo che permette l’esistenza e la distinzione delle culture, poiché qui avvengono i processi di traduzione e trasformazione:

un limite “poroso” che, come la guaina di una cellula, è permeabile, e dal punto di vista culturale va pensato come luogo di continui processi di traduzione: il confine semiotico è la somma dei “filtri semiotici” di traduzione. Passando attraverso questi, il testo viene tradotto in un’altra lingua (o lingue) che si trovano fuori dalla semiosfera data. […] Il confine dello spazio semiotico non è un concetto astratto, ma un’importante posizione funzionale e strutturale, che determina la natura del suo meccanismo semiotico. Il confine è un meccanismo bilinguistico, che traduce le comunicazioni esterne nel linguaggio interno della semiosfera e viceversa. Solo col suo aiuto la semiosfera può così realizzare contatti con lo spazio extrasistematico o non semiotico.182

In sintesi, non si considera più come processo traduttivo la semplice dinamica di transcodifica, il reperimento di traducenti adeguati, bensì ogni atto di trasformazione culturale: «è processo traduttivo qualsiasi trasformazione di un “primo” testo in un “secondo” testo, verbale o extraverbale che sia. Il primo testo, originale o precursore, viene da Popovič definito “prototesto”. Il testo cronotopicamente successivo viene detto “metatesto”».183

In questo senso, la semiotica rilegge ed amplia anche il concetto di testo, che «non è applicabile soltanto ai messaggi in lingua naturale, ma anche a qualsiasi veicolo di un significato globale (“testuale”), sia esso un rito, un’opera d’arte figurativa, oppure una composizione musicale»;184 il fatto che nel nostro lavoro parliamo del testo in

senso tradizionale non invalida le costatazioni al riguardo. Il testo è textum, fitto tessuto di trame culturali, racchiude in sé «tutto lo sviluppo culturale delle varie

181 TRAINI S., L’eredità di Lotman, p. 7.

182 LOTMAN J. M., La semiosfera: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, a cura di S.

Salvestroni, Marsilio, Venezia 1985, pp. 59-60.  

183 Introduzione a POPOVIČ A., La scienza della traduzione, p. XVII.

184 IVANOV, V.V., LOTMAN J. M., PIATIGORSKIJ A. M., TOPOROV V. N., USPENSKIJ B. N., Tesi

tradizioni»,185

è la risultante, il «condensato di tutta una cultura»;186

ciò che del testo è visibile, esplicito, costituisce in realtà la parte superficiale del mondo culturale implicito e invisibile che ha contribuito a generare il testo stesso;187 la sua

vera complessità sta nell’essere connubio di «detto e non detto», implicito ed esplicito:188

una proporzione molto cospicua del messaggio completo è costituita da ciò che è dato per scontato, da ciò che è considerato implicito. Ma ciò che è implicito in un contesto culturale non sempre coincide con ciò che è considerato implicito in un altro contesto culturale. Il traduttore ha sempre bisogno di tenere conto di questo aspetto. Il suo compito consiste nella mediazione culturale (di cui quella linguistica è solo uno dei tanti aspetti) tra la cultura emittente e quella ricevente.189

Questo gioco di esplicito-implicito, detto-non detto, è, come vedremo, particolarmente importante nel caso della traduzione filosofica: in filosofia infatti il significato reale di un termine non è di solito determinato dalla componente linguistica (o perlomeno non esclusivamente da essa), quanto dagli elementi “impliciti” dell’ambiente contestuale, per cui il semplice reperimento di traducenti ed equivalenti si rivela al fondo un’operazione del tutto deficitaria e insufficiente. Se l’interconnessione tra un testo e la cultura d’appartenenza è così profonda, significa che la traduzione, ossia la traslazione da una cultura all’altra, è un’operazione tutt’altro che pacifica e indolore; nello “sradicamento” del testo si rischia di perdere gli elementi culturali impliciti che ne costituiscono l’humus sommerso, si va incontro ad un’inevitabile perdita d’informazione, ad un processo entropico che, in analogia con il perturbing noise della teoria matematica dell’informazione di Shannon e Weawer,190 viene definito «rumore semiotico» o

185 POPOVIČ A, La scienza della traduzione, p. 32. 186 Ivi, p. 131.

187 «Non solo quindi il testo è traduzione, ma il testo è anche espressione di superficie di un

discorso assai più complesso che viene dato per scontato. Le parole espresse sono la punta dell’iceberg, e la parte sommersa dell’iceberg è data per scontata, è considerata implicita, in virtù del contesto culturale in cui il messaggio è immerso». (OSIMO B., La traduzione totale, pp. 15-16).

188 «Un testo si distingue però da altri tipi di espressione per la sua maggiore complessità. E motivo

principale della sua complessità è proprio il fatto che esso è intessuto di non detto. “Non detto” significa non manifestato in superficie, a livello di espressione: ma è appunto questo non detto che deve venir attualizzato a livello di attualizzazione del contenuto». ECO U., La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano 1979, p. 51.

189 OSIMO B., Manuale del traduttore, p. 13.  

190 «In the process of being transmitted, it is unfortunately characteristic that certain things are

added to the signal which where not intended by the information source. […] All of these changes in the transmitted signal are called noise». (SHANNON C. E., WEAVER W., The mathematical theory of communication, University od Illinois Press, Urbana 1949, pp. 7-8; ed: italiana: La teoria matematica della comunicazione, Etas Kompass, Milano 1971).

«residuo».191

In termini meno formalizzati e più profani, il rumore semiotico esprime le difficoltà interpretative che un lettore “fuori contesto” può avere di fronte a testi che non appartengono al proprio orizzonte culturale e che presentano elementi estranei ed esotici; di fatto il residuo, più che i processi di transcodifica linguistica, concerne quasi sempre la cultura. Tale perdita mette il traduttore di fronte a una scelta: egli può decidere di non curarsene, affidando al lettore tutta la fatica dell’interpretazione; oppure può elaborare una strategia che gli permetta di recuperare almeno in parte le informazioni perdute. Viene qui introdotto dalla traduttologia semiotica un elemento nuovo, che potrebbe essere definito “gestione metatestuale del residuo traduttivo”; di fatto, si tenta di esplicitare il residuo in forme meta e paratestuali. Proprio questa ad esempio è la prospettiva di Peeter Torop, discepolo di Lotman, che prefigura una sorta di traduzione totale: «totale, perché si tiene conto del residuo comunicativo e si prevede una strategia che serve a riportarlo al ricevente al di fuori del testo principale, sotto forma metatestuale».192

Scrive infatti Torop:

la parte fondamentale del prototesto viene tradotta nel metatesto, ma alcune parti o aspetti possono essere “tradotti” nel commentario, nel glossario, nella prefazione, nelle illustrazioni (figure e mappe) e così via. In una simile complementarità non si può a mio parere ravvisare un’incompletezza nel metatesto: semplicemente, per il lettore del prototesto e per il lettore del metatesto il confine tra testuale ed extratestuale non coincide.193

Non è un caso in fondo che Popovič abbia utilizzato un termine volutamente ambiguo come metatesto per designare il testo d’arrivo: se infatti s’intende la traduzione secondo una prospettiva “classica”, allora tutto ciò che è meta e paratestuale rientra in un ordine di problemi diverso da quelli traduttivi; ma se con traduzione s’intende, come abbiamo precedentemente visto, un processo di trasformazione di segni ed elementi tra cultura e cultura, ecco che il problema metatestuale diviene assolutamente pertinente. Sia il metatesto come testo d’arrivo tradizionale, sia il metatesto come apparato complementare al testo transcodificato, sono frutto della trasformazione traduttiva del prototesto originale: «Nel primo caso, il processo traduttivo ha lo scopo di generare un testo

191 «Nella teoria semiotica della comunicazione si parla di “rumore semiotico” intendendo vari

fattori, anche di carattere non fisico, che impediscono al messaggio di giungere intatto. Dovunque si parli di comunicazione si deve tenere conto del residuo comunicativo e della perdita d’informazione che ne deriva». (Ivi, p. 11).

192 OSIMO B., La traduzione totale: spunti per lo sviluppo della scienza della traduzione, p. 5. 193 TOROP P., La traduzione totale, p. 64.  

analogo all’originale. Nel secondo caso, il processo traduttivo ha lo scopo di creare testi altri di accompagnamento alla fruizione del testo principale».194

Come scrive Osimo,

Nella traduzione totale, la strategia traduttiva/comunicativa contempla anche l’”intraducibile”, (“incomunicabile”): affrontando un atto comunicativo, è necessario prevedere quali parti del messaggio hanno elevate probabilità di non essere convogliate in modo immediato, e quali dispositivi metatestuali predisporre per la gestione di tale residuo metacomunicativo.195

Nelle scelte di gestione metatestuali rientrano ovviamente anche le riflessioni sui possibili destinatari del testo e sulla cultura ricevente; le possibili strategie dipendono infatti dalla risposta alla seguente domanda: in funzione di chi viene fatta una traduzione? Quando un traduttore adotta una strategia comunicativa, lo fa in funzione di un destinatario, o meglio, in funzione della propria astrazione di destinatario, fatto che è stato espresso dagli studiosi in vari modi e varie forme: “lettore modello” per Eco,196 “lettore implicito” per Iser,197 translation norms per

Toury: «un testo – afferma Eco - viene emesso per qualcuno che lo attualizzi»,198 e

anche Popovič nota che «un traduttore fa la propria scelta tenendo conto dei gusti del lettore modello del metatesto», constatando laconicamente poi come «sia assiomatico che il traduttore scriva per il lettore contemporaneo e che debba quindi fare i conti con le consuetudini figurative, le norme e le convenzioni del suo ricevente».199

In sintesi, rapporto tra testo e cultura, gestione metatestuale del residuo traduttivo, e presenza esplicita del destinatario nella formazione dello stile del metatesto sono gli elementi “semiotici” che hanno parzialmente influenzato il nostro lavoro. Più generalmente, ciò che volevamo mettere in luce con questa concisa premessa teorica è che il testo filosofico non è un conglomerato di elementi linguistici autocefali, chiusi e autoreferenziali, ma un qualcosa di profondamente innestato nel circuito di una cultura, in continuo dialogo con essa; e che tutti gli elementi appartenenti a tale circuito (siano essi di ordine ambientale, contestuale, culturale) sono pertinenti al lavoro di analisi e di traduzione. Nella nostra analisi

194 Ivi, p. 30.

195 OSIMO B., La traduzione totale: spunti per lo sviluppo della scienza della traduzione, p. 7.

196 Cfr. ECO U., Lector in fabula: la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano

1977, pp. 50-66;

197 ISER W., Der implizite Leser. Kommunikationsformen des Romans von Bunyan bis Beckett [Il lettore

implicito. Forme di comunicazione nei romanzi di Bunyan e Beckett], Fink, Munich 1972.

198 ECO U., Lector in fabula, p. 52.

abbiamo dunque tentato di tener conto di un duplice ordine di fattori: in primo luogo dello stretto rapporto che intercorre tra Filosofia dell’ineguaglianza, la cultura di appartenenza, le circostanze storico-contestuali, le inclinazioni personali di Berdjaev e la sua Weltanschauung, cercando di comprendere come tali fattori si realizzino concretamente nel prototesto; in secondo luogo abbiamo accennato ad alcuni problemi e ad alcune questioni che sorgono nel momento in cui la traduzione traspone il testo non solo in un altro universo linguistico, ma anche in un altro universo culturale, con destinatari che vivono in un ambiente e in una cultura diversi da quelli dei destinatari del prototesto, che leggono il mondo secondo coordinate diverse, e hanno un’enciclopedia mentale che non corrisponde a quella di Berdjaev e dei suoi interlocutori.