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4 1 L’aforisma come nucleo filosofico fondamentale

La prima conseguenza pratica di quanto finora espresso, è da rintracciarsi nell’aforisticità dell’esposizione berdjaeviana, espressione di una conoscenza che avviene per rivelazione e illuminazione, e di una scrittura che non è ars meditata e organizzata a tavolino, ma impetuoso dettato di una parola interiore.212 Le profonde

implicazioni di tale fatto risultano molto più chiare se si analizza la “polemica” tra filosofia e scientificità che Berdjaev innesca già nel 1909, nell’antologia Vechi; qui, egli aveva tuonato contro l’intelligencija russa, colpevole, a suo modo di vedere, di un’indebita commistione tra positivismo scientifico (una scienza religiosamente e metafisicamente neutrale) e positivismo filosofico (l’applicazione del metodo scientifico ad ogni ambito del reale).213 Alcuni anni più tardi poi, ne Il senso della

creazione, aveva sviluppato più a fondo alcune sue intuizioni sull’argomento, focalizzandosi in particolare sulla necessità di una maggiore sobrietà del pensiero scientifico, chiamato a svolgere le sue funzioni senza oltrepassare i limiti ontologici ad esso imposti. Qui Berdjaev, partendo dalla sua visione di mondo materiale come decaduto e “oggettivato”, e dalla necessità della comprensione dello stesso in una dimensione superiore trasfigurata, affermava la natura “penultima” della scienza rispetto ai fini ultimi dell’esistenza (concezione che in seguito, e con i dovuti distinguo, sarà fatta propria anche da Husserl e

212 «Quando inizio a scrivere, ci sono delle volte in cui avverto uno slancio creativo così potente che

mi gira letteralmente la testa. Il mio pensiero fluisce così rapidamente che faccio fatica a fissarlo sulla carta. Per andargli dietro non finisco le parole. Non mi preoccupo mai della forma, essa si snoda da sola, il mio pensiero è legato sin dall’inizio a una sorta di parola interiore. Non correggo quasi mai quello che ho scritto e non ci torno più sopra, posso arrivare a stampare un lavoro nella stessa forma che aveva assunto al momento della stesura originaria. È per questo che nel mio modo di scrivere c’è una certa trascuratezza. Faccio soltanto qualche piccola aggiunta e questo, a volte, finisce col distruggere la consequenzialità del pensiero». (BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 239).

213 «Lo spirito del positivismo scientifico, di per sé, non esclude nessuna metafisica e nessuna fede.

Noi invece, abbiamo sempre inteso il positivismo scientifico come una negazione radicale di ogni metafisica e di ogni fede religiosa o, più esattamente, il positivismo scientifico era per noi identico ad una metafisica materialistica e a una fede social-rivoluzionaria. […] Tra la religione più mistica e la scienza più positiva non può sussistere alcun antagonismo, dato che le sfere della loro competenza sono completamente diverse». (BERDJAEV N. A., La verità filosofica e il vero dell’intelligencija, in La svolta. Vechi. L’intelligencija russa tra il 1905 e il 1917, a cura di S. Romano, traduzione di U. Floridi, Jaca Book, Milano 1990, p. 23).  

dall’esistenzialismo heideggeriano), e metteva in risalto come, a suo avviso, la scienza non fosse altro che una descrizione logico-formale del mondo empirico, impotente a penetrare il mistero ultimo delle cose; come semplice «adeguazione alla necessità», scriveva, essa genera un pensiero che è il riflesso meccanico di tale necessità:

Il pensiero scientifico si trova sempre in uno stato di profonda corrispondenza e di adeguazione alla necessità del mondo, è uno strumento per orientarsi nella datità. Questo carattere di adeguazione non è impresso solo sull’esperienza scientifica, ma anche sul pensiero discorsivo di cui la scienza si serve per le proprie deduzioni. [...] Tutti i dilemmi e i limiti della logica formale non sono altro che il riflesso adattato dei dilemmi e dei limiti insiti nella necessità del mondo. E la logica stessa con i suoi limiti è appunto una reazione fedele allo stato di limitatezza del mondo dato.214

La filosofia, invece, partecipa di un’altra natura, poiché, secondo Berdjaev, è in grado di trascendere la datità e i limiti del mondo reificato:

La filosofia cerca la Verità e non le verità. La filosofia ama la sapienza. È la Sofia che guida la filosofia autentica. Per la sua natura e per i suoi scopi, la filosofia non è mai stata un adeguamento alla necessità, i filosofi autentici, quelli che sono tali per vocazione, non si sono mai assoggettati alla datità del mondo, perché cercavano la verità della sapienza, che va al di là del mondo dato. 215

La filosofia autentica è per Berdjaev una via di elevazione creativa, una forma di conoscenza “metalogica”, «intuizione che va al di là della necessità del mondo»,216

e perciò partecipa di dinamiche che trascendono la necessità scientifica: «la filosofia, comunque la si consideri, non è assolutamente una scienza e non deve assolutamente essere scientifica»217 scrive il Nostro, e l’incomprensione di tale fatto

fondamentale da parte dei filosofi ha generato un sanguinoso equivoco che li ha sovente condotti a tradire la loro vocazione superiore: essi infatti «vogliono fare della filosofia una scienza universalmente vincolante, perché la verità deve essere vincolante, e ai loro occhi quella scientifica sembra l’unica forma di conoscenza che possa avere una simile pretesa»,218

«sono pronti a credere nella conoscenza

214 BERDJAEV N. A., Il senso della creazione, p. 51. 215 Ivi, p. 53.

216 Ibidem. 217 Ivi, p. 48. 218 Ivi, p. 57.

filosofica solo in analogia con quella scientifica»,219

e non comprendono la natura erotica e matrimoniale della conoscenza “autentica”, che si fonda invece «sull’intuizione, cioè su di una penetrazione simpatetica e amorosa nella sostanza delle cose», capace di cogliere quella verità che sfugge all’analisi scientifica, «che ci lascia ancora esterni alle cose, alla superficie».220

L’”inattingibile” si rivela soltanto alla coscienza comunionale, l’affastellarsi progressivo delle dimostrazioni logiche non può di fatto aggiungere una sola virgola alla verità rivelatasi all’intuizione. Le necessità dimostrative inerenti alla scienza pertengono esclusivamente al mondo decaduto, in cui l’uomo è divenuto homini lupus, alieno ed estraneo a se stesso e agli altri: «e gli estranei – chiosa Berdjaev – sono costretti a dimostrarsi ogni verità di cui parlino».221

In tale ottica, non solo il pensiero scientifico-dimostrativo viene esautorato dal suo ruolo di garante della verità, ma diviene addirittura pietra d’inciampo nel cammino dell’uomo verso di essa, perché genera una pericolosa illusione; è necessario allora che la filosofia si liberi dal «potere illusorio della dimostrazione» poiché «non c’è nulla che preceda logicamente l’intuizione di un filosofo».222 Per i pensatori religiosi russi dunque, la filosofia, ancora prima di

essere indagatrice della verità, è debitrice della “Verità”, è, come nota giustamente Pietro Modesto, «testimonianza e confessione dell’esperienza», e solo in secondo momento diviene ermeneusi, «cioè spiegazione di detta esperienza».223 Suo

compito primario è accogliere la verità ricevuta ed esprimerla con la formulazione più adeguata possibile:

Il compito della filosofia è quello di trovare la formulazione più perfetta della verità percepita nell’intuizione e di sintetizzarla poi in una formula. In filosofia si viene convinti e trascinati dalle formule, dalla loro intensità e chiarezza, dalla luce che ne emana, e non dalle dimostrazioni e dalle deduzioni. […] La filosofia presuppone una comunione fondata sull’intuizione delle verità prime ed ultime e non sulle dimostrazioni del pensiero discorsivo che si fermano sempre in uno spazio intermedio.224

È del resto questa la dinamica delle genesi creative berdjaeviane, se si presta fede a quanto lui stesso racconta: «Mi è sembrato sempre che per comunicare i miei pensieri e convincere gli altri, l’unica cosa che potessi fare era formulare in maniera chiara e precisa le mie intuizioni. [...] Mi interessava esprimermi e gridare

219 Ivi, p. 48. 220 Ivi, p. 67.   221 Ivi, p. 59. 222 Ivi, p. 71.

223 Introduzione di P. Modesto a FRANK S. L., L’inattingibile, Jaca Book, Milano 1976, p. XVI. 224 BERDJAEV N. A., Il senso della creazione, pp. 74-75. Corsivo di Berdjaev.

al mondo quello che una voce interiore mi rivelava come verità»;225

«Il lavoro creativo in me è passivo, avviene senza sforzo. Mi sembra che dalle mie profondità s’innalzino delle onde sempre più alte, sempre più luminose. Da queste onde nasce il pensiero».226

In sintesi, per Berdjaev il rifiuto di uno sviluppo dimostrativo, logico e sistematico del pensiero è la personale riaffermazione dell’a-razionalismo che caratteristica il pensiero religioso russo, la riproposizione di quella “via regale della conoscenza” cui abbiamo precedentemente accennato. L’aforisma come proposizione assoluta, sciolta dalle esigenze argomentative e dimostrative proprie del pensiero razionale scientifico, è la forma stilistica che meglio esprime un pensiero che si pretende espressione sintetica e concisa di una verità “numinosa”. A tale riguardo, vale la pena notare che ciò pone il pensiero aforistico berdjaeviano in una posizione affatto originale; il richiamo all’aforisma come espressione di una concezione unitaria e comunionale infatti, contraddice l’idea comune di questo genere tipologico, legata solitamente ad una poetica del frammento. Proprio in questi termini, ad esempio, lo descrive Louis Van Delft, uno dei massimi studiosi del genere. Egli evidenzia come costitutivamente l’aforisma sia incompletezza, «mancanza, assenza. È il risultato di una rottura di cui ancora porta il segno»; per i romantici è segno di «mutilazione», «poesia delle rovine», «membra disjecta», «bisogno lancinante della completezza originaria».227

Nell’aforisma di Berdjaev, al contrario, non vi è nulla di frammentario: «il mio pensiero – dice – non si perde affatto in particolari e dettagli. Anzi è estremamente centralizzato, totalizzante, teso a raggiungere un significato integrale. L’aforisma è un microcosmo, riflette il macrocosmo e porta in sé tutto».228 Nell’aforisma vi è

l’espressione sintetico-intuitiva del tutto, non una parte di verità, ma la verità totale in minore, non solo un frammento, una scheggia del cosmo, ma il cosmo totale in minore: «L’aforisma per me è un microcosmo del pensiero, in esso si riassume tutta la mia filosofia, in esso non vi è nulla di diviso è parziale. È la filosofia concreta e integrale». 229

225 BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 86.

226 BERDJAEV N. A., Iz zapisnych knižek [Notazioni sui libri] in «Mosty», n. 7, 1961, pp. 207-211, p.

211.  

227 VAN DELFT L., Aspetti del frammento nell’età classica, in Configurazioni dell’aforisma, vol. I, a cura

di G. Cantarutti, CLUEB, Bologna 2000, pp. 11-28, pp. 22-23.

228 BERDJAEV N. A., Autobiografia spirituale, p. 86. 229 Ibidem.