1.2. UNA PREMESSA: UN BREVE EXCURSUS SULL’ANALISI SOCIOLOGICA IN TEMA DI GIOCO
1.2.3. Alcune teorie sul giocatore d’azzardo
Partendo da una prospettiva critica della teoria sub-culturale di Cohen (1963) ed orientando il focus dell‟attenzione sul giocatore d‟azzardo – sottolineando la natura socialmente costruita del gap – David Matza e Gresham Sykes (1957), nel saggio
Theory of Delinquency, disaminano le cosiddette tecniche di neutralizzazione della
norma, che gli scommettitori utilizzano per sottrarsi alle responsabilità dei propri comportamenti di gioco.
Gli Autori affermano che tutti i membri di una società, devianti compresi, sono legati al sistema di valori dominante, ma che taluni conquistano la possibilità (libertà) di attivare comportamenti diversi (ad esempio ludici) o delinquenziali mediante l‟uso di tecniche di neutralizzazione (delle regole socialmente condivise), cioè alcune strategie cognitivo-sociali finalizzate alla razionalizzazione del proprio comportamento e mirate a minimizzarne l‟incoerenza con i valori condivisi, fra cui:
- la negazione della responsabilità: qualora il giocatore sostiene che forze esterne abbiano causato il suo comportamento, contro o indipendentemente dalla sua volontà;
- la negazione del danno: ogni volta che il giocatore tende a sminuire il danno causato sostenendo che “non voleva fare del male a nessuno” a partire da sé stesso;
- la negazione del riconoscimento della vittima: laddove lo scommettitore sostenga che, la parte offesa dai suoi comportamenti, meritasse il danno (per esempio i familiari);
- la condanna di chi condanna: il giocatore evidenzia la volontà dell‟altro di procurargli del male (stigmatizzandolo);
- il richiamo a fedeltà più alte: il giocatore razionalizza il suo comportamento come svolto a favore di qualcuno, giustificandosi con un “non l‟ho fatto per me”.
Si consideri che, i giocatori nel corso della propria carriera esperiscono sia l‟indebolirsi della propria rete sociale (famiglia, amici, colleghi di lavoro, ecc.), a causa del crescente coinvolgimento nelle attività ludiche e dei continui rinforzi negativi in merito alle scelte messe in atto relativamente al gioco ed alla gestione del
denaro (relativamente a ciò si vedano, fra gli altri, Ocean, Smith, 1993; Rosecrance, 1986; Sanicola, Bosio, 2002), che discriminazioni dall‟esterno – in un circolo continuo – provocando un rafforzamento dell‟adesione alla sub-cultura dell‟azzardo che protegge i giocatori dalla stigmatizzazione che ricevono dal mondo “esterno”, la neutralizza, preservandoli dai sentimenti di discrasia che li costringerebbero, diversamente, a mettere in discussione il proprio comportamento.
I processi che agiscono sull‟autostima sono stati messi in rilievo anche da Bandura (1991; 2002) che, nell‟analisi socio-cognitiva del ragionamento e del comportamento morale, ha individuato i meccanismi che consentono ai soggetti, pure a coloro che fanno riferimento a standard morali elevati (Bandura, 2006), di interpretare in maniera distorta un‟azione riprovevole al fine di salvaguardare l‟immagine di sé. In particolare, l‟Autore propone otto meccanismi di disimpegno morale (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 2006) che operano al “livello dell‟interpretazione dell‟azione” (giustificazione morale, etichettamento eufemistico e confronto vantaggioso), al “livello della distorsione del rapporto esistente fra causa ed effetto” (spostamento e diffusione della responsabilità, distorsione delle conseguenze) ed, infine, al “livello della rappresentazione della vittima” (deumanizzazione e attribuzione di colpa). Analizzando, nello specifico, i singoli meccanismi (Bandura et al., 2001; Caprara, 1997) è possibile rilevare che:
- la giustificazione morale consente di presentare a sé stessi e agli altri una condotta nociva come rispondente a princìpi socialmente accettabili. Attraverso tale meccanismo le azioni vengono giustificate in modo da salvaguardare la rappresentazione del sé e non contraddire i princìpi cui il soggetto si ispira ridefinendo il significato dell‟azione compiuta;
- l‟etichettamento eufemistico, attraverso il linguaggio, tende a ridurre la gravità dell‟azioni compiuta definendola con termini che ne minimizzano gli effetti; - il confronto vantaggioso consiste nel chiamare in causa comportamenti ritenuti
peggiori al fine di distogliere l‟attenzione dagli effetti negativi della propria condotta;
- lo spostamento di responsabilità permette al soggetto di non attribuirsi un ruolo attivo nel compimento di un‟azione dislocando la responsabilità ad un livello superiore che può essere rappresentato da una legittima autorità o anche dalla società in generale;
- la diffusione della responsabilità consente al soggetto di condividere la responsabilità dell‟agito con un gruppo più ampio, il “branco” o la “banda giovanile” permettendo ai singoli membri di sentirsi meno coinvolti;
- la distorsione delle conseguenze può essere attuata minimizzando gli effetti di un comportamento al fine di ridurre la colpa personale e interpretare come lecita anche un‟azione deviante;
- l‟attribuzione di colpa spinge il soggetto ad interpretare il proprio comportamento come provocato dall‟altro (la vittima) e ad esonerarlo dalla gravità delle conseguenze dell‟azione compiuta;
- la deumanizzazione della vittima consiste nel deprivare il soggetto cui sono rivolte le azioni dannose, riducendolo al rango di oggetto o di animale.
Per quanto concerne i fattori che favoriscono o inibiscono l‟inclinazione all‟uso dei meccanismi di disimpegno morale, il quadro delle ricerche, in tal senso, appare complesso e non sempre coerente: alcuni studi hanno, infatti, individuato la povertà
dell‟ambiente sociale, l‟educazione ricevuta dai genitori e l‟empatia come possibili precursori del disimpegno morale (Williamson, Hyde, 2007; Detert et al., 2008), mentre altri hanno evidenziato l‟assenza di correlazione fra status socio-economico e inclinazione all‟uso di meccanismi di disimpegno morale (Bandura et al., 1996).
Con il termine disimpegno morale, dunque, vengono indicate strategie utilizzate, a livello individuale e gruppale, per svincolarsi dalle norme, eludere la responsabilità ed agire azioni in contrasto con il sistema di valori socialmente condiviso, orientate verso una dimensione di libertà volta al compimento di un‟azione azzardata come quella del giocatore patologico e riassunta nel concetto di “deriva” che implica la convergenza fra la cultura delinquenziale e quella mainstream.
Tali strategie possono anche costituire la premessa per la fondazione di una cultura dell‟azzardo di tipo sub-culturale che, tuttavia, non si contrappone frontalmente, e con caratteri contro-culturali, alla legislazione sociale: «il giocatore d‟azzardo, pertanto, come il giovane deviante, non rappresenta un‟opposizione radicale ma piuttosto un fallimento preannunciato» (Sykes, Matza, 1957, pg. 668).
Inoltre, nonostante il progressivo adattamento culturale verso le pratiche di gioco tradizionalmente riconosciute come devianti21, si evidenzia come sia ancora la prospettiva della maggioranza della collettività a definire il ruolo del giocatore d‟azzardo. Lo scommettitore è il prodotto di una reazione sociale di tipo processuale in cui intervengono, da un lato, i processi comunicativi connessi alle pratiche di gioco e, dall‟altro, l‟attribuzione di significato che i comportamenti ludici ricevono (Erikson, 1962, pg. 308).
La condizione di giocatore d‟azzardo è “oggettivata” dalla qualità della risposta sociale, quali atti linguistici o collettivi, piuttosto che dalle caratteristiche dell‟agire stesso, avviando l‟individuo, stigmatizzato, alla definizione di un nuovo ruolo e di una diversa identità: «Se una società definisce un certo tipo di condotta come deviante, allora coloro che la assumono dovranno sopportare le conseguenze di essere considerati devianti, che gli piaccia o meno» (Berger, Berger, 1977, pg. 370).
Lo stigma, nella definizione coniata da Goffman (1970) – formulata in origine con riferimento ai malati psichiatrici –, costituisce un discredito sociale permanente che affligge la percezione sociale di una persona, spostando l‟attenzione dai caratteri positivi, impedendone l‟accoglimento in un ordinario rapporto sociale e finendo per assumere una funzione educativo-addestrativa collettiva. In tal senso, lo stigma è utilizzato come strumento di gestione delle relazioni collettive, dei comportamenti dei singoli e del mantenimento dei valori del gruppo d‟appartenenza.
Altri autori si sono poi impegnati nella definizione del termine “stigma”, soffermandosi, in particolare, sulle implicazioni sociali ad esso connesse. A tale proposito, Miles (1984) ha definito lo stigma come una reazione della società che seleziona certi attributi, li giudica indesiderabili e svaluta la persona che li possiede. Da questa prospettiva, pertanto, lo stigma è strettamente correlato alla cultura di appartenenza ed alla contingenza storica, politica e sociale. Ed ancora, Huxley (1993) indica lo stigma come una discriminazione negativa basata sulla mancanza d‟informazione; Dain (1994) paragona lo stigma ad un pregiudizio che riguarda un‟intera classe di persone marchiandole irreversibilmente; Susman (1994), infine,
21
Su questi temi si vedano tra gli altri: Wynn S. (1980); Ritzer G., Stillman T. (2001); Cosgrave J.F. (2006); Kingma S.F. (2010); Humphreys A., Latour K.A. (2013).
descrive lo stigma come un tratto persistente di un individuo o di un gruppo evocante reazioni negative o punitive.
Il termine “stigma” è, quindi, strettamente correlato al concetto sociologico di devianza. Scheff (1974), sociologo dell‟Università della California di Santa Barbara argomenta che la devianza può essere più utilmente considerata come reazione sociale ad un atto, piuttosto che una caratteristica intrinseca dell‟agire. Sono «i gruppi sociali a creare la devianza stabilendo delle norme la cui infrazione va a costituire appunto la devianza e applicandole a particolari individui che vengono classificati come estranei... la devianza non è una qualità dell‟atto che una persona compie, ma piuttosto una conseguenza dell‟applicazione da parte degli altri di regole e sanzioni al trasgressore. Il deviante è uno cui questo marchio è stato applicato con successo; il comportamento deviante è tale in quanto così marchiato dalla gente» (pg. 28). Il deviante non è solo chi si è reso responsabile di azioni anormali o criminali, ma chi in seguito a sue determinate caratteristiche somatiche o psichiche o al suo agire diviene stabilmente immagine di un modo di essere che va pubblicamente evitato (ivi).
In quest‟ottica, diviene determinante il carattere processuale delle carriere di gioco in cui la stigmatizzazione determina la progressiva interiorizzazione, da parte del giocatore, dell‟identità che gli viene “assegnata” dall‟opinione pubblica.
Si tratta, dunque, di una reazione sociale non solo percepita dal giocatore ma anche fatta “propria”, che funge da rinforzo stabilizzando il comportamento in causa, anche per via dell‟isolamento e dell‟auto-segregazione dei gruppi non conformi.
Si è in presenza di un modello sequenziale nella costituzione di un comportamento che contraddistinguerà il giocatore patologico: «chi entra in una posizione trova già, virtualmente, un sé: egli non deve far altro che aderire alle pressioni che subirà e troverà un io bell‟è fatto per lui» (Goffman, 1979, pg. 6).
Sostanzialmente, il giocatore patologico attraverso il processo di stigmatizzazione interiorizza il suo stereotipo come parte integrante dell‟identità personale. L‟essere etichettato con un marchio infamante (Goffman, 1970) produce anche una degradazione di status in quanto ad esso saranno assegnati altri comportamenti tipicamente deprovevoli come l‟essere violento, l‟utilizzo di sostanze psicoattive, l‟essere inaffidabile etc…La persona così identificata modificherà di conseguenza la sua visione del mondo con un mutamento nella gerarchia dei valori (Lemert, 1981) ed il proprio set di ruoli con una probabile affiliazione ad una sottocultura deviante (Becker, 1963) 22.
22
Vale la pena ricordare che la “teoria dell‟etichettamento” (o labelling approach), che vede tra i suoi maggiori esponenti Lemert e Becker e muove i suoi primi passi negli Stati Uniti tra gli anni „50 e ‟60, si basa sul presupposto che la definizione di un comportamento deviante è del tutto relativa, in quanto dipende dalla definizione normativa che in un dato contesto sociale di riferimento, viene attribuita ad un comportamento ed il “deviante” è colui che viene etichettato come tale in quella stessa realtà. Dunque se, per “devianza primaria”, s‟intende quella condotta deviante che prescinde dalle reazioni sociali e psicologiche che modificano il ruolo e l‟identità del soggetto agente; l‟etichettamento risulta correlato alla cosiddetta “devianza secondaria” che si realizza come effetto della reazione sociale e comporta peculiari effetti psicologici: l‟attore si percepisce come deviante, sviluppa tutta una serie di atteggiamenti oppositivi che il ruolo comporta, con conseguente fissazione in tale ruolo di deviante.
Un altro aspetto rilevante è quello della visibilità delle persone stigmatizzate, della loro percettibilità o evidenza intese come fattori che influenzano, con importanti conseguenze, l‟identità sociale di un individuo nelle sue relazioni quotidiane. A tale proposito, è interessante notare come la percezione dello stigma sia modificata dalla conoscenza diretta della persona: lo stesso Goffman (1970) aveva posto in evidenza come, sebbene i rapporti di familiarità non siano univocamente correlati ad una riduzione del disprezzo, la frequentazione induce una maggiore disponibilità alla tolleranza. Anche se, per contro, lo stesso autore mette in risalto come lo stigma tenda a diffondersi fra la rete parentale.
Dalla letteratura emerge come una corretta informazione possa far diminuire lo stigma (Storper-Perez, 1969; Vender, 1987; Steadman, Cocozza, 1978; Shain, Phillips, 1991; De Martis et al.,1987; Scheff, 1974; Kuypers, Bengston, 48).
Infine, il giocatore problematico è al contempo oggetto di ripudio sociale e di assistenza (Lemert, 1981), infatti, alla stigmatizzazione si affiancano una serie di politiche ed interventi terapeutici volti al recupero ed alla ri-socializzazione dello scommettitore.