Questo ultimo paragrafo di analisi raccoglie le riflessioni e le valutazioni degli intervistato riferite alla comprensione della relazione dei giocatori d‟azzardo con i servizi di reupero, ovvero, le modalità di accesso ai servizi, la scelta dei percorsi riabilitativi, i tentativi di cessazione dei comportamenti di gioco e le opinioni degli utenti sui servizi abilitati alla cura del gioco patologico.
Dall‟analisi svolta appare da subito chiaro che oggi ci troviamo di fronte ad un gioco d‟azzardo che assume caratteristiche inedite e che richiede per tale ragione, delle attenzioni particolari ed interventi ad hoc, anche in funzione delle conseguenze derivanti dal gioco d‟azzardo (come molti studi sul tema confermano: cfr. Croce, Zerbetto, 2001; Whelan, Steenbergh, Meyers, 2010; Cattarinussi, 2013). Si tratta di un gioco prevalentemente solipsistico e la riduzione dei tempi di gioco (attuati attraverso un click e grattando la patina gialla), la velocità e l‟immediatezza della vincita e l‟ampia diffusione dei giochi (nonché online), hanno favorito notevolmente l‟accesso a tali attività.
Le interviste svolte ai giocatori confermano quanto sostenuto dai contributi in ambito scientifico: si nota infatti come, i bar, i tabacchi, le ricevitorie e le sale da gioco – disponendo di slot machines, terminali per il gioco del Lotto, Superenalotto e di punti vendita Gratta e Vinci –, si attestano come i luoghi prediletti per il gioco. E la loro diffusione sul territorio nazionale e locale, a detta della maggior parte degli intervistati, determina un accesso frequente pressoché quotidiano dei giocatori verso i luoghi detti, coinvolgendoli in modo quasi totalizzante:
“In centro i negozi non lavorano, li chiudono e aprono dei tabacchi. Sa i tabacchi fra le sigarette e il gioco d‟azzardo lavorano […]” [intervista n. 24, maschio, 64 anni]
“[…] ma oramai le macchinette sono dappertutto ed è per questo che è una malattia molto diffusa perché la gente può giocare con tutto dappertutto” [intervista 25, femmina, 37 anni]
“[…]di solito, mi viene voglia quando passo dal bar a prendere il caffè o le sigarette e vedo le macchinette…ormai sono ovunque […]” [intervista n. 28, femmina, 45 anni]
Non si deve, peraltro, dimenticare il ruolo svolto dal web in cui è possibile svolgere tutte le attività di gioco preferenziali. Tale modalità permette un accesso costante al gioco senza limiti di tempo e di spazio (è fruibile comodamente da smartphone e ipad), consente di svolgere contestualmente più scommesse (in pagine diverse, facilmente, influisce sull‟auto percezione del giocatore (soprattutto con riferimento alla perdita di controllo del denaro speso attraverso carta di credito) e delle finalità del gioco, inteso come momento di condivisione con gli altri soggetti coinvolti:
“Di solito gioco principalmente online da casa oppure vado nelle ricevitorie...La differenza sta nella semplicità di connettersi online e verificare le partite su cui puoi giocare (mentre se devi andare in ricevitoria perdi del tempo e magari la partita su cui vuoi giocare è già iniziata) e lì sta anche il problema che puoi giocare h24” [intervista n. 15, maschio, 37 anni]
Contestualemente ad una maggiore accettazione e diffusione del gioco si assiste ad una crescente consapevolezza per quelle che sono le derive del medesimo. Negli ultimi anni, le attenzioni delle istituzioni e delle agenzie di controllo sono dirette a scongiurare gli effetti iatrogeni dell‟azzardo con riferimento al singolo giocatore e al contesto sociale di riferimento. Nonostante ciò, si assiste ad una situazione connotata da forti ambiguità sia a livello legislativo che di politiche pubbliche: se da un lato c‟è una forte consapevolezza dei rischi per la popolazione derivati dalle attività di gioco, dall‟altro si assiste alla promozione di tali attività a livello centrale, dovuta ai forti interessi economici legati al settore dell‟azzadardo. Si calcola che nel 2016 la spesa dei giocatori è stata pari a 17,1 miliardi di euro, con una spesa netta del pro-capite pari a 285 euro (Gbgc, 2016).
Tale questione è sollevata in più occasioni dagli stessi intervistati, che presentano il gioco d‟azzardo quale occasione estremamente ghiotta per il governo centrale che si trova a fare i conti, da un lato, con l‟attuale crisi economica, e, dall‟altro, con l‟enorme giro di affari generato dall‟azzardo:
“Nei casinò quando uno perde c‟è gente che ti viene vicino e chiedono se ti servono dei soldi..è probabilmente gente benestante, gente che guadagna sui disgraziati...ma anche lo Stato fa lo stesso solo che lo fa “legalmente”. Anzi fa più schifo lo Stato” [intervista n. 2, maschio, 53 anni]
“Una mafia, cioè lo Stato, perchè è tutto un business che mangia a discapito della gente” [intervista n. 5, femmina, 23 anni]
Difatti, il Decreto Balduzzi (legge n. 189 dell‟8/11/2012) se da un lato include il gioco d‟azzardo patologico nei Livelli essenziali di assistenza (LEA) pubblica, dall‟altro, introduce un nuovo tipo di Superenalotto e rimane piuttosto vago in merito alle modalità dei messaggi che incitano al gioco, lasciando spazio ad ampi margini di interpretazione.
Le contraddizioni riguardano anche le politiche pubbliche con riferimento alla progressiva liberalizzazione e legalizzazione dei giochi d‟azzardo, dunque all‟affermazione di sistemi di (de)regolamentazione più “aperti” che hanno permesso l‟ingresso nel business di nuovi operatori e l‟erogazione di nuove tipologie di scommessa; ad un maggior coinvolgimento, rispetto al passato, dell‟imprenditoria privata nel settore dei giochi d‟azzardo ed allo snellimento delle pratiche per l‟ottenimento delle licenze di gioco.
Tale scenario, dunque, può configurarsi come un terreno fertile per il proliferare dei casi di gioco d‟azzardo patologico e delle conseguenze da esso derivate che si riflettono, come visto più sopra, non solo sul singolo giocatore ma anche sulle reti sociali, familiari, economiche e, in una prospettiva più ampia, anche sul sistema economico e sugli interventi nell‟area dell‟azzardo.
Dalle interviste si evince come i servizi si muovano sul fronte del trattamento vero e proprio dei giocatori patologici e delle conseguenze che la compulsione al gioco ha portato con sé.
In tal senso, i servizi colgono le esigenze degli utenti che fra le motivazioni che hanno condotto il giocatore a rivolgersi ai servizi specializzati per il trattamento delle ludopatie dichiarano, prevalentemente, la necessità di risalire rispetto ad una disastrosa condizione economica che ha messo al lastrico il giocatore, talvolta, la riusciuta della gestione economica della famiglia o a rischio fallimentare l‟attività familiare (qualora le giocate fossero finanziate prelevando i soldi dalle casse del lavoro); e/la volontà di salvaguardare la famiglia, esausta dalle attività di gioco del proprio congiunto e l‟urgenza di ricostruire un tenore di vita dignitoso e le relazioni lavorative e affettive mancate.
L‟unicità delle singole esigenze e situazioni prospettate dai giocatori pongono l‟esigenza di attivare risposte mirate ad attenuare o risolvere problematiche legate a tutti gli esiti negativi della ludopatia, lavorando su più fronti e attraverso il coinvolgimento di più figure e ambiti professionali.
Per quanto riguarda l‟accesso ai servizi, esso avviene su base volontaria, ad eccezione di un caso che vede un giocatore detenuto per reati contestati e, dunque, seguito per prassi dai servizi di recupero dall‟azzardo patologico all‟interno della struttura carceraria.
Relativamente a coloro che accedono ai servizi, si evidenzia come – già rilevato attraverso i dati socio-anagrafici e occupazionali degli intervistati – l‟utenza sia piuttosto eterogenea e rispetto all‟appartenenza ai vari strati sociali si rileva la presenza di ogni categoria sociale, risultando piuttosto complicato identificare gruppi maggioritari. Piuttosto, una prevalenza di accessi per comportamenti di gioco patologici con riferimento al gioco delle slot machines e video poker sia nei casi di giocatori di sesso femminile, che maschile; a seguire, le scommesse sportive e ippiche, i giochi delle carte e Gratta e Vinci/Lotto istantaneo.
Ed ancora, è stato riscontrato un accesso maggiore delle giocatrici femmine al Sud Italia. Questo dato potrebbe trovare spiegazione nella condizione di precarietà lavorativa, o ancora, di disoccupazione appartenente a gran parte degli abitanti del sud italia, in particolare le donne, che, come provato dalla letteratuta scientifica a tema, incidono positivamente sui comportamenti di gioco e sullo sviluppo di condotte compulsive; ma anche nella fragilità di ruolo in cui ancor‟oggi è obbligata la donna in meridione che potrebbe condurre a insoddisfazione personale, dunque a riversale su condotte ludiche sostitutive. Tuttavia, non essendo il gruppo di riferimento statisticamente rappresentativo, il dato risulta prettamente orientativo.
Dalle interviste si evince che gli intervistati sono stati indirizzati verso i servizi di recupero territoriali da operatori che operano nel settore della sanità (medico di base, psichiatra, psicologo o, più spesso, dai familiari (coniugi, fratelli, sorelle) da fidanzati/e, e da amici o conoscenti di famiglia al corrente della problematica espertita dal soggetto. Fra i giocatori che si sono spontaneamente diretti in struttura, invece, c‟è chi ammette di aver trovato il contatto sull‟elenco telefonico, nel volantino pubblicitario del gioco responsabile o, solo in un caso – si noti –, online.
Si noti che, nonostante ogni servizio abbia un sito istituzionale e le campagne di prevenzione del gioco d‟azzardo, ci sono ancora utenti che dichiarano che prima di essere indirizzati verso la struttura non erano al corrente dell‟esistenza del servizio:
“Non conoscevo questo servizio e sono rimasta stupita che sia completamente gratuito” [intervista n. 21, femmina, 40 anni]
“Di lì a poco andai in comune per chiedere aiuto ai servizi sociali perché non conoscevo l‟esistenza del Ser.T. e vidi il bigliettino del gioco responsabile con il numero verde e ho chiamato […]” [intervista n. 24, maschio, 64 anni]
Inoltre, se è vero che il gioco d‟azzardo si colloca fra le addiction pur trattandosi di una dipendenza “senza sostanza”, dunque, venendo meno la percezione dell‟alterazione della coscienza, i percorsi riabilitativo devono sviluppare risposte adeguate a questa “nuova utenza”. I diversi casi presi in esame mostrano risposte mirate ad attenuare o risolvere i sintomi del gioco d‟azzardo patologico e le problematiche legate alle derive che tale attività può assumere. Questo risultato è dedotto dalla generale soddisfazione dei giocatori intervistati in merito ai percorsi di cura seguiti, nonostante, nella maggior parte dei casi, le attività di gioco non siano state del tutto abbandonate:
“L‟idea di contattare il Ser.T. è stata la mia e mi sono trovato benissimo lì in cura, la psicologa è una bravissima donna, mi ha dato veramente una mano e sono riuscito a smettere completamente di giocare” [intervista n. 7, maschio, 30 anni] “Sono molto contenta del percorso che ho fatto fin‟ora” [intervista n. 29, femmina, 48 anni]
“No assolutamente, fanno egregiamente il loro lavoro di sostegno e recupero per i giocatori” [intervista n. 13, maschio, 61 anni]
“Penso che i servizi funzionano bene, gli operatori sono validi” [intervista n. 17, maschio, 52 anni]
“Secondo me i servizi sono ottimi, anzi, fanno anche troppo” [intervista n. 20, maschio, 50 anni]
“Io ho avuto un‟esperienza positiva…non posso dire diversamente, anzi posso solo ringraziare” [intervista n. 25, femmina, 37 anni]
“Per me è stata un‟esperienza molto positiva, hanno risolto la mia situazione, mi sento davvero supportato […]” [intervista n. 31, maschio, 30 anni]
Ogni intervento risulta modulato sulle necessità specifiche dell‟utente che può perciò prevedere percorsi differenti. La maggior parte degli intervistati ha seguito una terapia psico-individuale che, dalle opinioni riportate, è risultata di estrema importanza nello scongiurare l‟attività di gioco:
“Io ho sempre seguito la terapia individuale e all‟inizio seguivo anche il gruppo dei giocatori anonimi, però in questo secondo caso senza effetto..Invece con la dott.ssa ho ottenuto un buon risultato […]” [intervista . 13, maschio, 61 anni] “Qui al Ser.T. sono due anni che mi seguono e all‟inizio facevo due incontri a settimana con la psicologa e uno con la psichiatra. Ora ne faccio solo uno con la psicologa. Effettivamente non ho più avuto ricadute, ho giocato tre volte in tutto ma credo per mettermi alla prova” [intervista n. 23, maschio, 52 anni]
“Sto facendo un colloquio ogni quindici giorni con la psicologa. E sono sincera nel dire che mi ha aiutata molto perchè io sono molto chiusa e restia nel dire le cose e invece è riuscita a farmi parlare e capire tante cose. E quando le cose si capiscono, di conseguenza, si trova anche la soluzione” [intervista n. 28, femmina, 45 anni]
“Vengo una volta a settimana dalla psicologa e mi è servito molto per capire dentro di me, cosa mi stava succedendo e avere fiducia in un cambiamento” [intervista n. 29, femmina, 48 anni]
I percorsi riabilitativi presi in esame prevedono, oltre ai trattamenti di psicoterapia individuale che mantengono il loro primato e ottengono il maggior gradimento dell‟utenza, anche altre tipologie di interventi che mirano ad una riparazione delle conseguenze negative che il gioco d‟azzardo ha avuto a livello economico, sociale e relazionale. Alcune di esse, infatti, prevedono colloqui motivazionali, servizi di terapia familiare, colloqui di consulenza familiare, consulenze di coppia, gruppi di mutuo aiuto con i giocatori e con i loro familiari, sostegno di gruppo con helper, programmi di pianificazione di rientro del debito, talvolta attraverso il di un tutor economico.
Per quanto riguarda le relazioni familiari, possiamo notare nelle parole degli intervistati, che l‟utenza dei servizi sia composta prevalentemente da soggetti che non sono soli ma sono supportati dai membri della famiglia nel recupero di un buon livello di benessere (in termini di sostegno, incentivo, riconoscimento e riforzo). La famiglia così intesa – quale capitale sociale di contrasto dei problemi connessi ai comportamenti di gioco eccessivi – svolge un ruolo determinante specialmente per quanto riguarda, in fase iniziale, la gestione del denaro e il controllo delle spese del giocatore. Infatti, ancor prima di intervenire sui sensi di biasimo, frustrazione, vergogna e di sfiducia che caratterizzano le relazioni parentali dinnanzi alla scoperta della dipendenza del loro congiunto, pare utile creare percorsi di riavvicinamento, intervenendo sulla sfera economica, che si presenta come quella che più drammaticamente danneggia i giocatori, creando rotture all‟interno del nucleo familiare. La ricostruzione della rete economica e dei danni dovuti ai debiti di gioco, vede, talvolta, l‟intervento dell‟amministratore di sostegno o di un avvocato di fiducia:
[…] mi è capitato di chiedere prestiti a chiunque, anche dei prestiti in banca che ora sto restituendo con l‟aiuto dell‟amministratore di sostegno […] [intervista n. 24, maschio, 64 anni]
..io ora non ho neanche i soldi in mano, me li gestisce il mio avvocato...mi da 100 euro alla settimana per vivere poi se mi serve qualcos‟altro devo passare da lei [intervista n. 3, maschio, 57 anni]
Sì, anche mio fratello è un grande giocatore alle macchinette […] lui non ha mai avuto la gestione familiare dei soldi, perché sua moglie ha sempre saputo che lui giocava e gli da una cifra al mese che si deve far bastare [intervista n. 22, femmina, 64 anni]
[…] adesso mi incontro con l‟amministratore ogni due giorni, mi da 30 euro per la spesa e mi gestisce la pensione...almeno sto riuscendo a restituire i soldi dei prestiti e vivo più sereno [intervista n. 24, maschio, 64 anni]
Per esempio ora non ho più la gestione economica della famiglia, ma è di mia figlia, quando devo andare a casa di mia mamma mi accompagna sempre mio marito mentre prima andavo a piedi da sola…[intervista n. 27, femmina, 63 anni] Per contro, nelle interviste svolte i giocatori lamentano un mancato riconoscimento della sofferenza esperita124 da parte dei familiari che non comprendono i risvolti patologici del gioco d‟azzardo e da cui, pertanto, non ricevono supporto. La mancanza di un riconoscimento da parte della rete affettiva rende ancora più arduo il percorso di responsabilizzazione del giocatore e l‟adesione a misure da porre in essere per superare il problema del gioco, spingendolo ad esperire sconforto e sensazioni di isolamento ed emarginazione:
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Seppur con un più generico riferimento alla collettività di riferimento Ricerca cipolla il dato conferma il risultato emerso della ricerca Le implicazioni criminologiche e vittimologiche
[…] ho chiesto un prestito ai miei fratelli che mi hanno dato 500 euro, ma mi hanno anche avvisato che non mi daranno più nulla in caso di necessità…e questo non è giusto, non puoi non aiutare un fratello, anche se non ho mai restitutito i prestiti…se poi però consideri il gioco una malattia...[intervista n. 26, maschio, 57 anni]
Della mia famiglia non mi ha aiutato nessuno, neanche quando ero al lastrico [intervista n. 24, maschio, 64 anni]
Non mi sono sentita supportata, cioè alla fine ho ricevuto indifferenza...gran parole e basta! [intervista n. 29, femmina, 48 anni]
Talvolta, i giocatori lamentano un reale riconoscimento del problema e delle conseguenze e delle ripercussioni che esso ha a livello personale – del singolo individuo – e sociale anche da parte della collettività, considerandolo, piuttosto, come comportamento goliardico:
“Il gioco d‟azzardo è rovina. Io non ho mai provato né l‟alcol né la droga, ma credo che sia una dipendenza uguale anzi una dipendenza molto grave. Solo che molti dicono che il gioco è un vizio…[intervista n. 9, femmina, 54 anni]
I percorsi riabilitativi, come detto, contemplano altresì la partecipazione ai gruppi di auto mutuo aiuto, il cui numero può variare da 12 a 30 persone, che si incontrano settimanalmente e che lavorano prevalentemente sul vissuto individuale e di gioco di ciascuno. Così facendo, si creano spazi partecipati, indirizzati al confronto e volti allo sviluppo di relazioni virtuose, prendendo le distanze da un sé esperito come negativo e unicamente legato al ruolo del giocatore. Si dona centralità al carattere relazione del percorso riabilitativo e la comunità si configura come «il luogo dove è possibile superare l‟antinomia che contrappone il soggetto all‟altro da sé, l‟io al tu, perché in essa si realizza il riconoscimento mutuale e reciproco, nelle sue componenti riflessive e autoreferenziali, così come nei termini del riconoscimento dell‟altro» (Vezzadini, 2006). Tuttavia, gli intervistati riportano opinioni discordanti nei confronti dei gruppi dei giocatori anonimi, da un lato considerati come una forma di scambio paritario efficace in termini di supporto introspettivo nella comprensione, e dunque risoluzione, della propria attività di gioco, dall‟altro come intervento comunitario inadatto come metodo – e talvolta imbarazzante – principalmente poiché coinvolge egualmente persone con differenti livelli di problematicità gioco correlata e risulta debole nella tutela dell‟anonimato del giocatore:
“Per esempio con gli altri giocatori conosciuti ai G.A. intrattengo rapporti di supporto e scambio, ed agli incontri colgo il meglio di tutte le testimonianze che vengono da tutti rispettate. Perciò ho trovato molto più utile questo approccio terapeutico” [intervista n. 9, femmina, 54 anni]
“[…] Io penso che più di tutti mi sia servito partecipare ai G.A. […]” [intervista n. 10, femmina, 39 anni]
“Io il martedì sera frequento il gruppo dei giocatori anonimi però il problema è che non c‟è l‟anonimato. Bisognerebbe che noi di Forlì andiamo a Cesena o a Bologna. È inutile dire agli incontri che ci si chiama con un altro nome quando magari conosco un altro giocatore del gruppo. Questo anonimato mi sembra un pò una barzelletta” [intervista n. 6, maschio, 47 anni]
“Mi aveva anche proposto di andare al gruppo dei giocatori anonimi ma come le ho detto io mi sento diversa dagli altri giocatori, solo all‟idea non mi sentivo a mio agio nel parlare della mia esperienza” [intervista n. 22, femmina, 64 anni] “Io ho fatto per un anno un colloquio a settimana con la psicologa e all‟inizio partecipavo anche al gruppo dei giocatori ma non mi trovavo bene perché mi rendevo conto di non essere allo stesso livello di problematicità, mi sentivo a disagio sia a raccontare la mia storia che a trovarmi in mezzo a persone così disagiate dal gioco, diverse da me […]” [intervista n. 29, femmina, 48 anni] “Faccio colloqui con la psicologa e con il gruppi dei giocatori anonimi ho provato ma “teniamoci per mano e cantiamo una canzone” proprio non fa per me. I gruppi secondo me potrebbero aiutare parecchio perché lo scambio di opinioni fra persone che hanno vissuto le stesse cose può aiutare, ma così come sono fatti no […]” [intervista n. 8, maschio, 31 anni]
“Non mi entusiasmano i gruppi anonimi...io penso sia meglio continuare il percorso di cura con persone che già mi conoscono..Infatti io poi ho lasciato i GA e anche mio fratello. Non mi sono trovata perchè in terapia individuale si parla di come rafforzarsi per non giocare mentre nel gruppo si parla solo di gioco e di esperienza di gioco, fa venire voglia di giocare” [intervista n. 1, femmina, 58 anni]
“Vengo ai colloqui con la psicologa e basta! Perchè a me non interessa partecipare ai gruppi dei giocatori anonimi per sentir parlare di gioco e di esperienze che già conosco perchè l‟ho vissuto in prima persona […]” [intervista n. 14, maschio, 64 anni]
Dalle interviste gli interventi residenziali e la terapia farmacologica risultano adottati nei casi di doppia diagnosi frequentemente associati a comorbilità di tipo psichiatrico (depressione, bipolarismo e attacchi di panico), oltre che a disturbi da uso di sostanze (alcol e cocaina). È stato, inoltre, riscontrato che si tratta degli stessi pazienti che prima di accedere al Ser.T. hanno tentato una soluzione alternativa al problema attraverso colloqui privati dallo psicologo/psichiatra o l‟ospedalizzazione