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Alcuni numeri sul disastro ambientale e sanitario: l’ampiezza e i fattori predisponenti

2. Il ruolo della Miteni

2.1. Alcuni numeri sul disastro ambientale e sanitario: l’ampiezza e i fattori predisponenti

La portata del disastro ambientale derivante dai PFAS lo rende uno dei più gravi mai avvenuti in Italia: in base alle informazioni raccolte, le acque potabili contenenti questi composti si estendono per più di 150 km2 e complessivamente sono 350 mila le persone

avvelenate dai PFAS e 800 mila quelle a rischio – un quarto della popolazione veneta241. Di

queste, 90 mila vivono monitorando costantemente le proprie condizioni di salute. I 30 comuni gravemente esposti alla contaminazione sono stati suddivisi in diverse aree in base alle concentrazioni di PFAS: 21 rientrano nella cosiddetta “zona rossa”, quell’area in cui gli effetti sono dell’inquinamento sono più gravi e drammatici242.

238 COTRON P., Tanto tuonò che piovve, anche al GdV: RiMar di Gianni Marzotto, 40 anni di inquinamento da Pfoa, 18 agosto 2018, in https://www.vicenzapiu.com.

239 SOMO (Centre for Research on Multinational Corporations), KIEZEBRIK V., Op. cit., p. 6 ss.

240 Greenpeace Italia in collaborazione con Merian Research, Emergenza PFAS in Veneto. Chi paga?, settembre 2017, in https://www.greenpeace.org.

241 BOTTAZZO R., Pfas, tutti sapevano. Nessuno è intervenuto, 16 giugno 2019, in

https://www.globalproject.info/it/; GENTILINI P., Pfas Veneto, largo agli inquinanti. Perché gli Usa cercano

soluzioni e noi no, in Ambiente & Veleni, 18 marzo 2016, in https://www.ilfattoquotidiano.it. 242 Azienda ULSS 8 Berica, Pfas, Op. cit.

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L’espansione smisurata degli inquinanti a valle del sito sorgente è stata favorita dalla presenza di più fattori tra loro combinati. Due condizioni vanno prese maggiormente in considerazione: le peculiari caratteristiche idrogeologiche del sottosuolo contaminato e le caratteristiche chimico-fisiche dei PFAS stessi. Rispetto a queste ultime si è già detto in precedenza come si tratti di sostanze molto persistenti nell’ambiente. Essendo poi il contaminante per sua natura poco degradabile, anche i fenomeni di diluizione e di attenuazione naturale che si verificano nell’interazione chimico-fisica tra suolo e sottosuolo diventano lentissimi243. Inoltre, anche dal punto di vista organolettico, le sostanze rendono

particolarmente ostica, se non impossibile, la loro rilevazione all’interno di soluzioni acquose in assenza di specifiche analisi tecniche: sono infatti inodori, incolori e insapori. Ciò, unito al fatto che tali composti chimici sembrano non rivelare una tossicità immediata, permette di comprendere come gli PFAS siano rimasti occultati così a lungo nell’ambiente244.

Per quanto riguarda il fattore idrogeologico, il sottosuolo dell’area in cui è ubicata l’azienda chimica Miteni è la sede dell’importante falda freatica che alimenta gli acquiferi della media e bassa pianura occidentale di Vicenza, da cui traggono alimentazioni numerosi pozzi pubblici di approvvigionamento potabile245.

L’area sorgente è particolarmente vulnerabile in quanto qui si verifica la ricarica degli acquiferi, ovvero il processo tramite cui l’acqua si trasferisce dalla superficie sino ad alimentare il corpo idrico sotterraneo. Si è stimato che nel sottosuolo di questa area il flusso possa raggiungere una velocità anche superiore a 10 m/giorno, con strettissimi rapporti di interdipendenza con le acque superficiali246. Eloquente sul punto la metafora utilizzata in

ambito di cronaca: “sotto alla Miteni il terreno è come una bustina di tè, ogni volta che piove il terreno filtra l’acqua, la riempie di PFAS e la lascia defluire nella falda.”247.

Ciascuno degli elementi sopra citati ha senza dubbio favorito la propagazione degli inquinanti: il più importante vettore di diffusione dei PFAS verso est (Vicenza) e soprattutto verso sud (Lonigo-Montagnana) è proprio rappresentato dalle acque sotterranee248.

Invero, accanto alle due condizioni di cui si è detto pocanzi, ve ne sono state altre rivelatesi decisive per l’ampia diffusione dell’inquinamento. In primo luogo la mancanza di specifiche norme nazionali che stabilissero i limiti massimi di concentrazione di PFOA, PFOS e altri PFAS nelle acque potabili. Difatti, come si vedrà meglio più avanti, sul piano normativo in Italia le sostanze oggetto della contaminazione non hanno né limiti ambientali, né limiti di utilizzo potabile, e ciò ha fatto sì che sino al 2013 esse non venissero

243 MAZZOLA M., Op. cit.

244 DELL’ACQUA N., MAZZOLA M., Op. cit., p. 53-55.

245 ANTONELLI R., DAZZI R., GATTO G., MARI G.M., MOZZI G., ZAMBON G., Correlazioni

litostratigrafiche e idrostrutturali nel complesso alluvionale della bassa valle del fiume Agno-Guà e nell’antistante pianura vicentina, (M. Lessini orientali, Vicenza), Bollettino del Servizio Geologico d’Italia, Roma, 1993, p. 7-14.

246 PILOTTO E., GHEZZI M., MARCHETTI M., PERIN G., SANDRI G., STEVANATO S., Studio

geologico e chimico dell’inquinamento della falda acquifera nei Comuni di Montecchio M., Creazzo, Sovizzo E Altavilla V.,

Irsev, Venezia, 1979.

247 FAZZINI L., Pfas e acqua contaminata in Veneto. Inizia il più grande processo italiano per inquinamento ambientale, 3 marzo 2020, in https://www.lifegate.it.

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ricercate nei controlli e monitoraggi ambientali249. Di conseguenza, il plume inquinante si è

esteso in modo indisturbato per chilometri e chilometri.

In secondo luogo, da uno studio di ARPAV è risultato un periodo molto prolungato di propagazione dei PFAS nell’ambiente. La dimensione temporale dell’inquinamento non è trascurabile in quanto l’origine viene stimata già agli anni ’60, in particolare tra la fine del 1966 e l’inizio del 1967250. Le indagini svolte da ARPAV dal 2013251 per determinare

l’origine e l’estensione dell’inquinamento sono state fondamentali per pervenire ad una simile ricostruzione: per ciò che attiene al passato, infatti, manca qualsiasi riscontro analitico sulla presenza dei PFAS nelle diverse matrici ambientali.

Secondo la Relazione informativa del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso del 13 giugno 2017252, la Miteni non poteva che essere consapevole dell’inquinamento già

da molti anni, sulla base di studi ed indagini condotte dalla società stessa sul sito dal 1999 sino al 2009. Dalla nota del NOE si desume inoltre che, accanto all’occultamento ad opera della società, vi sia stata la volontà delle autorità locali e degli enti di controllo, consci del problema, di insabbiarlo. In merito a tali aspetti e al fatto che in passato vi fosse stata la possibilità di intervenire per bloccare l’inquinamento ci si soffermerà approfonditamente nei paragrafi a seguire.

Basti per ora sapere che il duplice aspetto della persistenza e della propagazione che ha caratterizzato gli PFAS ha permesso ai medesimi di espandersi e di perdurare per decine di anni anche dopo la cessazione dei processi produttivi che li generavano253.

2.2. Le consulenze ambientali commissionate dalla Miteni tra 1990 e 1996: la riemersione degli effetti di uno storico inquinamento degli anni ‘70

Lo stabilimento della Miteni era già stato al centro di un grave caso di inquinamento ambientale da altri composti perfluorati (non PFAS) a metà degli anni ’70, quando ancora era denominato Rimar Chimica ed era gestito dal gruppo Marzotto254. La prima avvisaglia si

ha già nel 1966, quando si iniziano a rilevare reflui acidi e scarti della lavorazione nel vicino torrente Poscola. In seguito, negli anni ’70, vengono interrati nell’argine del fiume medesimo decine di fusti contenenti rifiuti industriali, ritrovati dai tecnici ARPAV solo nel 2018255.

249 Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Relazione sull’inquinamento, Op. cit., p. 25 ss.; DELL’ACQUA N., MAZZOLA M., Op. cit., p. 53-55.

250 MAZZOLA M., Op. cit.

251 Tale indagine si basa su più di 2800 misure ed analisi sperimentali ottenute dalla rete di monitoraggio operativa delle acque sotterranee (costituita da più di 600 punti di misura tra pozzi, sorgenti e risorgive) e superficiale (costituita da più di 60 punti di misura).

252 Relazione preliminare del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso (Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente), Quadro ambientale relativo all’inquinamento del sito industriale ove insiste l’inquinamento della MITENI S.p.A. di Trissino (VI), 13 giugno 2017, in

http://mammenopfas.blogspot.com. 253 MAZZOLA M., Op. cit.

254 Greenpeace Italia in collaborazione con Merian Research, Emergenza PFAS in Veneto. Chi paga?, settembre 2017, p. 5 ss., in https://www.greenpeace.org.

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A partire dal Marzo del 2017, il NOE di Treviso ha dato avvio, su delega dell’autorità giudiziaria, a una serie di indagini investigative e ispettive nei confronti dello stabilimento di Trissino anche con riguardo a questi episodi risalenti. Dagli accertamenti è emerso che la Miteni negli anni 1990, 1996, 2004, 2008 e 2009 – e quindi ben prima che l’inquinamento da PFAS fosse rilevato per la prima volta dalle ricerche del CNR nel 2013 – ha incaricato varie società di consulenza di effettuare delle indagini al fine di valutare lo stato di inquinamento del proprio sito e fornire possibili soluzioni per il confinamento della contaminazione rilevata256. Alla Ecodeco S.p.A sono state commissionate le indagini del

1990, mentre tutte le restanti, dal 1996 al 2009, sono state effettuate dalla ERM Italia S.p.A. Di seguito si raccoglierà brevemente quanto risultato dalle indagini ambientali in questione.

Già nel 1990, nella relazione consegnata dalla società Ecodeco a Miteni a seguito dello studio, si affermava che “I volumi di terreno indagato sono da considerarsi contaminati in misura variabile in tutta l’area […]. La qualità degli inquinanti organici è la stessa su tutta l’area, mentre sotto il profilo quantitativo la zona sud dello stabilimento è quella maggiormente contaminata.”257. La Ecodeco, visti i livelli di contaminazione,

raccomandava degli interventi per limitare fenomeni di dilavamento dei contaminanti, ossia l’asportazione del materiale per effetto dell’azione erosiva delle acque scorrenti258.

Dagli ulteriori studi ambientali effettuati alla ERM Italia S.p.A. a partire dal 1996 è emerso che “il flusso delle acque di falda a sud dello stabilimento Miteni ancora portava le tracce di una grande contaminazione che causò la chiusura di un certo numero di fonti idropotabili alla fine degli anni Settant. Si può assumere che l’inquinamento in corso è originato dai residui dei rifiuti che furono smaltiti o interrati in sito alla Rimar e questo causò la grande contaminazione degli anni Settanta”259.

2.3. Gli ulteriori studi della ERM Italia S.p.A. risalenti al 2004: riscontrate