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Profili di responsabilità: l’omissione consapevole di Miteni S.p.A e gli

3.1. L’acquisto di Miteni al prezzo simbolico di 1 euro quale prova della consapevolezza delle condizioni del sito

Ulteriori avvenimenti suffragano quanto si è detto in merito alla cognizione dell’inquinamento e dell’intento di raggirare il problema. Le indagini del NOE riferiscono che, a seguito della perquisizione effettuata negli uffici della ERM di Milano, sono state rinvenute alcune e-mail risalenti al mese di novembre 2008 in cui i vertici di Mitsubishi chiedevano alla società di consulenza una stima per lo smantellamento e la bonifica del sito. La stima della ERM ammontava a una somma tra i 5,5 e i 6,5 milioni di euro per l’abbattimento dello stabilimento e dai 12 ai 18 milioni di euro per la bonifica dell’area sulla quale insiste il sito industriale268.

Si tratta di un indizio chiaro ed inequivocabile del fatto che i vertici giapponesi fossero ben consapevoli delle condizioni del sito e avessero voluto informarsi suoi costi del risanamento. Risulta inoltre dal bilancio della holding del 2009, che la vendita di Miteni alla International Chemical Investors è stata conclusa al prezzo simbolico di un euro con un “badwill”269 per ICIG pari a 33,86 milioni di euro270.

In sostanza, Mitsubishi ha stimato che la società, negli anni successivi, avrebbe bruciato tutto il suo valore con le perdite prima di riuscire a produrre utili. In effetti, prima dell’acquisto e sino al 2016, Miteni ha chiuso i bilanci con perdite molto elevate. Il valore simbolico della vendita potrebbe essere anche collegato alla stima di perdite dovute anche a rischi di tipo ambientale.

Nonostante ICIG si sia presentata come nuovo soggetto, asseritamente del tutto inconsapevole della situazione di grave inquinamento, appare irragionevole pensare che l’acquisto, da parte di un gruppo dotato di competenze specifiche nel settore, sia avvenuto

266 Relazione preliminare del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso (Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente), Op. cit.

267 Ibidem, allegato 22.

268 Relazione preliminare del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso (Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente), Op. cit.

269 Termine che indica l’avviamento negativo, il quale riduce il valore dell’intero complesso aziendale ed è indice di una scarsa redditività o addirittura di croniche situazioni di perdita.

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in modo improvviso e senza un preventivo vaglio delle problematiche. Sul punto è intervenuto anche il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, il quale sostiene che il passaggio di proprietà della società Miteni risalente al 2009 “non è un momento trasparente e non è ancora stato ricostruito”271.

In aggiunta, la probabile conoscenza da parte di ICIG dei gravi rischi ambientali connessi al sito di Trissino è appoggiata dalla circostanza per cui, secondo il NOE, non vi sia stata soluzione di continuità nelle cariche di vertice della società, dal momento che alcuni funzionari o membri del consiglio di amministrazione sono rimasti in carica prima e dopo la vendita272.

3.2. Omissione dell’obbligo di informativa

Il comportamento omissivo di Miteni ha permesso ai PFAS di continuare a contaminare il terreno e la falda sino ai giorni nostri273. Infatti, la sorgente

dell’inquinamento, seppur conosciuta sin dagli anni ‘90, non è mai stata rimossa e la società non ha informato tempestivamente le autorità competenti, le quali, per riflesso, non hanno potuto comprendere e affrontare efficacemente la problematica mettendo in atto attività di tamponamento274. A causa di questo comportamento del gestore l’inquinamento da PFAS

si è propagato a chilometri di distanza, deteriorando l’ambiente e l’ecosistema e ripercuotendosi sulla salute della popolazione residente, che per anni ha assunto inconsapevolmente acqua contaminata.

A fronte delle relazioni, delle raccomandazioni e dei dati raccolti dalla società di consulenza, la Miteni non poteva esimersi dall’obbligo giuridico di comunicare la contaminazione: ex art. 242 d.lgs. n. 152/2006, il responsabile dell’inquinamento deve procedere all’autodenuncia dei siti contaminati alle autorità, e ciò anche nel caso di rilevamento di contaminazioni storiche che possono ancora generare rischi di peggioramento della situazione di contaminazione275. La scelta di Miteni di non trasmettere

gli esiti delle indagini dagli organi preposti va ravvisata nella volontà della società di occultare l’inquinamento del sito industriale e della falda sottostante. Questo perché, rispettando l’obbligo di informativa, la società avrebbe avuto l’onere di sostenere ingenti spese sia per la bonifica del terreno contaminato sia per lo smantellamento di parte dell’impianto produttivo, allo scopo di preservare la falda276.

271 Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Relazione di aggiornamento, Op. cit., p. 22 ss.

272 SALVALAGGIO E., Ma il Comandante del NOE di Treviso, Massimo Soggiu, precisa: “I limiti degli inquinanti sono

stati stabiliti dopo l’avvio dell’indagine, non prima”, 21 marzo 2019, in http://www.quotidianosanita.it.

273 Relazione preliminare del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Treviso (Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente), Op. cit.

274 MEGGIOLARO M., Op. cit.

275 Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, in G.U. n. 88 del 14 aprile 2006. 276 Camera dei Deputati, Senato della Repubblica, Relazione di aggiornamento, Op. cit., p.12 ss.

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3.3. Il silenzio complice della provincia di Vicenza e di ARPAV: ignorati per anni gli esiti del progetto GIADA

Dopo aver compreso il ruolo di Miteni quale principale responsabile dell’inquinamento è necessario ampliare il campo d’indagine e posare lo sguardo su altri soggetti che hanno svolto un ruolo determinante all’interno della vicenda. In particolare emergono alcune perplessità in merito all’operato delle istituzioni locali e degli enti di controllo ambientale: la Provincia di Vicenza e ARPAV.

In base a una annotazione di polizia giudiziaria redatta NOE di Treviso, la Provincia di Vicenza dovrebbe rispondere della discutibile scelta di aver reagito tardivamente alla scoperta dei fatti in merito alla contaminazione. Dalle indagini dei Carabinieri è infatti emerso che, in base agli esiti del progetto GIADA, condotto tra il 2003 ed il 2009 grazie a fondi comunitari e coordinato dall’Ufficio Ambiente della Provincia di Vicenza, il medesimo ente pubblico avrebbe potuto lanciare l’allarme sul disastro ambientale già una decina di anni prima277. Queste pesanti accuse vengono rese note anche da Greenpeace che

ha potuto prendere visione degli atti di indagine278, ivi compreso il documento del NOE.

Per comprendere tali assunti è necessario soffermarsi a considerare il suddetto Progetto GIADA. Tale progetto, facente capo all’Agenzia omonima, è finanziato della Comunità europea per l’attuazione della politica ambientale comunitaria e deriva dalla collaborazione tra la Provincia di Vicenza, il Comune di Arzignano e ARPAV. Come detto in precedenza, il distretto conciario della Valle del Chiampo è pervaso da centinaia di aziende (circa 800): esse gestiscono il 50% delle pelli lavorate in tutto il Paese e pertanto rappresentano un’area ad alto rischio di inquinamento. Il progetto GIADA nasce dall’intento di tutelare l’integrità e l’equilibrio del patrimonio naturalistico in cui sorge questo collaudato sistema produttivo279.

In particolare, per garantire l’uso potabile, irriguo e industriale dell’acqua è stato realizzato un importante studio sulle risorse idriche sotterranee col doppio scopo di valutare da un lato l’impatto che i consumi idrici delle attività produttive presenti nel sistema Chiampo-Agno-Guà possono avere sull’equilibrio del bilancio ideologico e dall’altro la stima dei carichi potenzialmente inquinanti che insistono sull’area di ricarica280.

Dagli esiti dei monitoraggi ambientali effettuati tra il 2003 ed il 2009, l’Agenzia GIADA ha evidenziato incrementi significativi dei livelli di contaminazione nell’area della Provincia di Vicenza, compresa tra Trissino e Montecchio Maggiore. “Di fronte agli esiti contenuti nel progetto GIADA la conclusione del NOE è piuttosto chiara. Si ritiene che la Provincia di Vicenza, oltre a non condividere il documento con gli altri enti, avrebbe dovuto richiedere espressamente ad ARPAV una verifica approfondita dello stabilimento

277 SALVALAGGIO E., Pfas. La provincia di Vicenza e Arpav sapevano, ma hanno taciuto per anni. L’accusa di

Greenpeace sui dati dei Carabinieri di Treviso, 21 marzo 2019, in http://www.quotidianosanita.it.

278 Procedimento penale n. 1843/16 – “inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nelle province di Vicenza, Verona e Padova”.

279 Giada ha coinvolto ben 17 Comuni della Provincia di Vicenza, per un totale di circa 130 mila abitanti distribuiti su una superficie di oltre 310 chilometri quadrati. Per un approfondimento in merito al territorio su cui insiste il Progetto, agli obbiettivi e ai risultati conseguiti dal medesimo, si veda

http://www.progettogiada.org.

280 Il lavoro è stato suddiviso in due fasi: una prima fase è stata portata a termine nel maggio del 2005, e prevedeva il raggiungimento degli obbiettivi citati sopra; mentre la seconda fase, iniziata a gennaio 2008, riguarda un’indagine ancor più dettagliata ed approfondita per determinare una politica di sostenibilità per i prossimi decenni. In merito cfr. Agenzia GIADA, Il progetto falde, in

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Miteni. Se ciò fosse avvenuto, ARPAV avrebbe notato immediatamente la presenza della barriera idraulica, la quale era stata installata nel 2005 proprio al fine di tentare di bloccare l’inquinamento della falda […]”281. La giunta provinciale di Vicenza, pertanto, era a

conoscenza dei risultati emersi dal progetto GIADA sin dal 2006. Ciononostante nessuno è intervenuto nell’immediato, permettendo alla Miteni di continuare a produrre PFAS, con la conseguente espansione dell’inquinamento alle falde limitrofe282.

Una condotta negligente pare addebitabile anche ad ARPAV, la quale, sempre secondo il rapporto del NOE, avrebbe avuto un ruolo chiave nella causazione del ritardo degli interventi amministrativi di bonifica e delle indagini penali a carico dell’azienda chimica.

L’Agenzia risulta coinvolta nella strana vicenda inerente alla barriera idraulica installata da Miteni per contenere la dispersione della contaminazione. La stranezza inerisce al fatto che la ditta ha sempre dichiarato di aver installato la barriera presso l’impianto di Trissino solo nel 2013 e semplicemente per allineare un filtro a carbone. In realtà è emerso che questo intervento risaliva a molti anni prima. Nel bilancio 2009 di Miteni S.p.A. si fa riferimento all’implementazione di una barriera idraulica “secondo i programmi concordati con le autorità locali”: si trattava di un’opera realizzata dalla gestione ICIG con l’obiettivo di sopperire all’inefficacia della barriera realizzata nel 2005283. Quindi se il potenziamento

della barriera idraulica del 2009 avviene, come indicato dal bilancio societario, sulla base di indicazioni ricevute dalle autorità locali, quali dati ambientali erano in possesso delle autorità se queste ultime hanno chiesto a Miteni di implementare la barriera già attiva? Quali erano le autorità locali deputate ai controlli? E come è possibile che non vi siano enti locali che sostengano di essere stati informati di un “rischio PFAS” prima del 2013?

Una parziale risposta a queste domande si rinviene nella condotta di ARPAV. Secondo quanto ripotato in documenti ufficiali, l’Agenzia indica che la Miteni avesse allineato un filtro a carbone cercando di creare una barriera anticontaminazione soltanto nel 2013. Tuttavia, secondo la nota del NOE, già a inizio 2006 personale dell’ARPAV aveva operato direttamente sulla barriera idraulica di Miteni per chiudere alcuni pozzi. È poco verosimile che una struttura così grande e complessa come la barriera idraulica possa essere sfuggita all’occhio esperto dei tecnici deputati ai controlli ambientali; e allo stesso modo si ritiene che essi ne avessero ben comprese le finalità, senza dubbio molto più articolate di un allineamento di un filtro a carbone284. Gli operatori di ARPAV avrebbero

potuto, segnalare la situazione, eseguire le opportune verifiche e dare il via alle operazioni di bonifica già a seguito di quella ispezione, avvenuta ben 7 anni prima della scoperta ufficiale della contaminazione. In virtù di tale omissione “gli investigatori sono arrivati a formalizzare nero su bianco che si tratta di volontà dei tecnici ARPAV di non far emergere la situazione di inquinamento”285.

281 Greenpeace, La verità sul caso PFAS: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento, 21 marzo 2019, in https://www.greenpeace.org.

282 BOTTAZZO R., Op. cit.

283 Greenpeace Italia in collaborazione con Merian Research, Emergenza PFAS in Veneto. Chi paga?, settembre 2017, in https://www.greenpeace.org.

284 Greenpeace, Pfas, Greenpeace rivela: “Dai documenti inchiesta emerge che inquinamento poteva essere fermato già a metà

anni Duemila”, 21 marzo 2019, in https://www.greenpeace.org; SALVALAGGIO E., Pfas. La provincia di

Vicenza e Arpav sapevano, ma hanno taciuto per anni. L’accusa di Greenpeace sui dati dei Carabinieri di Treviso, 21 marzo

2019, in http://www.quotidianosanita.it.

285 Greenpeace, La verità sul caso PFAS: come la popolazione veneta è stata condannata ad anni di grave inquinamento, 21 marzo 2019, in https://www.greenpeace.org.

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Così, proprio l’ente territoriale che avrebbe il compito di tutelare la salute pubblica, incorrendo nel medesimo comportamento omissivo che sembra essere stato tenuto dalla giunta provinciale di Vicenza, ha concorso a condannare la popolazione veneta a subire per ancora molti anni gli effetti di un avvelenamento delle acque conosciuto da molte figure di vertice della regione286.

4. Gli interventi volti a colmare il vuoto normativo sui limiti delle sostanze