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Il ristoro del patema d’animo derivante da un disastro ambientale dopo il caso Seveso

4. La risarcibilità del danno non patrimoniale

4.1. Il ristoro del patema d’animo derivante da un disastro ambientale dopo il caso Seveso

Il filone giurisprudenziale occupatosi di interpretare sistematicamente l’art. 2059 c.c. è venuto ad intrecciarsi e ad influenzare altre pronunce particolarmente rilevanti in tema di danno non patrimoniale derivante da disastro ambientale, quali quelle – paradigmatiche – scaturite dalla vicenda di Seveso.

L’incidente industriale di Seveso ha acquisito la denominazione di vero e proprio disastro ambientale in virtù della gravità e delle dimensioni che lo hanno caratterizzato, e conseguentemente delle ripercussioni negative da esso derivante per la salute e la vita di molti esseri umani192.

Tra i molti disastri manifestatisi in Italia in ogni epoca esso rappresenta tutt’oggi il caso più grave, vantando un triste primato che ne ha conferito grande risalto tra l’opinione pubblica nonché una tragica notorietà nelle cronache nazionali ed internazionali. L’incidente, avvenuto il 10 luglio del 1976, ha coinvolto l’azienda chimica ICMESA, sita tra Seveso e Meda, in provincia di Monza e Brianza, dalla quale si è sprigionata una nube di diossina diffusasi nelle circostanti zone abitate trasportata dal vento. L’incidente è stato inizialmente sottovalutato a causa della non immediata percettibilità degli effetti nocivi della sostanza tossica, tanto che la notizia è divenuta pubblica soltanto una settimana dopo e le misure di emergenza sono giunte alquanto tardivamente.

Una volta imposte, però, le misure sono state alquanto rigorose, fornendo una chiara immagine dello stato di allarme di quel momento: è stata disposta l’evacuazione di quasi 700 persone residenti nelle aree circostanti all’impianto, è stato necessario abbattere gli animali domestici e da allevamento, la coltivazione è stata vietata, le autorità sanitarie hanno suggerito alle famiglie di sospendere l’allattamento materno e di optare per un temporaneo controllo delle nascite, ed è persino stato concesso ad alcune donne di ricorrere all’aborto – in un momento in cui, si ricordi, rientrava ancora nel novero dei reati. Nonostante le misure adottate l’incidente ha rivelato ben presto serie conseguenze sia di tipo ambientale sui territori esposti alla contaminazione, sia di tipo sanitario sui lavoratori dello stabilimento e sulla popolazione delle zone limitrofe. Conseguenze non trascurabili sono state anche quelle di tipo psicologico, che hanno colpito tutti coloro che improvvisamente si sono trovati in uno stato di incertezza circa il proprio stato di salute. A testimonianza del fatto

190 Cass., sez. III civ., 11 novembre 2019, n. 28985, 28986, 28987, 28988, 28989, 28990, 28991, 28992, 28993, 28994, in Foro italiano, 252 ss.

191 LANDI S., Sentenze di San Martino 2019: inversione di rotta o conferma del precedente dicutm?, 19 giugno 2020, in

https://www.4clegal.com.

192 MAZZOLA M.A., I nuovi danni: danno ambientale individuale, danno al paesaggio, danno da inquinamento

elettromagnetico, danni da fumo, danni da OGM, illecito di Stato, danno da bullismo, danno da stalking, Padova, Cedam,

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che le ripercussioni hanno prodotto effetti a lungo termine, si ricordi che gli abitanti delle zone esposte sono stati obbligati a sottoporsi a costanti controlli medici per quasi un decennio193.

La catastrofe del 1976 ha rappresentato nella sua interezza lo spettro delle problematiche connesse ai grandi incidenti industriali, dalle difficoltà nell’accertamento delle responsabilità all’incertezza scientifica sulla natura e sugli effetti delle sostanze tossiche disperse nell’ambiente, dalla bonifica delle aree inquinate ai timori della popolazione coinvolta194. Le ricadute della vicenda lombarda si sono espanse ben oltre

l’area geografica interessata, portando ad una completa riforma dell’approccio rispetto all’esposizione al rischio chimico e dei criteri di prevenzione195.

Quanto alla scena giudiziaria, al disastro è seguito un processo sia penale che civile promosso dalla Regione Lombardia e dalla Procura della Repubblica di Monza contro lo stabilimento chimico ICMESA. Nel 1980 è stato raggiunto un accordo in base al quale la società proprietaria dell’azienda danneggiante ha versato una cospicua somma a titolo di rimborso per le spese di bonifica. Nel 1986 il contenzioso penale si è concluso con la definitiva condanna degli imputati per il reato di disastro colposo ex art. 449 c.p. ed in questa sede sono anche stati risarciti i danni a favore delle parti civili costituitesi, ovvero lo Stato, la Regione Lombardia, il comune di Seveso, nonché circa 7.000 privati. I soggetti interessati hanno avanzato domande risarcitorie in riferimento alle lesioni fisiche subite e alle perdite economiche derivate ad immobili, terreni agricoli, imprese commerciali, industriali e artigianali (molti imprenditori sono stati costretti a chiudere e a vendere ad un prezzo irrisorio le proprie aziende). Mentre i danni alle cose sono stati risarciti in tempi brevi direttamente dal Governo italiano, i danni alla persona sono stati fatti valere in più occasioni in sede civile dalle vittime di Seveso, insoddisfatte dal primo indennizzo riconosciuto nel 2002, prettamente simbolico e alquanto inidoneo a ristorare lo stravolgimento subito nel proprio stile di vita196.

La risarcibilità del turbamento psichico da disastro ambientale colposo patito a causa dell’emissione di agenti inquinanti, in quanto danno non patrimoniale derivanti da reato, trovava il suo titolo giuridico nel combinato disposto degli art. 2059 c.c. e 185 c.p. L’aspetto principale del danno morale era in questo caso rappresentato “dall’incertezza continuativa sulle proprie condizioni di salute, presenti e future, destinato a protrarsi nel tempo indefinitamente”197.

Le molteplici azioni risarcitorie intentate hanno avuto esiti processuali differenti, e ciò si spiega perché ciascuno di essi rifletteva il filone interpretativo in merito al

193 BLASI E., Op. cit., p. 79-102; CENTEMERI L., Ritorno a Seveso, Milano, Mondadori, 2006, passim; Il Post, Il

disastro di Seveso.40 anni fa oggi la fuoriuscita di una nube di diossina da un'azienda vicino Milano causò il più grave disastro ambientale nella storia d'Italia, 10 luglio 2016, in www.ilpost.it.

194 POZZO B., Seveso trent’anni dopo: percorsi giurisprudenziali, sociologici e di ricerca, Milano, Giuffrè Editore, 2008, p. 2 ss.

195 A riprova dell’ampiezza del dibattito generato a livello europeo dall’incidente Seveso si ricordi l’emanazione, nel 1982, della direttiva 501/CE, emblematicamente nota come “direttiva Seveso” (Direttiva 1982/501/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1982, in G.U. 5 agosto 1982, legge n. 230. Essa, in seguito abrogata da modifiche successive, disciplina i rischi di incidente rilevante derivante da attività umane ritenute pericolose in ragione del tipo di processo produttivo posto in essere o della tipologia di sostanze impiegate. 196 MAZZOLA M.A., Op. cit., p. 293 ss.

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risarcimento dei danni non patrimoniali corrente in quel momento198. Tra le sentenze più

importanti connesse a questo caso si ricordi, per maggiore interesse ai nostri fini, quella che ha rappresentato sia la conclusione del tortuoso iter processuale del caso Seveso, sia l’ultimo approdo in tema di risarcibilità dei danni morali da reato, ovvero la sentenza della Cassazione n. 11059 del 2009199. La sentenza ha “rappresentato il banco di prova dei

principali traguardi giurisprudenziali in materia di risarcimento del danno non patrimoniale da reato”200. La decisione è risultata in armonia con la posizione assunta nelle quattro

sentenze “gemelle” del 2008 in tema di risarcibilità del danno non patrimoniale, avendo fatto propria la tesi restrittiva dell’unicità del danno non patrimoniale stesso, rispetto al quale le sottocategorie di danno morale, esistenziale e biologico assumono una veste puramente descrittiva, perdendo l’autonoma risarcibilità. La vera innovazione ha riguardato l’esito della vicenda risarcitoria, conclusasi con l’accoglimento delle istanze delle vittime dell’incidente (sebbene con la somma irrisoria di 2.000 euro cadauno). Ciò è stato possibile grazie ad uno sgravio dell’onere probatorio: rispetto alle sentenze precedenti, quella del 2009 ha dichiarato ammissibile la prova del danno non patrimoniale per presunzioni, affermando che, secondo criteri di regolarità causale, la rilevante probabilità che dal disastro ambientale sia derivato un danno per i cittadini costituisce un nesso sufficiente201. Il ricorso

ad una prova per inferenza induttiva si comprende ponendo l’attenzione sul tipo di danno lamentato dagli abitanti di Seveso, del quale Cacace fornisce una convincente descrizione: “Si tratta senz’altro di una situazione di forte stress emozionale, connessa all’iniziale mancanza di informazioni sull’accaduto e alla minimizzazione degli effetti della nube tossica, nonché alla successiva scoperta che, non aver assunto alcun genere di cautele, potrebbe aver aggravato i pericoli per la propria salute, senza che ne sia però valutabile la misura e la serietà. Ciò anche in ragione dell’odierna incertezza circa gli effetti cancerogeni dell’esposizione a diossina, cui si associa, d’altra parte, l’impossibilità di sapere, una volta sviluppatasi una malattia tumorale, se questa è conseguenza di tale sostanza tossica o di cause diverse (predisposizione genetica e familiare, fattori ambientali o alimentari estranei e

198 Si è svolta una prima causa instaurata dal c.d. “gruppo pilota”, composto dall’insieme dei cittadini di quattro comuni interessati dalla contaminazione; nei primi due gradi di giudizio gli attori si vedono riconosciuto il danno morale, negato però dalla Cassazione (sez. III civ., 20 giugno 1997, n. 5530, in Foro

italiano, 1997, I, col. 2068). La Suprema Corte ritenne che, essendo il danno morale un danno-conseguenza,

esso non potesse essere risarcito in mancanza di menomazioni all’integrità psico-fisica o di altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Ad un revirement della medesima Corte si assiste invece nel 2002, al termine di un giudizio intentato autonomamente da un unico privato (il sig. Pierotti), conclusosi con il risarcimento del danno morale (Cass. S.U., 21 febbraio 2002, n. 2515, in Foro italiano, 2002, I, col. 999, con nota di PALMIERI A.). Si è trattato di un indubbio cambio di rotta in tema di risarcibilità autonoma del danno morale da reato ambientale. Successivamente a tale apertura sono stati aperti nuovi contenziosi, uno dei quali si è concluso con la sentenza del 2009 commentata di seguito nel testo.

199 Cass., sez. III civ., 13 maggio 2009, n. 11059, in Repertorio di giurisprudenza, in pa.leggiditalia.it/ 200 BLASI E., Op. cit., cit. p. 87.

201 Come già puntualizzato, tale ampliamento dei confini probatori è una novità solo in relazione al percorso giurisprudenziale legato al caso Seveso, infatti rispetto ad altre vicende si erano già formati diversi precedenti, suggeriti in precedenza nel testo. In una sentenza in particolare, la n. 13546 del 2006, quanto detto in merito alla prova per inferenza induttiva viene sancito espressamente con le parole “nella deduzione dal fatto noto al fatto ignoto il giudice incontra il solo limite del principio di probabilità: non occorre cioè che i fatti, su cui la presunzione si fonda, siano tali da far apparire la esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva […] ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità, con riferimento alla connessione degli accadimenti la cui normale frequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di comune esperienza” (Cass. sez. III civ., 12 giugno 2006, n. 13546, in Danno e responsabilità, 2006, p. 843 ss.).

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così via). Tale disagio psichico, peraltro, anziché scemare con il trascorrere degli anni, tende a crescere con l’aumentare delle cognizioni scientifiche in materia, le quali concretizzano e giustificano gli iniziali, irrazionali timori, sino a condizionare, nella preoccupazione per sé, per la propria famiglia e per le generazioni future stesse, le fondamentali decisioni esistenziali, quali la collocazione della residenza, lo stile di vita o le scelte procreative”202.

Un danno come quello descritto, che deriva da un disastro ambientale, risulta privo del carattere transeunte tipico del danno morale da reato, giacché la turbativa si protrae ben oltre il verificarsi del fatto di reato203.

Dunque, il peculiare carattere duraturo del danno rivendicato dagli attori, rende impossibile collocarlo all’interno delle rigide categorie giurisprudenziali del danno morale o del danno esistenziale. A ben guardare, l’integrazione di una fattispecie di reato spingeva nella direzione del primo (risarcibile alla luce del combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p.), ma il contenuto del pregiudizio lo equiparava al secondo. Una volta riscontrato che il danno risarcibile ha perso i connotati delle singole figure tipologiche, la Cassazione “conferma il venir meno delle tipologie autonome di danno morale e danno esistenziale, riportando la responsabilità extracontrattuale alla bipolarità tra danno patrimoniale (ex art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (ex art. 2059 c.c.)”204.

Volendo riprendere le fila del discorso, si comprende ora, alla luce del fatto che le conseguenze di un disastro ambientale come quello di Seveso si propagano a lungo termine, la scelta di ammettere una prova del danno per presunzioni205. “Nel caso di specie

la sussistenza del danno, sotto forma di turbamento e patema d’animo, era dedotta in via presuntiva dal fatto noto, costituito dai ripetuti controlli sanitari a cui per anni si erano sottoposti gli individui cd. “a rischio”, poiché posti in rapporto qualificato con i luoghi dell’incidente”206. Infatti, il dato per cui i residenti nelle zone perimetrali più vicine al

disastro avessero subito maggiormente le conseguenze della nube tossica risultava incontestabile, anche in virtù dei particolari accertamenti medici cui sono stati sottoposti. Se il criterio dell’id quod plerumque accidit è sufficiente a reggere la prova dell’esistenza del danno, ulteriori dimostrazioni concrete in questo senso finiscono per pesare sul quantum monetario del risarcimento. Tra queste, nel caso di Seveso, si annoverano il perdurare a lungo nel tempo del turbamento, le situazioni di timore per la salute dei propri figli, l’impossibilità di godere dei frutti del proprio giardino, la preoccupazione nell’intrattenere rapporti sessuali, e altre207.

202 CACACE S., Seveso, atto ennesimo: sì al danno morale “presunto” seppur in assenza di lesioni alla salute, in La nuova

giurisprudenza civile commentata, 2006, 9, cit. p. 922. Si veda a tal proposito anche FEOLA D., Il prezzo dell’inquietudine: il caso “Seveso” torna in Cassazione, in responsabilità civile e previdenza, 2002, 3, p. 727 ss.

203 Il danno morale era stato associato alla durata limitata nel tempo al fine di distinguerlo dal danno biologico (caratterizzato da alterazioni stabili della funzionalità dell’organismo), e dal danno esistenziale (inteso come duratura alterazione in peius della qualità della vita). A proposito della peculiare durata nel tempo del danno ambientale si veda VILLA V., Nesso di causalità e responsabilità civile per danni all’ambiente, in BOGNETTI G., TRIMARCHI P. (a cura di), Per una riforma della responsabilità civile per danno all’ambiente, Milano, Giuffrè Editore, 1994, p. 137 ss.

204 BLASI E., Op. cit., cit. p. 95.

205 Si è superata in questo modo l’impostazione alquanto limitante della precedente sentenza della Cassazione del 2002, la quale richiedeva la prova concreta del danno morale.

206 BLASI E., Op. cit., cit. p. 96. 207 MAZZOLA M.A., Op. cit., p. 302.

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In aggiunta all’aspetto probatorio, la Corte del 2009 ha assunto un atteggiamento di apertura anche in un'altra direzione, ovvero riconoscendo la risarcibilità del danno morale derivante da reato in via autonoma, dunque anche in assenza di danno biologico. Tale statuizione si limita in realtà a ribadire quanto già acquisito dalla Suprema Corte nel precedente giudizio conclusosi nel 2002. Decisiva per la decisione in tal senso è la natura del reato ex 449 c.p.: un delitto colposo di pericolo presunto, nel senso che il pericolo per la pubblica incolumità è implicito nella condotta; ma soprattutto un delitto plurioffensivo che incide tanto sull’ambiente in sé, di cui è titolare l’intera collettività statale, quanto sui soggetti singoli che, a causa del vincolo di prossimità (per dimora o lavoro) con un determinato habitat, subiscono uno stravolgimento nella loro sfera individuale e relazionale208.

“Ne consegue che essendo pacifica la risarcibilità del danno morale nel caso di reati di pericolo o plurioffensivi, non sussiste alcuna ragione, logica e/o giuridica, per negare tale risarcibilità ove il soggetto offeso, pur in assenza di una lesione alla salute, provi di avere subito un turbamento psichico (che si pone anch’esso come danno-evento, alla pari dell’eventuale danno biologico o patrimoniale, nella specie non ravvisati)”209.

In altre parole, nella direzione dottrinale e giurisprudenziale dell’ampliamento della risarcibilità dei pregiudizi sofferti dai singoli a seguito di condotte illecite incidenti negativamente sull’ambiente in cui vivono, si riconosce che il danno morale può essere indennizzato anche in assenza di danno biologico. Nello specifico, le Sezioni Unite configurano un vero e proprio “danno morale da inquinamento” causato dal pericolo astratto di vivere in un ambiente divenuto insalubre.

Nei capitoli seguenti si avrà modo di trarre spunto dalle conclusioni ancora attuali del caso Seveso nei confronti di un caso di disastro ambientale più recente. Le caratteristiche di quest’ultimo, a partire dal carattere non transeunte del danno e dal verificarsi di una aggressione a diritti soggettivi non patrimoniali dei soggetti che vivono nello specifico ambiente interessato, indurranno a volgere lo sguardo indietro nel tempo sino alle conclusioni della Cassazione del 2009.

208 Cass. S.U., 21 febbraio 2002, n. 2515, in Foro italiano, Archivio Cassazione Civile, Danni civili, 176.

209 Cass. S.U., 21 febbraio 2002, n. 2515, in Foro italiano, Archivio Cassazione Civile, Danni civili [2020], 176. In sintonia, tra gli altri, con Cass., sez. III civ., 27 luglio 2001, n. 10291, in Foro italiano, Archivio giurisprudenza, 2002, Danni civili, n. 167; Cass., sez. I civ., 7 giugno 2000, n. 7713, in Foro italiano, 2000, I, col. 187.

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CAPITOLO III

IL «CASO PFAS»: LA CONTAMINAZIONE DELLE

FALDE ACQUIFERE VENETE

1. Genesi e sviluppo di un disastro ambientale

Fornire una cornice storica e normativa alla tematica in esame si è rivelato necessario per spostare la lente della nostra indagine in un campo assai vivido e attuale della realtà del danno ambientale. Esso è infatti ricco di spunti di analisi che permettono di approfondire le problematiche individuate finora solo a livello teorico. L’indagine si appunta sullo scandalo PFAS collegato all’industria chimica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, il quale sembra candidarsi ad assumere le vesti di uno dei più gravi disastri ambientali mai avvenuti in Italia. Verrà pertanto analizzato questo recente caso al fine di mettere in luce le vicende succedutesi nel tempo, i risvolti maggiormente controversi e le conseguenze che hanno prodotto sul piano normativo. L’inquadramento geografico del disastro ambientale, inoltre, non potrà che assumere un carattere molto puntuale essendo tale vicenda connotata da uno stretto legame con il territorio coinvolto.