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Il procedimento penale italiano per disastro innominato e avvelenamento delle

Attualmente, dal punto di vista processuale, l’attenzione è concentrata sul fronte penale, attraverso un processo che si prospetta come uno dei più grandi procedimenti mai instaurati per inquinamento ambientale, sulla falsariga di quello che purtroppo ha già interessato il Veneto, legato alla vicenda di Porto Marghera362.

362 DE GHANTUZ CUBBE M., La scienza nel processo penale: Porto Marghera, in Diacronie, 2014, 20, 4, 1 dicembre 2014, in https://journals.openedition.org; DIAMANTI F., Porto Marghera. Causalità e colpa, in

http://www.unife.it; PICILLO A., Progresso industriale e ambiente: storia di una convivenza difficile, in

http://www.archiviopenale.it. La vicenda veneziana ha coinvolto il polo industriale di Porto Marghera, sito a Mestre, il quale è stato per decenni lo scenario di uno sviluppo fondamentale per i settori meccanico e chimico italiano nonché la principale fonte di benessere per migliaia di persone. Tuttavia, accanto al consolidamento di una posizione di supremazia nello scenario produttivo italiano acquisita da alcune delle società qui insediate, crescevano anche i rischi per gli operai delle medesime e per la popolazione dei territori circostanti. Le criticità riguardavano soprattutto i processi produttivi dell’industria petrolchimica, divenuta la più importante del polo, la quale lavorava i derivati della distillazione del petrolio per ricavare composti intermedi che sarebbero stati destinati alla produzione di una vasta gamma di prodotti chimici. Con il tempo una in particolare delle sostanze impiegate è divenuta tristemente celebre, ossia il Cloruro di Vinile Monomero. Scoperte scientifiche sempre più dettagliate hanno denunciato, a partire dagli anni ’40, correlazioni allarmanti tra l’esposizione al CVM, particolarmente significativa rispetto agli operai delle fabbriche, e l’insorgenza dell’angiosarcoma epatico, portando, nel giro di trent’anni, al riconoscimento a livello globale del carattere fortemente cancerogeno del composto. A fronte di queste informazioni scientifiche e della morte, negli anni, di più di 150 dipendenti della Montedison e della Enichem, sono state avviate delle indagini da parte della Procura di Venezia rispetto alla nocività dei processi produttivi e alla mancanza di sicurezza per i lavoratori. Nel 1996 è stato disposto il rinvio a giudizio di una trentina di dirigenti ed ex-dirigenti delle due società con l’accusa di strage, omicidio e lesioni colpose multiple, e di disastro colposo per inquinamento ambientale. Il PM ha anche accusato i dirigenti di aver volutamente sottovalutato le conoscenze in possesso circa gli effetti tossici del Cloruro di Vinile. Il processo in questione è considerato il primo grande processo per malattie professionali celebrato in Italia e si è protratto per un decennio, attraversando tre gradi di giudizio. L’esito, sancito dalla Cassazione nel 2006 in conformità a quanto stabilito dalla sentenza di secondo grado, ha portato a quella che è stata definita una “sconfitta della macchina giudiziaria”: la condanna per omicidio colposo inflitta ad alcuni manager dell’azienda in carica tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta. I giudici d’appello hanno accolto la tesi secondo la quale in quegli anni era già noto che il CVM era una sostanza tossica, e pertanto i vertici dell’azienda erano tenuti a tutelare adeguatamente la salute dei lavoratori, anche prima che la sostanza venisse qualificata come cancerogena. Una condanna, dunque, ma in relazione alla morte per angiosarcoma al fegato – lo specifico tipo di cancro correlabile al CVM – di un unico operaio, deceduto nel 1999. I tempi in cui sono avvenuti gli altri decessi trattati nel maxi processo hanno fatto invece intervenire la prescrizione. Al di là dell’amarezza di quella vittoria, è interessante ricordare il processo per il Petrolchimico come la sede in cui è stata sviluppata una importante analisi in relazione ai complessi problemi di diritto penale sostanziale della colpa e della causalità. Il procedimento ha infatti visto contrapporsi i principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in tema di imputazione causale del fatto di reato. Da un lato il filone che eleva la scienza ad unica garanzia di una imputazione causale non arbitraria, dall’altro quello che punta sull’ipotetica correlazione tra la sostanza tossica e il tumore per rendere la prima l’antecedente causale del secondo, anche attraverso l’elaborazione statistica e gli studi epidemiologici; quest’ultima è stata la strategia accusatoria, costruita attorno ad un giudizio prognostico fondato sull’aumento del rischio. Il procedimento, proseguendo nei gradi di giudizio, ha anche beneficiato dell’evoluzione giurisprudenziale acquisita dal 2002 dalle Sezioni Unite. In sede di Appello è stata individuata una causalità per l’angiosarcoma epatico utilizzando il criterio dell’elevata probabilità razionale.

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Nel gennaio del 2019, la Procura di Vicenza ha dichiarato la chiusura delle indagini preliminari relative al primo filone di inchiesta363 relativo all’inquinamento da sostanze

perfluoroalchiliche nelle province di Vicenza, Padova e Verona.

In questo primo filone si contestano le condotte sino al 2013, prima dell’entrata in vigore dell’ipotesi di disastro ambientale. Il procuratore capo Antonino Cappelleri ha spiegato che le condotte in questione sono considerate dolose, in quanto “gli indagati erano consapevoli che Miteni inquinava la falda e le acque superficiali destinate comunque al consumo, ma non si sarebbero attivati per evitare le conseguenze degli sversamenti”364.

Secondo gli inquirenti vicentini, la consapevolezza dell’inquinamento prodotto sarebbe dimostrata anche dal prezzo di cessione di Miteni da Mitsubishi a Icig, avvenuto nel 2009.

Al termine delle quattro udienze tenutesi tra l’11 novembre 2019 ed il 20 gennaio 2020 presso il Tribunale di Vicenza è stato disposto il rinvio a giudizio formalizzando i reati di disastro innominato e avvelenamento delle acque365, e individuando tredici indagati tra

manager e tecnici della Miteni366. Il giudice dell’udienza preliminare ha peraltro accolto le

richieste di costituzione di 226 parti civili rappresentate da singoli, gruppi o associazioni. Tra gli enti pubblici vi sono i Ministeri della Salute e dell’Ambiente, la Regione Veneto, diversi comuni, le società che gestiscono le reti idriche colpite, nonché Arpa veneta; ancora, si sono costituiti i due sindacati aziendali Cgil-Filctem e Uil-Uiltec nonché una quarantina di lavoratori costituiti come singole persone fisiche raccolte sotto la sigla Pfas.Colmi, patrocinata dall’avvocato Edoardo Bortolotto; tra le associazioni in campo vi sono 95 madri residenti nelle zone colpite, raccolte nel gruppo Mamme No Pfas e rappresentate dall’avvocato Matteo Ceruti, Greenpeace, con l’avvocato Alessandro Gariglio, Medicina democratica, Legambiente, ISDE e l’associazione padovana La terra dei Pfas.

363 La seconda indagine giudiziaria riguarda i fatti successivi al 2013, tra cui l’inquinamento legato a una nuova generazione di perfluoroalchilici che ha in parte sostituito i vecchi PFOA e PFOS. Sono a molecola più corta e hanno nomi come C6O4, prodotto a partire da composti della Solvay di Alessandria (e ritrovato nel Po in concentrazioni allarmanti). O come il GenX, estratto da scarti industriali che la Miteni ha importato dai Paesi Bassi, in particolare dalla Chemour, colosso della chimica erede della Dupont, a partire dal 2014 e con regolare autorizzazione regionale. Fino a quando nel 2017 le autorità olandesi hanno informato il governo italiano del potenziale rischio. Benché non ancora soggetti a limitazioni precise, anche sui “nuovi” Pfas si moltiplicano studi e preoccupazioni. Per approfondimenti in merito v. Regione del Veneto, Pfas. Nel Po C6O4

quasi 2000 volte superiori che sotto Miteni. I dati della regione veneto alla procura della repubblica, Comunicato stampa N°

645 del 26/04/2019, in http://musei.regione.veneto.it; Greenpeace, Sette scomode verità sul GenX, luglio 2018, in https://www.greenpeace.org.

364 PIETROBELLI G., Pfas, chiuse indagini su azienda Miteni: 13 indagati tra manager e tecnici. “Sapevano che falda

veniva inquinata”, 15 gennaio 2019, in https://www.ilfattoquotidiano.it.

365 Il riferimento è all’art. 434 c.p., che recita: “Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni […]”; e all’art. 439 c.p., che recita: “Chiunque avvelena acque o sostanze destinate all'alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, è punito con la reclusione non inferiore a quindici anni”.

366 Nell’elenco si trovano innanzitutto i manager giapponesi di Mitsubishi Corporation che hanno avuto il controllo della Miteni dal 2002 al 2009, ovvero Maki Hasoda, Kenij Ito e Yuji Suetsune. Il secondo gruppo è costituito dai vertici della società tedesca Icig-International Chemical Investors, che è proprietaria di Icig Italia 3 holding Srl, a cui è passato il controllo dell’azienda nel 2009. Si tratta di Hendrik Schnitzer, Achim Georg Hannes Riemann, Alexander Nicolaas Smit, Brian Anthony Mc Glynn. C’è un terzo gruppo di indagati, responsabili di stabilimento o dell’area tecnica. Si tratta di Luigi Guarracino, Mario Fabris, Davide Drusian, Mauro Cognolato, e Mario Mistrorigo.

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Decisione importante per il proseguo del procedimento è quella del GUP di ammettere le richieste di chiamata in causa per la responsabilità civile delle multinazionali ICI S.E. (Ici3) e Mitsubishi, che dal 1965 si sono succedute nella gestione dell’impianto chimico. Le due importanti società entrano nel processo come responsabili civili obbligati al risarcimento dei danni da reato, ed in caso di condanna potrebbero essere chiamate a risarcire 136 milioni di euro, cifra necessaria per ripulire il territorio dalle sostanze inquinanti, secondo la stima fatta nel 2019 dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale367. La disponibilità del patrimonio di queste due società crea le

condizioni indispensabili per ricevere, in caso di accertamento positivo delle responsabilità degli imputati, le ingenti risorse economiche necessarie alla bonifica e alla tutela della salute dei cittadini veneti368. Infatti, si ricordi quanto detto in precedenza riguardo alla situazione

finanziaria di Miteni: l’azienda negli ultimi dieci anni ha sempre chiuso il bilancio in perdita e si stima che disporrebbe di appena 6,54 milioni di euro per far fronte ad eventuali risarcimenti, contro i più di 200 milioni presenti nelle casse della holding lussemburghese369.

Tra i responsabili civili viene individuata anche la società che ha curato il fallimento di Miteni (sopravvenuto nel novembre del 2018). L’avvocato Matteo Ceruti ha commentato il fatto come “un risultato molto positivo”, sostenendo che il coinvolgimento di chi si occupa della chiusura economica dell’azienda mostra la “forte volontà di perseguire tutti i colpevoli”370.

L’8 giugno 2020 la giapponese Mitsubishi è stata la sola a costituirsi come responsabile civile per potersi difendere al momento del dibattimento371.

L’udienza di giugno 2020 in cui è stata confermata la ricezione delle notifiche redatte ai tre accusati è seguita ad un periodo di sospensione di oltre cinque mesi dovuto alla situazione di emergenza legata alla pandemia di COVID-19. Il giorno del processo, fuori dal Tribunale di Vicenza le Mamme No Pfas hanno affermato: “Tornare in questo Tribunale ci aiuta a respirare di nuovo, crederci. Per noi questo processo rappresenta lo sforzo fatto in tutti questi anni, trovare la giustizia e ricominciare ad avere fiducia per la nostra salute”372. La prossima udienza è fissata per il 12 ottobre 2020.

367 FAZZINI L., Pfas e acqua contaminata in Veneto, Op. cit.

368 VicenzaPiù, Processo Pfas, chiamate in causa due multinazionali obbligate al risarcimento danni: accolte quasi tutte le

richieste parti civili, 20 gennaio 2020, in https://www.vicenzapiu.com. 369 MEGGIOLARO M., Op. cit.

370 FAZZINI L., Pfas e acqua contaminata in Veneto, Op. cit.

371 Si pensa che la società giapponese ha deciso di utilizzare il processo per rispondere alle accuse di reato innominato, in modo da preservare il suo nome. Probabilmente le altre due aziende (Ici3 e la società per il fallimento di Miteni stanno ancora cercando una strategia. Se per alcuni la possibilità di arrivare ad una mediazione con Mitsubishi e di chiedere un risarcimento per i residenti contagiati è un’ipotesi realizzabile ma ancora lontana, altri sostengono che la suddetta possa trovare vantaggioso transare con un’offerta economica, anche lasciare in qualche modo intoccata la propria reputazione in quanto multinazionale quotata in diverse borse mondiali.

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3. Azione di classe a tutela dei consumatori e degli utenti: breve