• Non ci sono risultati.

Gli Alleati picchiano duro

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 55-71)

GLI SFOLLAT

2. Gli Alleati picchiano duro

Dopo la fine dell’emergenza ai confini orientali del Regno, la situazione degli sfollati rientrò nella normalità e tale rimase per tutto il resto del 1941 e buona parte del 1942. Il Bomber Command137 e le altre unità aeree britanniche dovevano ancora

diventare quel potente strumento bellico che tanta distruzione avrebbero portato sull’Europa, mentre la grande distanza delle basi di partenza e l’altalenante andamento della guerra in Africa settentrionale impedivano l’esecuzione di una vera e propria campagna di bombardamento sull’Italia. Quanto agli Stati Uniti, entrati in guerra contro l’Italia l’11 dicembre 1941, avevano bisogno di tempo per organizzare le loro forze aeree e mandarle ad operare in Europa settentrionale e in Mediterraneo.

Questi fattori portarono ad una decisa riduzione delle già limitate azioni di bombardamento compiute sul territorio metropolitano italiano, le quali scesero quasi a zero nell’arco di tempo compreso tra il gennaio del 1941 e il settembre dello stesso anno138. Non che le precedenti fossero state molto efficaci, in quanto, tra l’agosto del

134

ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, fasc. Sfollamento volontario/alloggi

per sfollati, Telegramma del 23 aprile 1941.

135

Ibid.

136

Ibid.

137 Formato nel 1936, si trattava della forza da bombardamento dell’Aeronautica Militare britannica (RAF). 138

58 1940 e il gennaio del 1941, vennero compiute un totale di 170 sortite139 con lo sgancio di sole 104 tonnellate di bombe: i risultati erano stati inevitabilmente considerati molto modesti140. I bombardamenti ripresero nel settembre del 1941, ma per tutto l’anno successivo rimasero di dimensioni ed efficacia assolutamente trascurabili. La vera svolta avvenne solo alla fine di ottobre del 1942 quando, in contemporanea con l’offensiva britannica sulla linea di El-Alamein e con lo sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria previsto per la prima decade di novembre, gli obiettivi in territorio italiano assunsero una nuova importanza.

Tra l’ottobre e il novembre del 1942, un periodo per molti aspetti assolutamente decisivo nella storia della Seconda guerra mondiale141, si assistette quindi ad un intensificarsi delle azioni di bombardamento sulla penisola, primo assaggio di un terrore che avrebbe sconvolto le vite della popolazione civile italiana nei successivi 29 mesi142. Infatti con l’arrivo di Arthur Harris a capo del Bomber Command nel febbraio del 1942, l’area bombing143 divenne il principio fondamentale della forza da bombardamento britannica e venne esteso anche agli obiettivi italiani144. L’adozione tout court di questa tattica, unita all’introduzione di nuovi tipi di bombardieri e all’arrivo dei primi gruppi da bombardamento americani fece crescere esponenzialmente la violenza dei bombardamenti, e con essi il numero delle vittime e dei senzatetto. Le uniche fortune, sempre ammesso che si possa utilizzare tale termine in un simile contesto, furono che le

139

In ambito aeronautico per sortita si intende la missione effettuata da un singolo velivolo, dalla partenza all’atterraggio (o alla perdita). Una missione composta da dieci aerei corrisponderebbe quindi a dieci sortite.

140

Davis, Bombing the european Axis Powers, cit., p. 138.

141

Entro la fine di novembre le truppe dell’Asse erano state respinte dalla linea di El-Alamein, gli anglo- americani erano sbarcati in Marocco e Algeria, nel Pacifico la battaglia per la conquista dell’importante isola di Guadalcanal stava volgendo al meglio per le forze statunitensi e sul fronte orientale i sovietici avevano circondato la 6ᵃ Armata tedesca a Stalingrado.

142 Cfr. Ibid. e Petricelli, L’Italia sotto le bombe, cit., pp. 104-124. 143

Dopo le prime, amare esperienze del 1939-40, i britannici si convinsero dell’assoluta impossibilità a colpire con precisione i bersagli, mentre i bombardamenti diurni risultarono molto pericolosi a causa della reazione della caccia e della contraerea nemica. Di conseguenza venne stabilito di effettuare solamente azioni di bombardamento notturno, dove, essendo la precisione ancora più bassa, l’obiettivo era quello di saturare l’area con un tappeto di bombe. Lo scopo, sempre più centrale, era anche quello di minare il morale della popolazione civile determinando uno scollamento tra fronte interno e fronte militare. Questo tipo di bombardamento assunse, con il proseguo della guerra, un’efficacia sempre più alta. Amburgo, Kassel e Dresda sono solamente alcuni esempi della capacità britannica di annientare i centri cittadini con le cosiddette «Tempeste di fuoco». Vedi anche Jörg Friedrich, La Germania bombardata, Mondadori, Milano 2005.

144

59 incursioni sul territorio italiano non raggiunsero quasi mai l’intensità di quelle effettuate sul Reich e che, allo stesso modo, le città italiane erano meno vulnerabili al fuoco di quelle tedesche a causa dei diversi materiali di costruzione145.

I riflessi di questo nuovo ciclo di azioni aeree sulla penisola si ebbero quasi immediatamente anche nella provincia di Lucca. Già il 10 novembre 1942 venne diramata un’ordinanza a tutti i comuni dal significativo titolo di «Sistemazione della popolazione priva di alloggio per effetto dei bombardamenti»146. Si chiedeva, tra le altre cose, un accurato censimento della disponibilità di posti alloggio in modo da «poter sistemare nei comuni della provincia la popolazione urbana che, a causa di bombardamenti aerei, dovesse eventualmente rimanere priva di alloggio147». Questo accertamento doveva essere effettuato «con la massima urgenza, esattezza e accuratezza148». Il tono in effetti, a differenza delle precedenti direttive, tradiva una certa preoccupazione, cosa che non faceva che evidenziare il rapido peggioramento della situazione della popolazione civile residente nei grandi centri industriali. Pochi giorni dopo, il 26 novembre, venne diramata un’ulteriore direttiva prefettizia volta a regolare nei particolari le modalità e i prezzi degli affitti149.

Il progressivo aumento del numero e dell’efficacia delle azioni di bombardamento alleate comportò un costante, crescente flusso di sfollati che dai centri colpiti o minacciati si riversavano verso aree più sicure. La Lucchesia, ancora nel 1942-1943, offriva un’area di pressoché totale sicurezza nei confronti degli attacchi aerei, tanto che la prima, relativamente violenta incursione si ebbe solamente il 1 novembre 1943 sulla città di Viareggio150. In precedenza si erano verificati soltanto pochi attacchi sporadici – soprattutto mitragliamenti a volo radente – da parte di cacciabombardieri che, ad

145 I centri storici delle città tedesche, che divennero in molti casi il principale obiettivo dei bombardieri

pesanti britannici, erano costituiti da agglomerati molto densi di edifici, separati da vie anguste. Nella costruzione stessa abbondava l’uso del legno. Tutti assieme questi fattori contribuivano a rendere molti centri cittadini tedeschi altamente vulnerabili al fuoco, soprattutto in determinate condizioni

meteorologiche.

146

ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, fasc. Sfollamento /Stabili e vani

disponibili, Ordinanza prefettizia del 10 novembre 1942.

147 Ibid. 148

Ibid.

149

ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, fasc. Decreti prefettizi, Ordinanza

prefettizia del 26 novembre 1942.

150

60 esempio, colpirono alcuni idrovolanti ancorati nel lago di Massaciuccoli151. Peraltro, a differenza di Viareggio – una città di circa 34.000 abitanti con un piccolo porto e un discreto scalo ferroviario –, Massarosa offriva ancora meno bersagli per le forze aeree alleate, che si sarebbero interessate alla linea ferroviaria Lucca-Viareggio – in pratica l’unico obiettivo appetibile – solamente nell’estate del 1944, all’interno del contesto delle azioni di interdizione volte a rallentare la ritirata dei tedeschi dalla linea Gustav alla linea Gotica. Alla luce di tutto questo non deve stupire che in molti decidessero di dirigersi in questa direzione quando la minaccia aerea divenne insostenibile, come sarebbe avvenuto a seguito del violento bombardamento americano su Pisa del 31 agosto 1943.

3.

Trovare alloggio

Non era comunque così semplice trovare una sistemazione adeguata, soprattutto se gli sfollati non avevano alcun parente o conoscente che abitasse a Massarosa. L’emergenza poi poteva essere così improvvisa che un alloggio doveva essere per forza trovato in tempi brevi.

É il caso, ad esempio, della famiglia del sergente furiere Renato Pin, di stanza a Trieste fin dal 1939. La sua famiglia, residente a La Spezia, era stata particolarmente sfortunata. Nel febbraio del 1943 la moglie e le due figlie avevano dovuto abbandonare la propria abitazione, riuscendo a trovare alloggio nella frazione di Stiava, dove già avevano trovato rifugio la cognata e i suoi due figli152. Dopo una successiva incursione – probabilmente quella del 13-14 aprile 1943 – anche il suocero e la moglie erano dovuti sfollare da La Spezia per rifugiarsi nella stessa abitazione di Stiava153. La situazione quindi era già molto precaria, perché nella stessa stanza vivevano ben otto persone, ma essa era destinata a peggiorare ulteriormente perché nella notte tra il 18 e il 19 aprile una

151

Lo USAAF Combat Chronology riporta un mitragliamento da parte di cacciabombardieri P-40 il 7 luglio 1943 e un successivo bombardamento da parte di B-25 e B-26 in data 25 settembre. In entrambi i casi gli obiettivi consistevano in campi di aviazione. Il documento è disponibile in formato Pdf sul database della

Combined Arms Research Library (CARL).

152

ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, Lettera di Pin Renato del 27 aprile

1943.

153

61 grossa formazione di 179 bombardieri britannici attaccò nuovamente La Spezia, colpendo anche molte abitazioni civili154. In questa incursione la madre del sergente Pin perse la casa, che venne completamente rasa al suolo; di conseguenza anch’essa si trovava nella condizione di dover trovare rapidamente un alloggio. Come traspare da una lettera inviata da Pin al segretario comunale di Massarosa, il soldato è molto preoccupato, soprattutto perché egli non può occuparsi come vorrebbe della questione:

Mi sono interessato personalmente per trovare una abitazione decente, ma non mi è stato possibile averne, anche per il poco tempo a mia disposizione155.

A questo punto Pin chiede che il comune si interessi della precaria situazione in cui versano i suoi congiunti, tenendo anche presente che:

[…] da quattro anni sono richiamato alle armi, e non ho la facoltà di interessarmi di persona a certe cose. […] Oso sperare che Voi vorrete benevolmente venire incontro ad un soldato che serve la Patria con vero spirito d’italianità, ed esaudirlo nel suo piccolo ed umano desiderio156.

Come vediamo, il militare fa infine leva sul suo impegno di soldato e su come egli stia compiendo il suo dovere da ben quattro anni, tra l’altro in un momento di estrema difficoltà per il Paese vista la disastrosa piega che avevano preso gli eventi sui vari fronti di guerra. Gli sforzi di Pin dovettero comunque essere premiati, visto che in una lettera successiva, datata 12 maggio 1943, egli ringrazia di cuore il segretario comunale perché è venuto a conoscenza dell’interessamento, da parte del podestà Lollusa, del caso dei suoi congiunti157.

154 Patricelli, L’Italia sotto le bombe, cit., p. 161. 155

ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, Lettera di Pin Renato del 27 aprile

1943.

156 Ibid. 157

62 Per trovare una soluzione al problema dell’alloggio, alcuni si affidavano a legami di parentela o di conoscenza con residenti nel comune. Il maggiore Lino Reggiani, in carica al Tribunale Militare di Guerra, doveva essere in amicizia con il Primo Cittadino di Massarosa. In una lettera piuttosto confidenziale del 3 maggio 1943, indirizzata alla persona del podestà, il maggiore prega infatti quest’ultimo di riuscire a trovare un’abitazione di «quattro o cinque stanze» per la sua famiglia residente nella vicina Viareggio158. La richiesta di un’abitazione di addirittura quattro o cinque stanze, in un momento in cui il numero degli sfollati stava crescendo rapidamente in tutta la penisola, appare piuttosto fuori luogo. Ma il maggiore non si ferma qui e azzarda addirittura ulteriori richieste, poiché tale abitazione dovrebbe essere preferibilmente:

[…] in località quanto più possibile vicina a Viareggio onde mantenere il collegamento con la spiaggia. Avevo pensato a Montramito, a Marcaccio, a Stiava, ma anche a Bargecchia o Piano di Mommio159.

Le richieste – si potrebbe quasi dire pretese – di Reggiani hanno un che di eccentrico («onde mantenere il collegamento con la spiaggia»), e denotano quanto il legame di amicizia tra lui e Lollusa dovesse essere stretto. Nel proseguo della lettera egli appare comunque con i piedi più piantati per terra e sinceramente preoccupato per la sicurezza dei propri familiari:

[…] [Comunque] non escluderei nessuno degli altri luoghi, neppure il più lontano, del tuo comune […]. Io devo rimanere qui ad attendere al mio ufficio e vorrei essere almeno tranquillo per la mia famiglia160.

158 Ivi, Lettera di Reggiani Lino del 3 maggio 1943. Il maggiore Lino Reggiani doveva essere assegnato al

Comando Superiore delle FF.AA. in Albania, in quanto la lettera riporta la dicitura dell’Ufficio Posta Militare n° 22, il quale dal 1/7/41 al 30/5/43 era appunto competente per questo Comando.

159 Ibid. 160

63 Non è dato sapere se le richieste del maggiore Reggiani siano state accolte; ma rimane comunque stupefacente come, nel maggio del 1943, quando l’offensiva aerea alleata sta prendendo vigore e continuità e il numero di sfollati sta aumentando esponenzialmente, sia possibile farne di questo tipo. D’altra parte sono ormai ben noti gli stretti legami di clientelismo che sussistevano a tutti i livelli sotto il Regime fascista, evidentemente non diversi da quelli della successiva Italia repubblicana. C’è infine da aggiungere che Reggiani chiede l’alloggio per la famiglia proveniente da Viareggio, un centro che nel maggio 1943 non ha ancora subito attacchi di rilievo, mentre nella provincia stanno affluendo i rifugiati provenienti dalle aree della Liguria, da Livorno e presto dalla vicina provincia di Pisa. Il maggiore è infatti in possesso di notizie errate, essendo stato informato dell’imminente sfollamento della città161.

Intanto l’intensità degli attacchi aerei alleati era in continuo aumento. Fra l’ottobre del 1942 e il febbraio del 1943 gli anglo-americani effettuarono 1.780 sortite di bombardamento sulla penisola, con lo sgancio di circa 3.400 tonnellate di materiale esplosivo, da mettere a confronto con le 350 tonnellate sganciate nei primi 28 mesi di guerra con l’Italia162. In solo quattro mesi venne quindi sganciato un numero circa dieci volte superiore di bombe rispetto a tutto il periodo precedente. Dal dicembre del 1942 i anche gli statunitensi avevano infatti iniziato le loro operazioni di bombardamento sul territorio italiano e, dal gennaio dell’anno successivo, si intensificarono anche le azioni più circoscritte consistenti nel mitragliamento a bassa quota e nei bombardamenti a scali ferroviari e porti163.

L’incursione che prima dell’armistizio ebbe di gran lunga più conseguenze per la vita nel comune di Massarosa fu senza dubbio quella del 31 agosto 1943 su Pisa. Quel giorno circa 150 bombardieri pesanti statunitensi B-17 sganciarono 408 tonnellate di bombe sullo scalo ferroviario e sull’aeroporto, zone che erano anche fittamente popolate164. Lo stesso rapporto dell’USAAF riportò un «large amount of damage»165. I

161

Ibid.

162

Davis, Bombing the European Axis Powers, cit., p. 138.

163 Ibid. 164

Patricelli, L’Italia sotto le bombe, cit., p. 268. È necessario sottolineare che la scarsissima precisione dei bombardieri dell’epoca impediva un vero e proprio bombardamento di precisione. I sistemi di puntamento primitivi, la mancanza di qualsiasi sistema di guida e l’inefficiente aerodinamica degli ordigni comportava una dispersione molto grande dal bersaglio che «il bombardiere» – il membro dell’equipaggio con il

64 morti furono circa 800, molti di più i senzatetto. La zona a sud del fiume Arno venne letteralmente sconvolta e la logica conseguenza fu un vero e proprio esodo della popolazione dalle zone colpite; molti fuggirono per paura di ulteriori incursioni, ma molti altri vi furono costretti perché erano semplicemente rimasti senza casa.

I collegamenti tra Pisa e Massarosa erano relativamente agevoli, esistendo già la strada, al tempo non pavimentata, che partendo da Quiesa e passando per Massaciuccoli costeggiava l’omonimo lago e si allacciava a quella che da Filettole portava alla periferia di Pisa attraverso Avane e Pontasserchio166. Molti furono quelli che si mossero in questa direzione con ogni mezzo disponibile. Fu il caso, ad esempio, di Elvira Buchignani che abitava in via Giuseppe Montanelli, circa a metà strada tra lo scalo ferroviario e l’aeroporto, e quindi pericolosamente vicina alla zona industriale di Porta a Mare, uno degli obiettivi principali dei bombardieri nemici167. Non stupisce quindi che la sua abitazione sia risultata completamente distrutta e che sia dovuta sfollare nel comune di Massarosa assieme ai due figli, alla madre e alla sorella168. Fu invece una fortuna che tutto il nucleo familiare della signora Buchignani fosse riuscito a salvarsi.

Una vicenda simile accadde a mio nonno paterno, Oriano Pieri, che abitava nei pressi dell’attuale aeroporto Galileo Galileo. Durante l’incursione si trovava nei campi a pochi chilometri da casa e si rifugiò in un piccolo canale asciutto nelle vicinanze. Alla fine dell’attacco si diresse rapidamente verso la propria abitazione, rimanendo scioccato dal numero di morti trovati lungo il percorso e rinvenendo la casa semidistrutta da una bomba. Tutta la sua famiglia – il padre, la madre e il fratello maggiore – si era

compito di sganciare le bombe – prendeva effettivamente di mira. Gli statunitensi, comunque convinti della loro capacità di colpire l’obiettivo, persistettero per tutta la guerra nell’effettuare bombardamenti diurni «di precisione», non riuscendo però ad impedire che le bombe cadessero quasi sempre in un raggio molto ampio dal bersaglio. D’altra parte anche lo stesso termine «precisione» va interpretato, in quanto ogni bomba caduta entro 1000 piedi (circa 305 metri) dal bersaglio era considerato un ottimo risultato. Se l’obiettivo si trovava in un centro cittadino, un cerchio di tale raggio poteva comprendere centinaia di abitazioni civili e in media solamente il 30-40% delle bombe sganciate riusciva a cadere entro i 1000 piedi dal punto di mira. Dal canto loro i britannici, come abbiamo visto, adottarono fin dai primi anni di guerra, il principio dell’area bombing, ma, pur tenendo conto della «buona fede» americana nel bombardamento di precisione, le conseguenze per la popolazione civile erano in entrambi i casi sempre molto gravi. Vedi anche, Gioannini, Massobrio, Bombardate l’Italia, cit., pp. 276-281.

165 USAAF Combat Chronology, 8/31/43. 166

Si tratta di via Pietra a Padule.

167

Elena Ferrara e Enrico Stampacchia (a cura di), Il bombardamento di Pisa del 31 agosto 1943, Tagete, Pontedera 2004, pp. 23-24.

168

65 fortunatamente salvata, ma riuscirono a recuperare solo poche cose dalle rovine della casa, con le quali, inizialmente a piedi, si diressero verso il comune di Massarosa, dove avevano alcuni parenti. Giunti alla periferia nord di Pisa, dopo aver percorso già alcuni chilometri, riuscirono fortunatamente a farsi dare un passaggio su un carro trainato da un cavallo, il cui conducente si offrì di condurli fino a Quiesa, dove giunsero felicemente nella tarda serata del 1° settembre. É interessante notare come, analogamente a molti altri testimoni diretti di bombardamenti aerei, anche nelle memorie di Pieri, undicenne all’epoca, l’incursione aerea su Pisa del 31 agosto ancora oggi appare ancora più grave di quanto fu in realtà. Probabilmente anche a causa delle prime, imprecise notizie, egli è tutt’ora convinto che quel giorno si contassero almeno 3.000 morti e migliaia di altri feriti, mentre come abbiamo visto il vero numero è considerevolmente più basso, per quanto ugualmente molto ingente.

La situazione era comunque in rapido peggioramento ed essa si riflette nelle comunicazioni tra gli organi competenti della provincia di Lucca e i comuni ad essa sottoposti. Tra il dicembre del 1942 e il luglio del 1943 si susseguirono almeno sette tra direttive e comunicazioni provenienti da Lucca e dirette a Massarosa, tutte concernenti il problema degli sfollati e dei relativi alloggi. Per lo più l’interesse principale era quello di evitare le speculazioni sui prezzi degli affitti, il che indica che questo fosse probabilmente un problema piuttosto comune, per quanto la documentazione disponibile non indichi se e quanto questa pratica fosse diffusa nel massarosese.

Molto interessante però è la comunicazione datata 19 luglio 1943, a firma del prefetto Marotta, che invitava le autorità comunali ad effettuare un censimento delle case vuote, sfitte e quelle di proprietà di residenti all’estero. Il censimento avrebbe dovuto essere effettuato su base periodica onde tenere costantemente aggiornata la capacità recettiva del comune169. L’emergenza degli sfollati stava diventando sempre più seria e, per la prima volta, non compare alcun accenno al riguardo degli affitti o dei prezzi ad essi collegati. Il documento, viceversa, si concentrava in modo particolare sulle case vuote di cittadini residenti all’estero, che avrebbero dovuto essere censite e messe a disposizione della Prefettura, la quale si riservava la libertà di assegnarle agli sfollati in

169 ASCM, m. 1255, b. Sfollati, pratiche varie e domande 1942-1944, Comunicazione prefettizia del 19 luglio

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 55-71)