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Sotto le arm

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 71-76)

I MASSAROSESI SOTTO LE ARM

1. Sotto le arm

Massarosa, come ogni altro comune del Paese, dovette mandare i suoi cittadini sotto le armi. Questi servirono come soldati o ufficiali all’interno delle Regie Forze Armate, anche se la grande maggioranza finì tra le fila della fanteria, mentre solo una esigua minoranza servì in marina o in aeronautica. Non è stato possibile giungere al numero esatto di massarosesi che tra il 1940 e il 1945 prestarono servizio militare – prima nelle Regie FF.AA, in seguito come cobelligeranti o nelle fila della RSI – a causa dell’incompletezza della documentazione. Un elenco, parziale, contiene più di 330 nominativi, e comprende quasi certamente tutti coloro che provenivano dal capoluogo, ma non include molti di quelli che risiedevano nelle varie frazioni. Per questa lista si rimanda alle appendici.

I militari massarosesi combatterono in tutti i teatri bellici in cui vennero impegnate le FF.AA. italiane, dalle assolate dune desertiche del Nord-Africa, passando per le montagne dei Balcani, arrivando alle fredde distese innevate dell’Unione Sovietica. Pagarono il loro dazio alla guerra fascista perdendo la vita, rimanendo feriti o venendo presi prigionieri e, alla fine, furono impotenti partecipi dello sbandamento e della

74 dissoluzione delle Forze Armate a seguito dell’armistizio dell’8 settembre. Non pochi furono quelli che, analogamente a centinaia di migliaia di loro commilitoni, vennero disarmati dalle forze tedesche e inviati nei campi di concentramento con lo status di

italienischen Militärinternierten (in italiano Internati Militari Italiani, o IMI)185. Alcuni pagarono con la vita, insieme a migliaia di propri connazionali, la scellerata gestione dell’armistizio da parte delle alte cariche dello Stato.

In realtà, alla data dell’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, alcuni massarosesi si trovavano già sotto le armi come soldati di carriera o come richiamati per il servizio di leva. Questi ultimi, visto il nuovo stato di belligeranza tra l’Italia e gli anglo- francesi, vennero trattenuti in servizio. In molti casi costoro rimasero continuativamente sotto le armi per tutta la durata delle ostilità e spesso, se presi prigionieri, avrebbero rivisto le proprie case e le proprie famiglie solamente tra il 1945 e il 1946186. Uno di questi militari di carriera era il sottocapo elettricista Adelio Sacchetti, residente nella frazione di Stiava, il quale prestava servizio volontario nella Regia Marina fin dal 14 settembre 1938 e allo scoppio della guerra era imbarcato sulla corazzata Caio Duilio187. Il servizio di guerra di Sacchetti fu lungo e ricco di eventi: faceva parte dell’equipaggio della grande corazzata quando essa venne danneggiata a Taranto l’11 novembre 1940 nel corso del famoso attacco notturno britannico e partecipò alla Prima battaglia della Sirte, all’inizio di gennaio del 1942188. In seguito, assieme alla corazzata, il sottocapo massarosese svolse alcune missioni di scorta ai convogli di rifornimento per l’Africa settentrionale, ma a partire dal febbraio del 1942, con l’esclusione di poche uscite per esercitazioni, il Duilio rimase sempre in porto.

Dopo la fine della battaglia di Mezzo Agosto (11-13 agosto 1942), a parte alcune limitate e sporadiche azioni compiute dalle divisioni incrociatori, la componente pesante della Marina Italiana non effettuò più uscite in mare con lo scopo di ingaggiare il

185

Gli IMI non erano sulla carta in nessun modo tutelati da parte delle leggi internazionali, in quanto lo stesso termine «internati militari» non aveva alcuna valenza giuridica. Esso venne creato ad hoc da Hitler stesso per distinguere i prigionieri italiani dai comuni prigionieri di guerra. Elena A. Rossi, Una nazione allo

sbando. 8 settembre, 3ᵃ ed., Il Mulino, Bologna 2003, p. 137.

186

Naturalmente durante il servizio militare venivano concesse delle licenze che permettevano, per brevi periodi, il rientro alle proprie case.

187 ASCM, m. 1243, b. Soccorsi Militari 1940, fasc. Adelio Sacchetti. 188

75 nemico189. La permanenza in porto delle grandi unità comportò però che parte del personale di queste navi venisse dirottato sul naviglio leggero, sempre più impegnato nell’aspra lotta ai convogli. Nel marzo del 1943 fu la volta di Adelio Sacchetti, il cui servizio di guerra si rivelò quindi tutt’altro che finito nonostante la sostanziale immobilizzazione della corazzata sulla quale era imbarcato190.

Il nuovo imbarco del marinaio fu il cacciatorpediniere Mitragliere, con il quale Sacchetti probabilmente attraversò il periodo più intenso della sua carriera militare. Il 9 agosto 1943 il suo caccia uscì da La Spezia assieme ad altre due unità similari per scortare l’VIII Divisione Navale di ritorno da un’infruttuosa azione in direzione di Palermo. Durante la breve navigazione verso Genova un sommergibile britannico, il

Simoon, attacca la formazione. Tutte le navi riescono ad evitare i siluri tranne il

cacciatorpediniere Vincenzo Gioberti, che colpito da due siluri affonda rapidamente nell’impotenza degli altri due caccia della scorta191.

Le vicende di Sacchetti con il Mitragliere non finiscono qui, in quanto il caccia sarà testimone, esattamente un mese dopo, della tragedia della nave da battaglia Roma. Il cacciatorpediniere e tutte le altre navi della squadra, dopo aver salvato i superstiti della moderna corazzata, si diressero verso le isole Baleari, dove vennero internate dal neutrale governo spagnolo192. Avrebbero fatto ritorno in Italia nel 1945.

Pochi giorni prima dei tragici fatti del Roma, in data 30 agosto, il sottocapo Sacchetti aveva scritto una lettera per la madre che può essere considerata come indicativa di moltissime altre corrispondenze tra il fronte e i familiari rimasti a casa:

Cara mamma,

Oggi aspettavo una tua missiva, ma a malincuore ho da rinunciare a questa gioia (sic), la tua posta ho costatato che impiega moltissimo tempo, sarà causa della soppressione di tanti treni(sic). […].

189

Ivi, p. 388.

190

ASCM, m. 1243, b. Soccorsi Militari 1940, fasc. Adelio Sacchetti.

191 Gianni Rocca, Fucilate gli ammiragli, Mondadori, Milano 2009, p. 292. 192

76 La mia salute è ottima come lo stesso spero sia per te, Lia e Boris,

non vedo l’ora e il momento di potervi tutti riabbracciare e credo questa gioia sia ancora lunga perché le licenze non sono aperte […]193.

Nella lettera, invero molto breve, ci sono le solite rassicurazioni sulla propria salute e la richiesta, in questo caso indiretta («come lo stesso spero sia per te»), di notizie sulla salute dei propri cari rimasti a casa.

Dalla missiva però traspaiono anche le difficoltà che in quel momento sta attraversando il Paese. La posta giunge in modo irregolare – Sacchetti presume sia a causa della soppressione di molti convogli ferroviari – e le licenze sono state sospese. In effetti nell’agosto del 1943 la situazione militare italiana è disastrosa, con la Sicilia conquistata dagli anglo-americani e i bombardamenti che crescevano di intensità, causando i problemi alle linee di comunicazione. Da giugno le strade ferrate e gli snodi ferroviari di tutta l’Italia meridionale erano soggetti ad attacchi aerei da parte della N.A.A.F. (Northwest African Air Forces) e della 9th e 12th Air Force statunitensi, che causarono danni molto gravi, tanto che nel raid del 17 luglio su Napoli si verificò un’interruzione pressoché totale delle comunicazioni ferroviarie tra Roma e il capoluogo campano194. In effetti, quando venne scritta questa lettera, il marinaio massarosese non poteva sapere che erano già in corso le trattative con gli Alleati e che solamente tre giorni dopo sarebbe stato firmato l’Armistizio a Cassibile, in Sicilia. Su una cosa però non aveva torto: sarebbe passato ancora molto tempo prima che potesse rivedere i propri cari e la propria casa.

Una delle preoccupazioni principali dei militari al fronte era conoscere lo stato di salute dei familiari a casa. Nel caso delle lettere dei soldati massarosesi, rimanendo il comune quasi del tutto immune a bombardamenti e mitragliamenti fino all’estate del 1944, i riferimenti alle azioni aeree nemiche sul territorio italiano sono scarse, ma ciò non significa che non ci fosse preoccupazione per lo stato dei propri cari rimasti a casa. Certo artigliere Orlando, in forza, secondo la documentazione, al 2° Rgt. Artiglieria

193

ASCM, m. 1243, b. Soccorsi Militari 1940, fasc. Adelio Sacchetti.

194 Wesley F. Craven - James L. Cate, The Army Air Force in World War II, Volume 2 – Europe: Torch to

77 d’Armata, all’inizio di agosto del 1943 scrive alla madre Amelia Salvetti di Bozzano, la quale evidentemente doveva essere stata malata:

[…] Spero che voi siate guarita, e che almeno state meglio dato che Angelina mi diceva che stavate un poco meglio e ora che sono passati dei giorni io credo che sarete andata in meglio e non in peggio on evvero (sic)195?

A questo punto Orlando passa alle rassicurazioni sul proprio stato di salute:

Io cara mamma sto molto bene, riguardo alla salute ne ò tanta da crepare comunque per me potete stare allegra196.

Non manca poi un accenno alla guerra, straordinariamente ottimista visto lo stato disastroso del Paese al momento della stesura della lettera, con la Sicilia che di lì a pochi giorni sarebbe caduta in mano agli Alleati:

Qui cara mamma sempre le solite cose […] fare lavori di batteria e si sta in guardia che non vengano quei disgraziati degli americani che certo davanti alle nostre bocche da fuoco avranno a fare i conti non dubitate197.

L’unità di Orlando era probabilmente il 2° Raggruppamento Artiglieria d’Armata, assegnato alla 5ᵃ Armata del generale Mario Caracciolo, che aveva il compito di difendere la Piazza Militare Marittima di La Spezia e la fascia costiera tirrenica e adriatica fino all’altezza di Roma198. Perciò, diversamente da quanto prospettato dall’artigliere, nessun americano comparve mai di fronte alle sue bocche da fuoco. Al contrario, essa

195 ASCM, m. 1243, b. Soccorsi Militari 1940, fasc. Amelia Sacchetti. 196

Ibid.

197

Ibid.

198 AA.VV., Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, Ufficio Storico dello SME, Roma

78 rimase coinvolta, un mese dopo la stesura della lettera, nelle vicende armistiziali, che videro la pressoché totale disgregazione delle FF.AA. italiane. Le sorti dell’artigliere Orlando non sono chiare. Presumibilmente, pur non comparendo nella documentazione postbellica relativa agli IMI, venne preso prigioniero dalle truppe tedesche e deportato in Germania.

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 71-76)