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Dal 25 luglio all’armistizio

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 112-117)

Parte seconda

1. Dal 25 luglio all’armistizio

Il Regime fascista cadde il 25 luglio 1943. Nella notte precedente, durante la 187ᵃ e ultima seduta del Gran Consiglio, venne approvato l’Ordine del Giorno promosso da Dino Grandi, che prevedeva di riconsegnare nelle mani del re il mandato della conduzione della guerra325. Alle cinque del pomeriggio del 25 il Duce, che al mattino si era recato a lavoro come nulla fosse successo, si diresse a villa Savoia per il consueto colloquio con il sovrano; Mussolini non sapeva che anche quest’ultimo, indipendentemente dalle azioni dei gerarchi del Regime, si era infine deciso ad agire contro il capo del governo. Nel corso dell’incontro il Duce venne informato che alla guida del paese sarebbe subentrato il maresciallo Pietro Badoglio e, di fatto, si ritrovò in stato di arresto326. Venne temporaneamente confinato sull’isola di Ponza, nel golfo di Gaeta.

La caduta di Benito Mussolini e del Regime fascista fu la conseguenza finale di una guerra fallimentare sotto tutti i punti di vista e che infine, con l’invasione anglo- americana della Sicilia, era giunta sul territorio metropolitano italiano. Probabilmente i più, all’interno del paese, non conoscevano nel dettaglio quanto disastrosa fosse questa situazione, ma il generale fallimento della guerra voluta da Mussolini era chiaramente percepito, se non altro per la cronica e sempre maggiore carenza di generi di prima necessità, che in pratica non risparmiavano nessuna regione d’Italia. D’altra parte,

325 Bosworth, L’Italia di Mussolini, cit., p. 497. 326

115 nonostante l’imbrigliamento degli organi di stampa, era impossibile nascondere del tutto la disperata situazione bellica. Grazie infatti ai soldati che ritornavano in patria in licenza, le notizie sulla reale situazione al fronte si diffondevano, mentre era sempre possibile, pur affrontando seri rischi, ottenere informazioni attraverso altri canali che non fossero quelli «ufficiali».

Secondo Solimano Berrettoni non erano in molti a Massarosa a conoscere bene la reale situazione bellica, ma nel paese c’era chi ascoltava, di nascosto, Radio Londra. Lo stesso Berrettoni andava a casa di alcuni degli antifascisti del comune che si sintonizzavano sulla radio britannica, ma erano in pochi ad essere veramente consapevoli di cosa succedeva al fronte327. Solamente quelli «più intraprendenti», secondo le parole dello stesso Berrettoni, avevano la voglia – e il coraggio – di informarsi senza i filtri della radio di regime, ma rimanevano una sparuta minoranza328.

Nonostante l’appoggio che una buona parte della popolazione massarosese aveva dato al fascismo per i venti anni precedenti – «Berrettoni ricorda che, nonostante tutto, alcune cose buone il fascismo le aveva fatte»329 - , la sua caduta non portò a rimostranze o a scontento. Viceversa, pur non essendoci state dimostrazioni di esultanza come in molte località italiane, che comunque in molti casi furono dovute all’errata convinzione che la caduta di Mussolini coincidesse con la fine della guerra, anche nel massarosese la notizia venne accolta con gioia, per quanto moderata. A detta dei testimoni, a Massarosa, paese agricolo, non erano in molti ad interessarsi veramente di politica e a gioire veramente per il nuovo corso della politica italiana furono i relativamente pochi antifascisti ed esponenti del vecchio Partito Popolare Italiano (PPI)330. Rimane comunque il fatto che, anche nel comune, il fascismo si sciolse letteralmente come neve al sole, a dimostrazione di come, nei venti anni, la sua ideologia fosse penetrata soltanto superficialmente nella mentalità, nelle convinzioni e negli usi della gente.

Apparentemente la reazione dei massarosesi al 25 luglio fu più di sollievo che di gioia vera, eppure almeno a qualcuno doveva essere piuttosto chiara la situazione in cui

327 Solimano Berrettoni, 12 dicembre 2013 328

Ibid.

329

Ibid. Non dimentichiamoci che Solimano Berrettoni nacque nel 1929, in piena epoca fascista e negli anni in cui esso fu più popolare.

330

116 versava l’Italia e di chi fosse la responsabilità per la situazione del momento. Commentando l’evento, un anonimo scrittore massarosese inviò questa ragionata lettera ad un conoscente di Maggiano, a Lucca:

Quanto doveva inevitabilmente accadere è avvenuto! L’uomo che per 21 anni ha giocato nel bluff è ignominiosamente caduto, lasciando nel baratro più profondo la nostra Patria adorata! La sua sfrenata ambizione, l’ha perduto, e per sempre. […] Hanno votato contro di lui la maggioranza dei suoi ministri, ed anche il famigerato Ciano. […] Ogni recriminazione è inutile, ora, e speriamo che si possa salvare il salvabile dalla rovina.331

Decisamente più rabbiosa è un’altra missiva – datata 4 settembre – indirizzata a Gino Sargentini, 16° Artiglieria, da Ebe Sargentini di Bozzano, la quale si esprime con queste parole:

Accidenti a quel mostro che ha rovinato l’Italia in questa maniera, speriamo che Gesù ci metta le sue santissime mani affinché venga la sospirata pace, che credi non se ne può davvero più332.

La pace, la «sospirata pace»: questo probabilmente era il desiderio più grande della maggioranza degli italiani in quell’estate del 1943, al di là di tutte le considerazioni di carattere politico. La penuria di cibo e altri generi di prima necessità; i mariti, i padri, i fratelli e i figli al fronte; l’intensificarsi dei bombardamenti e il semplice, disastroso andamento del conflitto, avevano portato la popolazione all’esasperazione. La fine delle ostilità e il ritorno alla normalità era quanto volevano gli italiani, e Massarosa non faceva eccezione.

331 Giuseppe Pardini, La censura di guerra (1943-1944), in Documenti e Studi, 1995, 16/17, p. 40. 332

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2.

L’8 settembre

L’armistizio tra l’Italia e gli Alleati venne firmato il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, e fu reso pubblico la sera dell’8 settembre dal maresciallo Pietro Badoglio con un breve proclama alla radio. La reazione dei massarosesi fu differente rispetto a quella del 25 luglio precedente, e questa volta ci furono veramente dimostrazioni di gioia e sollievo causate, manco a dirlo, dall’errata convinzione che finalmente l’Italia sarebbe uscita dal conflitto. Fin da subito però ci fu anche un altro sentimento: l’incertezza. Il compilatore della succinta cronistoria della Parrocchia di Massarosa, in data 8 settembre 1943 riporta – pur senza entrare nel dettaglio – che nel paese si verificarono diversi «fattacci» e che in generale c’erano preoccupazione e timore, accentuati da numerosi spostamenti di truppe333.

L’inquietudine della popolazione si rivelò ben presto fondata. I tedeschi si erano resi conto da tempo che la volontà dell’Italia di continuare a combattere stava vacillando sempre di più e, pur essendo stati alla fine colti di sorpresa dalla dichiarazione dell’armistizio, si erano in precedenza preparati ad affrontare l’eventualità di una resa o di una defezione italiana. Già immediatamente dopo la caduta del fascismo il 25 luglio, unità tedesche avevano infatti cominciato ad affluire nel Paese dalla Germania e dalla Francia attestandosi su posizioni strategiche – ad esempio prendendo de facto il controllo del fondamentale passo del Brennero. Entro il 17 agosto un totale di quattro divisioni di fanteria, una di paracadutisti, due corazzate e una brigata da montagna erano entrate in Italia, mentre forze tedesche già dislocate nel Paese estesero il loro controllo sul territorio circostante, cercando di «incapsulare» per quanto possibile le unità italiane334. Nonostante le proteste delle autorità italiane, lo spostamento di queste unità venne giustificato dai tedeschi come prevenzione contro possibili sbarchi anglo- americani sulla penisola. Nelle alte sfere dell’apparato politico e militare italiano le vere intenzioni tedesche erano piuttosto chiare, ma la crescente debolezza interna del Paese impedì che questa vera e propria «invasione silenziosa» venisse contrastata a dovere.

333

APM, Cronache 1938-1966 (B-F 65 372), Breve cronistoria della Parrocchia di Massarosa dall’anno

1938.

334

118 Nel frattempo erano state pianificate delle azioni militari volte a neutralizzare le FF.AA. italiane e ad occupare la penisola e le aree sotto responsabilità italiana (sud della Francia, le isole dell’Egeo, parti della Jugoslavia e della Grecia). Tutte queste operazioni vennero raggruppate sotto la denominazione comune di Achse.

Il piano Achse scattò immediatamente dopo l’annuncio dell’armistizio ed ebbe un successo pressoché completo grazie alla disgraziata gestione del Paese da parte dei vertici dello Stato e delle Forze Armate – che lasciarono i propri sottoposti privi di ordini chiari –, all’efficienza e brutalità delle truppe tedesche e alla generale stanchezza della guerra che affliggeva civili e militari. Anche gli Alleati ebbero la loro parte di responsabilità. Il risultato fu che tutta la penisola, con l’eccezione delle aree che erano già cadute sotto il controllo alleato, venne occupata dalle forze tedesche, mentre circa 750.000 soldati delle Forze Armate italiane vennero internati in Germania. È impossibile calcolare il numero esatto delle vittime italiane dei primi, confusi giorni che seguirono l’8 settembre, ma soltanto quelle militari dovrebbero ammontare a circa 15.000 unità, per la maggior parte dovute alle fucilazioni e ai naufragi delle navi che trasportavano sul continente i soldati destinati all’internamento in Germania335.

Il comune di Massarosa ricadeva sotto la giurisdizione della 5ᵃ Armata del Generale Mario Caracciolo, la quale aveva il compito di presidiare la Piazza Militare Marittima di La Spezia e la fascia costiera tirrenica e adriatica (comprese le isole) fino all’altezza del Lazio ad ovest e di Pescara ad Est. In Toscana, tra Massa e Cecina, era dislocata la 216ᵃ Divisione Costiera (II Corpo d’Armata) con sede di comando a Pisa e agli ordini del Generale Carlo Ceriana Mayneri336. Tutta la 5ᵃ Armata era stata progressivamente indebolita e, nonostante le fosse stato ridotto il territorio da presidiare, le sue forze erano del tutto insufficienti per reagire a quelle tedesche che essa si trovò di fronte a partire dalla sera dell’8 settembre. Queste comprendevano l’LXXXVII Corpo d’Armata in Liguria e il Corpo d’Armata Corazzato a nord di Modena337. I tedeschi non ci misero molto a liquidare la 216ᵃ Divisione e nonostante alcuni scontri all’interno della città di Livorno e presso i capisaldi di Calambrone, Marina di Pisa, Viareggio e nella Provincia di

335

Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 38.

336 AA.VV. Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943, cit., pp. 180-181. 337

119 Apuania – iniziati fin dalla notte del 9 –, l’11 settembre il comandante del II Corpo d’Armata ordinò di trattare con i tedeschi, sancendo di fatto la fine della Divisione Costiera338.

A Massarosa erano presenti i depositi del 127° Reggimento di Fanteria (a Quiesa), del 22° Reggimento (a Stiava) e del 125° Reggimento nel capoluogo, ma l’unica conseguenza diretta del piano Achse fu la fuga di alcuni militari italiani nell’area del comune. Il 9 settembre i Carabinieri di Viareggio riportarono che diversi uomini in uniforme italiana, facenti parte di reparti di addestramento in Lucchesia, si erano presentati da un fattore a Fabbriche, nel comune di Camaiore. I soldati sostennero di essere scappati dalle proprie unità, ed essendo tre di loro armati di moschetto, il fattore Vittorio Cavallini, pur se non minacciato, decise per paura di consegnare loro del pane, alcuni fiaschi di vino e un po’ di farina di castagne. I CC.RR. di Camaiore, coadiuvati da uomini dell’esercito, iniziarono le ricerche, ma le tracce vennero perse quando i militari in fuga si diressero nel comune di Massarosa inoltrandosi nelle aree boscose di Mommio339.

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 112-117)