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Il clero nella Resistenza e la tragica fine di don Giuseppe Del Fiorentino

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 178-186)

Parte seconda

4. Il clero nella Resistenza e la tragica fine di don Giuseppe Del Fiorentino

Abbiamo visto come nel massarosese, per lungo tempo, uno dei pochissimi veicoli di dissenso nei confronti del Regime fascista fosse stata la parrocchia, pur consistendo solamente in una tacita opposizione. Dopo l’8 settembre, l’arrivo delle truppe tedesche e l’avvio della lotta armata contro l’occupante, il contributo dei sacerdoti del comune alla Resistenza aumentò considerevolmente. Le conseguenze che dovettero affrontare furono a volte terribili e alcuni arrivarono a pagare il prezzo più alto. Nel massarosese, vista l’intensità dei rastrellamenti messi in atto dalle FF.AA. tedesche, era del resto inevitabile che a farne le spese fossero anche dei religiosi. Fu così che il parroco di Corsanico, il trentaquattrenne don Ermindo Bacci, venne arrestato e portato alla Pia Casa di Lucca il 26 agosto 1944, mentre due settimane prima ad essere preso fu don Giuseppe Grassini, quarantaquattrenne parroco di Bozzano arrestato il 10 agosto 1944527. Più fortunato fu il già citato don Emilio Angeli, prete di Gualdo che riuscì a superare indenne l’occupazione tedesca. Questi, antifascista da sempre, aveva preso immediatamente contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale di Marigliana di Camaiore. Don Angeli dava ospitalità ai membri della Resistenza che ne avevano bisogno – come ben presto sarebbe accaduto a Gustavo Rontani – e cercò di organizzare i giovani che non avevano aderito all’esercito della Repubblica di Salò528.

527

Laganà, Il sacrificio del clero nella provincia di Lucca durante la Seconda guerra mondiale, cit., pp. 440- 441.

528

Queste informazioni sono tratte dal breve scritto di Romano Del Soldato La Resistenza a Gualdo 1944-

1945. In esso sono raccolte parte delle memorie di Del Soldato, ancora minorenne durante l’occupazione,

ma il quale prese limitatamente parte al movimento partigiano. Suo fratello maggiore, Oscar, era invece un membro attivo e inizialmente gli fu dato il compito di mantenere i contatti con il CLN di Marignana.

181 Sia Bacci che Grassini sarebbero comunque riusciti a sopravvivere alle loro dure esperienze, ma don Giuseppe del Fiorentino fu meno fortunato. Il salvatore delle preziose campane di Bargecchia sarebbe andato incontro alla sua fine a Laiano di Filettole, probabilmente attorno al 30 agosto 1944, forse nella notte tra il 28 e il 29. Il parroco venne arrestato la prima volta il 16 agosto, quando alcuni militari delle SS acquartierati nella villa Cenami a Piano di Conca si presentarono alla piccola chiesa della frazione mentre il sacerdote si apprestava a celebrare la Messa. Venne immediatamente condotto a Lucca, ma già in serata venne riportato a Massarosa, seppur con un foglio nel quale gli si intimava di non abbandonare il territorio529. Molti gli consigliarono comunque di fuggire, ma Del Fiorentino, temendo una probabile rappresaglia nei confronti della popolazione, scelse di restare, decisione che gli fu fatale. Due giorni dopo i tedeschi ritornarono e condussero il parroco in auto a Nozzano, dove la sorella Anita si recò tentando inutilmente di ottenerne il rilascio. Da quel momento la sorte finale di Del Fiorentino rimase avvolta nel misero e lo sarebbe rimasta per quasi due anni, fino al giugno del 1946530. Al tempo non era possibile sapere che il sacerdote era stato ucciso alla fine di agosto a Liano di Filettole (PI), nei pressi di un canneto sulle rive del Serchio. Insieme a lui fecero la stessa fine una quarantina di altri prigionieri, compreso don Libero Raglianti, parroco della chiesa dei SS. Giuseppe e Maria Maddalena di Valdicastello Carducci (Pietrasanta). A macchiarsi dell’atroce strage fu un reparto della

Feldgerdarmerie531 della 16. SS Panzer-Grenadier-Division «Reichsführer SS», ai comandi del tenente Gerhard Walter532.

I motivi che portarono all’uccisione di don Giuseppe Del Fiorentino non sono chiari. Quando gli venne consigliato di fuggire, egli decise di restare anche perché si sentiva con la coscienza a posto, essendo consapevole di non aver mai fatto niente di male. Alcune fonti però riferiscono che nell’occasione del primo arresto del parroco, avvenuto il 16 agosto, fossero state rinvenute alcune armi all’interno della chiesa di Piano di Conca, motivo che aveva anche portato alla presa in ostaggio di alcuni abitanti

529

Ivi, p. 241.

530

Ivi, pp. 246-247.

531 La Feldgerdarmerie era la polizia militare tedesca. 532

182 del paese533. La spiegazione però potrebbe essere un’altra ed esulare dai rapporti del parroco con la Resistenza, per essere invece ascrivibile ad un profondo anticlericalismo radicato in molti uomini della 16ᵃ Divisione. La provenienza di alcuni di essi dalle fila della divisione «Totenkopf» (teschio) aveva inculcato loro che i principali nemici del nazionalsocialismo fossero gli ebrei, i massoni, i bolscevichi e le «chiese»534. È quindi possibile che le brutalità commesse dai militi delle SS nei confronti di molti esponenti del clero lucchese sia da ricercarsi in questa impostazione mentale535.

A partire dall’agosto del 1944 l’accanimento contro i membri del clero, soprattutto quelli più in vista, da parte dei tedeschi era del resto diventato sempre più massiccio. Molti parroci avevano da tempo iniziato una vera e propria azione di resistenza civile e quando la 16ᵃ Divisione SS, formazione altamente politicizzata, entrò nel pieno della sua attività di lotta alle bande e di repressione, non fece fatica ad inserire anche i religiosi tra gli obiettivi delle rappresaglie. Del Fiorentino è soltanto uno dei molti religiosi che finirono sotto il piombo tedesco in quelle settimane, ma le vicende di don Aldo Mei o della più grave strage della certosa di Farneta, si inseriscono tutte nel contesto della repressione verso uomini di Chiesa in vista o nei confronti dei quali erano state raccolte prove che li accusavano di aver dato appoggio a disertori, dissidenti, membri Resistenza ed ebrei536.

La sorte di Del Fiorentino divenne nota solamente il 2 giugno 1946, quando i suoi resti vennero rinvenuti all’interno di una fossa comune del cimitero di Filettole. Il suo sostituto nella parrocchia, don Sirio Politi, descrisse il ritrovamento:

[…] Coperto appena di terra insieme a molti altri sul posto dell’eccidio, poi sepolto nel cimitero suddetto. Non vi è più che lo

533

Ivi, p. 247.

534

Fulvetti, Uccidere i civili, cit., pp. 245-246.

535 Theodor Eicke, primo comandante di Dachau e vero creatore di quella che sarebbe diventata la 3. SS-

Panzer-Division «Totenkopf», pretendeva dai suoi volontari la totale rinuncia a qualsiasi affiliazione

religiosa. Ivi., p. 245.

536 Gianluca Fulvetti, Anche contro il clero? La strage della certosa di Farneta, in Gianluca Fulvetti –

183 scheletro piegato in un fianco. Due buchi dietro la nuca. Sotto il braccio

alcuni pezzi di camicia ancora riconoscibile. L’identificazione è sicura537.

Il corpo del sacerdote venne immediatamente riconosciuto proprio grazie al resto degli abiti che aveva addosso e alla carta di identità ritrovata nei pressi dei resti, le cui scritte erano ancora leggibili538.

5.

La morte di Amos Paoli

Amos Paoli non era di Massarosa, ma di Romigno, in comune di Seravezza. Nato il 7 settembre 1917 in una famiglia che si distinse per il suo antifascismo anche nel periodo precedente al conflitto, era stato colpito fin dalla giovane età da una paralisi completa agli arti inferiori, cosa che lo aveva costretto su una sedia a rotelle. Dopo l’8 settembre, nonostante la sua invalidità, aveva iniziato a collaborare attivamente con i gruppi della Resistenza, a cui forniva armi e rifornimenti che si procurava spostandosi con la sua carrozzina spinta a mano539. Il 25 giugno un gruppo di soldati tedeschi irruppe nella casa dei Paoli e scoprì alcune armi nascoste sotto il letto di Amos. Secondo la madre Luisa Tomei fu un carabiniere di Seravezza a denunciare il giovane alle autorità tedesche. Per due giorni venne sottoposto ad estenuanti interrogatori e probabilmente anche a torture di varia natura, senza però riuscire a fargli dire niente di compromettente. Il 27, dopo averlo portato di fronte a casa sua e avergli promesso salva la vita se avesse parlato, egli esclamò: «finiamola con questa storia!»540. Persa definitivamente la pazienza, i tedeschi lo trascinarono in direzione di Lucca e giunti nel comune di Massarosa lo portarono nei pressi del piccolo centro abitato di Compignano, dove venne ucciso a colpi di mitra. Nel 1978 gli venne assegnata la Medaglia d’Oro alla memoria541.

537

Laganà, Il sacrificio del clero nella provincia di Lucca durante la Seconda guerra mondiale, cit., p. 247.

538 Ibid. 539

Costantino Paolicchi (a cura di), La Versilia nella Resistenza. I comuni della Versilia nel XXX anniversario

della Resistenza e della liberazione, Tipografia Carducci, Ripa 1974, p. 12.

540 Bergamini – Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, cit., p. 114. 541

184

6.

I partigiani non si fermano

Nonostante le continue rappresaglie e l’arrivo in Versilia della 16. SS-

Panzergrenadier-Division «Reichsführer SS», una brutale unità particolarmente efficiente

nella lotta alle bande e nel controllo del territorio, il movimento partigiano della zona Lucca-Versilia-Apuania non venne intimorito e nonostante le perdite continuò le sue azioni. Il 18 luglio vide così la luce la X bis Brigata Garibaldi «Gino Lombardi», nata grazie all’impegno di Alvo Fontani e composta, tra gli altri, dai capi formazione Lorenzo Bandelloni e Ottorino Balestri542. La fondazione della nuova unità non fu però esente da problemi, alcuni dei quali si dimostrarono insormontabili. In particolare si rifiutarono di aderire quei gruppi che operarono nella zona detta delle «Sei Miglia», nel camaiorese. Principale osteggiatore della fusione con la Brigata Garibaldi fu il colonnello monarchico Alberto Brofferio, che era piuttosto conosciuto nell’area di Camaiore-Massarosa e che aspirava lui stesso al comando di tutto il movimento di resistenza versiliese543.

Nonostante la Brigata entrasse subito in azione, i mai sanati contrasti interni la condussero presto allo smembramento. Eravamo alla prima decade del mese di agosto, che si sarebbe rivelato terribile sia per il movimento partigiano sia per la popolazione civile della Versilia. Dalla X bis Brigata scaturirono tre distinte formazioni: il Distaccamento d’Assalto Garibaldi «Marcello Garosi» al guida di Giancarlo Taddei; la formazione «Gino Lombardi» al comando di Ottorino Balestri e l’unità con a capo Lorenzo Bandelloni e Loris Palma544.

7.

La Marcello Garosi

La formazione partigiana più attiva nel comune di Massarosa fu probabilmente la «Marcello Garosi», forse anche grazie al fatto che alcuni suoi membri, primo su tutti Gustavo «Tono» Rontani, conoscevano bene il territorio. Fu lui, insieme a Ciro «Chittò» Bertini, a guidare il giorno 15 agosto un distaccamento di dieci uomini in alcune azioni di 542 Ivi, p. 129. 543 Ivi, p. 130. 544 Ivi, p. 144.

185 disturbo sul monte Quiesa. Gli obiettivi erano soprattutto camion tedeschi e furono decisi dal comandante dell’unità, Giancarlo Teddei e dal suo vice Nestore Cinquini.

La «Garosi», formazione a maggioranza comunista, era probabilmente l’unità più omogenea e politicizzata tra quelle che operavano in Versilia545, nonostante Rontani abbia scritto che c’erano diverse decine di membri, lui compreso, che politicamente la pensavano in modo quasi opposto. Lo stesso «Tono» afferma però che l’unità e la concordia politica garantivano una maggiore efficienza, riducendo al minimo i contrasti e le divisioni interne546. La crescente attività della «Garosi» in territorio massarosese e camaiorese, così come sul versante della Val Freddana, ebbe un costo sia in termini di vite partigiane che di quelle dei civili. Il massacro compiuto ai «Pioppetti» di Camaiore da parte della Feldgendarmerie della 16ᵃ Divisione SS si inserisce proprio nel contesto delle azioni di questa aggressiva formazione partigiana, che in quella località aveva ucciso in un agguato il medico personale del comandante della RFSS, Max Simon.

Il 25 agosto alla formazione pervenne l’ordine di presidiare al completo la via Sarzanese dal monte Quiesa fino a Viareggio, prendendo al contempo contatto con le prime unità alleate sulla via Pietra a Padule a Massaciuccoli e nella zona delle «Case Rosse» nei pressi di Filettole547. Vista l’entità dell’azione il comandante voleva svolgere preventivamente una ricognizione e chiese a «Chittò» e a «Tono» di accompagnarlo, disarmati per destare meno sospetti possibile. La mattina del 26 si misero in cammino raggiungendo Gualdo la sera stessa, dove poterono rifocillarsi e riposarsi nella canonica di don Emilio. La ricognizione vera e propria iniziò la mattina del 28 agosto, quando i tre si incamminarono in direzione del monte Quiesa attraversando Formentale e Chiatri. Sulla via del ritorno accadde il disastro. Queste sono le parole con cui Rontani descrisse l’accaduto in una lettera inviata ai vicecomandanti della «Garosi»:

[…] Tornavamo verso l’una del pomeriggio dalla ricognizione nella zona di Formentale. Siamo passati da Chiatri e poi da Casa Nova

545

Ivi, p. 157.

546 Rontani, L’Aquilone, cit., p. 67. 547

186 sulla strada che va al Ghirlandona abbiamo sentito delle voci di

bambini presso una carbonaia accesa.

Ci siamo avvicinati per chiedere notizie dei tedeschi di passaggio ed una voce ci ha risposto «sono qui con noi».

Contemporaneamente una voce tedesca ha esclamato «Komm»: al che ci siamo dati a fuga precipitosa lungo un ripido pendio che portava a fondo valle.

Diversi colpi di pistola e, m’è parso, di un Mauser ci hanno raggiunti senza peraltro ferirci.

Poi ci siamo accorti che eravamo inseguiti da cinque o sei tedeschi che, sparsisi a raggiera, ci hanno imbottigliato in una forra.

Vista preclusa ogni via di salvezza, mi sono gettato in un fossetto assai profondo, mentre ho inteso i tedeschi intimare l’alt a «Chittò» e a «Beppe» (nome di battaglia di Giancarlo Taddei, N.d.A.).

Dopo pochi minuti ho inteso «Beppe», che si trovava a sei o sette metri da me, che diceva «non capire, non capire», e subito dopo due colpi di pistola.

Ho inteso «Chittò» gridare e poi altri quattro colpi e il rantolio dei nostri amici che è cessato quasi subito548.

Per grande fortuna di Rontani, i tedeschi, pur continuando per qualche minuto a cercarlo, non trovarono il fosso nel quale si era nascosto, ed egli riuscì lentamente ad allontanarsi e a tornare non visto a Gualdo, dove ancora una volta venne accolto da don Emilio549. Qui scrisse la lettera che è stata in parte riprodotta sopra, nella quale «Tono» si preoccupava anche della sorella e della moglie di «Chittò», cui bisognava comunicare la triste notizia. Alla moglie Didala venne inizialmente detto che il marito era stato catturato e venne invitata a scendere a valle per rifugiarsi a casa della suocera. Ma la Ghilarducci sentiva che Ciro era morto, così

548 Ivi, 80-81.

549

187 Loro mi dissero: «No, è ferito». «No è morto, so anche dov’è

morto, vado via». «Ma guarda che non ci puoi andare, ma guarda che ci sono i tedeschi che lo stanno vegliando perché aspettano che tornino giù, pensano che i partigiani vanno giù e li voglio prendere, i partigiani, non ci andare»! Dissi: «voi non venite, ci vado da sola». Ed infatti io presi, arrivai a Gualdo […]. Mi fermai e stetti tutta la notte in chiesa, allora durante la notte i tedeschi erano andati via, allora erano andati a sotterrare nel greto di un fiume, un fiumiciattolo, io andai su con questo prete e trovai queste combe, con una croce di legno, c’erano i suoi occhiali e un ciuffo di capelli, questo è tutto quello che mi era rimasto di «Chittò»550.

La Ghilarducci aggiunge anche altri dettagli alla morte di «Beppe» e «Chittò», ricordando che al primo spararono in bocca, mentre al secondo al petto e alla fronte551. Dopo la liberazione i due corpi vennero traslati dalle loro tombe provvisorie e gli fu data una degna e migliore sepoltura552.

Nonostante il duro colpo subito, mai come in questo frangente la «Marcello Garosi» dimostrò la sua già citata concordia e unità interna. La formazione non si sfaldò e due giorni dopo la morte di «Beppe» e «Chittò» si strinse attorno al nuovo comandante, Alberto «Paolo» Cavalli, nominato per elezione diretta. Nel giro di pochissimi giorni, per niente intimorita dalla tragedia, la «Garosi» sarebbe stata pronta per dare il suo contributo finale alla liberazione dei comuni di Massarosa e Camaiore da parte del Corpo di Spedizione Brasiliano.

550

Laura Antonelli, Voci dalla storia. Le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di

emancipazione, Pantalina Editore, prato 2006, p. 343.

551 Ivi, p. 344. 552

188

Capitolo IX

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 178-186)