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Altri teatr

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 106-111)

CADUTI E DISPERSI 1940-

5. Altri teatr

Massarosa perse un suo soldato anche in Etiopia, si tratta di Enio Simonini, di Massarosa, morto il 5 febbraio 1941 e sepolto nel Cimitero Militare degli Eroi a Cheren305. É del tutto possibile che Simonini sia caduto proprio nell’omonima battaglia, l’unica che in realtà si possa definire tale di tutta la campagna britannica di conquista dell’Africa Orientale Italiana306. Anche due civili massarosesi rimasero coinvolti nella conquista britannica dell’AOI. Si tratta di Antenore Grandi, nato nel 1926 e che da 6 anni si trovava sul posto facente funzioni di impiegato postale, e Umberto Lunardini, più giovane di tre anni e da due in Africa Orientale come operaio in un’azienda agricola di Addis Abeba. Le difficoltà di comunicazione, poi interrotte del tutto, tra l’Italia e l’AOI, impedirono quasi subito di conoscere la sorte dei due civili, tanto che le famiglie ottennero rapidamente diversi sussidi economici307. Grandi e Lunardini però non compaiono sulle liste dei caduti e dei dispersi stilate nell’immediato dopoguerra, quindi presumibilmente tornarono in seno alle proprie famiglie dopo la fine delle ostilità.

Più costoso in termini di vite umane fu il servizio di alcuni marinai massarosesi nella Regia Marina. Il primo di essi a pagare con la vita l’aspra lotta che le marina italiana combatté tra il giugno 1940 e il settembre 1943 sopra e sotto il Mediterraneo fu il 303 Database Onorcaduti. 304 Database Onorcaduti. 305 Ibid. 306

La battaglia di Cheren – o Keren –, combattuta tra il 2 febbraio e il 27 marzo del 1941 nell’omonima località, vide da una parte italiani (7 battaglioni) e ascari (22 battaglioni) e dall’altra forze dell’Impero Britannico. Le forze italiane si batterono, anche a detta degli stessi britannici, sorprendentemente bene, ma non poterono evitare la sconfitta contro forze superiori e più moderne. Vedi Rochat, Le guerre italiane

1935-1943, cit., pp. 301-302.

307

109 marinaio Altidono Orlandi, di Stiava308. Questi era imbarcato sul cacciatorpediniere

Alvise da Mosto, classe «Navigatori», che il 30 novembre 1941 era salpata da Trapani per

scortare a Tripoli la nave cisterna Iridio Mantovani con un prezioso carico di 8.500 tonnellate di combustibile. Il pomeriggio del 1° dicembre la piccola formazione navale viene prima attaccata da aerei britannici, i quali riescono ad immobilizzare la motocisterna poi, poche ore più tardi, dopo che il tentativo di rimorchiare la nave colpita era fallito, interviene sulla scena la «Forza K» inglese, di base a Malta309. Il comandante del Da Mosto, pur capendo che si tratta di una causa persa, decide di vendere cara la pelle e attacca con decisione la ben più potente squadra navale nemica, cercando in questo modo di distogliere l’attenzione del nemico dall’indifesa nave cisterna. Il tiro nemico però non lascia scampo al piccolo cacciatorpediniere italiano che, colpito più volte, si arresta. A questo punto il capitano ordina all’equipaggio di abbandonare la nave, il cui coraggio viene però riconosciuto dai suoi avversari, i quali schierano l’equipaggio del cacciatorpediniere Lively sull’attenti per rendere onore alla nave nemica in affondamento310. Il Da Mosto pagò però a caro prezzo il suo gesto, perché con esso si inabissò più della metà del suo equipaggio, tra cui il marinaio Orlandi.

Il S.C. Pilade Ragghianti, di Quiesa, scomparve in mare il 17 marzo 1942 assieme al sommergibile sul quale era imbarcato, il Guglielmotti311. A differenza di Orlandi, il sottocapo Ragghianti non perì in una vera e propria azione di combattimento, in quanto il sommergibile, quando venne sorpreso a largo di Capo Spartivento dal similare britannico HMS312 Unbeaten, che lo affondò, era in rotta di trasferimento da Taranto a Cagliari313.

Lorenzo Duccini fu l’ultimo marinaio di Massarosa a perdere la vita nella guerra navale contro gli Alleati, per quanto, come vedremo in un capitolo successivo, non fu l’ultimo a cadere mentre serviva la Regia Marina. Duccini perì – formalmente rimase

308

ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. Altidono Orlandi.

309

La «Forza K» era una piccola forza navale britannica di superficie composta da incrociatori leggeri e cacciatorpediniere. Nella sua breve permanenza a Malta imperversò nel Mediterraneo centrale attaccando i convogli di rifornimento dell’Asse per il Nord Africa. Per maggiori informazioni cfr., Joseph Caruana, La fine della «Forza K», in Storia Militare, Anno XII, n° 135.

310

Rocca, Fucilate gli Ammiragli, cit., pp. 175-176.

311

ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. Pilade Ragghianti.

312 Her Majesty Ship, Nave di Sua Maestà. 313

110 disperso in azione – in seguito all’affondamento del cacciatorpediniere sul quale era imbarcato, il Corsaro, della classe «Soldati»314. La sera del 9 gennaio 1943 il caccia stava scortando sulla famigerata «Rotta della morte»315 la motonave Ines Corrado quando un altro caccia di scorta, il Maestrale, incappò in una mina a largo di Biserta e rimase immobilizzato. Il Corsaro quindi si avvicinò per prestare soccorso, ma fece a sua volta detonare due mine che spezzarono in due lo scafo procurando un rapido affondamento. Complice anche il mare agitato, le perdite umane furono gravi – ben 187 uomini, quasi la totalità dell’equipaggio – e tra esse ci fu anche il marinaio Lorenzo Duccini316.

Dopo la fine della campagna della Tunisia (13 maggio 1943), sulle cui rotte di rifornimento era morto il marinaio Duccini, il successivo obiettivo degli Alleati nel Mediterraneo fu la Sicilia. Lo sbarco sulla grande isola italiana, avvenuto nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943, diede il via ad una campagna che si sarebbe trascinata fino al 17 agosto con la completa conquista alleata. Fu durante i primi atti di questo dramma, che avrebbe portato alla caduta del Regime fascista il 25 luglio, che perse la vita il C.M. Pietro Coluccini, residente a Piano di Mommio e in forza al 28° Rgt. di Artiglieria della divisione «Livorno»317. Coluccini inizialmente era stato fortunato. Quasi tutta la sua divisione, circa 7.200 uomini sugli 11.400 dell’organico, era stata annientata nel corso del contrattacco portato avanti insieme alla divisione tedesca «Hermann Göring» a Gela l’11 luglio318. Il reparto del caporalmaggiore – il 28° Artiglieria – era però uscito quasi del tutto indenne dalla tremenda battaglia, se si esclude la distruzione di un solo pezzo da 100/17319. La sorte di Coluccini era però stata rimandata do solo un giorno. Il 12 luglio infatti, probabilmente nel corso dell’arretramento dei resti della «Livorno» tra S.

314

ASCM, m. 1254, b. Presenti alle bandiere, fasc. Lorenzo Duccini.

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Venne così definita, dagli equipaggi delle navi stesse, la rotta dei convogli da e per la Tunisia i quali, iniziati nel novembre del 1942, terminarono nel maggio dell’anno successivo in contemporanea con la resa delle residue forze italo-tedesche in Tunisia. Il 30% del naviglio mercantile impiegato andò perduto, per non parlare del sacrificio del naviglio da guerra. Giorgerini, La guerra italiana sul mare, cit., pp. 538-558.

316

Rocca, Fucilate gli ammiragli, cit., p. 272.

317

ASCM, m. 1254, b. Presenti alle bandiere, fasc. Pietro Coluccini.

318 Alberto Santoni, Le operazioni in Sicilia e Calabria, Ufficio Storico SME, Roma 1989, pp. 209-210. 319

111 Michele di Ganzeria e Mazzarino320, Il C.M. Pietro Coluccini saltò su una mina e rimase ucciso sul colpo321.

Il dramma per la famiglia Coluccini fu, se possibile, ulteriormente aggravato per il ritardo con il quale venne comunicata la triste notizia. A causa probabilmente dello stato di estrema confusione che regnava negli organi delle Regie FF.AA. in quelle ultime settimane di agonia dell’Italia fascista, la comunicazione del decesso venne comunicata al Comune di Massarosa solamente il 18 agosto, il quale informò subito i famigliari che per più di un mese di silenzio erano rimasti completamente allo scuro delle sorti del caporalmaggiore322.

6.

Non si muore solo al fronte

La seconda guerra mondiale è il conflitto totale per eccellenza. Morirono più civili che militari e a causa di incursioni aeree, bombardamenti navali e invasioni straniere, anche il fronte interno di molti paesi venne a trovarsi in prima linea. Non è azzardato affermare che, in tutta l’Europa in armi, non esisteva un posto che poteva considerarsi sicuro al cento per cento.

Anche i soldati che prestavano servizio in ambiti o in aree decisamente più sicure del fronte, oppure che si trovavano lontani da esso per una meritata licenza, potevano andare incontro ad una morte violenta. Fu così che perse la vita il soldato Francesco Bertacca – originario di Viareggio – a La Maddalena, in Sardegna, l’8 marzo 1941323. Per quella data non c’è traccia di attacchi aerei e navali nemici, né di incursioni da parte di reparti speciali. Di conseguenza il soldato Bertacca può essere deceduto per una tragica fatalità, molto comune durante una guerra. Sono molti infatti i militari di tutti i paesi che anche in tempo di pace perdono la vita in incidenti stradali, maneggio improprio di esplosivi o di armi da fuoco oppure per malattia.

320

Ivi, p. 257.

321

ASCM, m. 1254, b. Presenti alle bandiere, fasc. Pietro Coluccini.

322 Ivi, Telegramma al Comune di Massarosa del 18 agosto 1943. 323

112 Nessuno di questi motivi portò fu però la causa della morte del caporale Ferruccio Franchi. Questi era di stanza al deposito del 22° Rgt. Fanteria quando la vita nel già citato violento bombardamento subito dalla città di Pisa il 31 agosto 1943324.

7.

Conclusioni: il prezzo da pagare

La guerra dell’Italia fascista, combattuta tra il 10 giugno 1940 e l’8 settembre 1943, fu pagata a caro prezzo dai militari massarosesi che servirono nelle Forze Armate. Ci furono perdite di vite umane, anche molto consistenti, su quasi ogni fronte di guerra in cui l’Italia fu impegnata durante la Seconda guerra mondiale: Nord-Africa, Mediterraneo, Grecia, Jugoslavia, Unione Sovietica e Sicilia. La dura occupazione tedesca, la sempre maggiore precarietà della vita nel paese e gli massacri di civili e partigiani di cui si macchiarono le forze germaniche, soprattutto nel 1944, hanno fatto dimenticare alla cittadinanza che Massarosa i suoi morti cominciò ad averli ben prima del periodo 1943- 1944.

Vengono ufficialmente ricordate le vili stragi di civili, come quella della Sassaia dell’11 agosto 1944 o di Massaciuccoli del 2 settembre successivo e, da qualche anno, viene anche celebrato l’anniversario della tanto sospirata liberazione del comune da parte di elementi della Forza di Spedizione Brasiliana, con la presenza di ufficiali brasiliani invitati all’uopo. Nessuno però menziona le decine di massarosesi che, servendo sotto le armi durante il conflitto, non tornarono alle proprie case, della sorte di alcuni dei quali non si sa praticamente niente, perduti insieme ad altre migliaia di loro connazionali nella vastità della steppa russa. Erano soldati in guerra, quindi era messo in conto che potessero morire, non come le decine di civili massacrati dai tedeschi alla Sassaia o a Massaciuccoli, i quali giustamente vengono commemorati. Ma non si ricordano neppure quelli deceduti nei confusi giorni che seguirono l’Armistizio. Ben pochi sanno che tra i caduti di Cefalonia c’è anche un abitante di Stiava, oppure che tra i dispersi nella grande nave da battaglia Roma si trova un trentunenne di Quiesa. Definire costoro caduti di guerra è azzardato, o quantomeno fuorviante.

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Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 106-111)