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I militari massarosesi e l’armistizio: i prigionier

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 125-140)

Parte seconda

5. I militari massarosesi e l’armistizio: i prigionier

Furono invece molti di più i massarosesi che, in seguito all’armistizio, vennero presi prigionieri dai tedeschi ed inviati in Germania con lo status di Italienische

Militärinternierte. Alcuni ebbero la fortuna di finire tra le fila dagli Alleati, ma questo

generalmente dipese dal luogo in cui si trovavano le loro unità alla data dell’8 settembre. È stato possibile risalire a 52 nominativi di militari di Massarosa che vennero fatti prigionieri dai tedeschi in seguito al disfacimento delle Forze Armate italiane. Di questi,

367

Ivi, fasc. Idilio Albiani.

368 Rossi-Giusti, Una guerra a parte, cit., p. 188. 369

Ivi., pp. 190-191.

370

Database Onorcaduti.

371 ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. di Idilio Albiani. 372

128 quattro non sopravvissero all’internamento, mentre i restanti riuscirono a ritornare a casa entro il 1945. Alcuni, come Luigi Gemignani, dopo l’armistizio ebbero esperienze movimentate e fu probabilmente solo grazie alla fortuna se alla fine riuscirono a tornare vivi in Italia. Gemignani era nato nel 1921 a Massarosa e serviva nello stesso reggimento di fanteria di Attilio Lipparelli, l’83° della Divisione «Venezia». Dopo l’8 settembre assieme al suo reparto passò a combattere sotto gli ordini dei partigiani di Tito, ma il 4 dicembre 1943 il militare venne preso prigioniero dai tedeschi373. A questo punto Gemignani fu doppiamente fortunato: innanzi tutto, pur essendo un soldato italiano che non si era arreso dopo l’armistizio e che si era unito alla Resistenza jugoslava, non venne fucilato dai suoi carcerieri. In secondo luogo riuscì a passare indenne anche alla «liberazione» sovietica. A differenza della maggior parte dei prigionieri italiani egli venne infatti inviato in un campo di concentramento in territorio russo (quindi probabilmente in Bielorussia) e spesso, quando l’Armata Rossa riconquistò quei territori, le autorità sovietiche considerarono gli internati italiani come veri e propri prigionieri di guerra, anche se non avevano mai combattuto contro l’URSS e non avevano fatto parte dell’ARMIR. La gran parte rientrò in Italia nel 1945 – Gemignani rientrò a Massarosa il 28 novembre374 –, ma in mano sovietica subirono molte sofferenze e la mortalità in alcuni campi, come quello di Reni, fu molto alta, anche perché i soldati venivano da mesi di dura prigionia sotto i tedeschi ed erano molto indeboliti. Non è possibile conoscere neppure il numero approssimativo di IMI che finirono sotto il controllo delle autorità russe – e quindi anche quello dei morti – perché esso si confuse con quello dei prigionieri dell’ARMIR che rientrarono in Italia nel dopoguerra375.

Altrettanto movimentate furono le vicende dell’artigliere Rizieri Bianchi, nato a Massarosa nel 1921. In forza al 24° Rgt Artiglieria della 29ᵃ Divisione «Piemonte» di stanza a Patrasso, in Grecia, venne fatto prigioniero dai tedeschi in seguito al disfacimento della propria unità. La sua prima destinazione fu un campo di internamento nei pressi di Berlino, dal quale però, il 1° giugno 1944, venne trasferito a Monaco di Baviera. Pochi giorni dopo, il 18 giugno, riuscì a scappare dal campo e a rientrare in Italia

373

ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. Luigi Gemignani.

374 Ibid. 375

129 favorito dalla relativa vicinanza della sua nuova destinazione. Già il 20 giugno si presentò al comando della 16ᵃ Brigata Garibaldi con la quale combatté fino alla liberazione di Torino. Congedatosi dalla sua unità poco più di un mese dopo, nel giugno del 1945 rientrò a Massarosa376.

Bianchi non fu l’unico che riuscì a fuggire da un campo di concentramento tedesco. La stessa impresa vide protagonista il carabiniere ausiliario Duilio Angeli, nato a Bozzano nel 1918 e catturato ad Atene dopo l’8 settembre. Non si conoscono i dettagli della sua fuga se non che essa risale al 16 aprile 1945, quindi si può supporre che essa venisse favorita dallo stato di disfacimento in cui versavano le Forze Armate tedesche in quell’ultimo periodo di guerra. Riuscì a raggiungere la sua famiglia solamente quattro mesi dopo, il 13 agosto 1945377.

Almeno quattro internati militari italiani originari di Massarosa non sopravvissero alla prigionia. Di due non sappiamo la data di morte precisa, ma solamente quella in cui essi diedero le loro ultime notizie. Si tratta di Giuseppe Maracci, di cui non si seppe più niente a partire dal 1° marzo 1944, ed Emilio Cheli, che da Dortmund smise di dare notizie il 27 agosto dello stesso anno. Il database Onorcaduti del Ministero della Difesa riporta Cheli deceduto in Germania il 17 gennaio 1945, ma non specifica né il luogo di morte né quello di sepoltura; inoltre è errata la data di nascita (24 febbraio 1922 invece del 7 novembre)378, quindi sono da ritenersi più precisi i dati riportati dal fascicolo di Cheli conservato nell’Archivio Storico del Comune379. Di Gustavo Bigongiari, in precedenza appartenente al 31° Rgt. di Fanteria della 51ᵃ Divisione «Siena», sappiamo la data esatta della morte, che risale al 9 aprile 1944380, ma notizie ancora più precise le abbiamo per quanto riguarda Guido Benedetti, nato a Viareggio ma residente a Massarosa. Originariamente in forza al 6° Rgt Bersaglieri, perse la vita a Braunschweig il 22 ottobre 1944 a causa di un bombardamento alleato381. In effetti quel giorno un migliaio di bombardieri pesanti dell’8ᵃ Air Force statunitense attaccarono vari obiettivi in Germania, tra cui uno stabilimento per la produzione di veicoli situato a

376

ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. Rizieri Bianchi.

377 Ivi, fasc. Duilio Angeli. 378

Database Onorcaduti.

379

ASCM, m. 1254, b. Prigionieri a saldo, fasc. Emilio Cheli.

380 Ivi, fasc. Gustavo Bigongiari. 381

130 Braunschweig382. Oggi il soldato Guido Benedetti riposa nel Cimitero Militare d’Onore italiano ad Amburgo.

La morte di Benedetti venne registrata anche da un suo compagno di prigionia massarosese – Aurelio Angeli, classe 1923 e anche lui appartenente al 6° Rgt. Bersaglieri – sul proprio Vorläufiger Fremdenpass (passaporto per stranieri) rilasciatogli dalle autorità germaniche383. Angeli tenne un vero e proprio succinto diario a partire dall’armistizio (aggiunse anche la data dell’8 settembre 1942, quando venne richiamato alle armi), sul quale si può leggere come egli fosse stato preso prigioniero il 9 settembre ed entrasse in Germania il 13. Il lavoro iniziò già il 1° ottobre – meno di un mese dopo essere stato catturato – e dalle brevi annotazioni risulta tutta la pericolosità dell’inserimento degli IMI all’interno del sistema di produzione tedesco. Alla data del 10 febbraio 1944 si legge: «a causa di bombardamento brucia tutto», mentre altre due azioni di bombardamento vengono riportate il 26 aprile e il 19 maggio. In effetti l’8ᵃ Air

Force americana, in questi tre giorni, inviò rispettivamente 138, 292 e 273 bombardieri

pesanti a martellare obiettivi industriali a Braunschweig384. Il 22 ottobre invece si può leggere, in chiaro riferimento a Guido Benedetti: «mi muore un caro amico a causa di un bombardamento»385. Angeli rischiò seriamente la vita un’ultima volta il 31 marzo 1945, come egli stesso riporta sul suo improvvisato diario a quella data – «Ho visto la morte a pochi metri». Quella mattina la città subì la sua ultima incursione ad opera del 392°

Bombardment Group della RAF386. I bersaglieri Aurelio Angeli e Guido Benedetti di Massarosa, così come gli altri prigionieri, ebbero la sventura di essere stati internati in una delle città più pesantemente colpite della Germania. Braunschweig subì infatti una dozzina di grandi attacchi, avendo alla fine l’80% del centro cittadino distrutto (il 33% se

382

USAAF Combat Chronology, 10/22/44.

383

Si tratta del marito di Tosca Francesconi, citata più volte all’interno di questo stesso lavoro. Lo stesso ringrazia la famiglia di Aurelio Angeli per aver consentito la visione dei suoi effetti personali.

384

USAAF Combat Chronology, 2/10/44 – 4/26/44 – 5/19/44.

385

È in effetti un po’ strano che Angeli non prenda nota del più devastante dei bombardamenti che subì Braunschweig, avvenuto pochi giorni prima di quello, invece riportato, del 22 ottobre. Si tratta dell’azione compiuta dal Bomber Command della RAF nella notte tra sabato 14 e domenica 15 ottobre 1944 che innescò una cosiddetta «tempesta di fuoco». Il centro storico venne quasi completamente raso al suolo e si contarono 561 vittime. Friedrich, La Germania bombardata, cit., pp. 372-374.

386 SI veda anche il Campaign Diary del Bomber Command disponibile a questo indirizzo:

131 si considera tutto l’abitato)387. In ogni caso, per Aurelio Angeli la fine della prigionia era ormai vicina: il 9 aprile sul suo passaporto si legge la parola «liberazione», scritta in stampatello per sottolineare l’importanza dell’evento. Il sospirato rientro a casa sarebbe arrivato il 16 luglio 1945.

Furono meno di una dozzina i massarosesi che, servendo sotto le armi alla data dell’armistizio, non caddero in mano tedesca, ma, grazie alla «fortunata» dislocazione dei propri reparti, riuscirono a passare tra le fila degli Alleati. La maggior parte si trovava o in Sardegna e Corsica, che vennero rapidamente abbandonate dalle truppe tedesche di guarnigione, oppure nell’Italia meridionale e quindi abbastanza vicino al fronte da rimanere sotto controllo alleato ed evitare la cattura. Le loro vicende nel periodo successivo non sono note, se non che rimasero in servizio fino ad essere congedati, di solito nel 1945. Sappiamo che Pietro Dodero, classe 1919, arruolato nella Regia Marina, continuò a servire a bordo della sua unità – la torpediniera Scimitarra, che aveva compiti di scorta ai convogli alleati – fino al 28 ottobre 1945, quando venne messo in congedo388. Sono soprattutto due però i casi significativi di militari che, evitata la cattura, continuarono a combattere contro i tedeschi. Si tratta di Francesco Coppedè e Angelo Cosci. Il primo, nato nel 1923, serviva nell’83° Rgt di Fanteria della Divisione «Venezia». Come Attilio Lipparelli e Luigi Gemignani finì a combattere tra le fila dei partigiani di Tito e presumibilmente quindi nella Divisione Garibaldi. Coppedè fu però più fortunato dei suoi compaesani, perché non venne né ucciso né catturato, ma combatté per venti mesi assieme alla Resistenza jugoslava prima di rientrare a Massarosa il 28 giugno 1945389. Analoghe vicende videro protagonista Angelo Cosci, anche se la sua esperienza è forse ancora più interessante in quanto serviva fin da 25 febbraio 1941 nell’LXXXVI Btg Camice Nere dislocato in Montenegro390. Dopo la dissoluzione delle FF.AA. italiane i reparti di Camice Nere furono in percentuale quelle che maggiormente decisero di continuare a combattere al fianco dei vecchi alleati tedeschi, ciononostante Cosci ritenne preferibile passare dalla parte dei partigiani di Tito. È molto difficile capire se la sua sia stata una scelta volontaria oppure in qualche modo obbligata dalla posizione in cui si trovava il suo

387

Friedrich, La Germania bombardata, cit., p. 102.

388

ASCM, b. Prigionieri a saldo, fasc.Pietro Dodaro.

389 Ivi, fasc. Francesco Coppedè. 390

132 reparto al momento dell’armistizio. In effetti in Montenegro l’adesione collaborazionista dei reparti della milizia fu molto alto391, ma rimane il fatto che Cosci riuscì a passare tra le fila dei partigiani di Tito e a finire per servire nella Divisione «Garibaldi», con la quale combatté fino ad essere rimpatriato il 10 aprile 1945392.

Oltre ai pochi massarosesi che riuscirono a passare dalla parte degli Alleati dopo l’8 settembre, altri si trovavano già nei loro campi di concentramento per prigionieri di guerra, dato che erano stati catturati durante il periodo di belligeranza tra l’Italia e gli anglo-americani. Uno di loro era il già citato Caporalmaggiore Dino Simonetti, che avevamo lasciato nel suo campo di internamento in Egitto con le sue mansioni di selezionatore di rottami ferrosi. Alla firma dell’armistizio egli si trovò partecipe di una scena che si ripeté nella maggior parte dei campi per prigionieri di guerra italiani. Già gli eventi del 25 luglio precedente avevano fatto emergere piccole discussioni in merito alla caduta di Mussolini393, ma fu l’8 settembre che fece sorgere aperti contrasti e fazioni tra le fila dei prigionieri di guerra. La maggioranza degli ufficiali, filo monarchici, si schierò con il governo Badoglio, mentre la truppa era più spaccata tra coloro che rimanevano fedeli al Duce e coloro che invece erano favorevoli al nuovo governo; la maggioranza, comunque, aveva sentimenti neutri e la loro prima preoccupazione rimase per le loro famiglie, esposte all’inevitabile reazione dei tedeschi394.

Quando i contrasti tra le due opposte fazioni divennero però troppo acuti, le autorità alleate optarono per una separazione fisica, onde evitare che i numerosi episodi di piccola violenza sfociassero in atti di maggiore gravità395. Anche nel campo di prigionia in cui si trovava il C.M. Simonetti venne messo in atto questo provvedimento, ma diversamente che da altre parti, i due gruppi vennero separati da una semplice recinzione, rimanendo quindi in contatto visivo e verbale. Il massarosese ricorda che:

[…] Tutte le mattine e la sera c’era la conta. Ti portavano nell’antigabbia, uno spazio largo dove non c’era(no) le tende – c’erano

391 Rossi-Giusti, Una guerra a parte, cit., p. 120. 392

ASCM, b. Prigionieri a saldo, fasc. Angelo Cosci.

393

Conti, I prigionieri di guerra italiani 1940-1945, cit., pp. 410-411.

394 Ivi, p. 411. 395

133 degli attrezzi sportivi – e lì ci portavano un paio di ore al giorno a fare

un po’ di sport […]. E lì allora c’era la conta e quando avevano contato l’ufficiale inglese faceva: «Dio salvi la regina!» Quelli che erano rimasti fedeli al Duce allora urlavano: «Salute al Duce!» e «a Noi!396.

Simonetti non ricorda esattamente la data del suo rilascio dal campo di concentramento, se non l’anno, che era il 1944. L’accordo tra il governo di Sua Maestà e quello italiano in merito alla cooperazione volontaria dei prigionieri di guerra italiani detenuti nei campi inglesi non si verificò prima dell’aprile del 1944, ma in Nord-Africa, previa consultazione con il governo Badoglio, già in precedenza gli italiani erano stati inquadrati «Battaglioni di Lavoratori» di circa 250 uomini l’uno comandati da un sottufficiale italiano397. Il caporalmaggiore firmò la cooperazione, dichiarando di non essere intenzionato ad effettuare atti di sabotaggio nei confronti degli Alleati, e venne inquadrato in una di queste unità – che egli definisce come una «compagnia»398 –, con la quale lavorò svolgendo varie mansioni all’interno del porto di Bengasi, in Libia399.

396

Dino Simonetti, 3 dicembre 2013.

397

Moore-Fedorowich,The British Empire and its Italian Prisoners of War, 1940-1947, cit., p. 150.

398 D’altra parte la forza nominale di una Compagnia di fanteria era di circa 200 uomini. 399

134

Capitolo VII

MASSAROSA

1943-1944

Come abbiamo visto, fin dallo scoppio della guerra le condizioni di vita nel comune di Massarosa, così come nel resto della provincia di Lucca, erano costantemente peggiorate. Nell’anno che precedette la liberazione di Massarosa, la penuria di generi di prima necessità aumentò, così come il numero dei profughi, che adesso cominciarono ad arrivare anche dai comuni vicini, in particolare da Viareggio. A questo si aggiunse l’occupazione tedesca – che sarebbe culminata nell’estate di sangue del 1944 –; l’attività sempre crescente delle bande partigiane e infine la guerra vera e propria, che dal 1943 giunse anche nella provincia di Lucca sotto forma di attacchi aerei. Negli ultimi mesi che precedettero l’arrivo delle truppe alleate, anche il territorio di Massarosa destò l’attenzione delle forze aeree anglo-americane, le quali si concentrarono soprattutto contro le truppe tedesche in transito e contro la linea ferroviaria Lucca-Viareggio. Queste azioni, consistenti per lo più in mitragliamenti e spezzonamenti, erano di solito condotte da pochi cacciabombardieri, che però mantenevano costantemente in tensione una popolazione che ormai stava arrivando al punto di rottura. Prima di affrontare questi argomenti è però necessario analizzare, nei limiti permessi dalle fonti,

135 sia l’occupazione tedesca del territorio massarosese, sia l’amministrazione dello stesso da parte degli organi della Repubblica Sociale Italiana.

1.

La Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione tedesca

Dopo l’8 settembre e l’iniziale confusione generata dall’armistizio, la cattura dei soldati italiani sbandati e il consolidamento del controllo militare da parte dei tedeschi, anche nella provincia di Lucca il fascismo iniziò a rialzare la testa dopo gli eventi del 25 luglio precedente400. Il 16 settembre veniva riaperto il fascio del capoluogo e due giorni dopo fu la volta di quello di Viareggio e Forte dei Marmi, mentre in tutta la Lucchesia gli organi fascisti cominciarono nuovamente a funzionare401. A Massarosa il passaggio tra il 25 luglio e l’8 settembre fu meno traumatico perché la struttura amministrativa, a differenza di altri comuni della provincia, non aveva subito grossi stravolgimenti, con il podestà Antonio Lollusa che era rimasto regolarmente in carica nonostante la caduta di Mussolini. Uno dei pochi provvedimenti sperimentati dal comune di Massarosa fu il cambio di denominazione di alcune strade e piazze che riconducevano alla monarchia sabauda. Tale provvedimento, che ovviamente non interessò solamente Massarosa, era un evidente tentativo, in questo caso soprattutto simbolico, di rompere con il passato e di compiere finalmente quella «rivoluzione fascista» che secondo alcuni esponenti radicali del partito non era mai stata portata fino in fondo a causa proprio della presenza del re402. Quindi piazza «Umberto I» nel capoluogo divenne Piazza «Ettore Muti»; nella frazione di Stiava la scuola elementare «Regina Elena» divenne «Giuseppe Garibaldi», mentre a Quiesa la scuola elementare «Vittorio Emanuele III» cambiò nome in «Vittorio Veneto»403. L’utilizzo del nome di Garibaldi non era casuale. Dietro la spinta del più illustre intellettuale del fascismo, Giovanni Gentile, il risorto partito del Duce attinse a piene mani dai temi del Risorgimento e dai suoi eroi; sul settimanale del partito in

400

Per una visione globale della parabola della RSI cfr., Frederick W. Deakin, Storia della repubblica di Salò, Einaudi, Torino 1963, parte terza. Vedi anche Renzo De Felice, Mussolini l’alleato – II. La guerra civile

1943-1945, Einaudi, Torino 1997.

401

Pardini, La Repubblica Sociale Italiana e la guerra in Provincia di Lucca, cit., pp.135-136.

402

Ricordiamo che il 13 ottobre 1943 il governo italiano dichiarò formalmente guerra alla Germania nazista e di conseguenza divenne a tutti gli effetti nemica della Repubblica Sociale Italiana.

403

136 Lucchesia – «L’Artiglio» – erano ad esempio frequenti i richiami citazioni di motti di Mazzini o di Garibaldi404.

Intanto, nel novembre del 1943, anche nella provincia di Lucca si cominciarono a far sentire i tentativi di Mussolini e del suo entourage di consolidare il potere della neo costituita Repubblica Sociale. Il generale Rodolfo Graziani, dopo aspri contrasti interni tra il segretario del partito e il capo della Milizia, riuscì a far prevalere la sua tesi riguardo alla ricostituzione dell’esercito. Parte di esso avrebbe dovuto essere composto da volontari e da IMI detenuti in Germania (anch’essi su base volontaria), ma il grosso sarebbe dovuto giungere tramite il richiamo di alcune classi di leva405. La prima chiamata, riguardante le classi 1923, 1924 in congedo provvisorio e il 2° e 3° quadrimestre del 1924 e 1925, venne diramata il 9 novembre. Visto che questo era il primo vero banco di prova sulla quale si sarebbe giudicato l’appoggio della popolazione alla nuova entità statale, si fece di tutto per garantire la massima affluenza delle reclute. In Lucchesia si fece persino appello all’Arcivescovo di Lucca affinché invitasse i parroci a parlare in favore della chiamata alle armi, ma il contributo maggiore venne ottenuto dalle forze dell’ordine tramite l’uso della forza406. Non furono in effetti pochi i massarosesi che vennero costretti, anche con metodi subdoli, a rispondere alla chiamata di Graziani. Ad esempio i massarosesi Antonio Polloni e Teofilo Canini furono costretti a presentarsi al Distretto di Lucca perché i carabinieri avevano preso in ostaggio i rispettivi padri in attesa che il figlio rispondesse alla chiamata407. D’altra parte il maggiore Ramelli di Celle, amico personale di Piazzesi, all’interno delle istruzioni date ai carabinieri del Gruppo di Lucca chiarì, senza mezzi termini, come si doveva procedere:

Nel caso qualche militare non risponda alla chiamata, sarà subito segnalato alla Stazione competente e […] dovrà essere nella giornata stessa fermato il padre o altro congiunto più prossimo, vincolandolo al carcere fino a quando il militare non si sarà presentato. È necessario

404 Berto Corbellini Andreotti, Caratteri della stampa del fascismo repubblicano a Lucca: «L’Artiglio» (1943-

1944) in «Documenti e Studi», 1996, n. 18/19, pp. 281-282.

405

Pardini, La Repubblica Sociale Italiana e la guerra in provincia di Lucca, cit., pp. 156-157.

406 Ibid. 407

137 agire con la massima energia e con la massima prontezza perché il

Nel documento Massarosa in guerra 1940-1945 (pagine 125-140)