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A quasi 25 anni di distanza dall’articolo di Robert Entman Framing: Toward clarification of a fractured paradigm, descrivere l’ontologia del frame come oggetto cognitivo, realtà celebrale, resta difficile, soprattutto quando si voglia distin-guere tale nozione da quelle, profondamente intrecciate, di metafora, meto-nimia, narrazione; termini impiegati tutti per riferirsi ad entità collocate sia sul piano testuale sia su quello cognitivo. Si tratta quindi di realtà cognitive, ma che hanno una loro espressione negli artefatti culturali.

Ciò premesso, ad oggi il comportamento scientificamente più corretto è quello di utilizzare la nozione di frame intendendo genericamente una strut-tura inferenziale implicata dal linguaggio per come esso è inserito nella cul-tura dei parlanti, e quindi anche nel loro vissuto personale. E dal momento che almeno l’esperienza propriocettiva, il movimento consapevole nello spazio e nel tempo, è condivisa dagli esseri umani, alcuni frames elementari

Fondata sul lavoro. La comunicazione politica e sindacale del lavoro che cambia

risultano quasi-universali. Ad ogni modo un frame è una struttura che è evo-cata e resa disponibile a una comunità di interpreti dal linguaggio utilizzato. Ogni volta che si ipotizza la disponibilità di un c.d. frame, bisogna quindi po-ter descrivere tale frame come un set di entità collocate in uno spazio ideale e legate da rapporti di azione, pur se si tratta di entità, spazi e rapporti non menzionati esplicitamente. Una struttura di questo tipo è atta a definire uno scenario standardizzato. Anticipando un esempio, in quello che chiameremo “frame della rivoluzione”, frequentemente utilizzato nell’ambito del Jobs Act, si presuppone l’esistenza di un oggetto che subisce un processo irreversibile che lo trasforma in oggetto inutile. Così descritto, il frame della rivoluzione risulta un sotto-frame del più generico frame del “cambiamento”, in cui si e-sprime un fenomeno trasformativo, quale esso sia. Quella di frame, come è evidente, è quindi una nozione che ha nel suo potere sintetico sia la sua qua-lità descrittiva sia la ragione della sua efficacia cognitiva.

Il framing come analogia

Come si sarà intuito incontrando le diverse metafore che sono state impie-gate per descrivere i concetti di enciclopedia, topic, frame, e così via, è eviden-te che la descrizione di una realtà mentale non sfugge logicameneviden-te alla per-vasiva figuratività del linguaggio, e, a ben vedere, nemmeno potrebbe. Ri-cordiamo: denominare frame una realtà neurale significa effettuare a nostra volta una metafora, quella che rappresenta una struttura concettuale come una cornice, ossia un oggetto che connettendo dei vertici definisce lo spazio di uno scenario. Parlare di framing, ossia della “mappatura” di un frame su una situazione, significa a sua volta effettuare una metafora. Anche utilizzare la nozione di “metafora concettuale” vuol dire descrivere un processo co-gnitivo che funziona come una metafora letteraria.

La confusione descrittiva è in effetti dovuta in ultima istanza al paradosso della rappresentazione che esprime un limite ricorrente nel modo di trattare metafora e metonimia dal punto di vista cognitivo. Questo paradosso consi-ste nell’uso metaforico dello consi-stesso termine “metafora”, una sorta di inevi-tabilità metalinguistica che è a mio parere evidente negli studi più recenti, ma le cui ragioni sono già state illustrate, come visto, da Jakobson nel 1955 (cfr. supra, § 3.2.1).

Se si accetta l’assunto secondo cui tutto il linguaggio letterale è la sclerotiz-zazione di un linguaggio figurato, non stupisce poi che lo stesso concetto di “metafora” sia metaforico. Come segnala George Kennedy (1991, 222) nella sua traduzione inglese della Retorica di Aristotele, il termine “metafora” lette-ralmente significava «portare qualcosa da un determinato luogo ad un altro».

La confusione tra il livello cognitivo e quello testuale si rispecchia così an-che nella metodologia di analisi, dove alla ricerca di metafore profonde e in-consce si associa la ricerca di loro manifestazioni testuali. Anche Lakoff, quando afferma l’esistenza di una metafora profonda come quella “la Na-zione è una famiglia”, avverte che tale metafora profonda si manifesta rara-mente a livello testuale. “La Nazione è una famiglia” non è altro che la de-scrizione linguistica del processo di mappatura di una struttura di implica-zioni su una realtà. Quando si tratta di rinvenire ciò a cui Lakoff dà il nome di “metafore concettuali”, quindi, bisogna effettuare delle ipotesi relative al livello cognitivo, difficili da verificare sul piano della ricorrenza testuale, ma connesse piuttosto alla realtà esperienziale. Gli studi di linguistica cognitiva si spostano pertanto sempre più verso una ricerca neurologica, e su speri-mentazioni volte a verificare, per esempio, se individui educati all’interno di un certo modello familiare abbiano o meno una rispondenza neurale diversa quando stimolati da un certo linguaggio politico.

Visto dal lato dell’analisi, ogni termine connesso a un frame può evocare quel frame e offrire così gli elementi impliciti per realizzare il ragionamento inter-pretativo. L’esempio più chiaro per il nostro percorso è quello di “mercato del lavoro”, metafora linguistica che condensa in sé una serie di relazioni strutturali fra elementi propri del frame commerciale, descritto già da Fillmore e poi ripreso da Lakoff.

Quale che sia il dispositivo linguistico utilizzato, ciò che succede a livello cognitivo è meglio descritto nei termini di procedimento analogico anziché metaforico, metonimico o di blending.

Per avere una definizione dell’analogia basta guardare al mondo greco. La parola significa infatti “proporzione” e la sua formula è la seguente:

a:b come c:d

Come specifica Reboul, diversamente dalla proporzione matematica la ana-logia pone a confronto due dominî eterogenei. Questa definizione distingue l’analogia dall’esempio e dalla comparazione, ma anche dalla metafora. L’analogia, infatti, non è una associazione che viene effettuata direttamente tra due dominî eterogenei, bensì è una somiglianza che viene indicata fra i rap-porti di due coppie appartenenti a due diversi dominî e non illumina quindi un rapporto di somiglianza diretto tra le entità di tali dominî.

Essendo il frame una struttura complessa, utilizzare la nozione di analogia per descrivere la mappatura di un frame su una situazione permette una de-scrizione più comprensiva. Nel processo di framing non si suggeriscono in-fatti solo delle somiglianze tra stati di cose, bensì si istituiscono tra gli

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menti della situazione descritta le stesse relazioni che sono istituite tra gli e-lementi del frame. Per stare all’esempio dato, quello delle relazioni di lavoro, nel framing del mercato esse diventano come le relazioni del frame commercia-le. Ciò succede anche quando le proprietà di un caso esemplare vengano metonimicamente estese alla generalità, come nella strategia inizialmente u-sata da Matteo Renzi per promuovere la sua impostazione riformista attra-verso il sostegno al Jobs Act. Anche in questo caso, infatti, si sottende un’analogia tra la singola riforma e le altre. Nel paradigma della rappresenta-zione, parlare di framing significa quindi indicare la proprietà del discorso di essere analogizzante, anche solo nel senso di ridurre la struttura del reale ai tratti presenti nella struttura del frame. Ciò è a maggior ragione sostenibile nel caso si utilizzi un framing metaforico (6).

Questa teoria dell’analogia spiega quindi anche la struttura e la funzione ar-gomentativa della metafora (cfr. Reboul [1994] 2002, 203). Nel TA, infatti, la metafora è descritta come un’analogia condensata, che esprime solo certi elementi degli oggetti selezionati, omettendone altri (TA, § 87). La metafora presenta dunque, rispetto all’analogia, un vantaggio argomentativo (Perel-man [1969] 1977, 526), interessante per lo studio di una retorica del cam-biamento. Infatti

accettare un’analogia che si proponga di strutturare e di valutare un do-minio spesso significa accettare il punto di vista dell’interlocutore (ibid., 529).

Da ciò ne consegue che l’unico modo per confutare una metafora è per mezzo di un’altra metafora.

(6) Interrogato personalmente sul punto, Lakoff non ha dimostrato troppo entusiasmo per la proposta. Il linguista conferma sì che la metafora concettuale è un processo di mappatura prima che una struttura elementare, ma concede una descrizione del suo funzionamento solo “come un’analogia”. Lakoff mi ha risposto: «La metafora funziona come l’analogia, ma questa è letterale. Per spiegarlo ti faccio un esempio preso dalla fonetica. Se diciamo che la “p” è come la “b” e la “t” è come la “d” compiamo un’analogia letterale che non ha niente a che vedere con la metafora. Molte analogie, però, sono metaforiche, perché quando hai una metafora, hai due strutture concettuali che vengono fatte corrispondere. Ma quando una metafora viene presa letteralmente dalle persone, queste pensano che sia semplicemen-te un’analogia, perché non hanno idea dell’esissemplicemen-tenza di una metafora concettuale». Per La-koff, quindi, l’analogia si riferisce a rigore a un livello letterale, a somiglianze, mentre ab-biamo visto quale sia la definizione di analogia che ho adottato qui, facendo riferimento a Perelman. In quel modello niente vincola necessariamente l’analogia alla letteralità. Lakoff esclude così inoltre che l’analogia sia un processo ancora più generale di quello della meta-fora, in gioco tra l’altro anche nel caso dell’esempio. L’analogia come intesa da Lakoff pare avvicinarsi a una proporzione matematica, mentre l’analogia per come l’abbiamo intesa qui seguendo Perelman pone a confronto due dominî eterogenei (cfr. supra, § 2.3.1).

Per tutte queste ragioni, dice Perelman nel già citato articolo del 1969 mar-cando la differenza tra analogia e metafora,

l’ambiguità della metafora, la molteplicità dei suoi aspetti, può fecondare il pensiero tirandolo in direzioni diverse: meno precisa dell’analogia, essa esercita un effetto più potente sulla nostra immaginazione e la nostra emotività (ibid., 527).

A questo punto Perelman effettua altre osservazioni che risultano oggi par-ticolarmente moderne. L’autore del TA osserva che la forza di una metafora può essere quella di rendere addirittura inavvertita un’analogia, come se questa non fosse che «il riflesso della realtà» che vuole descrivere, dimenti-cando l’elemento di proporzionalità che risulta invece essenziale per la sua comprensione (ibid., 526). Per questo la metafora produce effetti argomenta-tivi che risultano «quasi irresistibili» quando essa è «imposta dal linguaggio» (ibid., 529). Dal punto di vista retorico, infatti, l’utilizzo di un frame impone una prospettiva al pubblico, esprimendo così una forza argomentativa. In quanto seleziona alcuni aspetti della situazione reale attraverso la rappsentazione, il framing realizza quindi la più fondamentale delle operazioni re-toriche: la scelta (7). In questo senso il framing pare trovare una sua versione retorica proprio in quello che Burke chiama terministic screen, uno “schermo terminologico”, metafora sufficientemente vicina a quella del frame. Uno schermo che si frappone tra gli interpreti e gli oggetti del mondo filtrandone alcuni aspetti e mettendo in gioco dei set di implicazioni che dal punto di vista retorico sono premesse nascoste di un ragionamento proposto dall’oratore (cfr. supra, § 2.1.2).

È questa qualità nascosta, inavvertita, l’aspetto enfatizzato della teoria del frame. Quando applicata nell’ottica della retorica, la frame analysis assume lo scopo di additare il represso, mostrare a livello profondo quella underlying

(7) Sono pochi gli autori che hanno interpretato in tale modo la framing theory. Qualche e-sempio: nelle parole di James Jasinski (2001, 74), professore di retorica della Northern Illi-nois University, nel sottolineare l’importanza dell’uditorio la riflessione neoretorica pone la sua attenzione su come l’oratore costruisce la percezione della realtà «inviting their audience to experience the world in certain ways». Similmente alla framing theory, la neoretorica effet-tua quindi un passaggio dal “cosa” al “come” (cfr. supra, § 1.1). È sulla base di una considera-zione simile che Laura Bartlett avvicina frame analysis e critica retorica. Durante il mio sog-giorno presso la University of Northern Iowa ho potuto apprezzare il tentativo di Laura Bartlett, studentessa guidata da Catherine Palczewsky, di fondere la frame analysis con il drammatismo di Burke. Palczewsky mi ha indicato anche l’operazione, meno esplicita ma ugualmente articolata, di Robert Cox, il quale descrive il ruolo retorico della “definition of si-tuation”, un termine che potrebbe essere assunto come sostituto di framing.

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rhetoric del discorso, per dirla con Burke, e proporre framing alternativi, ossia elaborare un nuovo linguaggio per i nuovi fenomeni.