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I frames del Jobs Act secondo Susanna Camusso

1.2. I frames del Jobs Act: una questione di…

1.2.2. I frames del Jobs Act secondo Susanna Camusso

Il numero dei messaggi inerenti al Jobs Act prodotti da Susanna Camusso e da me raccolti è inferiore rispetto a quello di Renzi. Ciò per diverse ragioni. Innanzitutto la minore esposizione mediatica del segretario del più grande sindacato italiano rispetto all’ex Presidente del Consiglio. In secondo luogo, la minore frequenza dei messaggi una volta approvato il disegno di legge de-lega del Jobs Act. L’iniziativa antagonista della Cgil si fa infatti a quel punto meno interessante per la stampa nazionale (l’unica fonte da me considerata per selezionare i messaggi della leader) in quanto essa non può più condi-zionare le scelte del Governo, nemmeno attraverso lo storico legame politi-co politi-con la minoranza del PD ostile al Jobs Act. Infine Susanna Camusso non fa sostanzialmente uso dei suoi profili personali sui social media per proporre messaggi di prima mano, mentre la comunicazione digitale è realizzata dagli account istituzionali del sindacato di Corso Italia.

L’esclusione e la liberalizzazione

Volendo descrivere la cornice della metodologia politica, bisogna ricordare come il rapporto tra Renzi e la Cgil sia inserito sin dall’inizio della vicenda del Jobs Act sulla linea di tendenza all’abbandono della concertazione in fa-vore del dialogo sociale di modello europeo. Tale percorso era iniziato in modo esplicito già nel 2001 con la presentazione del Libro Bianco sul lavo-ro da parte del Governo Berlusconi ed era plavo-roseguita in modo più marcato

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con i Governi tecnici che avevano preceduto quello di Matteo Renzi. Tale percorso aveva prodotto, in altre parole, il passaggio dalla firma di accordi trilaterali fra Governo, parti sociali e sindacali e rappresentanze imprendito-riali al modello del “dialogo sociale” inserito nel Trattato istitutivo della Comunità europea. Come già detto, Renzi formula nell’autunno del 2014 la più esplicita negazione pubblica del principio della concertazione, almeno in tema di legge di stabilità.

Già l’8 maggio 2014, durante la relazione conclusiva del XVII Congresso della Cgil, Susanna Camusso pronuncia un discorso durante il quale denun-cia il comportamento politico del Governo e dei suoi predecessori:

Abbiamo registrato, da più governi a questa parte, l’insofferenza verso la concertazione. Insofferenza diventata sempre più esplicita fino ad attri-buirgli tutte le responsabilità. […] Contrastiamo e contrasteremo l’idea di un’autosufficienza del Governo, che taglia non solo l’interlocuzione con le forme di rappresentanza, ma ne nega il ruolo di partecipazione e di so-stanziamento della democrazia. Una logica di autosufficienza della politi-ca che sta determinando una torsione democratipoliti-ca verso la governabilità a scapito della partecipazione.

Qualche mese dopo, il 9 settembre 2014, Susanna Camusso annuncia la scelta di organizzare una manifestazione nazionale. Un comunicato stampa della Cgil riporta dei virgolettati del segretario. Il frame utilizzato è quello del falso problema, nella versione del “capro espiatorio”:

Chi non riesce a fare le cose cerca un colpevole e ora il colpevole è di-ventato il lavoro che non permette al mondo di evolversi. Se si vogliono fare cambiamenti straordinari bisogna avere il coraggio di rompere i po-teri e non prendersela con il lavoro.

Come descritto precedentemente, i sindacati vengono comunque coinvolti in un doppio incontro col Governo. L’apertura è comunicata da Renzi co-me una concessione nella direzione del PD del 29 settembre 2014, il che prelude alle critiche che seguiranno da parte di Susanna Camusso. Il giorno del secondo incontro, il 27 ottobre 2014, il segretario della Cgil definisce l’accaduto “surreale” e denuncia l’ineffettività del confronto (cfr. supra, § 1.1.4). Un altro framing del metodo perseguito dal Governo risulta però ricorrente nelle parole di Susanna Camusso: quello della liberalizzazione, secondo il quale la politica rimuove condizioni normative considerandole vincoli alla libertà dell’azione economica. Nel discorso pronunciato a chiusura della manifestazione del 25 ottobre 2014, Camusso rappresenta per esempio l’indirizzo di Renzi come un indirizzo remissivo, prono ai desideri

dell’impresa concepita come realtà che può da sola determinare le regole e i principî, le giuste scelte del lavoro, andando oltre non solo al sindacato, ma anche alla politica.

Abbiamo visto, lo troviamo nella legge delega sul lavoro, nella legge di stabilità, che il Presidente del Consiglio le annuncia dicendo che le im-prese non avrebbero più alibi perché avranno la libertà di licenziamento e meno tasse e poi ancora la decontribuzione se assumono.

Camusso si chiede quindi retoricamente:

Ma abbiamo venduto il paese all’idea che solo le imprese possono deci-dere qual è la politica economica e che rapporto c’è con il lavoro, con le loro condizioni, con i salari, con la distribuzione della ricchezza?

Nella nota del segretario Cgil emessa il 24 dicembre, ossia immediatamente a seguito della presentazione dei primi decreti attuativi, il concetto viene ri-badito: il Governo rinuncia alla regolazione, delegando all’impresa il compi-to di avviare la ripresa. La scelta, secondo Camusso, configura un inedicompi-to:

Per la prima volta il governo rinuncia alla politica economica appaltando alle imprese la ripresa, consentendo la libertà di licenziare sempre e co-munque.

Conservazione, lotta, regressione

La risposta fornita dal sindacato al metodo perseguito da Renzi è una rispo-sta conservativa e conflittuale. Conservazione e lotta sono frames che si combinano in modo frequente ed esplicito nella retorica di Susanna Camus-so. Nel testo della relazione conclusiva del congresso Cgil del maggio 2014 si legge:

Vogliamo dare […] voce alle decine di migliaia di accordi, frutto del grande lavoro dei nostri delegati, della tenuta e della generosità della lotta di lavoratrici e lavoratori, delle molte iniziative unitarie. Certo una tenuta difensiva e conservatrice – e meno male!

La conservazione si contrappone quindi direttamente alla rottamazione, co-stituendone l’opposto corrispettivo. Alla discontinuità della rivoluzione si contrappone la continuità della difesa.

Il messaggio della conservazione si presta però a un rischio comunicativo che è quello di ammettere sia la portata innovatrice delle misure introdotte

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dal Governo sia la definizione dei problemi proposta dal segretario del PD. Per correggere questo effetto Camusso tenta di operare un rovesciamento rispetto al messaggio di Renzi. Il rovesciamento riguarda sia la valenza del cambiamento introdotto dal Jobs Act, sia i ruoli di “soluzione” e di “proble-ma” attribuiti dalla narrativa di Renzi al sindacato.

Quanto al primo aspetto, Camusso evita il pericolo denunciando una “re-cessione” e una compressione dei diritti dei lavoratori. Nel comunicato del 9 settembre per esempio si legge:

Le riforme vanno fatte, ma non contro i lavoratori e la Cgil è disposta a discutere una modifica dello Statuto dei lavoratori, ma per renderlo più inclusivo, non per ridimensionare i diritti esistenti, conquistati con anni di lotte.

Alla fine dell’incontro tra Governo e parti sociali del 27 ottobre 2014 Ca-musso dice ancor più perentoriamente:

Questo non ci pare un governo innovatore.

Nell’intervista rilasciata a Roberto Mania su la Repubblica del 27 dicembre 2014 Camusso definisce poi “recessiva” l’idea di lavoro promossa dal Go-verno, un’idea da “ribaltare”.

Quanto al secondo aspetto, ossia il ruolo del sindacato come definito da Renzi, Camusso opera in due distinti modi. Da un lato riafferma lo scopo difensivo dell’azione sindacale, dall’altro denuncia il laconismo di Renzi ri-spetto ai veri responsabili del dualismo del mercato del lavoro. Queste stra-tegie non negano quindi le condizioni critiche del mercato del lavoro de-scritte da Renzi, ma ne denunciano la pretestuosità. Nel discorso di Susanna Camusso le disuguaglianze non sono infatti superate dalla politica del Go-verno, bensì sono sfruttate strumentalmente. Camusso dice per esempio nel discorso del 25 ottobre:

Nella nostra pluralità abbiamo sempre pensato che i conflitti tra soggetti siano contrapposizioni sbagliate, l’anticamera della guerra tra poveri. Per questo non usiamo, non vogliamo e non possiamo usare logiche rotta-matorie […].

Esiste pertanto sì un immobilismo del Paese, esistono sì degli ostacoli allo sviluppo, come denuncia Matteo Renzi (cfr. supra, § 1.2.1), ma i lavoratori e i sindacati non sono parte del problema, bensì parte della soluzione. Il 19 no-vembre 2014, parlando al congresso della Uil, Susanna Camusso rivolge al sindacato un appello all’unità di intenti dicendo:

Cosa facciamo, ci rassegniamo e aspettiamo? Non è la scelta che un sin-dacato può fare perché significherebbe essere parte del problema. Noi invece siamo parte della soluzione.

Quello di Susanna Camusso è quindi un reframing del discorso di Matteo Renzi. Secondo il segretario Cgil, infatti, gli agenti della conservazione indi-cati da Renzi non sarebbero le organizzazioni dei lavoratori, bensì i lavora-tori stessi, associazione che il Presidente del Consiglio non compie mai, co-me già osservato (cfr. supra, § 1.2.1). Questo uno dei co-messaggi principali del discorso del 25 ottobre, rivolto a Renzi:

Vorremmo dirgli che la smetta, davvero la smetta, di sostenere che sa-rebbero i lavoratori quelli che bloccano il paese perché noi sappiamo be-ne dove sono i blocchi del paese.

Da quest’ultimo passaggio una questione di leadership diventa particolarmen-te evidenparticolarmen-te: in quanto i due avversari politici si rivolgono allo sparticolarmen-tesso bacino di consenso. Nel discorso del 25 ottobre Camusso avverte:

Si sappia alla Leopolda, a Palazzo Chigi, noi non deleghiamo a nessuno le questioni del lavoro.

La nota di Camusso del 24 dicembre si conclude poi con la promessa di continuare la battaglia contro norme «ingiuste, sbagliate e punitive, […] e userà tutti gli strumenti a sua disposizione per ripristinare i diritti dei lavora-tori». Il concatenamento logico tra conservazione, difesa, lotta e uguaglianza è così definitivo.

Liberismo, uguaglianza e conflitto

Posto che secondo Susanna Camusso Renzi confonde problemi e soluzioni, progresso e regressione, è interessante osservare in che modo il segretario Cgil riaffermi i valori messi in discussione dalla rappresentazione renziana. Il valore richiamato più di frequente da Susanna Camusso è quello dell’uguaglianza, il cui frame è costruito per contrapposizione al frame del li-berismo. Tale contrapposizione fa dell’uguaglianza l’oggetto della rottama-zione. Questo dice esplicitamente il segretario Cgil il 25 ottobre 2014:

Forse qualcuno pensa che uguaglianza sia una parola antica, che non va più utilizzata, ma per noi è il vero motore della modernità e del futuro, certo sappiamo che è l’opposto del liberismo ma proprio per questo

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gliamo uscire da quel borbottio indistinto che c’è nel dibattito politico di questo paese.

Il frame del liberismo è alla base dell’accusa rivolta all’ex Presidente del Con-siglio da Susanna Camusso il 19 settembre 2014, quando il Premier viene paragonato a Margaret Thatcher. Il riferimento è alle liberalizzazioni e all’attacco al sindacato operati dal Primo Ministro britannico negli anni Ot-tanta. Parafrasando l’analogia Camusso parla di «politiche liberiste estreme […], l’idea che è la riduzione dei diritti dei lavoratori lo strumento che per-mette di competere».

Gli argomenti di Susanna Camusso che ho raccolto sono quasi tutti sorretti dal luogo della qualità. Come rammenta durante il congresso del 2014:

Se non cambia il modello, l’uscita dalla crisi sarà pregiudicata dall’ulteriore svalorizzazione del lavoro: perdita di qualità del sistema, della sua competitività, della sua produttività, soprattutto perdita di digni-tà e liberdigni-tà delle persone.

Tutto ciò è riassunto come «il campionario del liberismo», definizione usata nella relazione finale del congresso del 2014.

Alla metafora del campionario consegue quella della “deriva precarizzatri-ce”, la cui apoteosi sarebbe contenuta proprio nell’abolizione dell’articolo 18. Nella nota emessa il 24 dicembre Camusso si riferisce a tale misura par-lando di “abominio”. La liberalizzazione non è solo una rimozione di osta-coli e di alibi, come la definisce il Premier, ma è invece un accanimento sui diritti dei lavoratori, rappresentato dalla somma di interventi a loro sfavore:

A leggere le norme viene da chiedersi cosa abbiano mai fatto i lavoratori a Matteo Renzi. Con i provvedimenti odierni il governo Renzi ha cancel-lato il lavoro a tempo indeterminato, generalizzando la precarizzazione dei rapporti di lavoro in Italia. Non soddisfatto ha diviso ulteriormente i lavoratori penalizzando ancora una volta i giovani e i nuovi assunti. In-vertendo l’onere della prova, che ora ricadrà sulle spalle dei lavoratori, si crea un abominio addossando alla parte più debole e ricattabile del rap-porto di lavoro la dimostrazione della ingiustizia del suo licenziamento. È interessante notare come la difesa dell’articolo 18 non sia trattata con pre-ciso riferimento al valore della reintegrazione nel posto di lavoro, ma sem-pre come segnale di una tendenza più ampia alla deregolamentazione e, quindi, alla subordinazione alle forze che producono la disuguaglianza. Per Camusso, infatti, dire che «togliere l’articolo 18 non è un modo per permet-tere di licenziare, ma per permetpermet-tere di assumere», come fa Renzi, è

uno slittamento che non rappresenta il paese, una carta bianca che pre-suppone che il licenziamento discriminatorio, comunque lo chiamino, sia definito economico o disciplinare, crea occupazione (25 ottobre 2014). In queste parole è evidente, seppur implicito, un giudizio di valore sulla li-bertà dell’impresa. Le categorie legali del licenziamento economico o disci-plinare sarebbero comunque infatti riconducibili alla possibilità di discrimi-nare da parte dell’impresa, responsabile quindi della disuguaglianza esistente. Il discorso di Susanna Camusso si inserisce dunque pienamente nel solco della tradizionale retorica della tutela del contraente debole. Dice il segreta-rio davanti alla folla raccolta in Piazza San Giovanni il 25 ottobre:

In uno Stato moderno le regole del diritto del lavoro servono per riequi-librare quello che è un potere dispari tra il lavoratore e le imprese.

Tale affermazione viene sostenuta con un argomento di autorità, ossia con il riferimento a quanto disposto dalla Costituzione:

Quando la nostra Costituzione recita di essere fondata sul lavoro e mette in primo piano la democrazia e l’uguaglianza, dice esattamente che la funzione di un governo è di stare dalla parte di chi è più debole, non dal-la parte di chi è più forte.

Nell’intervista a la Repubblica del 27 dicembre, Camusso legge secondo il frame del conflitto anche l’inversione dell’onere della prova dell’illegittimità del li-cenziamento, il cui presupposto sarebbe il seguente: che «i lavoratori abbia-no sempre torto e le imprese sempre ragione».

Modernità

Negli argomenti di Susanna Camusso non esiste il frame del cambiamento come evocato da Renzi, ossia come forza esogena realmente efficiente. Il cambiamento è invece sempre il risultato di scelte individuali e strategiche. Questo non impedisce però a Camusso di parlare di “lavoro moderno”. Nel discorso del 25 ottobre la svalorizzazione del lavoro che sarebbe insita nel Jobs Act è rappresentata anche con una metafora di riferimento fordista. La difesa del futuro è la difesa delle conquiste presenti, dei diritti acquisiti dal lavoro dipendente. Il riferimento è al Jobs Act in senso esteso, non solo all’articolo 18.

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Si fa così quando si tolgono le regole. È l’idea che il lavoratore sia una macchina ma il lavoratore è una persona e una persona c’è se i suoi diritti esistono a dentro e fuori dal luogo di lavoro […]. L’articolo 18, tutto lo Statuto sono le norme che difendono la libertà del lavoratore, il suo esse-re cittadino, sono tutele concesse-rete, non sono ideologie, e sono quelle che fanno la differenza tra il lavoro servile e il lavoro moderno.

Camusso contesta quindi anche la formulazione linguistica delle cosiddette “tutele crescenti” prevista dal Jobs Act, sostitutive della “tutela reale” (la rein-tegrazione):

Il contratto a tutele crescenti è un grande bluff. Esiste solo una monetiz-zazione crescente. Il presunto grande salto nella modernità si traduce nel-la monetizzazione delnel-la dignità del nel-lavoro.

Comunicazione

Questi elementi strumentali dell’azione sindacale vengono anch’essi con-trapposti alla retorica di Renzi criticando l’uso enfatico della comunicazione da parte del Premier. Si tratta di un rovesciamento del principio espresso da Renzi, per il quale l’invito alla speranza è precisa strategia economica. Nel discorso del 25 ottobre Camusso si esprime così:

Sì, noi vogliamo che si cambi verso, perché noi vorremmo che quei volti tornino a sorridere e sappiamo che non basta dirgli di avere una speranza. Camusso insinua anche uno scollamento tra fatti e rappresentazioni nella comunicazione di Renzi:

Vorremmo ricordare al Presidente che la coerenza e la realtà sono più dure degli annunci, che quando si dice che si farà una cosa poi le norme si leggono e si vedono.

Progetto

Il frame del progetto implica lo sguardo di lungo periodo e il dettaglio del pi-ano strategico. Per il segretario della Cgil non c’è quindi bisogno di alcuna svolta, né di rivoluzione. Indicando la necessità di promuovere innovazione e ricerca, Camusso svalorizza la formula liberista del Jobs Act, facendola ri-sultare, tra le due alternative, la “via bassa”, una risposta che implica la man-canza di coraggio delle imprese. Così nel discorso del 25 ottobre:

Lo diciamo al presidente Renzi, si stanno scontrando due modelli diversi di pensare qual è la prospettiva del paese e noi pensiamo che non c’è una via di uscita dalla crisi se non si crea lavoro, un buon lavoro, ma ci scon-triamo con un sistema delle imprese, con un governo che pensa sempre alla via bassa, quella dei tagli, dei costi da ridurre, dei salari da cancellare, che non cerca investimenti e non compete sulla ricerca.

Al ringraziamento generalizzato a chi crea lavoro espresso da Renzi Camus-so contrappone una rappresentazione nella quale la politica del lavoro del Governo non fa altro che assecondare la mancanza di visione progettuale e di coraggio delle imprese.

Gli industriali italiani non investono più, non innovano, a parte coloro che investono tutto sull’export (25 ottobre 2014).

È proprio per questo motivo che, secondo Camusso, il Governo non può delegare agli imprenditori l’onere di creare lavoro e di innovare, con una «sorta di abdicazione, di rinuncia ad individuare un modello di sviluppo». Contrattazione, territorio

I discorsi di Susanna Camusso sono ricchi anche di riferimenti alla contrat-tazione e alle azioni sul territorio, ma si tratta di riferimenti minoritari rispet-to al lavoro come problema di classe, trasversale, da affrontare facendo pressioni sul piano politico nazionale.

Nell’intervista a la Repubblica del 27 dicembre 2014 (Pronti a nuovi scioperi e a ricorrere all’Europa), Camusso rappresenta l’azione della Cgil come una lotta ininterrotta.

Continueremo a lottare, a mobilitarci e a scioperare anche contro le a-ziende, perché non può esserci uno che incassa, l’altro che subisce sol-tanto.

Al pari di ricorsi giudiziari, anche la contrattazione viene definita come meccanismo di lotta e di alimentazione del conflitto, con un obiettivo di-chiaratamente universale:

Useremo la contrattazione e i ricorsi giudiziari in Italia e in Europa […]. Utilizzeremo tutti gli strumenti a disposizione per ribaltare un’idea reces-siva di lavoro.

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