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Dal Jobs Act al referendum costituzionale: andata e ritorno

1.1. Cronaca di una riforma annunciata

1.1.7. Dal Jobs Act al referendum costituzionale: andata e ritorno

Se si fa riferimento alla curva di interesse generata dalle ricerche relative al Jobs Act su Google, si osserva come l’attenzione pubblica rivolta agli effetti della riforma scemi continuamente a partire da inizio settembre 2015, fino a toccare il minimo nell’agosto 2016. A partire da quel momento sulla scena pubblica si impone invece definitivamente un altro scenario di scontro poli-tico, quello del referendum confermativo della legge costituzionale approva-ta dal parlamento e pubblicaapprova-ta in Gazzetapprova-ta Ufficiale il 15 aprile 2015, che por-ta il nome del Ministro Maria Elena Boschi, concernente Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la re-visione del Titolo V della parte II della costituzione.

Figura 3 – Volume delle ricerche per le parole “Jobs Act” e “referendum costituzionale” su Google

Fonte: Google Trends

Pur riguardando quindi solo i contenuti specifici della riforma costituziona-le, il referendum confermativo si configura presto come un momento di ve-rifica politica dell’operato del Governo Renzi. Ciò in ragione delle diverse esternazioni dello stesso Presidente del Consiglio, nelle quali la permanenza in carica del Governo viene subordinata all’approvazione della riforma co-stituzionale.

Già a dicembre 2015, durante la conferenza stampa di fine anno, Matteo Renzi dichiara: «Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica». Il 10 gennaio 2016, durante un’intervista al Tg1, egli definisce la riforma costituzionale «la madre di tutte le battaglie», prosopopea preceden-temente riservata alla riforma del lavoro. Il 12 marzo 2016, alla scuola di formazione politica del PD, il segretario del partito di maggioranza afferma anche che in caso di disconferma della riforma da parte dei cittadini egli considererà «terminata» la sua intera «carriera politica». Tale affermazione

Fondata sul lavoro. La comunicazione politica e sindacale del lavoro che cambia

viene ripetuta in altre occasioni e verrà poi corretta, ridimensionando la por-tata di un eventuale voto negativo alle conseguenze di più semplici dimis-sioni dal ruolo di Presidente del Consiglio. In tutto Matteo Renzi promette le sue dimissioni in caso di bocciatura della riforma 16 volte (28).

Il fronte del “no”, ossia il voto che non confermerebbe la riforma, risulta variegato e scomposto rispetto a quello del “sì”. Al primo appartengono tut-ti i partut-titut-ti di opposizione e la gran parte degli esponentut-ti della minoranza del PD. Per il “sì” è schierata invece la maggioranza di Governo, costituita so-stanzialmente dall’area del PD vicina a Renzi e da Ncd. I sindacati si divido-no: la Cisl sostiene le ragioni del “sì”, la Cgil assume ufficialmente una posi-zione contraria.

L’unico aspetto della riforma costituzionale che presenta un legame intrin-seco con il mercato del lavoro e con il Jobs Act è la modifica della ripartizio-ne delle competenze tra Stato e Regioni, che con il disegno della nuova Car-ta Costituzionale delinea un riaccentramento delle politiche attive del lavoro oltre che della regolazione di diversi aspetti della formazione professionale. Il referendum si tiene il 4 dicembre 2016 e vede il “no” prevalere con circa il 60% delle preferenze. L’affluenza è del 68,5%. Intorno a mezzanotte Mat-teo Renzi tiene una conferenza stampa annunciando le sue dimissioni da Presidente del Consiglio.

I dati per ripartizione geografica, le statistiche anagrafiche e per posizione lavorativa indicano che la maggioranza dei voti contrari si è concentrata fra i giovani, soprattutto quelli poco istruiti, i disoccupati, i percettori di redditi bassi e gli abitanti del Sud Italia. Lo scenario che si può descrivere è così quello di un voto spinto dal malcontento dovuto alle persistenti difficoltà economiche (29).

Così le indagini statistiche di Ipsos, che indicano come il “sì” abbia avuto concentrazione maggiore nelle classi di età elevate, con un consenso «più elevato, anche se non maggioritario», tra i laureati. Al contrario «il no è un voto giovanile, e popolare: le punte più alte sono tra i disoccupati e tra gli operai» (30). Simili i risultati ottenuti dai sondaggi effettuati nei mesi prece-denti il voto da Demetra per il laboratorio LaPolis dell’Università di Urbino diretto da Ilvo Diamanti. Secondo le rilevazioni il “sì” ha prevalso nei vo-tanti tra i 25 e i 54 anni, anche istruiti, e le uniche categorie nelle quali ha in-vece prevalso il “no” sono state quella degli over 64 e quella dei pensionati.

(28) Referendum, tutte le volte che Renzi e i suoi hanno promesso: “Se vince il no andiamo via e non ci vede-te più”, in Il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2016.

(29) R. SAPORITI, Referendum: a dire no sono stati giovani, disoccupati e i meno abbienti, in

www.infodata.ilsole24ore.com, 5 dicembre 2016.

Dal punto di vista socio-economico, invece, impiegati, operai, lavoratori au-tonomi, casalinghe e disoccupati hanno votato “no” in misura superiore alla media (Ceccarini, Bordignon 2017, 11).

Secondo i dati del Viminale le province con un rapporto tra abitanti over 65 e abitanti under 30 più basso, ossia quelle più giovani, sono quelle che pre-sentano le percentuali più basse di “sì”. Secondo le analisi de Il Sole 24 Ore, aggiungendo la componente occupazionale prelevata dai dati Istat, si osser-va che al crescere della disoccupazione la percentuale del “no” aumenta. La correlazione positiva tra disoccupazione e voto negativo si mantiene anche allargando l’analisi alla disoccupazione generale, mentre la relazione è nega-tiva prendendo in considerazione il reddito.

Lo stesso tipo di analisi viene svolto dal gruppo di You Trend esaminando i dati sui comuni: nei 100 comuni italiani che presentano la più alta percen-tuale di disoccupati il “no” vince con il 65,8%, mentre nei 100 comuni con la disoccupazione più bassa il “sì” prevale addirittura con il 59% delle prefe-renze.

Anche le stime elaborate in base agli exit poll confermano la relazione de-mografico-professionale con il voto. Secondo il sondaggio di Quorum per SkyTg24 svolto su 1500 casi, tra le diverse posizioni professionali, il “sì” prevale solo tra i pensionati.

Un’analisi dei messaggi pubblicati sui social network svolta da Catchy suggeri-sce poi una relazione con la percezione del Jobs Act. Nel periodo tra il 24 ot-tobre e il 7 dicembre 2019, su Twitter l’hashtag più frequente co-occorrente a #iovotono (l’hashtag che identifica in modo inequivocabile chi esprime tale orientamento di voto) è proprio #JobsAct (31).

(31) Tra Twitter e ISTAT: i dati sul lavoro nell’Italia del #postreferendum, in Riotta.it, 23 dicembre 2016.

Fondata sul lavoro. La comunicazione politica e sindacale del lavoro che cambia Figura 4 – Quanto e come si discute sui social network a proposito di Jobs Act? (32)

(32) Hashtag, divisi per temi, più utilizzati nelle conversazioni Twitter tra il 24 ottobre e il 7 dicembre del 2016.