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I frames del Jobs Act secondo Matteo Renzi

1.2. I frames del Jobs Act: una questione di…

1.2.1. I frames del Jobs Act secondo Matteo Renzi

Efficacia, rottamazione, rivoluzione: il Jobs Act fa la storia

La cornice più ampia realizzata dalla comunicazione del Jobs Act di Matteo Renzi è quella che si può chiamare “efficacia” (53). In questo frame il Jobs Act rappresenta metonimicamente l’intera azione politica di Renzi, che si con-traddistingue dalle altre per la capacità di apportare un effettivo cambiamen-to nella realtà del Paese. Il frame dell’efficacia sotcambiamen-tolinea quindi una differen-za sostanziale, fosse anche solo marginale rispetto alle riforme precedenti. L’efficacia riformatrice del Governo Renzi si contrappone così all’inefficacia dei Governi precedenti o, più spesso (e paradossalmente), a una politica me-ramente comunicativa, incapace di adottare misure realmente efficienti, nel senso di capaci di produrre effetti. Il generico riferimento all’efficacia del Jobs Act perseguita in fase deliberativa, o dimostrata in fase valutativa, è con-tenuto in 31 dei messaggi di Matteo Renzi raccolti.

È interessante però osservare meglio in che modo l’ex Presidente del Consi-glio rappresenti il metodo con il quale viene affermata la differenza con la situazione precedente. Bisogna a questo punto ricordare che il frame al ritmo del quale Matteo Renzi ha vinto le primarie del PD nel 2013 è stato quello metaforico della rottamazione. In questo frame un oggetto ormai inutile su-bisce un processo trasformativo rapido e irreversibile e viene così intenzio-nalmente e definitivamente accantonato.

In occasione della prima apparizione del nome “Jobs Act” sulla scena pub-blica italiana da parte di Renzi, la parola “lavoro” veniva descritta proprio come superamento del frame della rottamazione, che avrebbe avuto secondo Renzi un effetto disforico, per lasciare spazio alla parola “speranza” (cfr. su-pra, § 1.1.2). A posteriori è però possibile descrivere il frame metaforico della rottamazione come il frame interpretativo prevalente della comunicazione del Jobs Act; almeno se alla rottamazione viene accomunato un altro frame meta-forico di tipo spaziale ricorrente: quello della “svolta”, ossia il cambio netto di un orientamento durante un movimento. La prima slide dedicata al lavo-ro durante la conferenza stampa del 12 marzo 2014, ossia la prima

(53) Selezionando tutti i testi prodotti da Matteo Renzi contenenti le parole “Jobs Act”, “la-voro” e “occupazione”, dall’inizio del 2013 al giorno in cui scrivo, ho contato 348 testi. Ho analizzato tali testi in base ai frames utilizzati negli argomenti che li compongono. Ad alcuni testi complessi, composti da più argomenti retorici e quindi da framing multipli, ho assegna-to più etichette. Ho poi riordinaassegna-to per via insiemistica i diversi framing particolari incontrati, osservando come alcuni di essi facciano parte di un frame generico che li accomuna. La rac-colta dei testi e la classificazione degli stessi è reperibile al seguente indirizzo: https://goo.gl/sy05zO.

zione pubblica dello schema normativo del Jobs Act, ha per slogan proprio “il lavoro svolta”.

Oltre a implicare un superamento temporale, la metafora della rottamazione esprime anche l’irreversibilità, ossia, fuor di metafora, un decisionismo poli-tico che comporta la definitività delle scelte adottate. Da ciò emerge un altro tratto semantico della metafora della rottamazione: quello della rapidità. La rottamazione non è un processo gentile, non avviene progressivamente, ma si realizza con noncuranza e in breve tempo.

Questi tratti sono condivisi da un altro frame metaforico utilizzato da Renzi e che si caratterizza per il suo uso esclusivo nella comunicazione della ri-forma del lavoro: la metafora della rivoluzione, ossia di una rottura netta e definitiva con un intero sistema vigente. Renzi parla esplicitamente di rivo-luzione 7 volte, già a partire dal 2013. Ecco alcuni esempi:

Modificare ammortizz.sociali è giusto, ma per farlo occorre rivoluzione complessiva mondo del lavoro.E formazione.Tutto in JobsAct (26 no-vembre 2013, Twitter).

In 7 mesi abbiamo impostato una rivoluzione nel sistema del mercato del lavoro: lo rendiamo più semplice, meno era difficile (25 ottobre 2014, di-scorso al Politecnico di Milano).

È una rivoluzione copernicana, è un grande passo in avanti (24 dicembre 2014, conferenza stampa a Palazzo Chigi).

Alla rottura rivoluzionaria Renzi allude però ripetutamente anche quando dichiara la storicità dei cambiamenti introdotti dalla riforma. Tra i messaggi da me raccolti si contano in totale 34 argomenti che fanno in vario modo riferimento alla portata storica del Jobs Act. Alcuni esempi:

Il Jobs Act finalmente è legge. Se ne parlava da anni, oggi riscriviamo le norme sul lavoro (4 dicembre 2014, Facebook).

Dall’Inps e dai consulenti del lavoro arrivano i primi incoraggianti dati sugli effetti dei nostri interventi per il lavoro. […] Se i numeri che leg-giamo in queste ore verranno confermati, per la prima volta da vent’anni a questa parte avremo invertito una tendenza che sembrava irreversibile […] (15 marzo 2015, Facebook).

L’eccezionalità storica è una qualità particolarmente ricorrente e risulta ben evidente nel discorso pronunciato alla riunione di Direzione del PD il 29 settembre 2014, una sorta di summa della retorica di Renzi sul Jobs Act.

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Conteggiando le parole più frequenti nel testo si osserva che al secondo po-sto, dopo la parola “lavoro”, compare la parola “anni” (54).

Figura 11 – Wordcloud del discorso pronunciato da Matteo Renzi durante la riunione di dire-zione del PD il 29 settembre 2014

Fonte: elaborazione su trascrizione manuale del testo, reperibile inhttps://goo.gl/bdpzyy, rea-lizzata attraverso la piattaforma www.wordclouds.com. Sono state rimosse dal testo sorgente solo proposizioni, congiunzioni e articoli

Rottamazione, superamento, svolta e rivoluzione sono quindi diversi modi di rappresentare la novità per contrappunto rispetto a una realtà precedente. Questi framing avvengono secondo uno schema di dissociazione che con-trappone retoricamente “il nuovo” e “il vecchio”.

Tutte queste modalità rappresentative si incrociano in modo particolarmen-te evidenparticolarmen-te negli argomenti esposti duranparticolarmen-te la conferenza stampa del 20 febbraio 2015, dove Renzi afferma:

Per una parte di italiani è un giorno atteso per molti anni, ma se mi per-mettete soprattutto un giorno atteso da un’intera generazione. […] Rot-tamiamo e superiamo un certo modello di diritto del lavoro e allo stesso tempo superiamo l’articolo 18 e i co.co.co. e i co.co.pro. […].

(54) L’audio della riunione di Direzione e la trascrizione automatica sono disponibili sul sito di Radio Radicale al seguente URL: https://www.radioradicale.it/scheda/422166/direzione-nazionale-del-partito-democratico.

Nel complesso, in tutti i messaggi raccolti, i frames dell’efficacia, della svolta, della rivoluzione e della storicità sono utilizzati complessivamente in 96 testi. Il superamento e l’ostacolo

Il Jobs Act non si dirige semplicemente contro uno status quo, rappresentato come un’entità concettuale a sé stante, bensì si rivolge contro gli operatori della sua conservazione.

La raffigurazione di un antagonista giustifica un metodo polemico ed è a questo aspetto della comunicazione renziana che può più correttamente es-sere applicato il termine storytelling, ossia una costruzione narrativa secondo la quale il Governo non può riformare pervasivamente (rivoluzionare e rot-tamare) il sistema del lavoro italiano, senza confliggere con alcuni attori so-ciali. Talvolta quindi Renzi descrive il target della riforma come una causa efficiente, per esempio «un certo modello di diritto del lavoro» o la «ideolo-gia». Talvolta invece l’ostacolo è un agente, per esempio la vecchia politica, il sindacato o un generico atteggiamento di immobilismo della classe diri-gente. Possiamo chiamare questo frame quello del superamento, superamen-to che implica un ostacolo, presente in 50 dei testi da me raccolti.

Non si tratta di una strategia che emerge immediatamente nella comunica-zione sul lavoro dell’ex Premier. Lo scenario delle reazioni che risultava in-fatti dai telegiornali del 9 gennaio, giorno successivo alla presentazione dello schema della riforma sul sito di Renzi, era infatti composto da apprezza-menti e critiche tutto sommato blandi. Si era delineata nel complesso un’apertura trasversale al dialogo. Il posizionamento nei confronti dei corpi intermedi viene espresso però da Renzi già il 9 marzo 2014 durante un’intervista a Che tempo che fa. Il giorno successivo i giornali riportano il vir-golettato, sintetico ma inequivocabile:

Ascoltiamo Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, ma decidiamo noi. Avremo i sindacati contro? Ce ne faremo una ragione.

Nella conferenza stampa del 12 marzo 2014 il principio della rottamazione della classe dirigente veniva poi allargato genericamente a tutti i tradizionali-sti e alle forze conservative. Una delle slide presentate recitava infatti:

Il nostro nemico: quelli che “si è sempre fatto così”.

Dopo alcune accuse reciproche piuttosto isolate, i rapporti tra Renzi e i sin-dacati si incrinano definitivamente il 18 settembre 2014, quando Susanna Camusso parla contro Renzi facendo riferimento alle liberalizzazioni e

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all’attacco al sindacato operati dal Primo Ministro britannico Margaret Tha-tcher negli anni Ottanta (cfr. supra, § 1.1.4). Il videomessaggio di replica di Renzi è il suo testo polemico più intenso.

La logica della rottamazione si lessicalizza nel termine “disintermediazione” e i corpi intermedi, su tutti il sindacato, diventano i responsabili di un’arretratezza politica e culturale che insieme all’articolo 18 difende lo status quo di un dualismo del mercato del lavoro.

Durante la fase valutativa degli effetti del Jobs Act la vis polemica di Renzi si concentrerà invece verso i critici e gli oppositori raccolti sotto l’etichetta di “gufi”, che si oppongono all’ottimismo interpretativo dei dati sul mercato del lavoro.

La funzione del frame narrativo della conservazione non è solo quella di giu-stificare un metodo, ma è chiaramente anche quella di definire l’identità del giovane eroe del cambiamento, Matteo Renzi, per contrappunto. Il 3 giugno 2015 Renzi scrive per esempio su Facebook:

In politica c’è chi urla e spera che tutto vada male. E c’è chi quotidiana-mente prova a cambiare le cose, centimetro dopo centimetro, senza ar-rendersi alle difficoltà.

Il 31 maggio 2016, ancora su Facebook, il framing ottimista si ripete esem-plarmente:

Abbiamo smentito i gufi che fino a ieri sostenevano che, una volta cessa-ti gli incencessa-tivi, l’andamento dell’occupazione avrebbe ricevuto uno stop. Niente di più falso.

Il falso problema, la discussione ideologica

Un tipo particolare di frame del superamento è quello utilizzato da Renzi per orientare il dibattito pubblico attorno alla questione dell’articolo 18, simbolo principe delle conquiste dei lavoratori e dei valori di tutela espressi dallo Sta-tuto dei lavoratori. L’argomento è inizialmente trattato da Renzi con insi-stenza come un “falso problema”, e in quanto tale privo di importanza. L’obiettivo dell’ex Premier è quello di scardinare il legame tra l’articolo 18 e il corollario dei diritti dei lavoratori, per ridurre la difesa della norma in que-stione a una difesa ideologica, ossia alla difesa di un sistema di pensiero inte-so in seninte-so deteriore, come apriorismo svincolato dalla realtà concreta del lavoro. Così l’impegno profuso dagli agenti conservatori viene rappresenta-to come militanza inutile e impertinente.

Matteo Renzi usa più volte l’espressione “totem ideologico”, framing metafo-rico del “falso problema” che innesca anche un framing metafometafo-rico narrativo quando attorno all’articolo 18/totem Renzi dispone i suoi difensori, impe-gnati in una “danza degli addetti ai lavori”. Così la racconta già il 27 marzo 2012 ai microfoni di Radio 24. La micro-narrazione metaforica descrive quindi dei soggetti intenti a venerare ingenuamente un simbolo al quale non corrisponde alcuna realtà, con la stessa convinzione con la quale una tribù si rivolge alle sue credenze, implausibili dal punto di vista del pubblico.

Così Renzi continua a trattare prevalentemente la questione, almeno sino al 1° settembre 2014, quando, durante la conferenza stampa di presentazione del programma dei “mille giorni”, risponde così a una domanda:

Il dibattito estivo sull’articolo 18 è puntuale come… come posso dire, una volta l’anno se non c’è un dibattito sull’articolo 18 non vale. Tra l’altro a me piacerebbe un giorno discuterne sul serio perché i casi di cui stiamo parlando che vengono risolti sulla base dell’articolo 18 in Italia sono circa 40.000. Di questi l’80% più o meno, prendete questi numeri con beneficio di inventario, sono risolti con un accordo, quindi mi ri-mangono 8.000. Di questi 8.000 si sta più o meno così: 4.500 contro 3.500 più o meno. 35.00 il lavoratore perde totalmente quindi non ha al-cun tipo di riconoscimento. 4.500, 5.000 invece il lavoratore vince. In due terzi dei casi ha il reintegro, quindi noi stiamo discutendo di una cosa importantissima che riguarda circa 3.000 persone l’anno. In un paese di 60 milioni di abitanti. Io dico tutte le volte: mi sembra un tema un po’ ideologico. E si riparte con le paginate: “articolo diciotto sì”, “articolo diciotto no”, “articolo diciotto no”, “articolo diciotto sì”.

Celebre diventa soprattutto la metafora utilizzata durante la Leopolda 2014 quando Renzi dice dell’articolo 18:

Nel 2014 aggrapparsi a una norma del 1970, che la sinistra non votò […] è come prendere un iPhone e dire dove metto il gettone del telefono? è come prendere un giradischi e pensare di metterci la chiavetta USB. Pen-sare oggi di utilizzare l’articolo 18 come la nostra battaglia, è prendere una macchina fotografica digitale e cercare di inserirci il rullino. È finita l’Italia del rullino. Rivendico per la sinistra l’Italia del digitale […].

Se anche si provasse insomma ad applicare l’articolo 18, nella realtà attuale questo avrebbe, secondo la rappresentazione di Renzi, effetti praticamente nulli.

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L’appello all’unità e il coinvolgimento

Nei messaggi di Renzi, solo in alcuni momenti particolarmente cruciali per l’iter legislativo si osserva un appello all’unità e alla riduzione del conflitto. Come il 13 agosto 2014, dopo le dichiarazioni del Ministro Alfano che au-spica che il superamento dell’articolo 18 venga inserito direttamente nella legge di bilancio. Proseguendo la tendenza descritta nel paragrafo preceden-te, Renzi afferma pubblicamente:

L’ultimo tema di cui abbiamo bisogno è una discussione ideologica sull’articolo 18 […]. Possiamo evitarla riscrivendo tutti insieme la delega per la modifica dello Statuto dei lavoratori [corsivo mio].

Nei messaggi che ho raccolto si contano solo 6 esortazioni all’unità, mai ri-volte agli avversari esterni, ma quasi sempre alle componenti interne del PD. Spesso tali inviti sono inoltre posti a chiusura del testo, solo a seguito di un attacco polemico. L’invito all’unità si realizza quindi pur sempre attraverso un’identificazione per antitesi. Ne è un esempio il post di Facebook del 1° marzo 2016 che, dopo aver enumerato le cifre che dimostrerebbero i suc-cessi del Governo, si conclude così:

Sappiamo che c’è ancora molto da fare, a cominciare dalla battaglia con-tro la disoccupazione giovanile e dalla lotta per gli investimenti, soprat-tutto al Sud. Ma lo facciamo, tutti insieme, senza paura, con una strategia unitaria che ha respiro e orizzonte [corsivo mio].

Quanto ai corpi intermedi, il frame del coinvolgimento rimane coerente nei numerosi casi di vertenze aziendali risolte con la mediazione del Governo. Qui Renzi si dimostra sempre disposto a condividere il merito delle solu-zioni raggiunte con il sindacato. Come dice esplicitamente il 25 maggio 2014 durante un comizio a Prato:

Quando fanno il loro lavoro i sindacati fanno bene, è quando fanno poli-tica che fanno confusione, che sono un problema.

Il 9 dicembre 2014, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi a segui-to dell’accordo a tutela dei posti di lavoro della Lucchini-Cevital di Piombi-no, Renzi scandisce ancora più chiaramente:

Grazie ai sindacati, perché abbiamo opinioni diverse su tante questioni ma nel merito di vertenze fondamentali è importante lavorare insieme.

Va osservato però che, se nei messaggi categorizzati ben 34 si riferiscono a scenari di relazioni industriali, solo in 5 di essi si realizza un riconoscimento del ruolo del sindacato.

Sul piano politico poi, nonostante le sigle non siano allineate unitariamente contro il Jobs Act, poche volte Renzi specifica i suoi riferimenti al sindacato. Lo fa il 20 maggio 2014 durante un’intervista a RTL quando sottolinea che «peraltro, una parte dei sindacati [è] entusiasta del Jobs Act». Due anni dopo, il 24 maggio 2016, durante un’intervista a la Repubblica TV Renzi specifica:

Sul Jobs Act Cgil e Uil, a differenza della Cisl, hanno detto “no, è un er-rore”.

Sostanzialmente assenti sono invece le critiche rivolte alle associazioni di ca-tegoria degli imprenditori. Se l’attacco alle organizzazioni dei lavoratori è un refrain della comunicazione renziana, la critica esplicita a Confindustria com-pare solo nel discorso alla riunione di Direzione del PD del 29 settembre 2014:

Io dico, non essendo andato neanche alla iniziativa di Confindustria, che quando il mondo delle categorie dell’impresa perde il contatto con la re-altà e rappresenta più delle società di servizi che non le lavoratrici e i la-voratori, gli imprenditori e le imprenditrici […] si perde la rappresentan-za e la rappresentatività.

Le accuse di Renzi sono comunque sempre rivolte alle sole organizzazioni di rappresentanza. Completamente assenti sono invece gli argomenti ostili a lavoratori e imprenditori, così come il tentativo di contrapporre questi due gruppi tra di loro. Il 20 novembre 2014, dalle frequenze di Rtl, il Premier afferma per esempio:

Invidio molto quelli che passano il tempo a organizzare gli scioperi. Mi riferisco ai sindacalisti, non ai lavoratori.

L’11 dicembre, il giorno prima dello sciopero generale indetto da Cgil e Uil, dal Forum economico italo-turco di Ankara Renzi parla poi con toni insoli-tamente pacati dicendo:

Lo sciopero generale è momento di alta protesta al quale dobbiamo avvi-cinarci con profondo rispetto. C’è un diritto sacrosanto allo sciopero che va garantito. […] Buon lavoro a chi lavora e in bocca al lupo a chi scio-pera.

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Quanto agli imprenditori, Renzi ripete più volte che il Jobs Act rimuove i lo-ro “alibi”, ossia gli ostacoli alle assunzioni. Come sintetizza durante la con-ferenza stampa del 20 febbraio 2015:

Agli imprenditori voglio dire che abbiamo tolto ogni alibi a quelli che di-cono che assumere in Italia non è conveniente, non solo perché abbiamo fatto una riduzione importante delle tasse, ma anche perché gli elementi di incertezza e di mancanza di flessibilità sono venuti meno.

Nel corpus di argomenti raccolti la parola “alibi” usata con riferimento a sin-dacati, politici e imprenditori compare 10 volte.

Si potrebbe osservare che parlare di “alibi” non è che un modo alternativo per inquadrare l’articolo 18 come un “falso problema”, e quindi anche di at-taccare gli imprenditori giacché Renzi pare accusarli di aver utilizzato sino a quel momento una scusa, un pretesto, per giustificare i mancati investimenti in capitale umano. Tuttavia questo messaggio del Premier rimane ambiguo, in quanto implica sempre anche l’effettiva rigidità del sistema dovuta all’articolo 18; rigidità espressa attraverso la perifrasi eufemistica: «mancanza di flessibilità».

Se Renzi afferma di essere colui che si occupa di «creare posti di lavoro», va ad ogni modo da sé che il Premier si identifichi maggiormente con gli im-prenditori, ai quali attribuisce spesso il merito di stare «dalla parte di coloro che ci provano». In un videomessaggio proiettato in occasione della confe-renza di Confartigianato il 30 novembre 2014, lo storytelling di Renzi fa dei piccoli imprenditori degli «eroi dei tempi nostri»:

Ciascuno di voi è un imprenditore, un artigiano, un lavoratore. Sa perfet-tamente che partire la mattina con il grido “tanto non ce la faremo mai” non è soltanto frustrante, rende impossibile l’impresa. Chi la mattina si alza e prova a fare il suo mestiere, e lo fa mettendosi in gioco tutto, è un eroe dei tempi nostri, è un eroe della quotidianità.

La ricerca dell’identificazione non potrebbe essere più esplicita nell’uso dei pronomi:

Quello che caratterizza noi e voi è molto semplice: è l’idea che insieme stavolta ce la facciamo e non è un problema di gufi o di pessimisti, è un problema che l’Italia oggi è divisa tra chi pensa di fronte a un problema si debba urlare più forte, creare ancora più tensioni, e chi invece rimboc-candosi le maniche facendo il proprio pezzo di strada questo paese lo